Happy Little Boozer

Bloodrunner - pub

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    «Non saprei...» Disse a Rudolf, dopodiché sorseggiò nuovamente la birra scura che aveva ordinato una decina di minuti prima. I due lilim si trovavano in quello che anche dalle loro parti veniva definito pub, anche se le cose in comune fra quel luogo e quelli del loro mondo natio sembravano fermarsi al nome ed all'aspetto trasandato.
    Il locale in questione sembrava appartenere ad un tempo diverso rispetto a quel poco che avevano visto del Pentauron, e di sicuro non aveva nulla a che vedere con Laputa: la gente era vestita in maniera strana, parlava e si atteggiava in maniera diversa e quegli interni erano troppo poco simili a ciò che aveva visto nella taverna della città bassa per poter trovare un collegamento di qualche tipo. Di certo le luci soffuse, l'odore pregnante di tabacco che si mescola a quello dell'alcol e la musica di sottofondo che si intersecava con il vociare dei clienti gli erano, almeno in parte, familiari. E per quanto lui potesse sentirsi a suo agio in un luogo simile, non poteva fare a meno di notare che oltre la coltre di fumo c'era sempre qualche sguardo poco rassicurante che tentava di impicciarsi di quel piccolo tavolino circolare all'angolo del locale, dove sedeva insieme al suo amico. Forse il colore rosso della giacca, chiaramente fuori tema, non lo aveva aiutato a mescolarsi tra la folla.

    «Hanno detto che qui funziona il baratto...» Continuò a parlare sottovoce, avvicinando il boccale alle labbra affinché risultasse difficile leggergli il labiale. Probabilmente non fece altro che attirare più attenzione del previsto, con quel suo atteggiamento. «Ma... diciamo che dubito vorranno farci lavare i piatti. » Sorseggiò ancora la birra, per non destare sospetto. «Mi ricorda quella bisca di Rentdale, quella in cui Javier perse otto stipendi giocando a poker.» Poggiò il boccale vuoto sul tavolino, continuando. «Insomma, non mi pare sia stata una scelta saggia quella di rintanarsi qui dentro solo per bere qualcosa.»

    Le ultime parole suonarono quasi come un rimprovero, mentre con un cenno della mano attirava l'attenzione della cameriera, ordinando la seconda pinta. Quando la ragazza si fu allontanata, riprese a parlare verso il suo compagno di sventura.

    «La prossima volta che scelgo il posto sbagliato potresti anche trascinarmi via prima di entrarci, ok? Non mi offenderò. Mi lamenterò infinitamente, questo sì, ma non mi offenderò.» Diede una pacca sulla spalla del suo compare. «Fidati. Nessuna offesa, solo qualche sbuffo, una lamentela ogni tanto, nulla di che però. Non sarebbe un argomento che tirerei fuori ogni volta che qualcosa me lo ricorda...» Distolse lo sguardo, notando i vari boccali appesi dietro il bancone. «...come quella volta quando, giocando con Havoc, hai rotto la mia tazza preferita. Quella con su scritto "Recluta numero uno". Lì mi offesi un po', era un regalo che mi feci dopo essere stato ammesso nella squadra; L'ho ritenuta una profonda mancanza di rispetto.» Socchiuse gli occhi e trasse un profondo respiro; Successivamente annuì e riprese a guardare il suo amico. «Ma ormai è acqua passata. La responsabilità è tua solo al cinquanta percento, e per di più ti ho perdonato - non preoccuparti.» Sorrise, cambiando argomento subito dopo. «Piuttosto, la gente che gira in questo quartiere mi è sembrata parecchio impomatata; Magari potrei mettere su un'attività da barbiere.» Arrivò la seconda birra, per cui ringraziò la ragazza con un sorriso e ne bevve subito un abbondante sorso. «Tu potresti specializzarti in chirurgia d'emergenza, volendo.»

    Era tutto molto più facile, con gli insettoni giganti: mettono inquietudine oltre ogni possibile immaginazione, ma almeno sai cosa aspettarti da loro.
    Stare in quel mondo invece lo stava scombussolando, facendo emergere il peggio di lui; Alimentava esponenzialmente la sua voglia di chiacchierare, solo per occupare tempo e consumare aria in eccesso.

    Edited by Catbert - 16/1/2016, 18:28
     
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  2. Dogbert
     
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    «Non preoccuparti per il conto, ho già un piano.»

    Comincia a farsi un'idea sempre più precisa del mondo in cui si sono ritrovati. Un mondo caotico, instabile, in continua mutazione ed evoluzione. Potrebbe essere un buon posto per la pensione.
    Lo Sciacquone Cosmico - così chiama il dispositivo di scambio cosmico da supercazzora - li aveva scaricati nel punto peggiore, dove volano i liquami dell'universo, gli scarti che, per un motivo o l'altro, altre esistenze rifiutavano. Un coacervo di scienza sapienzale, sudici ghetti, personaggi strani e un po' fricchettoni, meraviglie sconosciute e idioti patentati. Questa l'idea che si è fatto, più o meno. Attenzione a non essere affrettati: non è un giudizio negativo per Rudolf. Ha la stessa puzza dei vicoli di Felsedorf. È come essere a casa. Su una scala maggiore, però.
    Ci sta pensando proprio in questo momento in effetti. La situazione gli ricorda in diverse parti le prime fughe dal Centro d'Addestramento: in giro per posti sconosciuti in mezzo a gente sconosciuta, tappo e agguerrito come non mai, desideroso di scalare la vetta sociale il più rapidamente possibile. Una delle differenze notabili è Ian. Sarebbe potuta diventare ottima merce di scambio.
    Non può, però, prescindere dalla maturità e dall'esperienza accumulata. Sa bene che scatenare una guerra tutti-contro-uno come fece non è l'approccio più desiderabile. Quindi? Come muoversi?

    «È il posto giusto questo. È il posto giusto perché sono tutti sbagliati. Finché sono tutti sbagliati uno vale l'altro.»

     
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    Cammino con passo veloce tra le strade di bloodrunner, la zona più malfamata di endlos, un luogo in cui le pareti hanno visto ogni sorta di crimine o di violenza, e le cui infrastrutture industriali e decadenti assorbono tutto il fetore dell'aria che si respira in questo luogo. Una ragazza che gira da sola, protetta solo da un impermeabile nero, dovrebbe temere questo luogo: chissà quali lupi si nascondono tra i vicoli i vicoli bui, nascosti dal fetore dell'immondizia. Eppure sento di essere sorprendentemente al sicuro, in questa zona del mondo. L'aria fredda mi accarezza il volto, e ghiaccia i lineamenti, fermandoli in un'espressione tesa, pensierosa: curioso come mi senta molto più a mio agio qui, tra vicoli fetidi e le luci soffuse delle insegne, che danzano tra i fumi dello smog, rispetto a qualunque altra parte di Endlos. Questo luogo mi ricorda casa, la mia sudicia casa, e tutto ciò che ho lasciato dall'altra parte del tunnel. Da quando sono qui, su questa palla di polvere, non ho uno scopo che non sia capire il mondo intorno a me, così vasto e per certi versi effimero come le luci soffuse dei lampioni. Ma questo luogo... il suo sporco, il suo fetore di criminalità e violenza, le sue architetture...tutto mi ricordava Hopetown, esattamente come a Merovish. Mi sto ammalando di nostalgia e non posso permettermelo, non ora.

    “Ho bisogno di staccare la spina: sono mesi ormai che sono alla ricerca di tecnologia ed informazio, sono mesi che lavoro, e per cosa poi ? Neanche lo so...”

    Eccola lì la risposta alle mie suppliche: non ho trovato il senso del mio peregrinare, certo, ma almeno un modo per svagarsi un po', o almeno un economico e momentaneo palliativo ai miei problemi: un pub dall'insegna sgargiante e “pittoresca”, il “Money shot”.

    “Spero vivamente che vendano solo birra.”


    Penso, cercando di vincere la mia poca voglia di stare in un luogo così affollato. Mi faccio largo tra la folla, e la prima cosa che sento è l'odore tipico delle bettole di quartordine a cui ero abituata: birra appena spillata e sudore, con quell'aroma di sporco che ha sempre il suo perché. Sorvolo con lo sguardo l'affollatissimo luogo, qualcuno ha notato la mia presenza e ricambia il mio sguardo con stizza e un punta di disgusto, ma a me poco importa: sicuramente non ho intenzione di socializzare con gente conturbata dal mio aspetto.

    “Non ci sono posti liberi”


    Mi avvicino al bancone, ordino una pinta di rossa e rimango lì, girando lo sguardo tra le bottiglie di alcolici dentro le vetrine con lo stesso disinteresse che ho per gli avventori di questa bottega.

     
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    Prese a fissare Rudolf senza batter ciglio fin dal suo "non preoccuparti" iniziale. Quella di Ian appariva come un'espressione seria, quasi preoccupata, facendo sembrare importante la discussione per gli eventuali osservatori... ma la realtà era ben diversa: lui sapeva. Ricordava benissimo il significato di quel "ho un piano"; Era impossibile cancellare dalla sua mente quell'orribile esperienza, stesso dicasi per le immagini che iniziarono a susseguirsi rapide davanti il suo sguardo perso nel vuoto: un mascara fucsia per ciglia poggiato su un tavolino da cucina, la bandiera elboniana che sventola al tramonto, una t-shirt rossa sgualcita appesa sulle pale di un ventilatore da soffitto spento, una donna incinta che parla al telefono, un fucile gravitazionale incustodito, una piscina, la foto autografata di un famoso attore kneeboniano, l'immagine di sé stesso riflessa allo specchio mentre tenta di schiacciarsi un punto nero sulla spalla, la stampante dell'ufficio che non funziona, un chihuahua che lo fissa malissimo dall'altro lato della strada...

    Scosse la testa, allontanando il pensiero e riuscendo finalmente a chiudere gli occhi per qualche istante. Bevette poi un paio di sorsi di birra e fece un profondo respiro, acquisendo di nuovo una parvenza di equilibrio mentale. Si guardò quindi attorno, temporeggiando: il suo sguardo si mosse lento e disinteressato all'interno del locale, sembrava quasi lo facesse per abitudine più che per curiosità.
    Dopo quella trentina di secondi passati in silenzio - un'occasione più unica che rara, di quei tempi - tirò fiato ed aprì bocca per iniziare una nuova discussione con Rudolf: quello fu il momento in cui si bloccò di nuovo. Non solo fissava il suo amico con gli occhi spalancati; Aveva perfino smesso di respirare per l'imprevisto stupore derivante da ciò che i suoi occhi avevano catturato di sfuggita. Ci mise un po' ma riuscì a tornare calmo, ritrovando gradualmente un minimo di serietà per non attirare troppo l'attenzione.
    Sicuro d'essere passato inosservato ai più, prese a lanciare occhiate fugaci ed innocue - che chiunque poteva notare benissimo, visto che il "passare inosservato" per lui significava "a nessuno importa di me per fortuna" - alla persona che si era appena messa a bere al bancone: si trattava di una ragazza strana, decisamente fuori luogo. Tanto quanto loro due; Anzi, di più.

    "Sembra la versione kneeboniana di Havoc. E' come se fosse la sorella che non ha mai avuto.
    L'ho detto io che stavolta non dovevamo andarci soltanto noi due in missione..."


    Gli occhi rosso sangue cercarono nuovamente quelli di Rudolf, quindi iniziò a fare dei segnali inequivocabili: alzò le sopracciglia più volte, saettò con lo sguardo verso il bancone, strabuzzò gli occhi come per dire "ma dai, è evidente, su!" e così via. Continuò con i suoi segnali estremamente (poco) tattici per circa dieci secondi, dopo i quali riprese a bere a sorsetti la birra solo per far finta di essere impegnato e decisamente disinteressato a chi lo circondava.

    Il significato dei gesti tattici? Semplice: "Ehi, guarda lì, dubito che quella tipa sia una nativa. E poi hai visto che atteggiamento? Si è mossa quasi come un militare. Forse le girano. O forse ho visto male io. Comunque sia la capigliatura di sicuro è più associabile al nostro mondo, quindi magari potremmo farci due chiacchiere e scoprire qualcosa di più su dove ci troviamo. Iniziare a costruire una rete di risorse e contatti insomma, come da regolamento. E poi dai, sta in piedi, noi abbiamo un sgabello in più, potremmo anche invitarla a sedere qui, no? Un po' di sana educazione è alla base di una buona socializzazione, se ben ricordo".

    Ovviamente distava più o meno tre sorsi di birra dall'alzarsi in piedi, sbracciarsi come un ossesso per attirare l'attenzione della ragazza ed urlarle "ehi, guarda, qui c'è un posto libero!", ma l'aver superato a pieni voti Spionaggio I, II e III gli dava una certa sicurezza: sapeva che in qualche modo il Chirurgo avrebbe capito cosa voleva dirgli. E sapeva anche che aveva bevuto un po' troppo avidamente, quindi poggiò il boccale, aspettando che succedesse qualcosa.
    La sua resistenza all'alcool era ridicola tanto quanto i capelli del tizio dall'altra parte della sala, che aveva iniziato a fissare senza accorgersene.
     
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