La Tempesta che Danza sulla Neve

Algor Mortis ~ Fase II

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  1. Feng Yang Leng
     
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    Passati che furono alcuni giorni da quando il vento e il gelo avevano formato il Bianco corpo del Primo, questi era tornato, dopo alcune peregrinazioni, prima fra tutti Laputa, alle fredde distese della tanto amata Etlerth, dove egli aveva una piccola casina fra le nevi, brillante come un diamante nelle sabbie candide.
    Quando, infine, fu giunto nella bella dimora, ecco che si perse in lontani pensieri, perché era inquieto, e il male che aveva sentito al suo risveglio ancora aleggiava in quelle terre e oltre; molto era cambiato nei regni di Endlos, e ora il bello e il brutto avevano nuove facce,e poche erano, ai suoi occhi, le cose il tempo non aveva mutato. Non seppe dire quanto a lungo era mancato, ma lo Splendore temeva un'assenza tanto grave da provare vergogna, e forse non a torto. Sicché, nella lieta magia dell'abitazione, mise mano agli ingredienti che aveva portato dal viaggio, e preparò dolci e cibi per le popolazioni che, sperava, ancora abitavano le lande gelide: era solito, infatti, recare nutrimento e conforto ai villaggi che visitava, ma donde egli venisse, quelle persone non lo sapevano, poiché ancora nessuno aveva scoperto dove avesse dimora, né il nome che portava, poiché egli non ne usava alcuno, preferendo curare e alleviare pene nel sorriso di un gesto senza gloria.
    E così, avvolto il mangiare in numerosi pacchetti, fece alzare un vento allegro, e ogni involto s'acquietò su di un piccolo carretto di gelido cristallo e si mise in marcia; camminava a passi leggeri e svelti, e accanto il vitreo veicolo lo seguiva, spinto da una brezza sottile che ne faceva muovere le fredde ruote.
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    Da che era partito, di buon mattino, il sole s'era levato alto ed era sceso sotto l'orizzonte, e le stelle brillavano algide e belle sulla neve, che riluceva, così, trapunta di lumi come un tessuto prezioso; per tutto il viaggio, la Tempesta sentì il cuore incupirsi, e più s'allontanava dalla casetta, più il malessere sembrava rafforzarsi, e nella notte senza luna era una presenza ormai forte e minacciosa, come se avesse seguito il Bianco Splendore nel tragitto, ogni volta raccogliendo maggiori forze e seguaci.
    Ma il Primo Guardiano non diede molto peso alle sensazioni, poiché dove era lui il male e le ombre non attecchivano, e attorno al santo corpo l'aria era bella e fresca, e la neve splendeva pura, e tutto era sereno.
    E tuttavia, pur temendo punto o poco per se stesso, aveva in cuore la paura che questa sensazione potesse seguirlo fin nei villaggi, e chissà cosa avrebbe fatto s'avesse trovato materia corruttibile.
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    Restò vigile nella lunga notte invernale, sperando che, col giorno incipiente, le ombre si diradassero anche dall'Etlerth, e fuggissero lontane; però il destino marci diritto, e la tela ordita non può essere disfatta, perché è il sentiero che tutti gli spiriti devono percorrere, e persino l?ordine dei Guardiani, che è un tutt'uno col Destino stesso, deve chinare il capo e seguire la Ruota del fato.
    Dunque, mentre ancora il Bianco vagava, sotto la notte morente corse un'anziana voce di donna, spaventata e piangente, e chiedeva aiuto e urlava ; attorno erano rumori come di ruggiti e lamenti.

    -Lasciatemi!!-
    Diceva, e la Tempesta accelerò il passo, grande essendo la pena nel cuore
    -No! Vi prego!-
    E furono strozzare urla di dolore.
    -...Le ho raccolte...per curarla...-

    Diceva, e le lacrime erano una cosa col sangue, che insozzava la neve notturna. Attorno a alla voce v'erano cani orrendi e innaturali, come la natura avesse distorto i suoi figli, sposa di uno spirito ingiurioso, e più la donna strillava, più questi ne straziavano le carni.
    Questo videro gli occhi del Guardiano, che stava dritto e duro come i ghiacciai, ormai giunto davanti allo spettacolo raccapricciante; batté il fondo del bastone Menelhen, che sempre era con lui, e risuonò, pur avendo colpito neve, come avesse colpito ghiaccio.

    -Che fate?-

    Domandò, e non vi era letizia nella voce, soltanto preoccupazione e rigore, perché vedeva in loro l'empietà della corruzione. Le bestie si voltarono rabbiose, e ringhiarono alla pura Essenza che stava loro di fronte, ma non l'attaccarono. Dalle ombre della notte, erano apparse altre creature, lente nel muovere i passi, ma in gran numero e fameliche: erano simili a uomini sciupati e abbrutiti dal male, e stavano come senza anima tutti attorno al Guardiano, e sembravano crescere ancora, e alcuni erano presso la vecchina: pestarono il suolo, e quella emise un altro grido:

    No! Le erbe per la mia nipotina! Come avete potut-!

    Prima che riuscisse a terminare il lamento, uno dei mostri le calciò il viso e quella, vomitando sangue, cessò di muoversi e di fare versi. L'aria intorno alla Tempesta, allora, si fece assai più fredda e luccicava di polveri, e la neve in terra cominciò a gelare. Non era allegro, non era leggero, ma parlava con un tono serafico e assente, come fosse morto:

    -Spostatevi, ha bisogno di cure.-

    Disse, e già il bastone sembrava animarsi di un gentile lucore: esso era, infatti, un'asta adamantina che s'allargava, in alto, per accogliere una sfera azzurra, nella quale ruotavano lente nubi e venti, tanto che, chiunque l'osservasse, non sapeva dire se stesse osservando il cielo al mattino o un'antica magia. Ma ora le nuvole erano bianche e fredde, e il cielo era l'inverno severo e falciatore di messi.
    Allora si levarono le bestie, perché era come se lo Spirito avesse voluto toglier loro una preda ambita e quasi del tutto catturata; saltarono contro l'antico giovane in una cupola ingloriosa e meschina, ma quello ormai aveva gli occhi freddi, e non brillavano del cielo allegro, ma luccicavano d'un bagliore gelido e tagliente, ed era lo sguardo della Morte.

    -Ho detto: spostatevi.-

    Agitò la mano sinistra, che non teneva il bastone, dal centro del copro al lato, quasi a voler scansare un'aria cattiva, e le creature furono disperse da un forte vento prima che toccassero il Guardiano, cadendo in terra sul duro ghiaccio che ora ricopriva gran parte della zona contesa. Mentre l'Eterno muoveva il secondo passo verso la povera vecchina, queste tornarono in un secondo assalto, e gli altri mostri stavano già animandosi per accerchiare la Tempesta e catturarla. Questa piegò un poco il capo da un lato, e sul volto algido le labbra erano chiuse in un silenzio amareggiato: batté di nuovo il bastone, e il rintocco freddo come acciaio mosse il ghiacciaio che aveva coperto la neve, e lance cristalline vi uscirono, e i cani restarono sospesi a guaire morenti, impalati dal freddo potere.
    Al terzo passo, i mostri pigri s'animarono come bambole assassine, e con calci e pugni e morsi andavano verso il Guardiano: egli, però, non vedeva più uomini, ma semi del male da mondare; sicché portò in aria il bastone, tenendolo ritto on la destra, e i suoi occhi erano bianchi e radiosi come stelle nel buio, e così pure l'azzurra pietra Menelhen, la vera arma del Primo era infatti questa, non già l'asta di diamante, splendeva pura di una radianza ultraterrena. In un attimo, dalla sfera promanarono scie lucenti contro le aberrazioni, e ne trapassarono le sozze carni, facendole gemere e contorcere, perché la Luce era Santa, ed era il Potere del Primo Guardiano. E così molte creature caddero al suolo, riverse nel silenzio di Morte; ma altre erano sopraggiunte, come fossero un mare che riversi a rive pattume ad ogni ondata.
    La Tempesta si mosse in fretta col quarto passo, e a modo di una danza antica roteava il bastone su cui la sfera non era più, perché s'era allungata e assottigliata, ed era adesso la falce del mietitore d'anime: passava le carni dei mostri che colpiva, come fendesse l'aria invece di corpi, ma ad ogni falciata moriva un pezzo d'anima e nervi, e quelli crollavano zoppi o paralitici, e alcuni più non si muovevano.
    Infine fu presso la vecchina, e il vento la portò in alto, oltre la battaglia, e una luce l'avvolgeva a benedirla: il Primo Guardiano stava al centro, a difendere la vittima, e le grandi ali erano ormai spiegate e tese, e sulla tunica bianca brillavano segni gelidi, ma questa non era lorda d'alcuna cosa; il bastone fermo in posizione d'offesa, con la sfera ancora mutata, da falce facendosi ricurva lama; nell'aria il gelo totale, e la santità di un potere luminoso e Buono. Poi parlò, dopo momenti muti che parvero secoli:

    -Arretrate, progenie dell'abisso. Lasciate queste terre, o verrete mietuti dalla Tempesta.-

    E fu un nuovo assalto quando la voce si spense. Ma il giorno, ormai, aveva tagliato la notte, e l'Etlerth guardava un'Aurora benedetta, perché Feng Yang Leng, la Prima Essenza, aveva svelato le nuvole di cui s'ammantava, e brillava forte, lui che dei Guardiani è l'Aurora, a proteggere apertamente quella terra.

     
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    { Presidio Nord, Etlerth }
    pov – Revair

    Era in ricognizione tra i ghiacci della tundra che la sua gente chiamava Uthgardt, ma che in altri dialetti era nota come Etlerth. Un verso acuto che proveniva dal cielo plumbeo lo guidava tra le conifere e i laghi gelati: il falco che lo accompagnava in quella battuta di caccia sorvolava l’intera regione, indicandogli infallibilmente dove si trovavano le prede. Si muoveva tanto in fretta sulla neve da rivaleggiare il galoppo del suo cavallo, che malvolentieri aveva lasciato nella stalla; addentrandosi in un territorio ancora fittamente contaminato, il rischio di perdere un altro stallone era troppo grande per concedersi il lusso di viaggiare in sella.

    I suoi uomini erano rimasti nell’accampamento stabilito nei pressi di Valiinorê, per difendere donne e bambini dalle possibili nuove ondate della Piaga. Per quanto quella regione del Koldran fosse stata bonificata nei mesi precedenti grazie allo sforzo congiunto dei mercenari, del suo Clan e di agenti ignoti che sospettava provenissero dal Meridione, non si poteva mai abbassare la guardia: i Re Lich calcavano ancora le terre del Nord, e con essi la sciagura dei non-morti era ben lungi dall’essere sradicata.

    Fidandosi dei tipici stridii del rapace, quell’uomo dalla lunga chioma d’argento saettava da un manipolo di zombie al successivo, mietendo le loro non-vite prima ancora che potessero digrignare le mascelle putrescenti. Un bizzarro costrutto argenteo aveva sostituito il suo braccio sinistro e bastò quella metamorfosi parziale per affrontare le infime pedine dei Lich.

    « Ottimo lavoro. »

    Si congratulò col falco non appena questi tornò a poggiarsi sul suo braccio ancora umano. Non indossava un parabraccio da falconiere perché gli artigli affilati non riuscivano comunque a scalfire le sue carni. Mentre lasciava sgocciolare sulla neve i fluidi putridi di cui si era intinta la sua arma, notò che nella foga della battaglia aveva raggiunto un altro viaggiatore.

    « Salute, viandante. »

    Vedendo ai suoi piedi i resti di altri orrori, capì che quel giovane albino aveva respinto un assalto diretto.

    « Noto che anche lei è stato colto da un contrattempo alquanto marcescente. »

    Probabilmente aveva tratto in salvo l’anziana che ora fluttuava in aria grazie ai suoi poteri arcani. Riguardo a ciò, notando tracce di sangue sulle sue vesti, a malincuore dovette affrontare subito una questione delicata.

    « Sebbene il suo intervento sia stato tempestivo, i morsi di quegli abomini condurranno presto quella sventurata a decadere e unirsi all’orda. L’ho già visto accadere più volte perciò - per quanto spiacevole - sarebbe auspicabile porre subito un termine alla sua sofferenza… »

    Con voce ferma e impietosita, si offrì con un gesto di provvedere
    a quel compito ingrato ma doveroso.

     
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  3. Feng Yang Leng
     
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    L'aurora splendeva sulla neve dell'Etlerth, spargendo la benedizione d'un giorno lieto su quelle terre, quando l'ultima aberrazione venne falciata dal bastone del Guardiano. Non una goccia di quel sangue abietto aveva leso il candore del gelo, né il bianco delle vesti, perché la Luce del Primo cancella sempre il male prima che questo la sfiori, così che, come svuotati dei loro liquidi, i corpi stavano riversi in terra, a poco a poco avvolti da nevi e ghiaccio.

    La voce giovane dell'uomo che s'era avvicinato riscosse l'animo della Tempesta, la quale, dopo averlo guardato per un momento col freddo bagliore santificato ch'aveva mondato la lordura, tornò al caldo azzurro del cielo dei suoi occhi, e sul volto non era composto giudizio, ma letizia; Col capo ripose d'essere stato trattenuto, e s'apprestava ad usare parole lievi e buon con lo straniero, ma quello disse di voler uccidere la vecchina perché, morsa dalle bestie, ne era stata infettata.

    -No!-
    Gridò, impaurito e teso, mentre la falce sul bastone tornava sfera
    -No, ti prego! Ha solo bisogno di cure, poverina!-

    Con la mano fece allo straniero cenno d'attendere, e piano piano sembrò ritrovare la serenità; allora il vento cominciò a spirare, accompagnando l'anziana vittima a terra, ma s'arrestò a mezz'aria, poco più in basso del petto del Guardiano, priva di sensi.
    La Tempesta impose una mano sul cuore di lei e si rivolse, sorridendo timido, allo straniero:

    -Guarda.-

    Si levò, allora, un denso fumo nero dove il Guardiano aveva poggiato la mano, e la sozzura prese la forma di un diavolo che pareva ballare sulla vittima; ma il Buon vento di Settentrione spirò, e sciolse il male nel corpo di lei, demonio perdendosi nell'aria.
    Le ferite, però, ancora stavano orrende sulla donna, e benché, per quanto il Primo ne sapeva, non fosse più infetta d'alcun male, pure era dilaniata ancora, e in silenzio gocciolava sangue; e anche quello, vittima dell'incanto della Tempesta, non macchiava alcunché, sparendo quando abbandonava il corpo malconcio: ogni cosa, anzi, era più bella e splendida attorno al Guardiano, e dove fosse lui, non vi era Male, e ognuno sentiva nascere in sé sentimenti più concilianti e buoni.

    -Ora dovrebbero mancare solo le ferite.-

    La voce dell'Essenza era cortese e pura, perché non aveva accettato mai alcuna lordura, né il suo cuore poteva produrne alcuna, anzi essendo una fiamma radiante d'una Bontà inestinguibile. Ancora tenendo una mano sopra il petto di lei, e l'altra a stringere il bastone, il Guardiano lasciò fluire il Potere ch'era in lui; di nuovo s'alzò il vento, fresco e balsamico, un poco scompigliando le vesti della vecchina e i capelli suoi, ma era leggero, e pareva che nessun'altra cosa lì intorno fosse toccata dalla brezza. Mentre l'aria accarezzava il corpo ferito, le carni si riempirono di ghiaccio, finché tutta la persona non fu avvolta in un sudario gelido, come fosse il guscio che, al tempo, protegga il bruco e lo trasformi in farfalla: così era l'incanto, e presto dal cristallo si levò una bella luce a rischiarare la vitrea superficie; veniva, però, dall'interno, come fosse la signora a produrla.
    Allora la copertura s'incrinò e si fendette, facendosi poi polvere lucida che il vento mondò: ecco la vecchina pulita e sana, nel corpo e nelle vesti, e non portava alcun segno di dolore o danno, parendo piuttosto caduta in un sonno felice, che per un soffio scampata alla morte: tale era, per la grazia ch'aveva, la Bianca radianza della brezza.

    -Ora va meglio.-

    Disse il bianco ragazzo, e con la mano carezzò il volto di quella; le s'inchinò pure, a rispetto della sua vita. Il pericolo gli pareva ormai lontano, e mentre sorrideva al giovane straniero, avendo il cuore sereno e calmo, il carretto ghiacciato gli s'accostava di nuovo, carico dei pacchi di cibo a conforto degli abitanti.

     
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    { Presidio Nord, Etlerth }
    pov – Revair

    Il viandante rigettò la sua proposta con foga, aggrappandosi alla speranza che bastassero delle cure per debellare la negromanzia dei Lich. Pur consapevole della futilità dei trattamenti medici convenzionali, il capoclan decise di fidarsi della sincerità che intravedeva in quegli occhi azzurri. Tale aspettativa non fu tradita, giacché percepì chiaramente l’esorcismo del Male di cui era infetta l’anziana e il risanamento delle lesioni che avevano messo a repentaglio la sua vita.

    « Possiede doti notevoli, messere. »

    Commentò con genuina ammirazione, mentre la sua appendice argentea si contraeva e riassumeva le sembianze del braccio sinistro.

    « Mi chiamo Revair, sono il capo del Clan del Cavallo d’Argento, Ricognitori tra i Popoli dell’Uthgardt. »

    Ripeté la sua presentazione formale mentre solleticava il gargarozzo del falco con l’indice, una coccola che l’animale apprezzò molto.

    « Le sue capacità sarebbero ben gradite a Valiinorê, cittadina sulla catena del Koldran che si oppone a questa Piaga che dilaga nell’indifferenza di Najaza. »

    Il suo tono si ottenebrò non appena espose il nome della Città delle Stelle Cadenti, evidentemente rea d’ignorare l’emergenza in cui versava la popolazione settentrionale.

    « Là si raccolgono profughi e militanti, con cui il mio Clan ha deciso di collaborare per assicurare un futuro alle terre del Nord. »

    Un guaritore in grado di estirpare il morbo dei non-morti sarebbe stato indubbiamente un alleato prezioso per il fronte di liberazione, perciò sperava che la loro causa potesse smuovere i sentimenti di solidarietà di cui l’albino sembrava essere colmo.

     
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  5. Feng Yang Leng
     
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    La Tempesta fu sorpresa di sapere che quello ch'aveva affrontato era una vera e propria Piaga, e subito, col bianco capo, mostrò assenso accorato; Revair, così si era presentato il giovane, parlava di sfortune e chiedeva aiuto al Bianco, il quale, senza alcuna remora, si disse pronto a prestare soccorso a chiunque ne avesse avuto bisogno:

    -Al mio risveglio ho sentito il Nord avvolto dal male come mai prima d'ora, e forse adesso cosa di cosa si tratta.-
    Disse, un poco pensieroso
    -E' un piacere fare la sua conoscenza!-
    Si inchinò profondamente, delizioso e gentile
    -Io sono Feng Yang Leng, ma può chiamarmi Yang, se vuole.-

    Il sorriso della Tempesta era al tempo giovane e antico: nel sembiante tenero del suo corpo si nascondeva un grande Potere, e tutta l'aria ne era benedetta, al punto che era ormai evidente che vento e luce erano tutto attorno a lui e sulla neve, e che dove stava lui, ogni cosa era più bella e pura del normale, e il freddo pareva rinvigorire invece che gelare; accanto al Guardiano non c'era Male,e chiunque gli stesse nei pressi si sentiva sollevato e ristorato, benedetto dal Bianco Potere in lui.

    -Non sono mai stato sul Koldran, ma posseggo una casetta nelle distese ghiacciate dell'Etlerth! Se c'è bisogno del mio aiuto, andrò volentieri dovunque serva, a recare conforto e speranza, aiutandovi come meglio posso contro questo male.-

    Diceva, e nella musicalità pulita della parole era anche l'impegno e la promessa, tanto che sembrava aver pronunciato un giuramento o un incantesimo, piuttosto che semplici frasi. Benché fosse preoccupato e triste per la situazione del suo caro Nord, il Guardiano non lasciava che queste turbolenze ne oscurassero il viso candido, perché sempre l'amore e la speranza sconfiggono l'odio e la corruzone; non solo: ora che non apparteneva più ai LAM, aver ritrovato uno scopo presso quelle terre lo rendeva oltremodo felice, perché la gioia e la salvezza di tutti erano ciò che più lo animava.

    -Prima che mi addormentassi nel mondo, ero solito portare cibo e aiuto alle persone che vivevano nell'Etlerth! Questa mattina, infatti, avevo proprio intenzione di tornare a far loro visita! Ho preparato già qualcosa da mangiare per loro.-

    Sul carretto ghiacciato, i pacchetti che vi stavano erano infatti molti e belli, tanto che ci si poteva chiedere come facessero a restare tutti in equilibrio lì sopra. Si fece un attimo pensieroso, non perché avesse da temere, ma non riusciva a ricordare:

    -Non ho mai sentito parlare del Cavallo d'Argento, né dell'Uthgardt. In effetti, conosco poco di queste terre, se non gli stanziamenti ai quali portavo aiuti in passato, ma non ho mai chiesto chi fossero, era solo importante aiutare, non scambiarsi titoli.-

    Non vi era malizia nelle sue parole, né presunzione o inganno: era caro e puro, e parlava con animo buono e caritatevole, perché nell'amore e nella gentilezza non vi era posto per orgogli e sfarzo. Il Primo non chiedeva, non diceva: andava e confortava, poi tornava indietro come il vento che, spirata tutta l'aria buona nei cuori, cambi direzione per cercarne altri. D'improvviso, il ragazzo guardò il falco che Revair aveva al braccio, e gli sorrise:

    -Com'è bello!-
    Disse, amando già grandemente quell'animale, poiché cari gli erano tutti i piumati, specialmente falchi e aquile
    -Come si chiama?-

     
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    { Presidio Nord, Etlerth }
    pov – Revair

    Il giovane rispose alla proposta di collaborazione in modo entusiasta, dimostrando il buon cuore imprescindibile per chi si assumeva il compito gravoso di esorcizzare i malefici. Il capoclan fu lieto di scoprire che esisteva ancora tanta solidarietà in quelle lande ormai necrotizzate.

    « Il piacere è mio, messer Yang. Sono certo che il suo aiuto potrebbe rivelarsi estremamente prezioso. »

    Venuto poi a conoscenza dei suoi rifornimenti di viveri per le popolazioni locali, non poté esimersi dal rimarcare una possibilità tanto crudele quanto concreta.

    « Spero che non trovi un’amara realtà ad attenderla: purtroppo molti insediamenti dell’Etlerth - che la mia gente chiama Uthgardt - sono stati cancellati dalla Piaga. »

    Rokkanui, Rivethold e molti altri villaggi svuotati, rimasti solo nominalmente sulle mappe del Presidio Nord. La sua espressione trovò di nuovo un po’ di serenità solo grazie agli apprezzamenti rivolti al rapace che lo accompagnava.

    « Lo chiamiamo Veðrfölnir, come il falco seduto fra gli occhi della saggia aquila che si trova nella chioma del frassino Yggdrasill, l’albero del mondo. »

    Non si aspettava che messer Yang conoscesse la mitologia ereditata dalle genti dell’Uthgardt, ma di fronte alla desolazione dei ghiacci si sentiva in dovere di tramandare la cultura del suo popolo. Nel suo piccolo cercava di scongiurare la possibilità che il silenzio della Morte obliasse perfino gli dèi del Nord.

     
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  7. Feng Yang Leng
     
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    Incuriosito dalle parole di Revair, il Primo stette ad ascoltare paziente; solo quando quello parlò della grande desolazione, il volto Bianco un poco si spense, e si fece pensoso e triste; ma il falco portò il buonumore per un poco, e proprio da lì il Guardiano volle partire:

    -Io avevo un'Aquila, tanto tempo fa!-
    Gli disse cordiale, manifestando il proprio amore per i volatili
    -Ma sono molti secoli che non vola più accanto a me.-
    Sospirò malinconico e dolce, guardando il cielo
    -Si chiama Altaïr, e mi manca tanto.-

    Inspirò a fondo, chiudendo gli occhi; era come se volesse trovare un odore nel vento, o un ricordo nel tempo lontano della mente. L'aria si era alzata, e una brezza accarezzava la neve pura sotto i piedi del giovane, ed era un vento allegro e fresco, che donava vigore e gioia invece di fendere la pelle. La questione che Revair aveva portato al cuore della Tempesta, tuttavia, tornava ora a stringerlo in ambasce; il Bianco guardò l'altro pensieroso, gli occhi celesti che brillavano insieme sereni e indaffarati, la bocca chiusa nei pensieri. Infine parlò:

    -Non vi è modo di sapere quali tribù siano ancora presenti, e recare conforto a loro?-
    Con la mano libera si toccava il volto e il mento
    -Non sarebbe possibile cercare i superstiti e riunirli tutti in un'area sicura, per esempio la Valiinorê di cui lei parla?-
    Storceva bocca e naso per aiutarsi a pensare
    -Crede che le tribù accettino tale collaborazione? Forse potrebbe essere più semplice gestire i vivi e i morti.-
    Scosse un poco la testa, tornando sereno
    -Ad ogni modo, conosce la situazione molto meglio di me, perciò se ha già in mente come potrei rendermi utile, sono ansioso di aiutare più persone possibili!-

    Disse, e sorridendo s'appoggiò al bastone con entrambe le mani, mentre il vento, spirando piacevole, gli scompigliava i bianchi capelli; l'aurora s'era volta nell'alba, e già il sole faceva capolino sui ghiacci dell'Etlerth.

     
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    pov – Revair

    Prendendo alla lettera quanto detto da messer Yang, si poteva dedurre che non fosse un umano convenzionale ma bensì un essere plurisecolare. Revair era avvezzo a quel tipo di rivelazioni, essendo lui stesso differente dalla norma, perciò non si scompose particolarmente. Assunse invece un’espressione pensierosa quando gli fu chiesto un parere sulle altre tribù barbare.

    « Oltre al Cavallo d’Argento, i Totem che ancora calcano queste terre sono cinque: Lupo, Orso, Civetta, Corvo e Volpe. »

    Grazie alla sua connessione con Sleipnir, il Cavallo per antonomasia, riusciva a percepire chiaramente i grandi spiriti che ancora vegliavano sul Nord.

    « Le altre tribù dell’Uthgardt diffidano degli Stranieri e sarebbero restie ad allearsi con i mercenari di Valiinorê. Certamente potrei intercedere io, ma purtroppo i rapporti che al momento intercorrono fra i diversi Clan sono alquanto complicati. »

    Per la prima volta mostrò un sottile disagio, segno che le dispute in corso erano ben più gravi di quanto gradisse esprimere a parole.

    « Finché l’Enclave di Najaza o i Re Lich non usciranno allo scoperto, dubito che potremo contare sul loro supporto. Fino ad allora confido che i rispettivi berserkir proteggeranno i loro Clan dalla Piaga, perciò i nostri sforzi dovrebbero concentrarsi sull’evacuazione dei pochi villaggi che ancora resistono: con un’adeguata scorta i profughi potrebbero raggiungere Valiinorê e facilitare la nostra crociata. »

    Senza più “materie prime” con cui rinfoltire le loro fila, gli eserciti di non-morti sarebbero stati costretti a marciare verso l’ultima roccaforte che ancora si reggeva in piedi. In questa scacchiera Najaza era una pedina imprevedibile, giacché l’auto-isolatasi capitale fluttuante non pareva curarsi dell’imperversare della Piaga nei suoi domini, pur essendo evidente che prima o poi i Lich avrebbero guadagnato abbastanza potere per assediare Banebriar's Place… a meno che il governo del Nord non fosse connivente fin dal principio e intenzionato a trasformare l’intero Presidio in una landa di Morte.

    In questo scenario non sarebbe rimasta alternativa
    se non rovesciare sia gli invasori che l’Enclave.

     
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  9. Feng Yang Leng
     
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    Le notizie di Revair erano insieme dolci e amare: se, da un lato, le tribù avevano chi le tutelasse, dall'altro queste erano così poco fiduciose nel buon cuore di gente che non fossero loro stesse, da impedire un'alleanza. Restav, dunque, solo il Cavallo d'Argento a cercare di organizzarsi contro le brutture che attossicavano il nord. Certo era una cosa assai triste, e la Tempesta non sorrideva molto, preoccupata per le vite dei molti dispersi sui ghiacci. Che fare, dunque?

    -Non sarebbe possibile, allora...-
    Disse, il viso velato dai pensieri
    -... Organizzare questa scorta, a Valiinorê? Mi preoccupa grandemente la sorte di quei poveretti isolati nell'Etlerth...-

    Nelle bianche parole c'era tanto dispiacere e commozione, ed era come se il Primo volesse essere dappertutto, a mobilitare le tribù per unirsi a Valiinorê, e a Valiinorê per capire come gestire la Piaga che tanto stava ferendo il gelido Presidio. Comunque si guardasse alla questione, ci sarebbe stato chi rimaneva indietro, e perciò era impossibile salvare tutti allo stesso tempo: questo, che la Tempesta temeva più d'ogni cosa, sembrava ora così certo.

    -Credo di aver preparato abbastanza da mangiare; potremmo andare a Valiinorê e cominciare da lì, che dice? O le va di tentare la fortuna cercando i superstiti?-

     
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    pov – Revair

    Sarebbe stato troppo avventato organizzare un'evacuazione in due col rischio di essere sorpresi dalla notte. Per pianificare un esodo di massa sufficientemente tutelato da minacce esterne gli sarebbe servito ogni aiuto disponibile.

    « Certamente, messer Yang. La accompagnerò a Valiinorê e da lì predisporremo la spedizione di recupero. »

    Detto ciò preparò un bigliettino che legò alla zampetta del suo rapace.

    « Veðrfölnir ci precederà dai miei uomini per farci portare dei cavalli. »

    Fidandosi ciecamente del falco, gli fece spiccare il volo in direzione dell’accampamento sui monti Koldran. I due uomini si sarebbero poi incamminati verso le alture che custodivano l’ultimo baluardo del Nord, finché non sarebbero stati raggiunti da alcuni barbari a cavallo che li avrebbero fatti montare in sella a due purosangue.

    Da lì la strada sarebbe stata rapida e sicura,
    nonostante l'avanzata delle tenebre nella tundra.

     
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