Moonbreeze's Memoria

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    Due opposti incompatibili, un tremendo stridere nella presenza dell'uno di fianco all'altro. La foresta: un reame invaso dai rovi dove la luce grigia filtrata dalle nubi del Garwec sembrava incapace di penetrare, alberi troppo fitti, sempreverdi le cui chiome si intrecciavano fin quasi a fondersi, neanche l'ombra di un sentiero se non pochi varchi casuali fra la vegetazione simile ad un muro invalicabile. E poi quella strana struttura, un intrecciarsi di travi metalliche che andavano a formare una torre da cui pendevano inerti cavi dell'elettricità tranciati da chissà quale evento. Sbucava ai margini della foresta, un chiaro segno di civiltà post-industriale che non sembrava possibile di fianco ad una vasta distesa di verde incontaminato. Ad accrescere il mistero, l'edificio era orientato in modo da emergere dal bosco, ed i cavi tagliati di netto dovevano essere, un tempo, collegati a qualcosa che doveva sorgere proprio laggiù, nella boscaglia.

    Il bulbo di vetro e metallo posto sulla sommità della torre, ad almeno quaranta metri dal suolo, prometteva forse qualche spiegazione in più, nonché magari una postazione privilegiata abbastanza in alto da permettere di vedere oltre le cime degli alberi, e magari intravedere qualche segno di civiltà umana. Perché il Garwec era inquieto quei giorni, nella notte precedente si erano abbattute sull'altopiano folgori tremende, e in almeno due occasioni a distanza di poche ore la terra aveva tremato, dando l'impressione che tutto il territorio si stesse scuotendo. L'unica scala a pioli fissata su uno dei quattro lati della struttura, però, pareva più adatta alle evoluzioni di un funambolo da circo che alle capacità del primo che passa, inoltre a salire e scendere si rischia di perdere l'intera giornata senza ottenere niente, se non godere di un bel panorama. La presenza della foresta conduceva piuttosto ad un dilemma da sciogliere il prima possibile: proseguire in direzione delle montagne, col rischio di non incontrare anima viva per chilometri e chilometri, oppure tentare la sorte ed immergersi nel verde? Certo i cavi tranciati e la condizione tutto sommato ben tenuta della struttura erano beneauguranti: se c'era elettricità c'era una fonte di energia, e quindi persone. Se la struttura era recente e curata allora per forza dovevano esserci, da qualche parte, persone che l'hanno eretta ed altri ancora che ne fanno manutenzione, e quindi -ancora- persone...

     
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    ???, Garwec.
    Presidio Orientale, Endlos.

    Redde Rationem.
    Quando si era presentata davanti ai Cancelli del Paradiso, Andrew aveva chiamato Brynjar seduta stante, come d'accordo. La donna lo aveva atteso a braccia incrociate, con l'arma nel fodero e uno sguardo tanto gelido quanto feroce.
    « Sono passati quattro anni. »
    Lui invece aveva tenuto le braccia distese lungo i fianchi, lo scudo riposto dietro la schiena e gli occhi nocciola pure freddi, ma con una visibile nota di indifferenza. Il suo era un commento a vuoto; lo sapevano entrambi, ma dubitava che la donna avesse avuto intenzione di tirarsi indietro proprio ora che, dopo tutto questo tempo, si stavano guardando in faccia.
    Medea lo osservava come a volerlo studiare, esaminare, capire come e quanto potesse essere cambiato ora che egli appariva come, oramai, un uomo. Più alto, ma neppure di tanto; e il suo corpo ora un po' più maturo. Poi uno scudo -senza che riuscisse tuttavia a scorgere un'arma su di lui-, ma nient'altro.
    Brynjar, dal canto suo, aveva rapidamente compiuto un'analisi dei poteri della donna, solo per poi accantonare le informazioni rilevate come del tutto inutili, considerata la natura del Pianeta in cui si trovava Suspiria. Fu stabilito infatti di darsi appuntamento altrove, lontani dall'Accademia e da qualsiasi posto dove uno dei due contendenti potesse avere un vantaggio sull'altro.
    Si erano dati appuntamento all'Altopiano di Garwec, nel Presidio Orientale, dove erano stati effettuati i preparativi che avrebbero permesso loro di combattere al massimo delle rispettive forze. Lì, si erano battuti.
    Lì, Brynjar Lloyd ottenne la vittoria su Medea Fole.
    Fu un duello senza testimoni; nessuno avrebbe dovuto osare interferire. Square-go non mortale, in quanto né Medea né Brynjar desideravano davvero uccidersi l'un l'altro. Le condizioni lo sottintendevano: se lei avesse vinto, il caporale sarebbe stato portato indietro da Universo; se fosse successo il contrario, egli sarebbe riuscito ad affrancarsi dai vincoli del dio per sempre, senza per forza precludersi la possibilità di tornare comunque a casa.
    Combattere in mezzo al nulla, però, non era stata la migliore idea che i due avessero mai avuto. In una landa che conosceva a malapena, spettava a lui l'onere di portare Medea in qualche modo al sicuro, alle cure di qualcuno che potesse aiutarla a rimettersi in sesto.
    Concluso lo scontro, Brynjar era riuscito nell'intento di stabilizzare le condizioni della donna utilizzando i suoi poteri per "intrappolarla", in un senso lato del termine, in sé stessa. O meglio, aveva intrappolato il tempo dentro di lei, affinché fosse posta in una sorta di limbo fino al momento in cui avrebbe trovato soccorso. Con ogni probabilità, uno degli incantesimi più complessi che La Catena avesse mai tentato.
    Ma ce l'aveva fatta.
    Trasportando una Medea priva di sensi sulle spalle, si stava trascinando attraverso quelle pianure ostili da oramai qualche ora. Era stato ferito in modo lieve, poco prima, e la sua sovra-armatura aveva riportato un po' di danni, ma niente di tutto ciò lo stava rallentando quanto invece la stanchezza di dover reggere il peso non solo del suo enorme scudo sulla schiena -a cui era in realtà tanto abituato da non sentirlo più-, ma anche quello, per l'appunto, di un'altra persona. Una donna, sì, ma una donna a dir poco statuaria.
    La spada di lei era legata alla sua cintura, pronta ad essere estratta in caso di pericolo... se solo Brynjar avesse saputo usarla.
    Avvistò infine il primo segno di civiltà nel raggio di diversi chilometri percorsi nella forma di una torre di metallo nelle prossimità di una foresta. Quando vi ci avvicinò, notò non senza un certo sconforto dei cavi elettrici penzolare lungo di essa. Un tempo era stata sicuramente utilizzata, ma ora? O, forse, il guasto era stato tanto recente che chiunque si occupasse di quella struttura non aveva ancora avuto modo di ripararlo.
    Prima della partenza, Brynjar aveva ricercato delle informazioni su questi luoghi e ci aveva passato quanti giorni bastavano per avere se non altro un'idea sommaria di quanto potessero essere, in effetti, aspri.
    C'era inoltre una sorta di bulbo in cima all'edificio da cui, nel peggiore dei casi, sarebbe almeno stato in grado di scrutare i dintorni in cerca di centri abitati. Forse, sarebbe stato in grado anche di trovare qualcosa di utile. Razioni di cibo e acqua a portata di mano, o perfino solo un riparo. Salire sulla scala a pioli, però, era fuori discussione: in circostanze normali, sarebbe riuscito a scalarla senza problemi, ma non oggi; non con una persona sulle spalle.
    L'unica via per accedervi pareva essere attraverso la foresta. Tra l'altro, da un'osservazione più attenta, aveva potuto dedurre che potesse esserci qualcos'altro al suo interno, a giudicare dalla disposizione dei cavi tranciati. Sarebbe rimasto solo il problema degli eventuali pericoli che avrebbe trovato al suo interno, ma neppure quello lo impensierì: lo zoologo sapeva orientarsi bene in qualsiasi selva, e pure individuare le tracce (non solo le orme) lasciate dalla fauna locale. Un'abilità che era in grado di utilizzare sia per stanare animali e mostri assortiti che, viceversa, evitare incontri indesiderati.
    ...In retrospettiva, realizzò di essere cresciuto molto dai tempi della sua antica disavventura a Rijks.
    Con passo cauto, e facendo attenzione a non far male per sbaglio a Medea, si addentrò nel bosco.

    Brynjar LloydNote: la sua menzionata abilità di orientarsi nei boschi e scovare tracce di animali e mostri deriva da qui. Ulteriori informazioni qui. Non me le sono inventate sul momento. X°D
     
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    La prima prova del fatto che la foresta non era disabitata arrivò dopo appena trenta passi. Un albero er stato divelto, e non dal vento o da un terremoto. Qualcosa lo aveva piegato fino a sradicarlo, ed ora giaceva al suolo con le radici esposte all'aria. Una creatura capace di tanto doveva essere più pesante di un grizzly e dotata di zanne e scaglie, a giudicare dai solchi che aveva lasciato sulla corteccia. Aveva ridotto un intero fianco dell'albero a legno maciullato, anche se il motivo era difficile da intuire. Forse si trattava di un segnale, magari stava marchiando un territorio. Di certo non lo aveva fatto per nutrirsi: la corteccia rimossa giaceva inerte al suolo e la chioma dell'albero era intatta, non ne aveva mangiato nemmeno una foglia. Comunque era qualcosa di grosso e di certo non sarebbe stata un'esperienza gradevole ritrovarselo davanti.
    in seguito, un terzetto di primati sfilò in lontananza proprio di fianco all'uomo: piccole creaturine umanoidi simili a macachi dal pelo folto e scuro, procedevano in fila indiana con le code dritte e quelli che a prima vista parevano frutti di un rosso vivo, grondanti di succo. Raggiunto il punto in cui erano passate le tre creature, però, la scia di gocce che giaceva al suolo non apparteneva alla linfa di bacche o lamponi: era sangue. Ed a neanche cento metri giaceva al suolo un capriolo dal corto pelo nero sventrato ed eviscerato, con il cranio fracassato e la parte inferiore del corpo divorato per metà, ed ovviamente coperto da una torma di formiche che non ne avrebbero lasciato che ossa nel giro di una notte. Niente di così strano, dopotutto quella era una foresta... tuttavia l'animale non era altrettanto normale: anche se gli avevano ridotto la testa a ossa fracassate e cervella fuoriuscite, era visibile una dentatura che non aveva niente a che fare con un erbivoro, dato che si trattava di due fila di canini ben sviluppati, adatti alla mascella di un lupo, non certo di una specie di capriolo. Anche quello era un dettaglio abbastanza inquietante che doveva servire da avvertimento e da presagio: quella foresta non era normale.

    Nel giro di un paio di chilometri, perfino gli alberi iniziarono ad assumere un aspetto più preoccupante. Non si trattava di un cambiamento graduale, bensì di un'alterazione repentina, come se qualcuno avesse fuso insieme l'ambiente di diverse foreste per creare un'unico gigantesco ammasso di alberi e rovi. A chiazze, gli alberi sembravano provenire da una steppa o da una foresta temperata, con alberi adatti all'uno o all'altro ambiente che si ammassavano l'uno contro l'altro in contrapposizione con le altre specie. E di lì a poco, la seconda tipologia prese a dominare incontrastata, con esemplari di querce che raggiungevano un diametro ed un'altezza sbalorditiva. Ben presto, Brynjar scoprì di non essere più in grado di distinguere la chioma di certi alberi, tanto erano alti. Perfino i giganti avrebbero trovato enorme una foresta del genere...
    Il giorno volse al termine che non ci fu modo di trovare un angolo adatto a sostare per la notte. I primi richiami degli animali notturni sorpresero l'esploratore, che ora doveva decidere se accamparsi dove capitava oppure se proseguire fra le tenebre. Ma la notte non era solo sinonimo di stanchezza e di buio. Signifiacava sopratutto predatori notturni, ed il rischio di incontrare un essere capace di sradicare una quercia ed usarla come lima per le unghie...

     
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    Non aveva che percorso una manciata di passi, quando Brynjar si imbatté in un albero, non era sicuro di che tipo, del tutto sradicato e con una sezione del tronco dilaniata dagli artigli di un animale la cui forza non poteva fare a meno di ritenere considerevole. Qualunque cosa fosse stata, era assai più possente di qualsiasi predatore terrestre che potesse venirgli in mente; forse, forte perfino quanto un mostro di Etheria.
    In altre circostanze, avrebbe ritenuto questa scoperta affascinante. Ora, tuttavia, rimuginava su come avrebbe tenuto Medea al riparo qualora avesse dovuto combattere contro una qualche fiera locale. Non era una questione di vincere o perdere (aveva già abbattuto da solo mostri ben più grandi e forti) quanto di tenerla lontana dai guai senza al contempo doverla lasciare incustodita.
    Non fu stupito di trovare la chioma dell'albero pressapoco intoccata: una creatura dotata di unghie simili difficilmente poteva essere un erbivoro. C'erano due possibili interpretazioni rispetto a quei graffi, se così era ancora possibile chiamarli: o l'essere si stava limando gli artigli oppure stava lasciando un segnale, territoriale o meno che fosse stato.
    Ad una seconda ispezione, Brynjar cominciò a considerare la possibilità di avere a che fare con delle zanne, piuttosto che con degli artigli, se non addirittura dell'altro. Che cazzo era quella cosa?
    Prima di poter elaborare oltre, vide passare di fianco tre creature -scimmie, se non aveva visto male- trasportare quella che, ad un primo sguardo, gli era parsa essere della frutta. Proseguì seguendo la scia di quello che credeva essere succo, trovando alla fine del percorso la carcassa mezza consumata di un capriolo. Da lì, comprese che le scimmie dovevano essere pure almeno onnivore, con ogni probabilità necrofaghe.
    Lo sguardo si spostò sul cranio fracassato dell'animale morto. Subito dopo, sulle sue zanne.
    Zanne.
    In un capriolo.
    « Ma dove caspita ti ho portato? »
    Sussurrò ad una Medea incosciente, fissando lo spettacolo dinanzi a lui. Doveva ridere o piangere? Senza contare che, fosse stata solo un po' più fresca, parte di quella carne sarebbe potuta diventare la sua cena, risparmiando sulle razioni dell'Accademia che si era portato dietro. Anche a volerlo liberare delle formiche e a cucinarlo col fuoco, quel capriolo in necrosi sarebbe stato ben poco appetibile.
    Forse, però, quelle scimmiette...
    ...quelle scimmiette non le trovò più. Circa un miglio di cammino più tardi, la foresta cambiò d'improvviso il suo aspetto. Per quanto non fosse certo un botanico, anche ai suoi occhi fu evidente di quanto eterogeneo era appena diventato quell'habitat. Solo poco più tardi la flora tornò ad essere in qualche modo uniforme, nonché con alberi sempre più grossi e alti. Querce che parevano quasi sequoie.
    Non fu in grado, alla fine, di trovare qualunque cosa ci fosse stata all'altro capo di quei fili tranciati prima del tramonto. Nel frattempo, altri animali, quelli più crepuscolari o notturni, iniziarono a muoversi nei dintorni. Fra di essi, se il "capriolo" e le scimmie potevano essere usati come un vago riferimento generale, alcuni di essi avrebbero potuto vedere in lui e Medea un possibile pasto.
    Era tempo di accamparsi. Una volta trovata uno spiazzo sufficientemente largo, e raccolta una quantità sufficiente di legna di varie dimensioni ed eventuali foglie secche da usare come esca, non sarebbe stato difficile per Brynjar accendere un piccolo falò. Spica, intesa come la divinità che lo aveva preso sotto la sua ala protettiva prima di giungere su Suspiria, gli aveva insegnato le basi della magia delle fiamme. In Accademia, l'aveva affinata fino a poterla perfino insegnare. Tanto fuoco quanto ne sarebbe scaturito accendendo un fiammifero non avrebbe intaccato minimamente le sue riserve magiche, ma sarebbe stato, sperò, sufficiente ai suoi scopi.
    Posò Medea ai piedi del fuoco, distendendola sul terreno. Vi si sedette di fronte e, mentre addentava una razione, attivò il proprio chip di Comunicazione Ferale. Non l'avrebbe protetto dalle intenzioni delle bestie che si sarebbero avvicinate al fuoco, ma gli avrebbe permesso di farci, se possibile, quattro chiacchiere.
    Se non avesse trovato umanoidi nella zona, si sarebbe limitato a... chiedere a qualcun altro.

    Brynjar LloydNote: il chip di Comunicazione Ferale funziona esattamente come una passiva di comunicazione con gli animali, appunto.


    Edited by Kuma. - 5/5/2016, 00:29
     
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    Non c'era nessuno granché disponibile a fare quattro chiacchere, in quella strana foresta i cui alberi raggiungevano le dimensioni di cattedrali a misura di ciclope. Il fuoco sembrava tenerli a bada, o almeno sembrava funzionare riguardo quelli più piccoli. Il problema era che là fuori non c'erano solo bestiole di piccole dimensioni, di tanto in tanto la sagoma di enormi canidi si esponevano al riverbero del fuoco, ed era possibile distinguerne vagamente la sagoma. Lupi? Se di lupi si trattava, allora erano veramente grossi. E se c'erano caprioli con zanne da squalo, quali potevano essere le "novità" riguardo creature già di per se piuttosto pericolose come i lupi? Comunicavano fra loro, ma non era niente di bello da udire. « Carne... » sussurravano voci femminili, voci affamate. Ma anche strane, scosse. Voci che potevano appartenere ad una donna di mezza età imbottita di allucinogeni.
    Quando il fuoco iniziò a diminuire di intensità, necessitando di essere ravvivato con della legna, il viaggiatore proveniente dai lontani regni di Suspiria poté constatare di essere circondato su tutti i lati. Le voci erano tante, tutte femminili e spiritate. Appartenevano ad almeno una dozzina di gole diverse, e mano a mano si facevano più vicine. Il fuoco le spaventava, ma la fame le rendeva audaci. Ormai era questione di tempo: avrebbero stretto il cappio e sarebbero uscite allo scoperto, emergendo alla luce del fuoco. Quando si sarebbero esposte, la trappola sarebbe scattata ed il viandante avrebbe dovuto lottare per la sua vita, e per quella della fanciulla che gli faceva da fardello. Eppure, quando ormai l'inevitabile sembrava prossimo, accadde l'impensabile...

    « Il Re! » Gridò qualcuno. « Sovrano! Signore dei mille volti! »
    La foresta si scosse. Non erano solo i lupi che erano accorsi, richiamati come falene dalla luce di una lanterna, bramosi di un banchetto di carne e sangue di umano. Cento voci strillavano all'unisono, quasi tutte incomprensibili. « Re, » « Colui che Cammina di Notte, » « Portatore di Cambiamento, » « Fuggite! » « Fuggite! » « Fuggite! » « Morte! » « Morte! » « Morte! »

    I cespugli si agitarono, l'aria si caricò di tensione, le grida divennero una cacofonia unica.
    Infine la foresta esplose. Una parata di bestie dotate di ogni sorta di mutazione invasero la radura. Una fiumana vivente di creature in preda al panico! Lupi grandi come automobili e conigli a tre teste. Volpi dal manto argenteo i cui occhi rossi erano strisce di fuoco accese di panico, gufi dotati di ali che parevano metallo scuro, ratti grandi quanto cani con i ventri rigonfi di pustole di un rosso acceso. Tutti quanti fuggivano, disinteressati dell'umano, pure facile preda di una simile orda. Riempirsi la pancia non ha senso se poi si rischia di rimanere vittima di qualcos'altro. Qualcosa di grosso, terribile...
    Forse sovrannaturale.

    C'è un lungo istante di silenzio, dopo che quell'insensata parata di belve ha attraversato la radura e si è sparpagliata ai quattro venti. Un lungo, interminabile momento di quiete. La terra trema... un mormorio all'orizzonte, le foglie che sembrano vibrare di attesa. Sta per accadere qualcosa. Qualcosa di veramente pazzesco... qualcosa a cui nessuno vorrebbe assistere. Perché sarebbe senza dubbio l'ultimo, meraviglioso spettacolo a cui assisterebbe nella sua esistenza.
    Ai piedi di Brynjar, le foglie morte iniziano a marcire ad una velocità impossibile, come se una divinità capricciosa stesse portando avanti lo scorrere del tempo. Le braci avvampano di vigore rinnovato, ma ben presto esauriscono il combustibile e cessano di essere. La luce viene sempre meno... Infine, ai piedi del viandante, un fiore si fa largo nel marciume che lo sovrasta, si protende verso l'alto e sboccia all'istante. Un processo che normalmente richiederebbe ore, giorni o settimane che si compie nel volgere di pochi attimi.
    Sta arrivando qualcosa...

     
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    Nonostante il falò che aveva acceso, poté scorgere le sagome di alcuni enormi lupi fare capolino da dietro gli alberi circostanti. Non sembravano troppo intimiditi dal fuoco che, in ogni caso, non sarebbe durato in eterno. Aveva sottovalutato gli animali di quella foresta.
    « Carne... »
    Sentì loro mormorare, rivelando le bestie essere in realtà delle lupe. Nel peggiore dei casi, potevano avere con sé dei cuccioli; il che avrebbe reso loro avversarie molto più pericolose e tenaci di quanto già non sarebbero state. Qualcosa, però, gli suggerì che vi era un non so che di curioso nelle loro voci, una nota di agitazione che sapeva non tanto di determinato quanto, in un modo o nell'altro, di distaccato. Rabbrividì.
    Si pentì di non aver pensato a piazzare delle trappole, tutt'attorno.
    Calma.
    Impugnò con la mancina il suo scudo, la Tartaruga Gigante delle Galápagos, e cominciò a contare le voci attorno a lui. Dodici, ad occhio e croce, o forse perfino di più. Caute ma affamate, queste si avvicinavano di più ad ogni secondo che scorreva, mentre Brynjar plasmò nella propria mano destra una piccola sfera dalla bianca luminescenza. Se le lupe cacciavano in branco, rifletté, allora una ad una sarebbero state avversari forse più gestibili, ed egli su Suspiria era sempre stato piuttosto bravo a gestire grossi gruppi di mostri.
    Il ragionamento sarebbe filato, se solo fosse stato supportato da tutti quei suoi compagni i quali, nella maggioranza dei casi, si occupavano di sfoltire le fila nemiche mentre lui ne sopportava i colpi. Ora era da solo, con l'aggiunta responsabilità di dover impedire che anche un'inerte Medea venisse sbranata. Non che avesse comunque molta altra scelta.
    Fatevi sotto.
    « Il Re! » interruppe una voce. « Sovrano! Signore dei mille volti! »
    « Cos- »
    Non fu solo la sua attenzione a spostarsi, almeno per quell'istante, verso quell'urlo. La foresta si riempì di altri rumori, altre voci che si accavallavano e si coprivano a vicenda, cosicché Brynjar fece non poca fatica a distinguere le parole che venivano gridate nella notte.
    Quelle che sentì furono più che sufficienti.
    Chiunque fosse quel re, qualunque cosa fosse quella creatura che si muoveva solo con il favore delle tenebre, egli -od esso- era temuto abbastanza da scatenare il panico in ognuna di quei pericolosi esseri che abitavano quella foresta.
    Tant'era che il luogo parve esplodere pochi istanti dopo, con nuove urla che si aggiunsero al coro e che resero vano ogni successivo tentativo di riuscire a comprendere qualcosa, in mezzo a quel marasma. Fu in quel momento che diverse decine di nuovi animali fecero la loro comparsa nella loro radura. Tutte bestie che non aveva mai visto prima d'ora: altri lupi, forse perfino più grandi di quelli di prima, pantegane, volpi, gufi e conigli dalle caratteristiche più bizzarre.
    « Che diavolo sta succedendo? »
    Urlò, confuso, senza rivolgersi a nessuno in particolare. Superato lo shock iniziale, si precipitò verso Medea, assicurandosi che non venisse calpestata a morte da quella disordinata mandria. Mandria, perché pareva quasi di vedere dei bufali in fuga. Perfino le lupe che lo avevano circondato poco fa erano scomparse; scappate con ogni probabilità a propria volta.
    Non era sicuro di quanto tempo fosse durato quell'enorme ripiegamento; minuti o secondi, non li aveva contati. Seppe solo che, ad un certo punto, finì. Con lo scudo riposto un'altra volta dietro la schiena, e Medea tra le braccia, Brynjar prese qualche secondo per riprendere il controllo di sé stesso, prendendo respiri profondi e sentendo il suo cuore, che stava prima battendo all'impazzata, calmarsi pian piano.
    Solo per poi vedere le foglie cadute ai suoi piedi decomporsi in pochi istanti, come se all'improvviso avessero deciso di ritornare alla terra più in fretta. Osservò quindi il fuoco avvampare e spegnersi in un lasso di tempo altrettanto breve, e infine un fiore germogliare, crescere e sbocciare... Non trovò le parole per descrivere tanta rapidità.
    Doveva essere quel fenomeno da cui tutti quegli animali erano fuggiti. Si stava avvicinando.
    Accesa la torcia della sua sovra-armatura affinché potesse orientarsi al buio, spostò la donna sopra la sua spalla e, con l'adrenalina di poco fa ancora in corpo, corse via il più velocemente possibile, imitando l'esempio degli autoctoni. Si sarebbe fermato solo una volta sicuro che sarebbe cessato il pericolo, se di pericolo davvero si trattava.
    Ma non avrebbe corso rischi inutili.

    Brynjar LloydArcimago [Casting Istantaneo, Manipolazione Elementi: Fuoco/Terra (sabbia compresa)]
    Einheri [Bonus Velocità, Bonus Agilità, Bonus Resistenza, Movimenti Acrobatici (limitati)]
    Conoscenza della Zoologia
    Comunicazione Ferale

    Metto qui un po' di roba che Bry sa fare, tradotta in termini Endlossiani. Il resto, ammesso ci sia davvero, arriverà pure, appena capirò come "tradurlo" ed eventualmente se sia il caso di farlo in the first place.
     
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    La foresta era nel panico. Il fracasso si intensificò mentre Brynjar correva via, il corpo privo di sensi di Medea come fardello e la netta sensazione che qualcosa di brutto, di veramente molto brutto, lo stava incalzando da vicino, guadagnando terreno ad ogni istante indipendentemente da quanto rapido potesse essere l'Accademico di Suspiria. Quando finalmente il fracasso sembrò distante, l'uomo si rese conto che l'aria era un po' diversa, come più leggera. Era solo una sensazione illusoria: in realtà era il luogo da cui era appena fuggito ad essere più pesante, la pressione laggiù era più alta come se qualcuno avesse spostato verso l'alto la manopola della gravità terrestre. Cosa del tutto inverosimile, ovviamente... sebbene voltandosi l'impressione che un meteorite stesse sfrecciando fra gli alberi c'era, e non era niente di inverosimile bensì una spaventosa realtà.
    Era come se un incendio circolare si muovesse fra barbigli lontani, lasciando dietro di se una scia di fuoco azzurro che non divorava ma cambiava. Brynjar vide degli alberi a neanche trenta metri da dove si trovava che si agitavano e si scuotevano, come se fossero improvvisamente vivi. Non c'era vento, ma le foglie si scuotevano e danzavano, morivano e seccavano come se le stagioni si stessero susseguendo ad una velocità insensata. Sotto gli occhi del viandante in pochi minuti le querce divennero dei colori accesi dell'autunno, si spogliarono come in inverno, rifiorirono come in primavera e divennero rigogliose come in estate, salvo poi morire di nuovo, farsi piccole e adunche come corpi rinsecchiti e poi rinvigorirsi, protendersi verso l'alto e letteralmente CRESCERE! Le radici sfondarono la terra, vi emersero come vermi delle sabbie dei deserti di Arrakis protendendosi in cerca di nutrimento, alcune ghermirono le piante vicine come lottando per lo spazio vitale. Gli alberi troppo deboli cedevano il passo, le loro chiome continuavano a perdere foglie e riguadagnarle a velocità crescenti, finché non esaurirono la forza vitale e seccarono, in un processo che doveva richiedere decenni ma che si svolse nel volgere di pochissimi minuti. Era una scena impnotizzante, gli alberi letteralmente divoravano i loro simili più deboli, le radici sfondavano le cortecce trasformando in denso humus tutto ciò che non era in grado di resistergli. E quello che era già un esemplare poderoso di pianta perenne divenne ancora più titanica, svettando come giganti fra i giganti mentre la cometa azzurra proseguiva il suo cammino.

    Brynjar poté solo intuirlo dai suoni e dai versi frenetici, ma quella creatura -quale essa fosse- aveva in qualche modo un seguito. C'erano altre creature che seguivano la sua scia, uno sciame infinito di bestie simili a fuchi alle calcagna dell'ape regina, che correvano e gridavano, morivano e cambiavano come frammenti di metallo gettati in un crogiolo incandescente. Lui stesso, e Medea al suo fianco, avrebbero fatto quella fine se non si fossero mossi in fretta: preda di una forza superiore sarebbero probabilmente invecchiati fino a diventare polvere, tornati alla terra come nutrimento e poi riforgiati in qualcos'altro di tanto diverso da essere ormai irriconoscibile, neanche vagamente un'ombra dell'originale. Era uno spettacolo pazzesco, qualcosa al di là dell'immaginazione umana. E sebbene fosse passato, non era sicuramente qualcosa che procedeva in una traiettoria precisa, ma aveva tutta l'aria di una sorta di cataclisma casuale che al prossimo "giro" poteva benissimo travolgerli senza alcuna via di scampo. Era stata una fortuna trovarsi proprio sul bordo del suo tracciato, perché anche correndo con tutte le sue forze l'uomo di suspiria si era portato a poco più di una trentina di passi dall'orbita di quella sorta di astro mutevole, e la prossima volta poteva non godere di altrettanta fortuna.
    Era meglio non fermarsi. Era necessario uscire da lì al più presto possibile, allontanarsi in fretta per non rischiare di fare la stessa fine di quegli alberi schiantati dai loro cugini più forti oppure di mutare orribilmente in una bestia assetata di carne e interiora. Ma tornare sui propri passi era fuori discussione: là dove la creatura aveva calcato la terra ancora c'erano i segni del cambiamento, ed il suo codazzo era ancora in movimento, i ritardatari in preda ad una frenesia delirante potevano attaccarlo solo perché si trovava sul loro percorso, un ostacolo mentre tentavano disperatamente di riguadagnare la vicinanza al loro "Re". Brynjar adesso poteva solo andare avanti. Caricarsi Medea in spalla e proseguire, con tutte le forze di cui era in possesso, finché l'alba non giunge ed i primi raggi di un mattino pallido non perforavano gli alberi, ormai prossimi a cedere il passo ad una vasta conca nella terra, uno strapiombo che scendeva per molti metri e conduceva ad una piana totalmente invasa dalla presenza umana.

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    Una città di portata talmente vasta da annientare l'orizzonte in un oceano apparentemente illimitato di cemento, vetro e acciaio, dominata da sagome imponenti di colossali monoliti neri simili a minacciosi monumenti eretti a chissà quale Dio degli uomini o della scienza. si distendeva a volo d'uccello letteralmente per chilometri, cinta da cappe di fumi bianchi simili a nubi là dove le industrie all'opera avvelenavano l'aria rendendola irrespirabile. Brynjar non poteva esserne conscio, ma quella titanica cuspide infilzata nelle carni di una realtà squassata dal Warp aveva deformato una vasta porzione di un intero presidio, scagliando a chilometri di distanza montagne e foreste, sbalzando i laghi e dando prova di quanto sia futile disegnare carte e mappe in Endlos. Quando gli abitanti di Laputa avevano scoperto Klemvor avevano creduto che la città delle macchine fosse grande, ma perfino quel luogo non era nulla comparato a quanto si estendeva di fronte all'uomo di Suspiria ed alla sua compagna. E poi c'era di più: Klemvor era un guscio vuoto privo di vita, animato solo da autonomi privati di uno scopo e di padroni. Laggiù invece c'erano migliaia, forse milioni di anime! Era possibile che nel volgere di una notte la popolazione di Endlos era forse raddoppiata, attirando a se i destini di un intero popolo di naufraghi, probabilmente tutt'ora inconsapevoli di quale sorte fosse loro toccata...

     
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    Si era oramai convinto che avrebbe dovuto affrontare Medea in Accademia, e non in qualche territorio perlopiù inesplorato. Niente meno che una regione dell'Est, per giunta; e menomale che quello avrebbe dovuto essere il cosiddetto Presidio della Pace. Si chiese a quel punto come avesse fatto quella donna ad essere sopravvissuta ad ambienti più ostili senza essere nemmeno nel pieno delle forze e nonostante ciò farsi sconfiggere quando al massimo delle proprie potenzialità.
    Forse, pensò Brynjar, si trattava dell'ennesimo tiro mancino del Fato. Non che ci avesse avuto rapporti tanto idilliaci da circa cinque anni a quella parte. Tra l'altro doveva essere almeno la terza volta che questo cercava di ucciderlo il più lontano da casa possibile: prima a Rijks, dove ci aveva rimesso un braccio, poi con la faccenda dell'arruolamento e infine questo. Che qualcuno gli desse un po' di respiro, per l'amor del cielo.
    Sentì il frastuono aumentare in intensità ad ogni secondo che passava. Qualunque cosa lo stesse inseguendo, essa stava guadagnando terreno non importava quanto rapidamente stesse correndo. Con una persona in spalla e la stanchezza accumulata dalle ore precedenti di cammino ininterrotto che non aveva ancora avuto modo di recuperare, cominciò a sentirsi pesante, e goffo. In quei momenti, non nascose a sé stesso di aver accarezzato qualche volta il pensiero di lasciare indietro la donna e fuggire per garantire la propria sopravvivenza.
    Non la lasciò mai andare.
    Dopo un po', il fragore parve farsi più lontano. Senza rallentare il passo, si concesse un rapido sospiro di sollievo; il peggio doveva essere passato, suppose. Anche l'aria circostante sembrava essersi fatta meno opprimente, in qualche modo.
    O forse si trattava solo di una sua sensazione? Dalla sua posizione, Brynjar poteva ancora vedere quello strano fenomeno continuare a inghiottire la foresta, e tutto ciò che vi era al suo interno, nemmeno una trentina di metri più in là. Quel fuoco azzurro non stava consumando quanto piuttosto scombussolando i normali ritmi della natura, o almeno quelli che conosceva come tali. Vide tutte e quattro le stagioni alternarsi nel giro di una manciata di secondi, e nel giro successivo gli attimi nei quali prima era stato compresso un anno ora contenevano ora svariati decenti, ora addirittura secoli. In quei pochi istanti, diverse generazioni si sarebbero potute susseguire, regni avrebbero potuto sorgere e poi cadere. Lì si trattava solo di alcuni alberi che stavano lottando per il proprio posto nella foresta, ma gli ci volle comunque un notevole sforzo di volontà per smettere di fissare quello spettacolo tanto terribile quanto suo malgrado affascinante.
    Si voltò di nuovo e corse di nuovo il più veloce che poté nella direzione opposta rispetto a quel "sovrano" della notte. Ora riusciva a sentire anche degli animali al suo seguito, se così poteva definirlo. Né udì le grida, e il rumore delle loro zampe che calpestavano il terreno. Dovevano essere i ritardatari alla disordinata fuga di poco fa, bestie che non ce la facevano e che ne stavano subendo quindi le conseguenze. Più che un seguito, sarebbe stato probabilmente più corretto dire che stessero cercando piuttosto di precedere il loro "re". E lui non voleva essere al loro posto.
    Continuò a correre, perché anche se fosse riuscito a sopravvivere a questa brutta sorpresa, niente gli garantiva che sarebbe uscito vivo anche dalla prossima. Doveva uscire da quella foresta, e cercare aiuto altrove, anche a costo di dover girare tutto il resto del Garwec. Con un po' di fortuna, magari, sarebbe giunto a Chediya. Se fosse arrivato lì, avrebbe potuto farsi indicare da qualcuno la strada per Istvàn, e lì sarebbe stato a cavallo.
    Si rese conto di aver continuato per tutta la notte, attingendo alla forza che solo la disperazione poteva dare, solo quando scorse i primi raggi dell'alba.
    Quando vide quella città stagliarsi davanti ai propri occhi, dovette trattenersi dal lasciarsi andare e inginocchiarsi davanti a quella che sarebbe potuta essere la salvezza di entrambi.
    « Codec...? Medea, forse siamo arrivati. »
    Non che la ragazza potesse sentirlo, naturalmente, né era del tutto sicuro che quella fosse Codec, ma... No, in quel momento non era in vena di sottigliezze. L'unica cosa di cui gli potesse importare in quel momento era trovare qualcuno alle cui cure lasciare la propria rivale, e poi un letto caldo. Ma si sarebbe accontentato anche di un pagliaio, di una panchina, di qualsiasi cosa finché gli fosse data la possibilità di riposare le proprie membra.
    L'unico problema era lo strapiombo che lo separava da quella città. Oramai, però, Brynjar era arrivato ad un punto nel quale aveva visto troppo e gli mancava troppo poco per preoccuparsi di qualcosa di tanto mondano. Se non avesse potuto usare il proprio kit da Pathfinder, si sarebbe limitato a trovare un'altra strada. Doveva esserci un'altra via. Si era mosso fino a quel momento, trovarla sarebbe stato solo un ultimo, piccolo sforzo da dover sopportare.



    Edited by Kuma. - 23/5/2016, 13:00
     
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    Un sentiero c'era, sebbene costava al viandante un lungo percorso su di un sentiero fatto di terra arida e friabile a malapena sufficiente a far passare un carretto trainato da un asino. Era anche l'unica opzione percorribile da una persona con una donna caricata in spalla, pertanto c'era solo da rassegnarsi ad una lunga sfacchinata che sarebbe durata dall'alba fino al pomeriggio inoltrato. Mentre scendeva, la sagoma mastodontica della megalopoli che si stagliava all'orizzonte si fece più nitida, le nubi provocate dagli scarichi industriali meno fitte, e le sagome imponenti dei monoliti neri più distinte al sole pomeridiano. Quali fossero gli dei a cui erano intitolati quelle colossali strutture, che sembravano di livida pietra nera, di certo erano numi tutelari potenti e riveriti giacché circondarsi di un anello di architetture così ciclopiche non era cosa da poco. Certamente erano molto spartane per essere monumenti a degli Dei, su di esse Brynjar poteva intravedere solo dei numeri molto semplici e nulla più.

    Circa una parte su cinque della città era all'esterno di quei titani neri squadrati, e sebbene vista dall'alto non sembrava poi così diversa dal resto della città, entrandovi il viaggiatore scoprì la sua vera natura. Sembrava di trovarsi nella Stalingrado dell'immediato dopoguerra, il giorno dopo la fine dei bombardamenti quando la popolazione, stordita da tanta violenza, si ridestava con sotto gli occhi null'altro che macerie. Erano rimasti in piedi solo gli scheletri degli edifici più grandi, strutture scarnificate prive di finestre e spesso sventrate in più punti, mentre nelle strade giacevano ovunque macerie sbiancate dal sole ed un senso di desolazione da film americano sul vecchio west e le sue ghost town. Tuttavia quel luogo non era abbandonato: era fin troppo chiaro che si trattava solo del rivestimento esterno ridotto in rovina a causa di un qualche cataclisma, bastava aguzzare la vista ed oltre i canali d'acqua erano già visibili edifici in perfetto stato, la zona industriale della città. Non era semplicemente possibile che un'eventuale guerra avesse coinvolto solo una striscia esterna, risparmiando tutta la zona a ridosso dei moniliti neri e la parte più interna, a meno che non si trattava non di una guerra ma bensì di una demolizione controllata, anche se un occhio esperto avrebbe obiettato che c'era ben poco di controllato in quei palazzi squartati in più punti.

    Altro dettaglio che dava da pensare era l'eccezionale situazione di pulizia della zona. Non c'erano rifiuti per le strade, né corpi o rottami di automobili o mezzi. I pali della luce non erano abbattuti, anzi si stagliavano serenamente sotto il sole cocente, stagliando lunghe ombre come quelle di aghi aguzzi per le strade in stato di abbandono. Non c'erano frammenti di vetro al suolo, eppure gli edifici dovevano averne gettati a tonnellate per strada il giorno in cui erano esplosi. E poi non erano visibili graffiti, icone, cartelli di avvertimento o segnali di pericolo. Era tutto molto morto, e nulla più. Le prime anime vive che il viaggiatore finalmente riuscì ad incrociare apparvero almeno a prima vista tanto strane quanto fuori luogo, si trattava di un ragazzotto sulla ventina a braccia conserte, con indosso occhiali da sole, una camicetta stile hawaii rossa e bianca, pantaloni bianchi fin troppo larghi e capelli chiaramente ossigenati sparsi in una folta zazzera confusa e priva di senso. Sostava su di una panchina di fronte ad un monumento in pezzi, quella che in passato doveva essere stata la sagoma di una persona e di cui adesso rimanevano soltanto gambe e piedi su di un piedistrallo marmoreo, ed al suo fianco sedeva una ragazzina di dieci-undici anni con i capelli corti color cenere e quello che ad occhio e croce sembrava proprio un pijama beige, sensazione iniziale decisamente confermata dalle pantofole malconce che portava ai piedi, che apparentemente non era in grado di tenere fermi dato che seguitava a scalciare l'aria sotto la panchina con aria annoiata. Avevano l'aria di aspettare qualcuno -o qualcosa- e davano le spalle al viaggiatore, in apparenza ignari del suo approssimarsi...

     
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    Riuscì a trovare una via nella forma di una lunga e stretta mulattiera, l'unica strada che avrebbe potuto percorrere in sicurezza avendo in spalla un carico tanto ingombrante quanto fragile. Al contrario di quanto aveva sperato, anche quella fu una fatica tutt'altro che piccola: sebbene non fossero più minacciati da alcuna imprevista forza misteriosa e avrebbero potuto prendersela con più calma, Brynjar dovette camminare comunque dal sorgere del sole fino al tardo pomeriggio. Più volte si costrinse a resistere la tentazione di fermarsi e riposare per più di un'ora.
    Ma la città si stava facendo più vicina ad ogni chilometro che copriva, e tanto bastava a dargli la forza di continuare. Se non altro, aveva scelto il sentiero giusto.
    Era arrivato a distinguere meglio i contorni dei singoli edifici attraverso la coltre di smog industriale, e perfino a riuscire a vedere dei numeri su quei colossali monoliti; qualunque cosa fossero e a cosa servissero. In tutta onestà, a malapena si era posto la domanda.
    Giunse finalmente all'interno della città, o almeno al suo ingresso. L'area appariva essere in rovina, come se fosse stata il teatro di qualche recente quanto distruttiva battaglia. Gli edifici circostanti erano ridotti in macerie, e solo una piccola parte di essi manteneva ancora una parvenza di integrità. Si trattava degli edifici più grandi e resistenti, per l'appunto.
    Quella zona, rifletté Brynjar, doveva essere stata abitata un tempo. Forse lo era tutt'ora, ma in tal caso dove erano spariti gli abitanti? Dalla sua posizione, non riusciva a vedere una sola anima nei dintorni; era come se fosse finito in una di quelle città fantasma americane o in una qualsiasi città inglese dopo i bombardamenti tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Solo, in scala più estesa.
    Che anche Codec fosse stata investita in precedenza da quel... fenomeno?
    Si sforzò di guardare meglio e scoprì più in là, oltre i canali, delle costruzioni ancora intatte; fabbricati industriali, da quello che poteva vedere, poco oltre le steli nere. Fu in quel momento che egli, istintivamente, comprese.
    Barriere. La parte di città che stava al di fuori del complesso di monoliti era stata rasa al suolo o quasi, quella all'interno no. Ma quei numeri cosa rappresentavano? E perché quei blocchi non circondavano tutta la zona? Forse i numeri potevano indicare che l'effetto protettivo aveva un limite, o forse era del tutto fuori strada.
    L'area più "centrale" era pulitissima, in totale contrasto con la devastazione della periferia. Tutto era in piedi, e nelle strade non vi si poteva trovare una sola scheggia di vetro. Tuttavia, anche in quella parte di metropoli non c'erano persone in giro. Disastro naturale o no, ciò era a dir poco assurdo.
    Solo più tardi Brynjar si imbatté nelle prime altre due persone dopo diversi giorni di cammino. Uno era un ragazzo di più o meno la sua età vestito in modo molto casual e dai capelli chiari e disordinati. Insieme a lui una bambina di dieci o undici, con ogni probabilità la sorella o la cuginetta, in pigiama. I due sostavano davanti ad un monumento malridotto, e non stavano badando a lui.
    « Ehilà? C'è qualcuno che mi può dare una mano? »
    Chiamò, facendo bene attenzione che il T.A.S.T. fosse attivo.

    Note: Il T.A.S.T. è un dispositivo che permette di comprendere e rendersi comprensibile a qualunque interlocutore. Equivale a nulla più che un oggetto con passiva di conoscenza linguistica.
     
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    « Ehilà? C'è qualcuno che mi può dare una mano? »
    Il giovane sembrò accorgersi subito dell'approssimarsi di qualcuno, rizzò le antenne e si voltò, poggiando le ginocchia sulla panchina mentre di fianco a lui, del tutto indolente, la bambina seguitava a scalciare l'aria con le pantofole sporche e malridotte, che avevano l'aria di essere state usate un po' troppo al di fuori dell'ambiente domestico dove avrebbero dovuto trovarsi.

    « Dipende da che tipo di aiuto... »
    Rispose il giovane con modi guardinghi, sebbene decisamente stava fissando la ragazza che lo straniero si portava appresso come un sacco di patate.
    « ... E dipende dal perché lo chiedi. Non accetterei di avere a che fare con traffici loschi nemmeno in città, figuriamoci nei territori esterni. Piuttosto, vi conviene tornarvene dall'altra parte del fiume. Hanno avvistato un Gastrea, uno di quelli grossi. »
    Indicò col pollice la città nel chiaro, secco ed inequivocabile invito a togliere le tende.
    « Quella lì non è un po' vecchia per essere una cursed? Sei il tutore? »
    Adocchiò di nuovo la ragazza, ma era molto sulla difensiva. Decisamente Brynjar aveva fatto una brutta impressione, e come dar torto a quel giovane? Aveva davanti un tizio con tutta l'aria di uno che ne aveva viste di cotte e di crude, sbucato dal nulla e con una ragazza priva di sensi in spalla. Bisognava essere stupidi, oltre che ciechi, per dare fiducia a prima vista ad un individuo del genere...

     
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    Cercò di incrociare lo sguardo dell'uomo, per quanto fosse possibile farlo da dietro il vetro del casco della sovra-armatura da una parte, e gli occhiali da sole dall'altra, e gli rivolse un'espressione di supplica. Lanciò solo una breve occhiata alla ragazzina che gli sedeva accanto, notandone giusto le pantofole malridotte. In un posto e in una situazione simile, però, non diede alla cosa troppo peso.
    « Dipende da che tipo di aiuto... »
    Si voltò a propria volta verso Medea -o almeno ciò che poteva vedere di lei in quella posizione-, per poi spostare di nuovo l'attenzione sull'individuo dai capelli chiari.
    « ... E dipende dal perché lo chiedi. Non accetterei di avere a che fare con traffici loschi nemmeno in città, figuriamoci nei territori esterni. Piuttosto, vi conviene tornarvene dall'altra parte del fiume. Hanno avvistato un Gastrea, uno di quelli grossi. »
    Esitò per un momento con aria confusa. Poi realizzò come, in effetti, trasportare una donna priva di sensi in spalla potesse essere fraintendibile ad occhi esterni. Sbatté più volte le palpebre, poi si riprese.
    « Medico. »
    Replicò, convinto.
    « Questa donna è ferita in modo grave, ed è ancora viva solo per un mio incantesimo, che però non è altro che una pezza. Conoscete per caso qualcuno che sia effettivamente in grado di curarla? »
    Poi? Cosa era un Gastrea...? Nulla di troppo pericoloso per i suoi standard, sperò, perché ora come ora non aveva bisogno altro che di riuscire a riposare almeno un po'. Si tolse il casco con la mano libera.
    « E un giaciglio sicuro per me. Un letto, un pagliaio, anche un pavimento; fatto sta che ho camminato per troppo tempo. »
    E dov'era, ad ogni modo, l'altra parte del fiume? Non aveva visto alcun corso d'acqua dal bordo della foresta.
    « Quella lì non è un po' vecchia per essere una cursed? Sei il tutore? »
    « Non ho idea di cosa tu stia parlando. »
    Disse con completa sincerità. Si sentì anche un po' spiazzato dal sentire dare della vecchia a una donna sui venticinque o ventisei anni. Fortuna che non poteva sentire. Ciò, comunque, significava forse che quella ragazzina, invece, fosse proprio una "cursed" e quell'uomo ne fosse il "tutore"? Non sapeva nemmeno di cosa si trattasse. E fino a che fosse riuscito ad ottenere ciò che cercava, non si sarebbe neanche curato di chiederlo.

     
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    « Una cursed child! Insomma, una mocciosa contaminata dal gene Gastrea! Come le chiamano nel tuo quartiere? »
    Tornò a squadrare Medea.
    « Quindi le hai dato dell'"incantesimo"? E' forse quel tipo di droga sintetica...? »
    Era più interessato alla ragazza che a lui, e combattuto fra la possibilità di imbattersi in qualche guaio e la necessità di sbarazzarsi in fretta di quella scocciatura, possibilmente uscendone con la coscienza pulita. Cacciare via quei due sconosciuti in difficoltà gli sembrava troppo rude, se poi si sarebbero imbattuti nel fantomatico "Gastrea" (qualsiasi cosa fosse) oppure fossero morti di stenti prima di raggiungere la civiltà poi sarebbe stata in parte colpa sua. Ma cosa più importante: non aveva idea del fatto che quello sconosciuto quando parlava di "incantesimo" potesse intendere proprio "magia", ma capirlo stava tutto alla prontezza di mente di Brynjar: la città sullo sfondo era chiaramente di tipo post-industriale, forse magia e stregoneria non erano proprio di casa nel posto, per quanto chiaramente su Endlos non fosse affatto una cosa tanto rara da destare stupore. Per il momento comunque era andata di lusso: il giovane aveva franteso e credeva che la ragazza fosse sotto gli effetti di una qualche droga, il che tutto sommato non era poi tanto lontano dalla realtà...

    « C'è un medico da queste parti, però non posso aiutarti a trovarlo: le cursed sanno che sono un cacciatore di taglie e quindi non si fidano di me, tanto più che sto per restituire ai mastini del governo una di quelle scappate dai centri di accoglienza. »
    Indicò col pollice la mocciosa seduta sulla panchina, che restituì uno sguardo vuoto.
    « Prova a bussare a qualche ingresso al sistema fognario e vedi se a te danno udienza, ma non aspettarti niente di buono. Se ti scambiano per un governativo avranno sicuramente troppa paura per aiutarti, tanto più che la tipa che ti porti dietro non ha proprio l'aria di una cursed... Altrimenti puoi aspettare con me. »
    Indicò un'ampia più o meno sgombra dalle macerie che aveva l'aria di condurre direttamente in città, fra cartelli segnaletici stradali in rovina ed edifici crollati per metà.
    « Entro un'ora dovrebbe arrivare un mezzo militare per riprendersi la mocciosa. Magari puoi chiedere loro un passaggio, riesci a convincerli che la tizia qui non è una cursed child... »

     
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    Di nuovo il nome "Gastrea", stavolta attribuito ad un gene; ciò significava che quell'animale, qualunque cosa fosse, infettava solo ragazzine? A quel punto gli venne spontaneo domandarsi se si trattasse di una creatura aggressiva e per qualche astrusa ragione parecchio selettiva, o se invece non ci fosse dell'altro dietro. Manipolazioni genetiche artificiali, per esempio, o qualcosa sul genere. Non era ancora dato sapere il perché e le conseguenze in soldoni di tutto ciò, ma sentirle chiamare "bambine maledette" non era troppo incoraggiante.
    Mentre macinava le informazioni a sua disposizione, Brynjar rimase a fissare il giovane per qualche secondo, perplesso.
    « Non le chiamiamo. Sono un forestiero, non abbiamo nulla del genere dalle mie parti. »
    Spiegò, stringendosi nelle spalle se avesse potuto.
    « Quindi le hai dato dell'"incantesimo"? E' forse quel tipo di droga sintetica...? »
    Sbarrò gli occhi, del tutto spiazzato. Quell'uomo aveva davvero appena detto "droga sintetica"? Strizzò gli occhi, inspirò profondamente con il naso e fallì infine nel trattenere uno sbadiglio.
    « Chiedo scusa. Comunque... non proprio, ma non è questo ad avere importanza. »
    Disse, decidendo di sorvolare su spiegazioni superflue.
    Nulla di strano, in linea di massima, nel non avere mai visto la magia propriamente detta in vita propria. La mancanza diventava un poco più inusuale, ma non implausibile, quando nel contesto di una dimensione tanto permeata dal sovrannaturale come il semipiano di Endlos. Disarmante, tuttavia, era non averne neppure il concetto. Nonostante fosse cresciuto egli stesso in un contesto "moderno" come poteva esserlo l'Inghilterra del terzo millennio, anche Brynjar, perfino prima ancora di incontrare Helen Kleinveld per la prima volta, riusciva a concepirne l'idea generale. Si trattava di pura fiction, certo, ma qualcosa c'era.
    Come caspita avrebbe spiegato ora la situazione a chiunque avrebbe dovuto prendere Medea in cura?
    « Detto fra noi, preferisco evitare di invischiarmi in faccende che non mi competono. »
    Sia perché in Accademia gli avrebbero come minimo levato la pelle, sia perché a priori non pianificava di restare lì a lungo, e schierarsi da qualsiasi parte non gli avrebbe fruttato alcun beneficio di sorta.
    « Per questo vorrei che tu mi spiegassi questa storia delle cursed children, e perché il... governo stia dando loro la caccia. Proprio per scongiurare il rischio di commettere errori dovuti alla mia ignoranza di questo posto e delle sue regole. Se la cosa non ti crea fastidio, chiaro. »

     
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    Un importante dettaglio traspariva dai lineamenti del giovane, e per una persona dotata di orgoglio era più difficile accettare quella possibilità piuttosto che notarla. Lo gridavano le sopracciglia sottili lievemente inarcate, lo sguardo obliquo e quel modo in cui aveva appena percettibilmente storto gli angoli della bocca per ben tre volte alle parole di Brynjar: quel ragazzo era convinto di avere di fronte una persona drogata fino agli occhi, e non poteva essere altrimenti! Probabilmente all'accademico mancava un qualche dettaglio, si era perso qualcosa di importante, di fondamentale. Qualcosa a cui non era ancora arrivato, qualcosa di cui il suo giovane interlocutore era completamente all'oscuro e che dava un senso di delirante alle parole del viandante, tanto delirante da potersi spiegare solo con una bella dose di sostanze psichedeliche endovena.

    « Okkey, okkey, rallentiamo un attimo... »
    Il ragazzo si massaggiò il collo, si guardò attorno e annuì raccogliendo le idee. Non poteva mollare quel tipo strano, anche perché non poteva abbandonare il posto dato che stava aspettando i governativi perché recuperassero la mocciosa. La cosa migliore da fare per lui era soddisfare le domande dello sconosciuto e sperare che se ne andasse per la sua strada, portandosi via i suoi problemi senza coinvolgerlo.
    Sedette di nuovo sulla panchina, sotto lo sguardo paurosamente vuoto della bimba.
    « Facciamo finta che ti sei preso una botta in testa e ti sei perso gli eventi degli ultimi dodici anni. » Guardò la ragazzina al suo fianco e aggiunse: « beh, e dopotutto un ripassino di storia farà bene anche a te... »

    « Dodici anni fa. Pioggia di meteore, città in fiamme, interi mari in ebollizione. Questo te lo ricordi, spero. Insomma: anche chi ha vissuto su di una baita sulla cima di una montagna non può non ricordarlo! Beh, i meteoriti contenevano materiale organico, un virus che legatosi con fauna e flora ha generato l'emersione del "Gene Gastrea". La vegetazione si moltiplica in modo esponenziale causando cambiamenti climatici, piantagioni rovinate ed il novanta percento dei capi di allevamento mondiali trasformati in portatori malati del Gene Gastrea. Galline che diventano violenti predatori che continuano a cercare di sbranarti anche dopo che le hai decapitate, vacche grandi quanto autobotti che divorano i loro allevatori... E poi queste qui. »
    Indica la mocciosa, che restituisce uno sguardo vacuo.

    « La situazione di carestia che precede la prima guerra Gastrea porta a ben pochi controlli sul cibo che mangiamo e sull'acqua che beviamo. D'altronde i portatori malati del gene si riconoscono a prima vista, se provi ad uccidere un ratto per mangiarlo quello non tenta di ucciderti anche dopo che lo hai spellato. Ci sono però i portatori sani, quelli in cui il gene non si lega al DNA tramutandoli in mostri. Tu mangi carne infetta e... SBAM! La tua prole improvvisamente ha occhi rossi come quelli dei conigli, una psiche instabile ed il brutto vizio di tramutarsi in una bomba ad orologeria vivente... »
    Con dei modi piuttosto rozzi spalancò le palpebre della bimba, che gemette a malapena, senza reagire. Brynjar vide bene gli occhi rossi di cui parlava, che erano davvero diversi anche dalle iridi tipiche degli albini: sembravano piuttosto iniettati di sangue.
    « Le Cursed Child portano con se tratti dell'ospite originale che le ha trasmesso il DNA. In pratica sono in parte umane, in parte Gastrea, in parte l'animale che le ha trasmesso il gene. Sono tutte quante femmine, il modo migliore per nascondere una Cursed è metterle delle lenti a contatto e vestirle come un maschio. Questo vale finché non subiscono stress troppo forti, oppure finché non invecchiano. Il gene Gastrea le fornisce una capacità di rigenerazione che ha del pazzesco, puoi mozzarle un braccio e le ricresce nel giro di un paio di giorni, ma al prezzo della loro già precaria sanità mentale. Impazziscono! Vanno fuori di testa! E provano anche ad ammazzarti, se ne hanno la possibilità. Ma la cosa peggiore è che... »
    Ridacchiò, come se trovasse la cosa divertente.
    « La cosa peggiore è che quando invecchiano, prima o poi il gene Gastrea salta fuori. Puoi ritardare il processo evitandole situazioni di stress, ma prima o poi il timer della bomba ad orologeria punterà sullo zero. E quel giorno... anche uno scricciolo come questa qui finirà col trasformarsi in un mostro irrazionale, violento e quasi immortale. E' per questo che il governo le rastrella e le confina in certi istituti... E qui entrano in gioco persone come me, cacciatori di taglie costretti ad aspettare sotto il sole cocente delle zone limitrofe l'arrivo di un blindato dei governativi per pagarsi l'affitto. »

     
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