Hai preso le tue medicine?

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    Quindi è questo Etlerth ? Devo dire che non è diverso da come me lo immaginavo: bianco, freddo e nulla. Ogni cosa giace avvolta dal mantello immacolato della neve, spezzato solo da qualche lastra di acqua ghiacciata. Non si vede niente all'orizzonte, ma non è un problema: con me ho una mappa che mi dice esattamente dove si trovano alcuni villaggi vicini. Infilo la mano nella mia bisaccia, la mia migliore amica in questo viaggio in terre ignote, e prendo la mappa del nord. La apro e lei mi indica che il primo villaggio si trova 30km in direzione Nord-Est, il che è perfetto: sono le prime ore del mattino, il che vuol dire che, a passo di marcia, dovrei metterci circa quattro ore. Muovo qualche passo nella neve, non senza fare un po' di fatica, cercando di guardarmi attorno per vedere eventuali minacce nascoste dietro i cumuli di neve: questa terra è abitata da animali selvatici e feroci e non solo; sembra che ci sia un infestazione di non morti in questa parte del globo...sarebbe interessante studiarli, ora che ci penso. Chissà se ci sono già delle ricerche su di loro.

    “Come fa un'inferma come te a camminare?”

    “Alex?!”

    Mi volto, ma non vedo nessuno...non c'è nessuno...

    “Cosa c'è, Sofia? Perché ti guardi a torno? Non c'è nessuno...”

    “Come diavolo hai fatto a trovarmi?!”

    Uno spasmo muscolare, barcollo e cado a terra. La fredda neve inzuppa i miei vestiti, la pesante borsa sulle mie spalle mi schiaccia sul terreno

    “Guardati: la grande Sofia, la vittoria del popolo, riversa a terra come un tossico in overdose.”


    Digrigno i denti, tutto ciò non può essere vero. Il freddo sfregia il mio viso, i muscoli non rispondono, il mio respiro accelera.

    “Tu, tu non sei reale...”

    “Cosa c'è ? Stai andando in iperventilazione ? I tuoi muscoli non ti rispondo più ? Come pretendi di salvare gli altri, se non sei in grado neanche di salvarti da sola ?”


    Una risata distorta risuona nell'aria, tutto ciò è reale?

     
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    Questa volta Lyssandra è ben preparata ad affrontare il lungo viaggio nella desolazione bianca, perché questa volta non ha lasciato nulla al caso; ha preso tutte le precauzioni e le provviste necessarie, nulla sarebbe -di nuovo- andato storto, ha imparato dai suoi errori. Non si sarebbe più ridotta a chiedere l’ospitalità di qualche gentile straniera in una baita sperduta fra le cime del Koldran, non si sarebbe più persa in mezzo alla neve per poi esser costretta a lottare per la sua vita in un villaggio maledetto. No, adesso sa perfettamente dove sta andando, e niente e nessuno l’avrebbe distolta dal suo cammino; avrebbe raggiunto il Confine e si sarebbe finalmente lasciata alle spalle il gelido Nord e quella fottuta piaga di non-morti. Mappa rivista e corretta fra le mani, la strega continua a procedere decisa verso la sua meta: un piccolo villaggio a circa trenta chilometri in direzione nord-est, dove avrebbe passato la notte al caldo e all’asciutto e fatto incetta di provviste, per poi riprendere il cammino.

    Una parte di lei, però, restava contraria all’idea di lasciare il Presidio tanto presto. La necromante che è in lei, infatti, avrebbe preferito fermarsi ancora un po’ fra i ghiacci del Nord a studiare meglio il sinistro fenomeno che lo affligge... e magari capire anche come ricacciare quei fottutissimi abomini nella tomba. I morti devono essere lasciati liberi di marcire in pace... ma lei è solo una vagabonda in balìa del gelo e della natura selvaggia, armata soltanto della sua conoscenza delle arti arcane; non era una guerriera temprata dal fuoco di mille battaglie -il suo fisico è abituato allo studio, non alla lotta- e non sarebbe sopravvissuta a lungo in quelle lande desolate senza almeno una guardia del corpo un compagno di viaggio.

    Questa follia era destinata a fallire fin dal primo giorno, pensò fra sé e sé, mentre un amaro sorriso le increspa le labbra screpolate; eppure, in qualche modo, forse solo grazie al caso e alla fortuna, fino a quel momento era sempre riuscita a tirarsi fuori dai guai, prima con Medea e poi con Deneb. Non era riuscita a visitare Najaza come aveva programmato, tanto che il solo pensiero ancora la innervosiva, ma era comunque riuscita ad ottenere delle informazioni preziose da fonti e persone che mai si sarebbe immaginata. Tutto sommato, quel viaggio non era stato proprio un fiasco, ma nemmeno questo pensiero sarebbe bastato a farle cambiare idea; il freddo polare sta mettendo a dura prova le sue capacità di sopravvivenza... e ora ha disperatamente bisogno di prendersi una pausa dal freddo e dal gelo.

    Un bisogno che sente diventare sempre più vivido ad ogni secondo in più che passa immersa in quella desolazione bianca. Non avrebbe rischiato l’ipotermia, ben coperta com’è dalla testa ai piedi da un pesante cappotto imbottito, ma il vento gelido che le sferza sul viso scompigliandole la chioma corvina inizia davvero a darle fastidio. Gli occhi le lacrimano, ha perso da un pezzo la sensibilità facciale e il suo povero naso è ormai ridotto ad un cubetto di ghiaccio. Giusto il tempo d’abbassare un attimo lo sguardo per aggiustare meglio la sciarpa sul viso e... la vede, riversa sulla neve quasi a voler aspettare la morte; un’altra pazza come lei, che si era avventurata nell’Etlerth da sola senza tenere conto di tutti i rischi.

    Mossa da un istintivo senso d’empatia, la strega accelera il passo, correndo in soccorso della giovane; uno scatto improvviso e repentino, che risveglia all’istante le sue membra infreddolite, portando sangue prezioso verso le estremità corporee e aiutandola così a scaldarsi un poco.

    Giunta ad un paio di metri dalla sconosciuta, l’eretica frena la sua corsa, indecisa sul da farsi; non perché teme per la sua incolumità, ma perché quella ragazza sembra avere chiari sintomi d’instabilità mentale... o forse quei deliri erano semplicemente il risultato della stanchezza e della solitudine del viaggio.

    Tu, tu non sei reale...
    La osserva, la strega, e subito nota il suo respiro accelerato e il volto contorto in una smorfia indecifrabile.

    No, troppo facile.

    Con incedere cauto, l’eretica si accosta al fianco della giovane, le ginocchia che sfiorano la neve. Delicata, la mancina si posa sulla spalla della ragazza, per darle conforto e al contempo aiutarla a tornare alla realtà. Lo sguardo di ghiaccio si fa gentile, quasi materno... non è questo il momento d’indossare maschere.

    Va tutto bene...
    Un sussurro, una preghiera.

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    Edited by Red Jenny - 5/2/2016, 00:38
     
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    I denti continuano a contrarsi, le gengive iniziano a farmi male, la pelle brucia sotto il gelo della neve. L'unica cosa che la coda del mio occhio riesce a vedere è il cielo che perde consistenza: le nuvole perdono i loro bordi ed il cielo sembra essere fuggito verso altri mondi, diventando solo una parete grigia ricoperta di chiazze bianche.

    “Stai impazzendo, Sofia?”


    No, non posso cedere ora, non voglio cedere ora, non arrivata fino a questo punto.

    “E' inutile che lotti: non c'è nessuno a cui importi realmente di te. In questo mondo sei sola, e lo eri anche ad Hopetown.”


    “Fottiti...”


    La mia voce trema, e la mia lingua s'inceppa come un fucile arrugginito. Non sento più il viso, ne le punte delle dita. I colori iniziano ad appassire, ben presto solo chiazze indistinte e grige dominano il cielo; le nuvole saranno il mio epitaffio.

    “Ti metti ad insultare un'allucinazione? Quanto sei patetica...”


    Sento il mio cervello spaccarsi in due, tre, mille parti. Sento milioni di aghi che scavano nella materia grigia, dilaniando le connessioni sinaptiche. Ogni cellula del mio encefalo lancia grida di terrore, la mia mente sta andando alla deriva...non riesco ad oppormi...

    “Va tutto bene...”

    Un'ombra indefiniti si staglia su di me, non riesco a percepirne i volto. Reale? Non Reale? Non lo so, la mia percezione è così fallata che potrebbe essere benissimo l'ennesimo spettro tornato per tormentarmi. E se non fosse così? Se si trattasse di un essere umano, forse sarebbe in grado di aiutarmi. Raccogli le forze, Sofia: non è la tua prima crisi, e non sarà l'ultima. Non ti hanno ucciso le pallottole, non può ucciderti uno schifo parassita.

    “Che...”


    Cerco di sibilare qualcosa.

    “Che...miotici...Neuro...lettici...trenta...ci...ci...”

    Non riesco ad esprimermi in un linguaggio più chiaro di così: la neve sporca di lacrime si largo nella mia bocca, il che non migliora la comprensibilità delle mie sofferte parole. Il dolore si sta estendendo ad ogni singola fibra del mio corpo. Una crisalide svuotata dal dolore; ecco cosa sto diventando.

     
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    Incespica, biascica le parole in un sussurro strozzato, la giovane sconosciuta, il viso che si contorce in una maschera di dolore... eppure resta lucida, e trova la forza di parlare, di farsi capire dalla strega pronunciando due parole soltanto: chemiotici e neurolettici; non aggiunge altro, ma l’eretica non ha bisogno di sapere altro.

    Ha compreso la situazione, Lyssandra, e sorride fra sé e sé, mentre traffica fra le vesti e il cappotto alla ricerca dei suoi fidati utensili da lavoro, compiacendosi della freddezza appena dimostrata dalla ragazza, che non si è lasciata prendere dal panico. Estrae dunque una coppia di fiaschette e una siringa, avvolte in un panno logoro insieme ad un gran numero di altre chincaglierie, e si prepara per l’iniezione; gli occhi di ghiaccio si posano allora sulla giovane, caldi e penetranti.

    Dammi il braccio.

    Esclama la strega in un sussurro, la voce gentile -quasi materna- che però non ammette obbiezioni. Poi si sarebbe avvicinata alla ragazza, e ne avrebbe stretto il braccio nella sua presa salda, ma rassicurante, di mani esperte, temprate da anni di esperienza con formule alchemiche. Avrebbe quindi sollevato le maniche fino a scoprire l’avambraccio, e di nuovo avrebbe incatenato lo sguardo di ghiaccio a quello della giovane, quasi a volerle chiedere il permesso di procedere.

    Infine la ragazza avrebbe sentito l’ago penetrarle le carni, inoculando entrambi i farmaci nel suo flusso sanguigno nell’intervallo di una manciata di secondi.

    Andrà tutto bene... sei stata fortunata.

    Commenta l’eretica con fare ora più distaccato, seppur sempre cordiale, mentre estrae l’ago e medica la ferita con un lembo di stoffa imbevuto d’alcool.

    Già... se non fosse stato per l’incredibile varietà d’intrugli che la necromante è solita portarsi sempre appresso per scongiurare qualsiasi fuori programma -come quello che era appena accaduto, appunto- quella sconosciuta avrebbe rischiato seriamente di morire fra le sue braccia, uccisa dal gelo e dalla follia.

    Quale spreco.

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    "Pensi davvero di poterti salvare, Sofia?"

    "Stai zitto."


    L'ombra sembra trafficare con qualcosa, forse ha capito ciò che cerco di dirgli ?

    "Anche se il tuo salvatore, magicamente, dovesse tirare fuori un qualche intruglio speciale, sai bene che sarà solo un palliativo:"

    Sembra dire qualcosa...è tutto così ovattato, non percepisco più i rumori. Solo la voce distorta dei miei demoni si fa largo nella mia psiche.

    “Diventerai sempre più resistente ai farmaci...”

    Anche il grigio sta sparendo, lasciando spazio solo ad un nero viscido e deforme. Sta avanzando verso di me - No,non toccarmi!

    “Perderai il senno, ogni luce, ogni speranza morirà: falene bruciate dal fuoco...”.

    Mi avvolgono, mi stringono, sento il mio corpo che a poco a poco svanisce, disciolto nell'ombra: solo il dolore rimane.

    “È solo questione di tempo: tu sei già mia!”


    La lingua brucia, il mio corpo riacquista sensibilità. Scatto in piedi sputando neve; un movimento nervoso come quello di un gatto impaurito. L'incubo è finito, ma il risveglio non è dei migliori: il dolore alla lingua è forte, stento ancora a credere di essere viva. Il cielo è tornato al suo posto, mentre le nuvole lo solcano impassibili al mio dolore. Guardano e passano, come tanti, ma non come lei: una ragazza vestita di piume di corvo: viso giovane, capelli di cenere e occhi di cielo. Non riesco a dire nulla, ne a muovere un muscolo. Solo ora mi accorgo che la mia mano sinistra sta serrando la mia bocca, i miei occhi sono congelati in un'espressione di terrore. Sono viva, sto bene, dovrei essere grata alla giovane per avermi salvato la vita, eppure un senso di vergogna inonda le mie sinapsi. Pietrificata, attonita, avvilita, sconfitta; sconfitta dall'unico nemico che non posso uccidere, te stessa. Sappiamo entrambi che sto solo prendendo tempo: una partita a scacchi contro la morte. L'ospite ha già vinto, è solo questione di tempo; tempo e circostanze, e il mio tempo è sempre più sottile. Cosa sono queste ? Lacrime ? No, non posso mettermi a piangere. Mi volto, non voglio farmi vedere – non guardarmi, ti prego: vattene e lasciami sola. E tu datti un contegno, per l'amor di Dio: non è il momento per piangere. Tu non sei morta, mentre mille persone qui fuori si, a causa dei Lich e dell'inadempienza della nobiltà. Volente o nolente devi essere forte, per loro. Eppure ancora non riesco a muovermi, contratta su me stessa.

     
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    La giovane sembra non udire le parole della necromante, né sostenere il suo sguardo, la mente preda degli spettri partoriti dalla sua mente malata, divorata dalla follia. Gli occhi sono vitrei, come persi nel vuoto, a fissare un punto indefinito del manto nevoso sotto i suoi piedi. Non oppone resistenza, la sconosciuta, e si lascia toccare, si lascia curare dalle mani esperte della strega, che la stringe fra le braccia per non farla sprofondare ancor di più nella neve e le sussurra parole di conforto in un vano tentativo di scacciare i suoi demoni interiori... demoni che decidono di placarsi solo dopo quella che a Lyssandra pare un’eternità.

    Il risveglio -o meglio, la presa di coscienza- della bella addormentata è violenta e repentina, come se si fosse appena svegliata da un incubo... dall’incubo che l’aveva tormentata fino a quel momento. Scatta in piedi in un gesto istintivo, non essendosi ancora resa conto di quello che è appena accaduto, e l’eretica riesce quasi a vedere lo sciamare di pensieri confusi nella sua testa quando lo zaffiro dei suoi occhi si posa, infine, su di lei. La studia da capo a piedi, come se si fosse accorta solo adesso della sua esistenza, e anche Lyssandra fa lo stesso, un sorriso cordiale -e colmo di sollievo- ad incresparle le labbra.

    Eppure non è gratitudine, né gioia di vivere, quella che la necromante vede inumidire gli occhi della giovane. Un nuovo tipo di terrore sembra essersi impadronito della ragazza, e per un attimo l’eretica ebbe il brutto presentimento di essere lei la causa di quel suo improvviso disagio... disagio che, però, sembra nascondere una punta di vergogna, di orgoglio ferito e di sconforto, che inondano il suo animo con così tanta prepotenza che la sconosciuta è costretta a voltare le spalle alla strega e a chiudersi in sé stessa.

    Senza proferire parola, Lyssandra si sarebbe dunque alzata in piedi, scrollando via la neve da vesti e cappotto, e avrebbe preso posto accanto alla giovane, posandole una mano sulla spalla con tocco leggero.

    C’è un villaggio qui vicino... e siamo entrambe stanche ed infreddolite. Che ne dici se discutessimo di questo... incidente davanti ad un buon pasto caldo?

    Sorride cordiale, la strega, per conquistarsi la fiducia della sconosciuta.

    Lyssandra Penteghast, piacere di conoscerti.

    Il gelo che le penetra fin dentro le ossa, Lyssandra proprio non se la sente di discutere sulla presunta crisi esistenziale della giovane; ha bisogno di scaldarsi dopo essere stata ferma con le ginocchia affondate nella neve per tutto quel tempo, e anche quella ragazza ne avrebbe davvero bisogno... forse più di lei, considerato il suo precario stato di salute. D’abbandonarla a sé stessa, lasciandola in balìa della desolazione bianca, nemmeno le passa per l’anticamera del cervello.

    Sarebbe stato un vero spreco. E poi, un paio di muscoli in più le avrebbero fatto proprio comodo, in quella terra di nessuno.

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    La lingua è un muscolo contratto nel dolore, ironico vero? Perché anche io lo sono: un fascio di nervi e disperazione contratto su se stesso. È inutile, per quanto provi a muovermi, la miosina nei miei muscoli non risponde. Evidentemente il dolore ha bruciato tutto il mio ATP, tutte le mie energie, lasciando solo acido lattico e ustioni da freddo. Vorrei, vorrei davvero risponderti, Lyssandra: vorrei dirti che ti ringrazio di cuore per avermi salvato la vita, che possiamo andare ovunque, basta che sia lontano da qui e che ci sia una temperatura giusta per scongelare la mia anima. Ma no, non ci riesco, non riesco a pensare ad altro se non a quello che è appena successo...

    Non sono stata in grado di salvare Hopetown...
    Non sono stata in grado di vendicare mio padre...
    Non sono stata in grado di proteggere i miei compagni di squadra...
    Non sono stata in grado di salvare Xar...


    E come potrei mai? Non sono in grado neanche di proteggermi da me stessa...

    Io sono un carcinoma che cammina, condannata ad una fine orribile: una vita di rimorsi.

    Lei si sta avvicinando, mi propone di andare ad un villaggio vicino, per riscaldarci. Non mi sento di allontanarla, non più. Non voglio rimanere qui, non un secondo di più. Un cenno con la testa, una passiva affermazione.

    “Sophia”

    Lo pronuncio a bassa voce, è il massimo che riesco a fare.

    “Mi...Chiamo...Sophia...”

    Anche se il senso di vergogna e sconforto non mi stringessero la gola, anche se il mio cervello non fosse sconvolto dal dolore, la mia lingua rimane ancora un pezzo di carne dolorante, arrotolata dentro la bocca.

    È quindi a questo che mi sono ridotta ? Da salvatrice a damigella in pericolo? Dalla vittoria del popolo ad una malata instabile e pericolosa per se stessa e per gli altri?

     
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    La giovane non rifiuta il tocco della necromante, ma rimane chiusa nel suo silenzio, preda dello sciamare dei suoi pensieri, o degli spettri che ancora tormentano il suo animo ferito; solo un lieve cenno del capo la scuote dal suo stato di torpore e fa capire a Lyssandra che le sue parole sono state ascoltate. La ragazza sta tornando lucida -le medicine stanno facendo il loro effetto- tanto che trova infine la forza di presentarsi a sua volta, in un sussurro così flebile che costringe l’eretica a tendere l’orecchio e corrucciare la fronte per riuscire a comprendere bene le parole.

    Sophia. Mi... chiamo... Sophia.

    Accenna un sorriso, la strega, lieta di vedere che la sua “paziente” si sta degnando finalmente di prestarle l'attenzione che merita riprendendo.

    Mettiamoci in marcia, adesso.
    Mi spiegherai tutto una volta giunte al villaggio.


    Senza aggiungere altro, si sarebbero messe in cammino, percorrendo quei trenta chilometri fra loro e il primo centro abitato nel più completo silenzio; Sofia perché ancora scossa da quello che era appena accaduto, dalla morte che aveva appena scongiurato e dalla stanchezza che le intorpidiva la membra, e Lyssandra perché non ci teneva a fare la figura della ficcanaso: non voleva farsi carico dei problemi altrui e se quella ragazza davvero intendeva raccontarle la sua storia, allora avrebbe atteso che lo facesse lei stessa, se e quando si sarebbe sentita pronta.

    Ma a chi voleva darla a bere? In realtà, l’unica ragione che l’aveva spinta a salvare la pellaccia di quella sconosciuta era che nei suoi occhi la necromante aveva visto sé stessa... in un futuro forse non troppo lontano, riversa nella neve ad aspettare il sonno della morte. Una morte stupida, una morte da sciocchi.

    Lo spreco di una vita preziosa.

    Giunte alle porte del villaggio, avrebbero continuato la loro avanzata fra le strade deserte, punteggiate solo da poche anime solitarie, per poi sostare entro le calde mura di una piccola locanda gremita di gente: chi intento ad ubriacarsi per combattere il freddo, chi invece a riempirsi la pancia, chi a servire ai tavoli.

    Chiusa la porta alle sue spalle, l’eretica si sarebbe scrollata di dosso la brina accumulatasi sul pesante cappotto, per poi far guizzare lo sguardo di ghiaccio alla ricerca del tavolo migliore dove sedersi: cioè il più lontano possibile dall’ubriacone che si è appena scolato un litro di birra e che puzza d’alcool da far schifo.

    Come ti senti?

    Avrebbe chiesto la strega, una volta preso posto al primo tavolo libero vicino al camino. Le prime parole dopo un’eternità di silenzio.

    In risposta al calore sprigionato dalle fiamme, la strega viene scossa da un brivido di piacere, che per un attimo riesce a farle dimenticare di essere in mezzo ai ghiacci del Nord, in un’anonima locanda di un villaggio sperduto nella desolazione bianca, in compagnia di una sconosciuta dalla mentalità instabile.

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    Edited by Red Jenny - 29/4/2016, 13:40
     
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    E così ho salva la vita: ancora una volta, ancora per un soffio...n'è valsa davvero la pena ?

    La neve fredda e gli incubi erano quasi più piacevoli di questo posto: un sacco di gente infreddolita, che cerca di uccidere il proprio cervello a colpi di alcol scaldato a temperature indecenti.
    Mi chiedo come non la gente vicino al camino non prenda fuoco: il loro sudore deve essere così pregno d'etanolo da poterci mandare avanti una centrale elettrica a furia di bruciarlo.

    Il mescolarsi di sudore, alcol ed una puntina di vomito genera un tanfo nauseabondo che neanche nelle peggiori bettole di hopetown. Gente disperata che scappa dal freddo, dai lich, dalla propria magra esistenza...gente come me.

    Vengono qui per dimenticare; cercano di sciacquare i loro volti sporchi di stenti e morte con l'alco, diventando ombre dietro ad un bicchiere di birra.

    Mugugno alla domanda della mia salvatrice: Lyssandra Penteghast.

    Non ho voglia di parlare e non ho voglia di stare qui.
    Non sto bene, ed è evidente dai miei occhi: due vetri blu incrinati dal disagio, dalla vergogna e dal dolore.
    Sono una stupida, ed una debole...

    “Bene...più o meno...”

    Alla fine decido di biascicare due parole.
    La lingua duole ancora un po', ma almeno ora posso parlare senza troppe difficoltà.

    “Non ti ho ancora ringraziato per avermi salvata: inutile dirti che sarei morta senza il tuo aiuto.”

     
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    Dopo un’eternità di silenzio, Sofia spiccica le sue prime parole; non più discorsi deliranti, mugugni strozzati e sussurri impercettibili, ma una vera e propria frase di senso compiuto. Un buon segno. Per quanto Lyssandra riesca comunque a vedere ancora riflesso nei suoi occhi un certo disagio, dovuto forse al freddo, allo stress psicologico e alla puzza d’alcool, la giovane sembra davvero essersi ripresa del tutto, tanto che trova perfino la forza di ringraziarla per averle salvato la vita.

    Finalmente.

    Soddisfatta delle sue infallibili doti d’alchimista del suo buon operato, la strega le rivolge un sorriso cordiale, per poi spostare lo sguardo sulla cameriera che sta servendo ai tavoli ed attirare la sua attenzione con un lieve cenno della mano.

    Sono lieta di vedere che stai meglio.

    Immagino avrai fame... una buona zuppa calda farà bene ad entrambe. Ho proprio bisogno di scrollarmi di dosso questo freddo. Offro io.


    La cameriera passa a prendere le ordinazioni, per poi dirigersi verso il bancone e sparire oltre la porta della cucina con la stessa rapidità con la quale è arrivata, lasciando le donne di nuovo libere di continuare il loro discorso.

    Due anime sole, disperse in mezzo ai ghiacci... vive per miracolo e ora sedute allo stesso tavolo.

    A quel pensiero fugace, una risatina ironica increspa la labbra dell’eretica, mentre lo sguardo di ghiaccio s’incatena di riflesso a quello di Sofia.

    Caso, o destino? Non riesco mai a decidermi.

    Un pensiero espresso ad alta voce, rivolto più a sé stessa che alla giovane che le siede accanto. Eccezion fatta per la crisi psicotica della giovane, resta infatti indubbio che entrambe le donne stessero vivendo una situazione molto simile.

    Se posso chiedere, cosa ti ha spinto ad avventurarti in queste lande desolate? Oro, fama, o sete di conoscenza?

    Occhi vispi, maliziosi ma gentili, si posano leggeri sulla sua interlocutrice, sorriso cordiale e voce melliflua fanno da contorno. Infine accavalla le gambe, la necromante, e attende con pazienza la risposta di Sofia.

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    Annuisco debolmente all'offerta della donna, accettando più per cortesia che per altro: in questo momento ogni cibo saprebbe di polistirolo. La cameriera arriva, raccoglie le nostre ordinazioni -o per meglio dire, le sue ordinazione; quelle di Lyssandra- e se ne va, sgattaiolando verso la cucina come i topi che abitano le travi di questo posto.

    Lyssandra ricomincia a parlare, riferendosi al fatto che anche lei fosse un viandante in queste terre dimenticate dagli dei; troppo indaffarati a vegliare sulle culle dei nobili, troppo lontani per proteggere queste persone morte dentro da parecchio tempo.

    Il tempo passa e le parole scorrono, e alla fine viene posta la fatidica domanda, quella che mi fanno tutti: perché sei qui ?

    Risponderò come ho risposto a tutti, a Ghuärt e a SkekDor: “Dovere: sono qui per dovere nei confronti di questa povera gente.”

    Non mi lamenterò con lei, non gli dirò che una parte di me mi spinge al martirio e brama la morte, non gli dirò che sto cercando un modo per espiare le mie colpe: sono tutte cose che a lei non riguardano.

    "E tu, invece ?"



    Perdonami il post-supercorto
     
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    Così, sedute ad un tavolo di un’anonima locanda sperduta fra i ghiacci dell’Etlerth, le due vagabonde iniziano a conoscersi, con Sofia che svela i suoi nobili intenti alla necromante e Lyssandra che l’ascolta con vivo interesse, seppur soffocando una risata beffarda. Dunque le sorride cordiale, mascherando quella smorfia d’ilarità con uno sguardo gentile, mentre sulla punta della lingua le freme un commento sibillino; prontamente soffocato, però, dal buon senso e dalla buona educazione.

    Ah sì? E io che credevo che la prima regola del buon rivoluzionario fosse: non crepare al primo tentativo.

    Oh! Una rivoluzionaria, dunque? Oppure solo un’anima pia?

    Ostenta curiosità, l’eretica, inarcando le sopracciglia in un’espressione stupita. Poi, tutto ad un tratto, lo sguardo di ghiaccio si fa penetrante... e il ghiaccio affonda nello zaffiro, affilato come una lama.

    O forse entrambe... una fanciulla ribelle, pronta a sacrificare la vita in nome di un’ideale?

    Le parole rimangono sospese nell’etere. Una pausa voluta: la cameriera è infatti arrivata con le ordinazioni, e posa le pietanze -o meglio, l’oleosa brodaglia- di fronte alle interessate assieme a due boccali di birra; dopodiché se ne ritorna al suo lavoro, rimbalzando fra un tavolo e l’altro e scomparendo ogni tanto oltre le porte della cucina... per poi ricomparire nella sala gremita di viandanti ed ubriaconi carica di piatti fumanti.

    A quel punto Sofia le rinfaccia la sua stessa domanda, e Lyssandra le sorride enigmatica. Prende -perde?- tempo, l’eretica, prima di rispondere alla giovane, il cucchiaio che mescola e rimescola la sbobba dall’odore nauseabondo, il volto contrito che tenta di mascherare una smorfia di disgusto. Troppo condimento.

    Azzarda un assaggio, la strega... e deve sforzarsi di deglutire. Appunto.

    Sete di conoscenza.

    Avrebbe infine risposto, la destra che guizza ad afferrare il boccale di birra con avidità, come una borraccia d’acqua nel deserto, e lo porta alle labbra per berne il liquido dorato in un paio di lunghi sorsi, per sciacquarsi la bocca e lavare via il sapore di grasso e di unto che le è rimasto appiccicato a lingua e palato.

    Era mia intenzione consultare la biblioteca di Najaza, ma... ahimè, proprio quando infine giunsi ai cancelli della città volante, mi venne intimato di “tornarmene da dov’ero venuta.”

    Eppure rimane calma e composta, la necromante, non perdendo un minimo di grazia ed eleganza. Poi, come colta da un pensiero improvviso, la strega incatena gli occhi di ghiaccio a quelli di Sofia, un mezzo sorriso ad incresparle le labbra, il cucchiaio che ritorna a mescolare quella schifosa sbobba oleosa.

    Sai... anch’io, nel mio piccolo, sono una rivoluzionaria.

    Una “rivoluzionaria” che ha davvero rischiato di perdere la testa... letteralmente.

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    Edited by Red Jenny - 15/4/2016, 01:19
     
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    Il suo atteggiamento m'infastidisce terribilmente: forse sono io che sono diventata iper-suscettibile a causa del trauma, ma a me sembra che il suo modo di porsi emani superiorità sfumata con derisione ma potrebbe essere tranquillamente una mera percezione, distorta e confusa.

    Non mi azzardo a toccare ne cibo ne alcol: il solo odore di quella...sbobba, mi fa contorcere le budella, trasformandole in fasci di muscoli doloranti. Sto male, tutto questo posto mi fa stare male...ho una disperata voglia di tornare a casa, la mia vera casa...ma lì ormia non c'è più nessuno ad aspettarmi...ed è tutta colpa mia.

    “Quindi anche tu sei una scienziata, o qualcosa del genere ? E di cosa ti occupi?”


    Il mio tono è spento, come la sera che avanza la fuori: un cielo apparentemente senza stelle ne luna.

    In parte sono sinceramente incuriosita dalla sua affermazione, eppure le mie membra sono troppo stanche per provare entusiasmo...spero solo che non venga mal interpretato.

    Cerco con lo sguardo qualcosa di diverso: magari un portale per fuggire da tutto questo, con la stessa disperazione con la quale ho attraversato il primo varco, la prima volta.

    Il niente continua a sorridermi in quel brodo.

     
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    A Lyssandra non sfugge il senso di disagio ed irritazione che pervade la sua interlocutrice, forse infastidita dal suo commento tagliente e quasi derisorio di poco prima. La vede rimanere in silenzio, a fissare la sbobba oleosa con sguardo assente, di nuovo persa nei suoi pensieri... a lottare di nuovo contro i suoi demoni? Chissà, ma qualunque fosse la ragione, la pessima cucina e l’aria satura d’alcool non sembrano aver giovato alla sua salute, e nemmeno al suo umore. L’espressione è pacata, eppure vuota, e a tratti nauseata e malinconica, insofferente verso quel luogo tanto quanto la strega che le siede di fronte.

    Appena entrata, il dolce tepore della locanda era stato un toccasana per le sue membra infreddolite, ma ora che si era finalmente scrollata di dosso il gelo che le era penetrato fin dentro le ossa, anche la necromante comincia a dare segni di nervosismo... e il cianciare ininterrotto dei commensali, la puzza d’alcool asfissiante e l’olezzo nauseabondo della zuppa che le brucia nelle narici, certo non la fanno sentire meglio. Eppure resta seduta al suo posto, Lyssandra, calma ed accorta, senza lasciar trasparire la sua irrequietudine; per quanto fosse tentata di lasciare per sempre quella squallida taverna, sente che il suo fisico non è ancora pronto ad affrontare il gelo che imperversa oltre la soglia della locanda.

    Allontana la sbobba per far capire alla cameriera che ha “finito” e allunga la destra a stringere il palmo della sua interlocutrice in un tocco leggero, come a volerla distrarre dai suoi pensieri e farla tornare alla realtà.

    Ti prego di non fraintendere... pensavo solo a quanto fosse ironico il destino.

    Ritrae la mano, la necromante, un sorriso gentile ad incresparle le labbra.

    Anch’io credo in un ideale... e anch’io ho rischiato di morire per quell’ideale.

    Non aggiunge altro, la cameriera è infatti arrivata a portare via i piatti e, dopo aver chiesto se desiderassero qualcos’altro ed aver ricevuto risposta negativa, se ne ritorna in cucina borbottando a denti stretti un “se non avevate fame, potevate evitare d’ordinare!” Lyssandra la ignora, persa nei suoi pensieri come Sofia fino a poco tempo prima. Li sente urlare nella sua testa... frammenti di ricordi neanche tanto lontani.

    Muori, strega!
    Muori, eretica!


    E l’ascia del boia che cala sulla sua testa.

    Quindi anche tu sei una scienziata, o qualcosa del genere?
    E di cosa ti occupi?


    Le parole della giovane la destano dal suo torpore. Gli occhi di ghiaccio si tuffano nello zaffiro, vispi ed attenti, come se non si fossero mai distratti, e la maschera di cortesia torna rapidamente al suo posto.

    Più che scienza, io la definisco Arte. Qui su Endlos la chiamano magia.

    Resta sul vago, la necromante, giusto per aver modo di studiare la reazione della sua interlocutrice. Rivelare di essere una necromante in una terra infestata dai non-morti avrebbe potuto costarle la vita.

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    Edited by Red Jenny - 15/4/2016, 01:20
     
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    Il tocco della donna sembra ridestarmi un attimo, incrocio il suo sguardo e per un po' dimentico il buio che mi avvolge. Forse io e lei non siamo così diverse, forse c'è davvero un filo che ci collega, un passato e, forse un destino simile ?

    Lei non è una scienziata, ma una maga, come tante in questo mondo. Eppure è assetata di conoscenza: che qui la magia segua delle regole precise, scientifiche ? Si, questo lo sapevo già: mi è bastato leggere lo stesso libro che trovai a Xar nella biblioteca per capirlo.
    I miei occhi cercano i suoi, e questa volta sembrano essere meno doloranti di prima: l'olezzo dell'alcol è più digeribile.

    “Capisco.”

    Non c'era delusione nella mia voce, semplicemente accettavo la cosa.

    “Quindi anche tu sei stata cacciata ? Inseguita e braccata come un animale semplicemente perché lottavi in qualcosa in cui credi ?”

    Anche tu porti ferite nella mente che sanguineranno per sempre, ferite non dissimili dalle mie ?
    Mi riprendo un po' dallo shock, lo sguardo si fa meno spento.

    “Come avrei capito, io non vengo da questo mondo e sono fuggita dal mio per avere salva la vita...Anche tu sei in fuga da qualcuno?”

    Non credo abbia senso trattenersi: infondo mi ha salvato la vita, gli devo qualcosa.

     
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