Epistemophobia

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    « Questa città ha già abbastanza problemi. Se c'è un "Re" che la difende, allora è cieco e sordo. Oppure indifferente alle sorti dei suoi sudditi. »

    -Penso che tu abbia centrato il problema- avrebbe ammesso Drusilia, sospirando sconsolata al ricordo della guerra civile a Laputa -Penso che ad Aeon importi ben poco delle persone.
    E si, era ancora particolarmente turbata dal fatto che, per un capriccio di quel Signore della Chiave, metà del suo Presidio si era scontrata con l'altra generando una quantità incalcolabile di morti... quando sarebbe semplicemente bastato intervenire diplomaticamente in un tempo adatto.
    Tante morti evitabili, scontri stupidi dovuti ad un fraintendimento. Certo, Rivenore non faceva parte degli schieramenti avversi ma... nel suo mondo, se si sapeva qualcosa e si preferiva tacere, quella prendeva il nome di "omertà" o "complicità". In ogni caso nulla di buono.

    « Questa gente è disgustosa. »

    A quelle uscite giunsero delle occhiate fulminanti in sua direzione ma, per una volta, Drusilia non parve particolarmente turbata della cosa. Non avrebbe distrutto un bel niente, ma concordava pienamente nel disgusto: aveva da sempre malsopportato i nobilotti con la puzza sotto al naso.

    « Sei caduto in basso, Seishiro Sakurazuka. E sei invecchiato, perfino più di quanto credevo possibile... »

    Ad accoglierli un laboratorio da veterinario.
    Uno abbastanza comune, anche se di fatto non lo sapeva con esattezza: a Laputa esistevano i guaritori, non dei veri e propri medici.

    « E' molto scortese dire ad un adulto che è invecchiato, signorina. Cosa posso fare per voi...? »
    « Il problema lo puoi vedere da solo, sciamano. Non ci serve un veterinario, bensì un esorcista. »
    « Allora mi dispiace, ma siete nel posto sbagliato. »

    L'uomo tolse gli occhiali scuri, rivolgendle un sorriso quieto e gentile.
    Nonostante fosse cieco, le ispirava tenerezza.

    « Le chiedo scusa per la mia insolenza, signora. L'esorcismo sarebbe per il corvo, o per la bambina...? »

    -Bella domanda.

    A quell'uscita scappò un mezzo sorrisino da parte dell'Alfiere. La cosa divertente, infondo, era proprio quella: di fatto non aveva ancora capito cosa fosse Riful e... il corvo era un altro bel mistero. Inoltre Riful non le aveva nemmeno spiegato benissimo il suo piano.

    -Comunque, signore, siete sicuro di non conoscere questa bambina? Ci rifletta bene- cercò di suggerirgli con toni gentili ed affettuosi -... con i capelli di un altro colore, ad esempio.

     
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    « Mi ricorda qualcuno... »
    Disse l'uomo, pulendo gli occhiali con calma, prima di indossarli di nuovo.
    « Ma, vede, non può essere la persona che penso io. »
    E sorrise. Ed era veramente il sorriso finto di un figlio di puttana. Tanto che Riful perse le staffe.

    « Ceeeeerto, che quella persona sono io. Per tua informazione, viaggiare fra le realtà non è mai stato un grosso problema, per la sottoscritta. Sono Riful di Celentir, dannato sciamano mezzo cieco! »
    Strinse i pugni, adirata più del dovuto. Il medico, affatto impressionato, si limitò ad uno sguardo comprensivo:
    « Potresti essere chi dici, è vero. Di certo le somigli. Ma questo fa di te uno spettro. »

    « E perché...? »
    Visibilmente, voleva prenderlo a schiaffi in faccia.
    « ... Perché la persona che tu dici di essere, è morta quasi dieci anni fa. »
    Il silenzio. Il vuoto. Null'altro.
    Improvvisamente, la loquace Riful non ebbe più niente da dire...

     
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    « Mi ricorda qualcuno... Ma, vede, non può essere la persona che penso io. »
    Sorrise, ma questa volta Drusilia non percepì affabilità nè gentilezza; fu per questo che rimase a fissarlo perplessa e mortificata, mentre la bambina al suo fianco perdeva le staffe.
    « Ceeeeerto, che quella persona sono io. Per tua informazione, viaggiare fra le realtà non è mai stato un grosso problema, per la sottoscritta. Sono Riful di Celentir, dannato sciamano mezzo cieco! »
    « Potresti essere chi dici, è vero. Di certo le somigli. Ma questo fa di te uno spettro. »
    « E perché...? »
    « ... Perché la persona che tu dici di essere, è morta quasi dieci anni fa. »

    Cadde il silenzio, e fu abbastanza strano, esattamente come lo era vedere Riful zittita.
    Aprì la bocca per parlare, ma ricordò sia il viaggio onirico che alcune spiegazioni ricevute da Matamune e Jophiel.

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    -Se è vero quello che dici, avresti potuto dirlo più gentilmente- esclamò Drusilia piccata, a difesa della piccola, non molto sicura se posare una mano sulle spalle in segno di conforto fosse un'idea buona -Ed anche se fosse morta, su Endlos capita spesso di risorgere. Se fosse accaduto qualcosa di simile non sarebbe uno spettro, non crede?

     
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    « ... Io. Non sono... Morta. »
    Riful scandì quelle parole inviperita, le manine strette a pugno e sul punto di saltare alla gola di qualcuno. E non necessariamente di quell'indisponente veterinario, è certo. Perché anche le parole di Drusilia le avevano dato ai nervi: dal suo punto di vista la dama dei venti avrebbe dovuto doverosamente negare con forza quell'ipotesi così scandalosa, invece di ventilarla citando anche casi di resurrezione. Perché era di Riful che si parlava, non di una persona un po' arrogante o dai modi semplicemente egoisti.

    « Sono stata io a lasciarti su Endlos, sciamano! »
    Ingiunse con fare autoritario, anche se l'uomo non sembrava affatto impressionato.
    « Lo ricordo bene! Ti portai qui assieme a salamander, sostituendoti al tuo doppio orginario di quella Tokyo che ancora giace al di là delle paludi! Ora sono qui perché devo sapere: perché ho posto così tanti sigilli su quel luogo? Certo, era pericoloso lasciarlo così, ma perché mi premeva così tanto tardarne la distruzione? »

    « Dovendo tirare ad indovinare... »
    Seishiro Sakurazuka prese gentilmente il corpicino malconcio del cane, e con modi esperti lo voltò, iniziando a bendarne il ventre con metodo.
    « La creatura che si chiamava Riful, e che traghettò la città che gli uomini chiamano Klemvor su questo piano, lo fece senza dubbio per nascondere qualcosa che le premeva. »
    « Dovrei ridurti ad ossa consunte per la tua insolenza! »
    « Non lo farai. Ti costerebbe troppo caro. Signora, potreste per favore passarmi gli antibiotici con l'etichetta verde in quella dispensa? Sa come si prepara una siringa...? »
    A farla breve aveva appena promosso Drusilia da "semplice mamma" a "mamma infermiera".
    « Che cosa volevo nascondere...? Ho ritrovato il mio drago, ma era ancorato alla superficie, la sua essenza divisa fra tutti e sette gli eptagrammi! »
    « La città stessa è un sigillo. Sollevala, sotto potresti trovarci qualcosa che ti apparteneva... »
    « Che cosa ho lasciato sotto la città?? »
    « Non ne hai fatto parola. Ma anche qui, posso tirare ad indovinare... »
    « Provaci. »
    « Una tomba. »
    « La mia...? »
    « Non credo. Non ne avresti avuto la stessa cura... »
    « Ma io... »
    Si interruppe. Ci pensò su, le parole le morirono in bocca. Alla fine, decise di non voler proseguire quella conversazione.

    « Ho bisogno dei tuoi servigi come sciamano. Un'ultima volta. »
    « Quando la creatura che era Riful mi chiese di badare al cadavere di un demone sognatore con una spada conficcata nel ventre, disse le stesse parole... »
    « Stavolta lo è veramente! Un'ultima volta, poi sarai libero. »
    « Ma lo sono già. Libero di rifiutarmi. Ho cessato di essere uno sciamano, ora sono solo un medico cieco. »
    « Ho bisogno che uccidi qualcuno per me! »
    « Fallo tu. Ah, giusto, tu non uccidi... »
    « Non ho mai ucciso perché non ho mai voluto farlo, ma questa volta non posso! »
    « Allora chiedi a lei... »

    Annuì verso Drusilia. Riful si voltò a guardarla, stupita di se stessa... e la sala piombò di nuovo in un lungo, gelato silenzio...

     
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    « Dovendo tirare ad indovinare... La creatura che si chiamava Riful, e che traghettò la città che gli uomini chiamano Klemvor su questo piano, lo fece senza dubbio per nascondere qualcosa che le premeva. »
    « Dovrei ridurti ad ossa consunte per la tua insolenza! »
    « Non lo farai. Ti costerebbe troppo caro. Signora, potreste per favore passarmi gli antibiotici con l'etichetta verde in quella dispensa? Sa come si prepara una siringa...? »

    Sempre più perplessa da quella conversazione, Drusilia si avvicinò alla dispensa e prese gli antibiotici indicati dal dottore. Rimase a fissarli per qualche secondo.
    -... una quindicina di anni fa ho fatto l'infermiera.
    A quel punto non potè non far caso a come passasse velocemente il tempo...

    « Che cosa volevo nascondere...? Ho ritrovato il mio drago, ma era ancorato alla superficie, la sua essenza divisa fra tutti e sette gli eptagrammi! »
    « La città stessa è un sigillo. Sollevala, sotto potresti trovarci qualcosa che ti apparteneva... »
    « Che cosa ho lasciato sotto la città?? »
    « Non ne hai fatto parola. Ma anche qui, posso tirare ad indovinare... » « Provaci. » « Una tomba. » « La mia...? » « Non credo. Non ne avresti avuto la stessa cura... » « Ma io... »

    In quel breve attimo di silenzio Drusilia avrebbe voluto certamente dire qualcosa... ma non trovò nulla a cui agganciarsi. Dal suo punto di vista, era come osservare due stranieri parlare una lingua mai ascoltata. Percepiva solo il disagio, ed una matassa di sentimenti contrastanti che circondava entrambi gli interlocutori.

    « Ho bisogno dei tuoi servigi come sciamano. Un'ultima volta. »
    « Quando la creatura che era Riful mi chiese di badare al cadavere di un demone sognatore con una spada conficcata nel ventre, disse le stesse parole... » « Stavolta lo è veramente! Un'ultima volta, poi sarai libero. »
    « Ma lo sono già. Libero di rifiutarmi. Ho cessato di essere uno sciamano, ora sono solo un medico cieco. »
    « Ho bisogno che uccidi qualcuno per me! » « Fallo tu. Ah, giusto, tu non uccidi... »
    « Non ho mai ucciso perché non ho mai voluto farlo, ma questa volta non posso! »
    « Allora chiedi a lei... »

    Da quell'attimo Drusilia iniziò a sentirsi gli occhi puntati addosso.
    Ciò nonostante, quella volta il disagio non avrebbe mai condizionato la sua scelta, dovuta principalmente alla sua natura ed a tutto ciò per cui negli anni aveva lottato. Lei era una regina ed un guerriero, lei era una custode. Aveva votato la sua anima alla difesa degli altri... e se ormai non credeva più molto alle forze del Bene, almeno puntava sempre alla lotta per il male minore.

    -Non guardatemi: non sono un'assassina.

     
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    Per un po' nessuno ebbe niente da aggiungere. Drusilia era stata chiara: non sono un'assassina, ed in questo si distingueva nettamente da altri presenti nella stanza. In quel silenzio innaturale, il veterinario fece ciò che farebbe ogni buon veterinario: prese la siringa dalle mani dell'Alfiere, mosse le dita sul collo del cane per trovare il punto preciso in cui effettuare l'iniezione e la bestiola guaì in tono pietoso mentre l'ago ne penetrava la pelle.

    « Lei non lo farà. »
    Insistette infine Riful, e fu strano sentirle pregare qualcuno.
    « Quella persona... Se lo merita. Davvero. Sei uno sciamano, verifica se mento. »

    « Le persone cambiano idea, piccolina. Portala con te, e non dimenticarti di mostrarle il perché va fatto. Fidati, cambierà idea. »
    Il tono di voce fu quasi dolce, mentre sollevava il cane e lo riponeva in una piccola gabbia. Il punto era che si trattava di parole estremamente false, o per meglio dire finte. Non c'era la minima ombra di dolcezza in quell'uomo, e neanche di odio, rabbia, o qualsivoglia sentimento anche solo vagamente umano. Questo, però, risultava chiaro solo dopo un po', perché superficialmente era bravo a dissimulare.
    « Nella Tana del Verme potrei non uscirne viva. »
    Sussurrò Riful in tono sinceramente disperato. Ormai aveva capito che non avrebbe trovato alcun aiuto, non da quell'uomo.

    « E' strano. »
    Disse lui, guardandola.
    « "Strano" cosa? »
    « Strano che hai paura a rischiare. Sembra quasi che tu abbia paura che questa donna scelga la vita di un perfetto sconosciuto, contro la tua. »

    Riful ebbe uno scatto, si fiondò su di lui e gli mollò uno spintone violento, riuscendo a malapena a smuovere l'uomo. Poi corse via, spalancando la porta e lasciandola aperta dietro di se, scappando lungo le vie del Pentauron, rapida come può essere rapida una bambina di undici anni. Il Sakurazukamori rimase per un attimo a fissare la porta, affatto turbato, sorrise e tornò come se niente fosse ad occuparsi di sistemare alcune provette. Probabilmente avrebbe perfino rimosso quell'incontro, tanto poco sembrava valere per lui...

     
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    « Lei non lo farà.
    Quella persona... Se lo merita. Davvero. Sei uno sciamano, verifica se mento. »

    « Le persone cambiano idea, piccolina. Portala con te, e non dimenticarti di mostrarle il perché va fatto. Fidati, cambierà idea. »
    « Nella Tana del Verme potrei non uscirne viva. »

    Mentre quelli continuavano a parlare in codice, Drusilia cercava di estrapolare il senso di tutte le frasi non dette. Le era estremamente difficile, ma su una cosa fu abbastanza certa: quel tale era un mostro. La tranquillità nel far soffrire gli altri, la quieta ed addirittura sorridente espressività di chi è in grado di ucciderti pur rimanendo impassibile, il gioco di sguardi e sottintesi quasi maniacale, atto al solo ferire.

    « E' strano. »
    Disse lui, guardandola.
    « "Strano" cosa? »
    « Strano che hai paura a rischiare. Sembra quasi che tu abbia paura che questa donna scelga la vita di un perfetto sconosciuto, contro la tua. »

    Colpita ed affondata.
    Riful si fiondò su di lui e tentò di spingerlo senza successo. Corse via per le vie del Pentauron, spalancando la porta e lasciandola aperta dietro di se. L'uomo, invece, non sembrò affatto turbato. Addirittura sorrise e tornò come se niente fosse ad occuparsi di sistemare alcune provette. Drusilia, invece, non seguì immediatamente la bambina; rimase anche lei a fissarlo per qualche istante, facendosi avanti a passi lenti. Gli avrebbe posato una mano sulla spalla, invitandolo a girarsi. Poi, imperturbabile quanto lui, anche Drusilia fece la sua mossa.

    SBAM!

    Un ceffone in pieno volto, di quelli particolarmente sonori e dolorosi. Lo stesso tipo di schiaffi in grado di lasciare la forma della mano per ore, come monito e ricordo da non cancellare mai.
    Esattamente come lui, a cosa fatta, Drusilia rimase impassibile.
    Addirittura gli sorrise.

    Poi, senza aggiungere altro, si allontanò in volo dallo studio per cercare Riful; solo a debita distanza si sarebbe sventolata un pò la mano per attutire il bruciore. Non pensava che quella faccia di bronzo potesse esserlo per davvero...

     
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    Tempo dieci minuti ed il dolore al palmo della mano era sparito, sostituito da una profonda inquietudine, che cresceva mano a mano che trascorrevano gli istanti. Riful era scomparsa! Scappata via dall'ambulatorio, si era ficcata nel bel mezzo delle vie del Pentauron in mezzo alla folla, ed uscendo a sua volta dopo aver schiaffeggiato lo sciamano nero, Drusilia dovette rassegnarsi al fatto che della bambina dai capelli castani non vi era la minima traccia. Dopo i primi quindici minuti di ricerca infruttuosa, l'Alfiere Errante arrivò sul punto di pensare a richiamare il suo grifone, Aeglos, e di cercarla dall'alto. Fortunatamente la streghetta non era andata lontano e infine, quando ormai il sole stava cedendo il passo al crepuscolo, l'Autocrate riuscì a individuarla accucciata mestamente in un angolo delle strade, le ginocchia premute contro il petto ed il faccino arrossato seminascosto dalla frangia castana. Aveva un'aria talmente abbattuta da fare pena, anche se fin dall'inizio di quella strana faccenda aveva sempre mostrato un aspetto assai più provato del solito. Anche il fatto che in ambulatorio non avesse fatto esplodere tutto non era da lei, considerando che neanche un mese prima aveva cercato di radere al suolo Laputa -cosa che fra l'altro aveva più volte minacciato di attuare ogni volta che si sentiva contrariata. In quel frangente sembrava tremendamente... fragile. Quasi quanto una qualsiasi altra mocciosa di undici anni. D'altronde, spogliata dei suoi poteri, che cosa restava di lei...?

    « Mi accompagni laggiù, vero...? »
    Disse con lo sguardo chino una volta resasi conto della presenza di Drusilia.
    « Ho bisogno soltanto che... c'è qualcuno con me. Altrimenti non ce la faccio. »
    Strofinò la manica contro il volto, tirando su rumorsamente con il naso.
    « Non riesco più a regolare la mia temperatura corporea con la magia. Fa un sacco freddo, qui. E fra un po' è notte. Non c'è più tempo... bisogna andare. »
    Si issò in piedi, visibilmente malconcia. Aveva l'aria di avere la febbre alta.
    « Te l'ha mai detto nessuno che in alchimia un semipiano dimensionale non dovrebbe poter esistere troppo a lungo...? Esistono luoghi che si chiamano "mondi parziali", li chiamano anche in tanti altri modi: bolle dimensionali, tasche fra le realtà, boh... quale sia il nome che si vuole dare a posti del genere sono come questo strano luogo, solo molto più piccole e instabili. Talmente instabili che durano molto poco, qualche anno al massimo. Poi una o più realtà le attira come un pianeta attirerebbe un satellite con la sua forza di gravità, e la bolla finisce con il frantumarsi, di essa sopravvivono sì e no pochi frammenti che precipitano sul piano. Questo semipiano riesce a sopravvivere e rimanere stabile solo perché è fissato... qualcuno ci ha piazzato dei piloni, la loro forza di volontà fissa il luogo e lo mantiene sospeso fra le esistenze. Un modo artificiale di costruire una realtà. »
    Si trascinava in avanti stringendosi nelle braccia, infreddolita anche se in realtà non faceva affatto poi così freddo. Non era ancora primavera, ma ormai il Pentauron si era lasciato alle spalle l'inverno con i suoi venti gelidi. Riful comunque non si lamentò, e proseguì con la sua piccola lezioncina di cosmologia applicata.
    « ... Però poiché questo è un semipiano, non tutte le leggi che regolano il cosmo valgono per intero. Alcune addirittura non valgono affatto. Ad esempio, un mondo parziale che vi collide invece di dissiparsi come nebbia al mattino come farebbe scontrandosi con una realtà dimensionale stabile, finisce con il fondersi con il semipiano senza perdere energia. Quando ho portato qui quella città ho sfruttato questa cosa, e non credo di aver perso neanche un lembo di suolo. Il punto è che qui possono esistere cose che altrove non riuscirebbero ad essere possibili. Come per esempio... »
    Ebbe un brivido...
    « ... una tana del verme... »
    Sospirò, svoltò un angolo, d'un tratto si fece molto buio. E molto più freddo. La lancetta dell'orologio aveva fatto un brusco salto avanti, di parecchi minuti. A volte succedeva, su Endlos. E' che non accadeva mai in modo così repentino, e di solito le persone nemmeno se ne rendevano conto. E sopratutto, non accadeva mai nel Pentauron, forse la zona più stabile di tutta Endlos. Il vicolo era uno schifo, c'era spazzatura dappertutto. Un barile bruciato, ratti che zampettavano nell'ombra. Una sensazione di inquietudine crescente. L'aria puzzava tanto da dare i conati di vomito, ma non era per quello che lentamente perfino Drusilia iniziò a percepire un forte senso di nausea. Il corvo emise un unico, lungo gracchiare. Ma quando Drusilia posò lo sguardo sulla gabbia, la scoprì vuota. L'uccello nero era sparito nel nulla, come se qualcuno lo avesse appena cancellato dall'esistenza.

    « Questo posto è un'ombra fra le realtà. Qui il tipo di magia che uso non funziona. E' impossibile piegare questa realtà, quindi anche tutto ciò che concerne il mio libro cessa di essere. Inoltre, in un posto così ci sono solo anime perdute... ed il mio libro, è il Libro delle Anime Ritrovate. Ma nessuno sarà mai Ritrovato, qui. Perché le persone che riescono a stare qui, hanno un'anima tanto nera da cercare l'inferno perfino da vivi. »
    Alcune voci rauche riecheggiarono fra i vicoli. Voci umane. Uomini e donne. Parlavano sommessamente, invisibili. Non si stavano nascondendo, semplicemente si tenevano rintanati da qualche parte. Larve che pasteggiano con un frutto marcio, stando bene attenti a non infastidire il verme che vi ha scavato la sua tana.
    « Ascolta... »
    Riful si fermò all'improvviso e si aggrappò ad una manica di Drusilia e la guardò dritta in faccia. Il suo tono di voce virò bruscamente sul disperato.
    « Se non riesco in questa cosa, io cesserò di esistere. Non riesco a controllare il libro, mi sono legata ad esso e non posso più scindermi da quel legame, anche perché è l'unica cosa che mi mantiene reale. Io, che non appartengo ad una realtà... ma bensì ad un sogno. Ho bisogno del mio libro, e lui mi sta rifiutando. Mi mette alla prova. E la prova è qui. Tu non devi accettare nessun patto, per nessuna ragione. Ti mentirebbero, oppure troverebbero il modo di raggirarti. Non fare alcun patto, neanche se l'alternativa è la mia morte. Se vogliono uccidermi, lo faranno e basta... in tal caso, devi lasciarli fare. Almeno così facendo salverò la mia anima, e troverò il modo per tornare per un po'. Sarò solo uno spirito, muta e cieca, ma riuscirò almeno a darti le giuste indicazioni per finire quello che è stato iniziato. Quindi di me non resterà che un'Anima Ritrovata, una pagina del mio libro. E' poco, ma è meglio di niente. L'unica cosa che ti chiedo è di accompagnarmi e di... finire quello che ho iniziato... »
    Chinò il capo, incapace di continuare a guardarla negli occhi.
    « ... Se mai non fossi più in grado di finirlo io stessa... »

     
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    Ad ogni suoi passo il timore di non ritrovarla si faceva sempre più pressante.
    A tratti paralizzante.
    Girando per le vie del Pentauron, megalopoli centrale e capitale di Endlos, Drusilia a stento non si fece prendere da un attacco di panico quando si rese conto che sua figlia era appena scomparsa. Si, sua figlia. Una ragazzina dispettosa e dal pessimo carattere, nata da poco ma abbastanza rompiscatole da averle quasi distrutto il Presidio. Però quella era la sua bambina rompiscatole: non poteva accettare di averla persa. Passarono quindici minuti di ricerca infruttuosa, poi ancora altri: a breve avrebbe preso il suo grifone per controllare meglio ma, fortunatamente, quasi al calar del sole, l'Autocrate riuscì a individuarla accucciata in un angolo nella penombra. Era abbattuta... e forse anche malata. In ogni caso era evidente il suo malessere, abbastanza da farle pena.

    « Mi accompagni laggiù, vero...?
    Ho bisogno soltanto che... c'è qualcuno con me. Altrimenti non ce la faccio.
    »

    Tirava su col naso, segno che fosse raffreddata.
    O in lacrime.

    « Non riesco più a regolare la mia temperatura corporea con la magia. Fa un sacco freddo, qui. E fra un po' è notte. Non c'è più tempo... bisogna andare. Te l'ha mai detto nessuno che in alchimia un semipiano dimensionale non dovrebbe poter esistere troppo a lungo...? Esistono luoghi che si chiamano "mondi parziali", li chiamano anche in tanti altri modi: bolle dimensionali, tasche fra le realtà, boh... quale sia il nome che si vuole dare a posti del genere sono come questo strano luogo, solo molto più piccole e instabili. Talmente instabili che durano molto poco, qualche anno al massimo. Poi una o più realtà le attira come un pianeta attirerebbe un satellite con la sua forza di gravità, e la bolla finisce con il frantumarsi, di essa sopravvivono sì e no pochi frammenti che precipitano sul piano. Questo semipiano riesce a sopravvivere e rimanere stabile solo perché è fissato... qualcuno ci ha piazzato dei piloni, la loro forza di volontà fissa il luogo e lo mantiene sospeso fra le esistenze. Un modo artificiale di costruire una realtà. »

    Intanto, Riful si trascinava lentamente cercando di scaldarsi. Drusilia non ci pensò molto e in un attimo si levò la giacca, posandogliela sulle spalle per gentilezza. Poco importava che fosse rimasta quasi in canotta: era adulta e vaccinata, mentre sua figlia no. Che madre degenerata l'avrebbe ignorato?

    « ... Però poiché questo è un semipiano, non tutte le leggi che regolano il cosmo valgono per intero. Alcune addirittura non valgono affatto. Ad esempio, un mondo parziale che vi collide invece di dissiparsi come nebbia al mattino come farebbe scontrandosi con una realtà dimensionale stabile, finisce con il fondersi con il semipiano senza perdere energia. Quando ho portato qui quella città ho sfruttato questa cosa, e non credo di aver perso neanche un lembo di suolo. Il punto è che qui possono esistere cose che altrove non riuscirebbero ad essere possibili. Come per esempio... una tana del verme... »

    Raggiunsero un vicolo sudicio e malconcio: distratta forse dalla puzza, Drusilia non fece caso allo sbalzo temporale. Nonostante fosse argomento di studio fra i Saggi di Palanthas e sicuramente anche fra gli Aviatori stessi, lei rientrava nella categoria di sempliciotti a cui il tempo importava davvero poco. Non ricordava nemmeno la sua età precisa, ad esser sincera.

    « Questo posto è un'ombra fra le realtà. Qui il tipo di magia che uso non funziona. E' impossibile piegare questa realtà, quindi anche tutto ciò che concerne il mio libro cessa di essere. Inoltre, in un posto così ci sono solo anime perdute... ed il mio libro, è il Libro delle Anime Ritrovate. Ma nessuno sarà mai Ritrovato, qui. Perché le persone che riescono a stare qui, hanno un'anima tanto nera da cercare l'inferno perfino da vivi. »
    -Non funziona nemmeno la Volontà?
    « Ascolta... »
    Riful si fermò all'improvviso, interrompendola ed aggrappandosi a lei.
    « Se non riesco in questa cosa, io cesserò di esistere. Non riesco a controllare il libro, mi sono legata ad esso e non posso più scindermi da quel legame, anche perché è l'unica cosa che mi mantiene reale. Io, che non appartengo ad una realtà... ma bensì ad un sogno. Ho bisogno del mio libro, e lui mi sta rifiutando. Mi mette alla prova. E la prova è qui. Tu non devi accettare nessun patto, per nessuna ragione. Ti mentirebbero, oppure troverebbero il modo di raggirarti. Non fare alcun patto, neanche se l'alternativa è la mia morte. Se vogliono uccidermi, lo faranno e basta... in tal caso, devi lasciarli fare. Almeno così facendo salverò la mia anima, e troverò il modo per tornare per un po'. Sarò solo uno spirito, muta e cieca, ma riuscirò almeno a darti le giuste indicazioni per finire quello che è stato iniziato. Quindi di me non resterà che un'Anima Ritrovata, una pagina del mio libro. E' poco, ma è meglio di niente. L'unica cosa che ti chiedo è di accompagnarmi e di... finire quello che ho iniziato... »
    Chinò il capo, incapace di continuare a guardarla negli occhi.
    « ... Se mai non fossi più in grado di finirlo io stessa... »

    -Se devo scegliere fra farti scomparire e salvare la tua anima, ovviamente scelgo la seconda...- avrebbe risposto, confusa -Ma perchè ti mette alla prova... e perchè questa? Cosa hai iniziato?

     
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    -Ma perchè ti mette alla prova... e perchè questa? Cosa hai iniziato?
    Perfino con sulle spalle la giacca di Drusilia, Riful sembrava tremare. Aveva chiaramente freddo, ma non era dovuto all'ambiente. La notte, nel Pentauron, sa essere rigida in quella stagione, tuttavia era per la febbre che la piccola strega soffriva quei tremori. Comunque rispose alle domande di Drusilia, anche se in tono esitante.

    « Non ho voluto io questa situazione. Credevo che... »
    Tentennò nel formulare la frase, sembrò cercare le parole esatte e poi infine completò la frase:
    « Io... Fino al giorno in cui mi sono ritrovata rinchiusa in quel maledetto sogno, spogliata dei miei poteri ed in compagnia di tutte le mie sorelle, io... sarei stata in grado di dominare il grimorio, l'avrei sottomesso con la forza, o si sarebbe piegato a me di sua sponte. Invece adesso... ho fallito un incantesimo che avrebbe dovuto essere ben entro i miei limiti. Così facendo, il Libro delle Anime Ritrovate mi è sfuggito di mano. » E concluse, in un tono prossimo al pianto, « Mi ucciderà. Il legame che ho con il mio libro mi sta uccidendo, ha divorato la mia energia spirituale e sta corrodendo il mio animo, la mia energia vitale. Ho lanciato alcuni incantesimi, posto il mio organismo in uno stato prossimo alla stasi, ma è solo un palliativo. Sto solo rimandando l'inevitabile, ed ho pochissimo tempo... solo un unico tentativo. »
    Riful giocava con forze ben al di sopra di lei. Stando alle parole di Miyu e Jophiel, la se stessa che aveva vissuto su Celentir era di fatto un'altra persona, anche se conservava i ricordi della creatura che era stata. Il punto era che non sembrava in grado di riconoscere i suoi limiti, oppure era troppo orgogliosa (o testarda) per accettarli. Evidentemente si era ficcata da sola in quel guaio, ed ora rischiava di rimanere uccisa.
    « Il Libro delle Anime Ritrovate contiene la storia di "anime perdute", che sono riuscite a ritrovare la loro "strada". Mi ha posto di fronte un'anima perduta, il fantasma di un vivo prossimo al trapasso, traboccante di rimpianti e disperazione. Mi si è riversato nell'anima, assieme a tutti i rimorsi che sta provando... ed ora provo tanto freddo... »
    Un flash. Riful si era fermata, momentaneamente incapace di proseguire oltre. Aveva vacillato ed era prossima a cadere, costringendo Drusilia a sostenerla. Proprio allora, per un breve attimo la Dama dei Venti avrebbe intravisto un luogo alieno, un lampo bianco confuso e saturo di suoni e odori sgradevoli. C'era tanta, tanta gente, persone che vanno e vengono. Occhi stanchi ed appannati, socchiusi a metà fra la veglia e l'aldilà. Odore di disinfettanti, il suono monotono di qualcosa di elettronico. Dura solo un attimo, d'altronde la Tana del Verme è una ferita nella realtà, dove diversi mondi si intersecano e si compenetrano. Riful si riprende, e con uno sforzo prosegue oltre. Svolta l'angolo, e sulla destra c'è un cumulo di spazzatura. Sacchi neri ammassati l'uno sopra l'altro, bidoni straripanti sudiciume. E fra le ombre, sospesi fra cumuli di immondizia, si schiudono due iridi rosso sangue.

    « Cerco... il signore di questo luogo. L'anima dannata, che i dannati hanno eletto loro carceriere. »
    Per un istante, l'ombra non risponde. Poi, lentamente, emette un lungo suono, un sospiro lamentoso simile ad un rantolo di morte.
    Eppure la sua voce era potente. Risuonava nella mente come un tuono. Stanca, traboccante odio... e rabbia.

    « Vattene. Voglio riposare. »

    « No! »
    Rispose Riful, tirando fuori da chissà dove la forza per intingere il suo tono di un'autorità che non aveva.
    « Sono arrivata fin qui da lontano, per parlare con te. Io so chi sei, e conosco il tuo nome. Tu mi ascolterai, e mi darai ciò per cui sono venuta fin qui! »

    « Chi sei tu, piccolo topo? Perché mi dai ordini, quando dovrei... strapparti il volto... romperti le ossa... »

    « Io sono Riful, sono la strega della Terra dei Draghi. Ho con me il Libro delle Anime Ritrovate, e vengo a reclamare vendetta su di un'anima perduta che ha trovato asilo ingiusto in questo luogo, scappando dai suoi demoni. »

    « Perché ti ascolto? Vattene! La tua voce sciupa il mio sonno. Non... riesco a dormire... »

    « Mi ascolterai, invece! Se non lo farai, a causa tua quattordici anime non riusciranno a riposare mai più. »

    « Perché deve importarmi? Ti ucciderò! E tornerò a dormire! »

    « Dammi ciò che voglio, e potrai farlo comunque! »

    Il tono della piccola strega, inizialmente feroce, iniziava a vacillare. Ormai era al suo limite, perfino sostenere una conversazione era impossibile per il suo attuale stato fisico. Inoltre la voce di quella creatura era debilitante, comunicava non con la voce, ma direttamente alla mente, rimbombando dolorosamente nella testa. Ma dopo quell'ultimo disperato scambio di frasi, infine cessò di rispondere e con un rantolo si levò da terra, issandosi lentamente come un demonio che emerge da una pozza d'ombra. E se da terra, raggomitolato fra i cassonetti, era sembrato piccolo come un accattone qualsiasi, attimo dopo attimo si rivelò una figura imponente, tanto alto da sovrastare sia Riful che Drusilia. Troppo alto per essere umano, una forma d'ombra di quasi tre metri. Interamente ammantato in un drappo scuro che lo copriva da testa ai piedi, di lui era visibile solo il cranio nudo e privo di forme, un ovale irregolare su cui spiccavano occhi rossi come sangue appena versato. Più che avvicinarsi sembrò fluttuare, il mantello corvino che si agitava sotto una brezza invisibile. Infine si piegò sulle due femmine, ma non era a Riful che si rivolgeva. Guardava Drusilia. Si protendeva verso di lei, finché dettagli del volto scarnificato non furono visibili. Pustole e croste, carne esposta divenuta grigia per la decomposizione. Larve si muovevano sotto la superficie devastata di quel mosaico di orrori, eppure gli occhi erano vivi e letali.

    « Andatevene. »
    Disse l'essere, premendo ancora contro Drusilia, fissandola dritto negli occhi.
    « Vi ucciderò. »

    « NO!!! »
    Riful lanciò un grido, e la creatura distolse il volto, puntandolo di scatto contro la bambina. La piccola strega però non se ne curava, aveva preso a dare pugni al petto dell'essere, e gli gridava contro con rabbia.
    « TU VUOI ME!!! LASCIALA IN PACE, SONO IO CHE DISTURBO IL TUO SONNO! SONO IO CHE TI CERCO!!! »
    Iniziò ad ansimare, e le forze sembrarono abbandonarla del tutto. Dette un ultimo, inutile pugno contro il demone, e poi si accasciò ai suoi piedi...
    « Singuld. Il tuo nome era Singuld, da vivo... »
    La bestia la ignorò, e voltando di nuovo il capo tornò a posarlo su Drusilia.

    « Donna. »
    Disse in un sibilo.
    « Voltati. E vattene. »



    Edited by Yomi - 9/3/2016, 02:38
     
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    « Mi ucciderà. Il legame che ho con il mio libro mi sta uccidendo, ha divorato la mia energia spirituale e sta corrodendo il mio animo, la mia energia vitale. Ho lanciato alcuni incantesimi, posto il mio organismo in uno stato prossimo alla stasi, ma è solo un palliativo. Sto solo rimandando l'inevitabile, ed ho pochissimo tempo... solo un unico tentativo. »

    Nonostante la seguisse a fatica, Drusilia apparve improvvisamente più seria.
    Non era mai stata pratica di magie ed incantesimi, non a livello di un mago, quindi non le fu particolarmente chiara la ragione per cui la piccola era ormai prossima al trapasso. Ciò nonostante non poteva comunque permettere che morisse.

    Si fermarono di colpo. Riful vacillò ma Drusilia riuscì ad accoglierla fra le amorevoli braccia. In quell'istante fu come trovarsi in un altro posto, prima che fosse accecata da una visione. Tante persone dagli occhi stanchi ed appannati, socchiusi a metà fra la veglia e l'aldilà. Dei fantasmi... ed un odore di disinfettanti. Rumori strani. Proseguirono, nonostante tutto, e Drusilia non si pose domande. Fu dietro un angolo, fra un ammasso di spazzatura, che videro il mostro. Emanava suoni di morte, rumori potenti come tuoni.

    « Vattene. Voglio riposare. »
    « No! Sono arrivata fin qui da lontano, per parlare con te. Io so chi sei, e conosco il tuo nome. Tu mi ascolterai, e mi darai ciò per cui sono venuta fin qui! »
    « Chi sei tu, piccolo topo? Perché mi dai ordini, quando dovrei... strapparti il volto... romperti le ossa... »
    « Io sono Riful, sono la strega della Terra dei Draghi. Ho con me il Libro delle Anime Ritrovate, e vengo a reclamare vendetta su di un'anima perduta che ha trovato asilo ingiusto in questo luogo, scappando dai suoi demoni. »
    « Perché ti ascolto? Vattene! La tua voce sciupa il mio sonno. Non... riesco a dormire... »
    « Mi ascolterai, invece! Se non lo farai, a causa tua quattordici anime non riusciranno a riposare mai più. »
    « Perché deve importarmi? Ti ucciderò! E tornerò a dormire! »
    « Dammi ciò che voglio, e potrai farlo comunque! »

    Riful vacillò ancora, ormai al limite. Al contrario, la figura fra i cassonetti si levò imponente di fronte ad i loro occhi. Ben lungi dall'essere umano, le sovrastava entrambe; ammantato in un drappo scuro, mostrava minaccioso un cranio ovale con occhi color sangue. Si avvicinò fluttuante, piegandosi su di loro.
    Su di lei, Drusilia.

    « Andatevene. Vi ucciderò. »

    « NO!!! » urlò Riful, prendendolo inutilmente a pugni « TU VUOI ME!!! LASCIALA IN PACE, SONO IO CHE DISTURBO IL TUO SONNO! SONO IO CHE TI CERCO!!! »
    Ansimò... fino ad accasciarsi.
    « Singuld. Il tuo nome era Singuld, da vivo... »
    La bestia la ignorò, tornando a fissare Drusilia.

    « Donna. »
    Disse in un sibilo.
    « Voltati. E vattene. »

    angel-sanctuary_v07_060_zpsgn87um4l

    Ogni cosa di lui era un concentrato di terrore, dolore, rabbia ed oscurità. Un aborto dei peggiori incubi; nonostante le parole della piccola, per la Dama del Vento fu difficile pensare che un tempo quel mostro fosse qualcosa di reale. Cosa aveva potuto trasformarlo in quel modo? Era davvero possibile qualcosa di simile? Ironicamente avrebbe trovato rassicurante pensare che fosse sempre esistito, come un'entità maligna creata dal nulla ad immagine e somiglianza di un carceriere per qualche oscuro scopo. Invece quell'anima si chiamava Singuld.
    E le diceva di andarsene, che le avrebbe uccise.

    -No.

    Quanto aveva potuto soffrire Singuld per diventare quel mostro? Ai suoi occhi le pustole e le croste, la carne esposta e grigia per la decomposizione non erano una minaccia. Erano le ferite di una vittima.
    Una vittima pericolosa e letale... ma pur sempre una vittima.

    -Abbiamo bisogno di quell'anima, Singuld- trovò inutile continuare a ribattere con tono austero: lui surclassava entrambe ed avrebbe potuto ucciderle in ogni istante -Non essere adirato, per favore: non c'è ragione di odiarci. Non fu supplicante, ma riteneva che gettar benzina su un incendio sarebbe stata una pessima idea. Qualunque cosa fosse, quel mostro ribolliva come un vulcano in eruzione.

    -Per favore.

    Sorrise gentile, allungando lievemente la mano al suo volto senza tuttavia toccarlo, mimando l'intenzione di una carezza; sarebbe stato compito di lui accettarla o meno.

     
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    « Nn-nooo. »
    Quella negazione sarebbe stata poco più di un sussurro, su labbra umane. Ma emerse dalla progenie infernale come un tremore, quasi la terra stesse sussultando inquieta, scossa da una forza troppo grande per essere quantificata in termini umani. L'essere non aveva corde vocali con cui generare suoni, la sua voce rimbombò ancora una volta direttamente nella mente di Drusilia e Riful, e stavolta fece male.

    « NO!!! »
    Sbatté via la mano che gli veniva tesa, allontanò dal suo volto quell'accenno di carezza come se fosse veleno, tenendosi la testa quasi fosse sul punto di esplodergli, gemendo e rantolando fuggendo via da entrambe, quasi fosse ferito a morte. Quasi Drusilia gli avesse appena piantato uno stiletto nelle tempie, rigirandolo più e più volte fino a torcere la materia celebrale.
    « Dov'è, lei?! Perché, voi? Perché venite a disturbarmi? Io desidero solo dormire, DORMIRE! »
    E le pareti che circondavano le due viandanti su ambo i lati sembrarono piegarsi, incurvarsi verso l'interno mentre la loro mente veniva invasa da una sensazione straziante di dolore e tormento, come gettare uno sguardo ad un pozzo senza fondo e specchiarsi in un abisso denso come pece. La progenie era nelle loro teste, si apriva a loro senza alcun controllo, né discernimento, non era in grado né di occultare le sue emozioni né di mitigarle, e quindi esse fluivano libere come uno Jökulhlaup mnemonico, fatto non d'acqua ma di dolore, non di ghiaccio ma di sofferenza. Un uomo, poi altri uomini, asce e spade, grida e corpi che cadono su capanne in fiamme, e poi il fuoco, che ghermisce le carni e le divora, lasciando solo un guscio annerito pronto a fare da banchetto per predatori provenienti dagli abissi che gli umani chiamano inferno.

    « Basta parole, basta domande! Solo un sonno! Senza sogni! »

    « No! »
    Incalzò ancora Riful, ritrovando chissà come la lucidità per tornare alla carica.
    « Ti ho destato, ed ora mi ascolterai! L'uomo che si è trascinato qui, me lo devi consegnare! Io reclamo la sua vita e la sua anima! La sua testa, privata degli occhi! Devi farlo, o per la tua indifferenza sarai colpevole quanto lui! »

    « Che cosa ha fatto...? »

    « E' un ladro! Ha rubato molte cose, e le ha buttate! Gettate fra i rifiuti, per lo più. Tutte tranne quattordici scarpe, una per ogni persona che ha derubato. »
    La creatura gorgogliò, e le sensazioni che emanava scemarono lentamente come un flusso d'acqua sporca che diveniva sempre più debole, fino a diventare un rigagnolo e poi poche gocce fangose.

    « Chi è? Dimmelo, piccolo topo. Poi deciderò se ucciderti o meno. »
    Riful ci pensò su per un istante, poi rispose in tono sicuro.

    « Il suo nome è Jakob! E' venuto qui dall'est fuggendo alle voci. »

    « Non conosco quel nome. »
    La strega non esitò, come se si aspettasse quella risposta ed avesse già pensato alla risposta successiva:

    « tutti lo chiamano Bruno Jak, i sogni lo tormentano ancora sebbene non riesca a ricordarli, eppure ogni notte nasconde il volto fra le mani! »
    Ci fu una pausa, in quel serrato botta e risposta. Di nuovo la progenie gorgogliò, ed i suoi occhi verdi e profondi si conficcarono su Riful come fari. La squadrò per un lungo istante, meditabonda. Stava decidendo, e dalla sua decisione sarebbe emersa una sentenza di vita o di morte. Per la strega, o per Bruno Jak. Poi, tornata silente, scivolò via come un'ombra, rasente al muro come se stesse perdendo la dimensione della profondità, divenendo un tuttuno con le macchie di sudicio e muschio dei muri. Oltre l'angolo vi erano ammassate una dozzina di corpi pietosi, mucchi di stracci da cui spuntavano cespugli di capelli lordi di terra e pidocchi, volti sporchi e cappotti neri che erano lenzuola e riparo, a causa dei quali si faticava perfino a distinguerli dai cassonetti. I più nemmeno si scossero, ma alcuni alzarono sguardi imploranti. Vecchi e vecchie, tutti abbandonati come spazzatura, divenuto rifiuti. Nessuno di loro era sano di mente, ma d'altronde come potevano vivere nella Tana del Verme, se savie e con una seppur piccola alternativa?
    La progenie scivolò su di loro, una pantera-ombra in mezzo a bestiame prossimo al macello. Tutti quanti rabbrividirono, e si fecero piccoli piccoli terrorizzati come ratti che vedono su di se l'ombra del falco. Poi l'essere che un tempo si era chiamato Singuld fece uno scatto, un balzo in avanti che provocò urla ed eccessi di isteria fra quei reietti. Ghermì un uomo, una pietosa massa di lardo e carne flaccida, lo tirò a se lacerandogli parte dell'impermeabile, gridante e scalciante. Bruno Jak implorò e pianse, mise insieme frasi sconnesse che potevano sembrare una supplica, ma il demone gli era indifferente. Lo gettò come se fosse un oggetto, e quello ruzzolò al suolo faccia a terra, gemendo dolorante.

    « Signora... oh, signora... io no fato niente. Io no fato nulla... »
    Si prostrò ai piedi di Drusilia, credendola il suo giudice. Iniziò a implorare per una qualche colpa che sapeva di aver commesso. Ed era un uomo, ed era umano, ed era colpevole. Un relitto, ma un corpo vivo, di canre e sangue. Non un'anima morta, né un dannato già sepolto negli inferi: una putrida, purulenta anima in pena che aspira al giorno in cui finalmente cesseranno le sue sofferenze. Riful però non lo fissava con pietà: il suo sguardo era di vibrante rabbia, lo detestava. E lo voleva morto.
    Sullo sfondo, un coro di voci lagnose chiedevano spieazioni, volevano la liberazione del loro compagno. Quasi tutti si rivolgevano al loro carceriere, ma non avevano speranza di ricevere in cambio compassione umana. Quell'essere, ormai, di umano aveva ben poco, e loro lo sapevano bene. Ben presto si rivolsero a Drusilia, unendo le loro voci flebili a quella sommessa di Bruno Jak.

    « Che volete? Che volete da noi...? Non abbiamo niente, non diamo noia a nessuno, perché non ci lasciate in pace? »

    « PACE?? »
    Stavolta fu Riful a sbottare, la voce grondante sprezzo e rabbia. Prese da terra un sasso, lo scagliò contro la vecchia che si riparò dietro mani scheletriche.
    « Pace, dici, vecchia Maggie la scalza??? Io lo so bene chi sei, come so chi siete voi tutti! Ha mai piovuto a sufficienza perché tu possa gettare la faccia in una pozzanghera??? Fallo!!! Trovaci pace, ed il volto del figlio che hai annegato! »
    Si gettò sul demonio, il verme che aveva la sua tana in quel vicolo lurido. Gli si aggrappò con rabbia, scuotendolo e tirandolo perché si degnasse di ascoltarla. E gli occhi di un verde spettrale calarono su di lei, sebbene stavolta trovò la forza per sostenere quello sguardo, determinata ad andare fino in fondo.
    « Il tuo nome da vivo era Singuld. Ora fai questo per me: voglio la sua testa, ma non gli occhi. Uccidilo, ed io me ne andrò e non tornerò mai più! »

    Qualcosa di metallico rovinò al suolo, cadendo dal mantello della progenie dell'inferno che lentamente, come un'ombra, scivolò via. Riful si ritrovò ai piedi un coltellaccio metallico seghettato, abbastanza spesso da recidere una carotide ed abbastanza affilato da riuscire a tagliare ossa e grasso. Lo vide anche Bruno Jak, che strisciò via, arrancando per allontanarsi, continuando a ripetere sempre la stessa cosa come una cantilena. « i-io no fato niente. » ripeteva all'infinito. « Io no fato nulla... »

     
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    « Nn-nooo. NO!!! »
    La mano tesa fu scacciata e l'ombra ferita a morte: nel momento in cui la Dama del Vento aveva concesso pietà, la benevolenza ebbe l'effetto contrario di una ferita. Mentre il demone strepitava e non sentiva ragioni, Drusilia rimase a fissarsi il palmo, mortificata dell'accaduto. Nonostante questo, dopotutto, era sempre andato così nella sua vita: qualunque fosse stato il suo fine, l'unica sua utilità stava nel ferire.
    Sicuramente non nell'accudire gli invisibili o nel guarire i feriti, come Kalia.
    Lei non era brava in quelle cose.

    « Dov'è, lei?! Perché, voi? Perché venite a disturbarmi? Io desidero solo dormire, DORMIRE! Basta parole, basta domande! Solo un sonno! Senza sogni! »
    « No! Ti ho destato, ed ora mi ascolterai! L'uomo che si è trascinato qui, me lo devi consegnare! Io reclamo la sua vita e la sua anima! La sua testa, privata degli occhi! Devi farlo, o per la tua indifferenza sarai colpevole quanto lui! »
    « Che cosa ha fatto...? »
    « E' un ladro! Ha rubato molte cose, e le ha buttate! Gettate fra i rifiuti, per lo più. Tutte tranne quattordici scarpe, una per ogni persona che ha derubato. »
    « Chi è? Dimmelo, piccolo topo. Poi deciderò se ucciderti o meno. »
    « Il suo nome è Jakob! E' venuto qui dall'est fuggendo alle voci. »
    « Non conosco quel nome. »
    « tutti lo chiamano Bruno Jak, i sogni lo tormentano ancora sebbene non riesca a ricordarli, eppure ogni notte nasconde il volto fra le mani! »

    A far tornare l'Alfiere alla realtà non fu un rumore sordo, un contatto improvviso, piuttosto un inaspettato silenzio. L'essere gorgogliò e parve riflettere sulla richiesta. Infine scivolò via sfidando la logica delle dimensioni, tramutandosi in ombra e poi scivolando sui presenti, misere creature acquattate nell'ombra, prive di presenza e voce. Uno di loro, improvvisamente, ebbe un sussulto; balzò in avanti e generò urla e panico fra i presenti. Con violenza fu preso e strappato via dal mucchio contro la sua volontà. Bruno Jak implorò e pianse, ma la creatura lo gettò alle carnefici come se fosse un oggetto.

    « Signora... oh, signora... io no fato niente. Io no fato nulla... »
    Si prostrò ai suoi piedi e con orrore Drusilia lo scoprì umano.
    Non un'anima nera, non un mostro deforme.
    Un umano... esattamente come gli altri.
    « Che volete? Che volete da noi...? Non abbiamo niente, non diamo noia a nessuno, perché non ci lasciate in pace? »

    « PACE?? Pace, dici, vecchia Maggie la scalza??? Io lo so bene chi sei, come so chi siete voi tutti! Ha mai piovuto a sufficienza perché tu possa gettare la faccia in una pozzanghera??? Fallo!!! Trovaci pace, ed il volto del figlio che hai annegato! Il tuo nome da vivo era Singuld. Ora fai questo per me: voglio la sua testa, ma non gli occhi. Uccidilo, ed io me ne andrò e non tornerò mai più! »

    Un rumore metallico spezzò l'attimo, attirando al suolo lo sguardo della Dama del Vento. Era un coltellaccio metallico seghettato; a quella vista Drusilia ebbe i brividi, intuendo già il finale... ed avrebbe preferito almeno una spada. Addirittura un duello. Ma quel tale Bruno Jak non era un guerriero. Strisciò via arrancando, piccolo come una formica contro dei giganti. Ripeteva sempre la stessa cosa.
    « I-io no fato niente. Io no fato nulla... »

    -E' disgustoso che lo chiedi a una bambina- riflettè Drusilia con sguardo triste -I bambini dovrebbero star lontani dalla morte, dal dolore e dalla depravazione: avranno il tempo da adulti per capire quanto fa schifo questo mondo.

    Con un gesto lento s'inginocchiò per terra a raccogliere l'arma, lo sguardo lucido di un assassino consapevole. Non era mai stato parte della sua indole, ma a differenza di Riful lei aveva già ucciso delle persone. Era stata una cacciatrice, un soldato ed anni dopo mandante di altri assassini consapevoli, militanti nell'esercito dei "giusti". Se era la dannazione ciò che rischiava, con quell'omuncolo sulla coscienza non avrebbe perso molto altro di ciò che l'aveva già abbandonata. Riful invece era ancora pura, in un certo senso. Se qualcuno doveva vibrare il colpo, quello era certamente lei. Il male minore.

    -Nulla di personale.

    Con quella sentenza lanciò un violentissimo e preciso fendente, concedendogli almeno una morte rapida. Dopotutto, la sua utilità era sempre stata quella.
    Combattere, ferire, uccidere.
    Almeno in quello era sempre stata brava.

     
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    L'uomo ebbe a malapena tempo per voltarsi e fissare la sua assassina negli occhi, un'ultima volta. Drusilia si riflesse negli occhi terrorizzati dell'uomo, poi vibrò il fendente che lo decapitò, sul colpo. Il silenzio che ne seguì fu rotto soltanto dal rumore della testa mozzata che rotolava a terra, e del corpo spezzato che si accasciava al suolo, esanime. Infine, qualcuno gettò un urlo. Altri arrancarono per scappare, e ben presto nel vicolo ci fu un fuggi fuggi generale, dove tutti gli accattoni che non avevano già messo le ali ai piedi furono trascinati dai loro compagni, oppure abbandonati a strisciare via temendo la morte. Del Verme, signore della sua tana, non vi era più traccia. Erano rimaste solo Riful e Drusilia, in compagnia del cadavere di Bruno Jak.
    La piccola strega non esitò, prese il coltello dalle mani della Dama dei Venti e lo usò, completando l'opera. Con gesti goffi e insicuri ficcò la punta nelle orbite spalancate dell'uomo, estraendo gli occhi per poi reciderne i nervi. Li gettò via come spazzatura, uno dei due venne preso praticamente al volo da un ratto, che lo afferrò fra le zanne e se lo portò via, all'ombra dei cassonetti, come un messaggero dell'inferno che viene a prendere un'anima marcia per condurla agli inferi. Finito il lavoro la bambina si alzò e corse via, costringendo Drusilia a tenerle dietro a passo svelto. Svoltato un angolo era già notte, un corvo attendeva appollaiato su di un sacco di immondizia mezzo rovesciato. Riful era imbrattata di sangue, ma non sembrava farci caso. Aveva fretta... molta. Gli protese il trofeo di caccia e l'animale si alzò in volo, piombandole addosso ed afferrando la testa con gli artigli. Scomparve oltre i tetti, lasciando dietro di se una scia di piume nere come l'anima di un assassino.

    « La casa... »
    Mormorò Riful, visibilmente provata. Non ne poteva più, ma le mancava un'ultima cosa da fare prima che fosse veramente finita.
    « Devo raggiungere la casa, poi... »
    Esitò, poi scappò via di nuovo. Ancora una volta Dru dovette correrle dietro, ma non ci volle molto. La strada non c'era più, e non c'era più neanche il Pentauron. Era notte. La luna giocava a nascondino...
    L'erba cresceva alta e incolta. Anche qui c'erano rottami e spazzatura, Bruno Jak non aveva cambiato ambiente poi di molto, dalla sua casa da qualche parte nel mondo, al vicolo sudicio in cui aveva finito i suoi giorni. La carcassa di una vecchia Maverick divorata dalla ruggine si trovava di fianco ad una baita che aveva l'aria di essere abbandonata da un decennio, la porta di legno leggero divelta che sembrava dare il benvenuto agli stranieri. Riful entrò, ma non aveva bisogno di un benvenuto. Quel posto non era morto. Entrò precedendo l'Alfiere, salendo le scale sconnesse senza aspettare. C'erano tante cose da fare...
    Alle spalle di Drusilia un frullio d'ali annunciò che era tornato il corvo. Si poggiò all'ingresso, e la sua ombra non era più quella di un semplice uccello. Era lunga e stretta, come quella di una donna.

    « Non andare! »
    Implorò una voce femminile alle spalle della Galanodel, e le fu istintivo voltarsi a vedere chi le aveva rivolto quella richiesta. Ancora una volta un gioco di specchi: alle spalle di Drusilia non c'era più l'ingresso, ma il linoleum di un ospedale. La stanza era affollata, c'erano un sacco di persone ed un sacco di tende bianche oltre la quale giacevano lettini solitari. Da un lato: le tende bianche ed un letto occupato, da cui si udivano i suoni ritmici di macchine impegnate nella battaglia persa per tenere in vita un uomo. Dall'altra, la casa diroccata e le scale che Riful aveva appena percorso. Dal piano di sopra Drusilia poteva perfino sentire la voce della bambina che cantava: « Au clair de la lune, Mon ami Pierrot, Prête-moi ta plume Pour écrire un mot. »
    Aveva una voce graziosa come quella degli angeli, ma era distante, mentre il suono dei macchinari era vicino. Bastava allungare la mano e scostare le tende...

    « Me l'hai portato... »
    Disteso sul letto c'era l'uomo più magro che Drusilia aveva mai avuto modo di incontrare. Aveva la faccia nascosta da una maschera per respirare, e la testa era tutta fasciata. Entrambi i polsi erano rivolti verso l'alto, affollati di flebo di ogni tipo e sistole per la dialisi, vecchie e nuove. Era uno scheletro con poca pelle attaccata sopra, tenuto in vita dalle macchine e da una volontà sottile e disperata...
    « Me l'hai portato. Dio, ti ringrazio. Ti ringrazio... »
    Sorrideva. Aveva gli occhi socchiusi, senza più le forze di aprirli più di così. E guardava dritto di fronte a se, una donna in nero dai capelli innaturalmente lunghi e sottili, dalla pelle alabastro e dagli occhi privi di bianco. Neri, come pozzi. Sedeva serena, ed aveva fra le mani il cranio mozzato di Bruno Jak, che aveva smesso di sanguinare del tutto ed era già invaso dai vermi. Uno scarafaggio passava di orbita in orbita, come impaziente per il suo pasto.
    « Quella volta... io e Casey... stavamo pattugliando la statale dieci, ma faceva tanto freddo, e pioveva... volevamo solo... tornare a casa. Trovammo una vecchia Maverick. Sembrava abbandonata... Controllammo se era rubata, Casey bestemmiava perché avremmo dovuto fare rapporto e ci sarebbe costato un'ora in più di turno... volevo solo tornare a casa da mia moglie. Eravamo solo stanchi, che Dio ci aiuti...
    « Quell'uomo... scese barcollando dalla collina. Disse che era ubriaco, che era andato a pisciare e che era svenuto... la macchina era piena di lattine. Fece il test. Era sobrio... Casey tirò fuori un paio di scarpe dall'abitacolo della macchina, e ci sembrò sospetto. Tutto sembrava sospetto... ma eravamo stanchi... Dio, perdonami.
    »
    C'era odore di fumo...

    « Ti hanno già perdonato, signor Piotrowski. Ma tu hai voluto ugualmente... questo. »
    Abbassò gli occhi sulla testa, ma l'uomo nel letto sorrise mesto.

    « Va bene così. L'inferno... va bene. Io... Ho lasciato andare un assassino di bambini... »
    Chiuse gli occhi, troppo stanco per tenerli aperti...
    Riful adesso stava scendendo le scale... ma nel farlo, proseguiva la sua canzone dai toni infantili:

    « Ma chandelle est morte, Je n'ai plus de feu... »
    I suoni dei macchinari cessarono, sostituiti da un fischio secco e continuo. Il petto dell'uomo aveva smesso di muoversi...
    Una trave si staccò dal soffitto, costringendo Drusilia a distogliere lo sguardo ed a voltarsi per affrontare le fiamme che ora divoravano la casa. Avevano appiccato un incendio! Tutto il piano superiore era invaso dal fuoco, ma Riful non sembrava curarsene. Prese una mano di Drusilia e la costrinse ad uscire... la visione era già sparita, non c'erano più né l'uomo nel letto, né la donna con in grembo la testa mozzata di Bruno Jak.

    « Lui teneva tutto con se. I giocattoli, le loro scarpe... »
    Annuì verso la casa, ma non stava indicando l'edificio in se. Guardava la terra, le fondamenta della casa. E ciò che vi era sepolto.
    « Li costringeva a stare qui. Loro lo imploravano di lasciarli andar via, ma piuttosto che comportarsi come un essere umano ha preferito scappare... nella Tana del Verme, dove le loro voci non potevano raggiungerlo... »
    Guardò Drusilia, sfinita e ormai al limite.
    « Ce l'hai una preghiera...? Io non so quali sono quelle giuste... »

     
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    « La casa...Devo raggiungere la casa, poi... »

    Riful era provata ma parve in un certo senso rinvigorita, almeno nell'animo. Scappò via e Drusilia dovette correrle dietro. Era notte... e dai palazzi del Pentauron si trovarono in un paesaggio diverso, quasi totalmente conquistato dalle erbacce, i rottami e la spazzatura. C'era una casa e Riful oltrepassò la soglia dell'entrata senza parlare, consapevole dello stato di abbandono. Poi tornò il corvo.

    Alle spalle della Dama del Vento una voce di donna intimò di non proseguire e per Drusilia fu istintivo voltarsi. Ancora una volta ebbe una visione... di un ospedale.
    « Me l'hai portato... » Su di un letto era steso un uomo magro dai tratti sconosciuti, il volto quasi totalmente celato dalla maschera del respiratore e le bende. « Me l'hai portato. Dio, ti ringrazio. Ti ringrazio... »
    Nonostante il suo stato, sembrava felice; guardava una donna in nero dai capelli lunghi, la pelle candida e gli occhi completamente neri. La dama oscura reggeva fra le dita affusolate il cranio dell'uomo che Drusilia stessa aveva appena ucciso, Bruno Jak.
    « Quella volta... io e Casey... stavamo pattugliando la statale dieci, ma faceva tanto freddo, e pioveva... volevamo solo... tornare a casa. Trovammo una vecchia Maverick. Sembrava abbandonata... Controllammo se era rubata, Casey bestemmiava perché avremmo dovuto fare rapporto e ci sarebbe costato un'ora in più di turno... volevo solo tornare a casa da mia moglie. Eravamo solo stanchi, che Dio ci aiuti... Quell'uomo... scese barcollando dalla collina. Disse che era ubriaco, che era andato a pisciare e che era svenuto... la macchina era piena di lattine. Fece il test. Era sobrio... Casey tirò fuori un paio di scarpe dall'abitacolo della macchina, e ci sembrò sospetto. Tutto sembrava sospetto... ma eravamo stanchi... Dio, perdonami. »
    « Ti hanno già perdonato, signor Piotrowski. Ma tu hai voluto ugualmente... questo. »
    Si riferiva al cranio.
    « Va bene così. L'inferno... va bene. Io... Ho lasciato andare un assassino di bambini... »
    Chiuse gli occhi.
    Alle spalle di Drusilia, invece, Riful stava scendendo le scale intonando una canzone dai toni infantili.
    Quasi fossero in ascolto di quel motivetto, i chiassosi macchinari si ammutolirono, sostituiti da un un suono che sapeva di morte; abbassando lo sguardo l'Alfiere notò immediatamente che il petto dell'uomo aveva cessato di muoversi.

    Un nuovo rumore costrinse Drusilia a distogliere lo sguardo e voltarsi in direzione della bambina. Lingue di fuoco divoravano il piano superiore della dimora e Drusilia ebbe un attimo di panico. Notare tuttavia la tranquillità stampata sul volto di Riful fu in un certo senso rassicurante, in quel momento. Prese la sua mano e la costrinse ad uscire.

    « Lui teneva tutto con se. I giocattoli, le loro scarpe... Li costringeva a stare qui. Loro lo imploravano di lasciarli andar via, ma piuttosto che comportarsi come un essere umano ha preferito scappare... nella Tana del Verme, dove le loro voci non potevano raggiungerlo... » si guardarono negli occhi « Ce l'hai una preghiera...? Io non so quali sono quelle giuste... »

    A quella richiesta inaspettata Drusilia ebbe un sussulto e -solo in seguito- una sensazione di vergogna che superava di gran lunga la consapevolezza del precedente assassinio. Per quanto figlia del cielo e legata con la carne ed il sangue al mondo celeste... nemmeno lei conosceva preghiere adatte. Aveva smesso di pregare molti anni prima, nel preciso istante in cui si era resa conto che nessun angelo o principe azzurro l'avrebbe mai salvata dai suoi tormenti.

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    -In effetti... non credo esista una preghiera giusta- avrebbe risposto, facendo prima spallucce e poi grattandosi il capo con fare nervoso -E poi se pronunciassimo una preghiera già esistente sarebbe come parlare con la bocca di qualcun altro.

    Sospirò, ma decise comunque di assecondare Riful; inginocchiandosi davanti alla dimora in fiamme avrebbe invitato la piccola a fare lo stesso. Con un abbraccio gentile le avrebbe afferrato i polsi, invitandola a congiungere le mani.

    -Si dice che gli angeli preferiscano le preghiere dei bambini... quindi perché non dici semplicemente quello che pensi? Puoi anche non dirlo ad alta voce: credo che per gli angeli non cambi molto se preghi in silenzio.

     
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