Accampati sotto al gelo

Ero stanchissima ed era il tramonto.
Avevo vagato per non sapevo più neanche io quanti giorni, mi sentivo svenire per la stanchezza.
Ronaaz fece un piccolo grugnito di incoraggiamento mentre io mi sedevo accanto a lei, che era sempre così calda. Per lei vivere vagando non era un problema: anche se era una cucciola aveva dei buoni istinti e si lanciava in tutte le pozze dell'acqua per rubare qualche pesce che poi mangiava felicemente.
Da quando ero arrivata lì, su quello che mi pareva si chiamasse Endlos, io invece non riuscivo più a mangiare animali. Riuscivo a sentirli, sapevo che avevano dei sentimenti e talvolta ci parlavo, anche se non rispondevano, e giuro che loro mi capivano.
Mi era impossibile pensare di mangiare qualcosa che provava sentimenti, mi metteva un enorme nodo dentro lo stomaco che mi faceva venire gli occhi bagnati.
Avevo letto da qualche parte che si chiamavano "lacrime", quelle cose acquose che sgorgavano dai condotti lacrimali, ma non avevo mai davvero provato cosa si sentisse a piangere.
Sbadigliai: avevo sonno ed eravamo finiti in un posto che sembrava una landa infinita di ghiaccio e neve.
Era tutto bianco.
Avevo, comunque, appena scoperto di amare il ghiaccio: creava delle forme geometriche incredibilmente perfette sulle rocce. Mi misi a giocare con il dito su una di quelle mentre Lok smangiucchiava delle foglie che gli avevo portato dal presidio Est.
Anche io avevo un po' di fame, ora che ci facevo caso, ma la stanchezza era superiore.
Se avessi dormito cinque minuti, anche se eravamo dispersi nel niente cosmico, non sarebbe stato un problema, no?
Eravamo riparati dal vento, dietro a quell'enorme roccia, e vicino c'era un ruscelletto che ancora scorreva. Se ci fosse venuta sete avremmo potuto bere.
Mi sdraiai su una zampa di Ronaaz, che mi avvolse con la sua coda, e chiusi gli occhi, beandomi del suo calore.