Equilibri di Potere

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    Impeto e tempesta

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    "Frequentare i potenti è come dormire con una tigre."

    (Proverbio Cinese).


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    Shiju, capitale del Nishikaigan.
    Presidio Occidentale, Endlos.

    Sviluppata su poco meno di seicento chilometri quadrati di territorio pianeggiante e popolata dalla sproporzionata cifra -rispetto ai ridicoli agglomerati sparpagliati per il Nishikaigan- di cinquantamila abitanti, ridicolmente piccola se confrontata alle grandi Sorelle dell'Est, l'esotica Shiju era ancora in grado di sorprendere qualunque straniero vi mettesse piede. Antica di qualche secolo e dagli ambienti più lineari e spartani delle altre grandi città dell'Ovest, nonostante i materiali poveri di cui era fatta, osava infatti accostare al limpido cielo azzurro le tinte di acceso rosso sangue dei suoi palazzi e le strade in pietra -come anche le porte della città- sottintendevano quella solida tempra degli abitanti che il legno da solo non avrebbe mai ispirato.

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    Giungendo alla città, i superstiti delle Nove Famiglie -invitati ai festeggiamenti per l'incoronazione del nuovo feudatario, che già perpetravano da alcuni giorni- sarebbero stati accolti da un nutrito numero di dignitari e servi, così da esser scortati fino ai palazzi nobiliari a loro riservati in via del tutto eccezionale; era infatti usanza che ad ogni incoronazione vi fossero festeggiamenti per nove giorni ed altrettante notti, durante i quali la dinastia dei Vuist -Titani dei Picchi- offriva ospitalità ai propri pari con cibo, alloggi, servitù e divertimento in cambio di doni ed omaggi di ogni tipo e dimensione.

    Il palazzo dell'Alfiere, precedentemente destinato agli Aranwe, sarebbe rimasto tuttavia disabitato durante quel lieto evento, esattamente come i palazzi dei Nyaad e dei Komanari, dei Kuroi e dei Legacci; nonostante il cielo splendido, l'onta di quei lutti era calata su ogni singolo Nobile occidentale come una cappa oscura e densa così che -ad ogni passo- l'idea di una ritrovata pace avrebbe assunto i toni di un fastidioso fardello.

    La guerra aveva portato via non soltanto risorse ed energie.
    Erano rimasti senza onore, il loro prezioso sangue gettato ai porci.
    Il terrore di estinguersi quanto mai vicino.

    Decimati come stirpi e nelle stesse famiglie, in ciascuna dinastia gli uomini erano oltremodo ansiosi di giacere con figlie e nipoti di altri pari che non fossero fratelli o cugini, guidati dalla sola volontà di procreare abbastanza discendenti per non estinguersi del tutto. Consapevole di tale necessità, il nuovo signore Akihiko Vuist aveva concesso loro abbastanza giorni per vivere la festività nelle sontuose abitazioni, giacendo con novelle e giovani mogli per i fortunati e circondati da concubine offerte dal feudatario per i restanti, prima di riunirsi e discutere del futuro dei nuovi equilibri di potere.

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    Lui stesso, dopotutto, era convolato a nozze con l'ultima Nyaad in vita: Masuyo Odayaka, cugina della famosa eroina Odayaka Mira, anch'ella caduta durante il conflitto, giustiziata dal temibile Kikio-Ho.
    I più maliziosi avrebbero potuto immaginare una certa presa di posizione da quel matrimonio improvviso, nato forse dalla consapevolezza dell'effettiva esistenza di interi feudi rimasti vuoti, privi del loro Signore.

    Particolarmente devoti alle discendenze di sangue ed intolleranti all'idea che qualcuno macchiasse le loro linee dinastiche, avrebbero in ogni caso convenuto tutti -presenti e caduti in battaglia- che scelta saggia sarebbe stata dividere il territorio libero fra i Nobili rimasti in vita. Ogni superficie abitabile dell'Occidente necessitava di un Signore che vegliasse su di essa, così da non far gola a gruppi esterni o a folli sconsiderati quale il precedente dittatore.

    Con quelle premesse -e tutti i sottintesi del caso- sarebbe dunque iniziato l'incontro politico a pochi giorni dall'arrivo degli invitati, nel nono festivo dall'incoronazione -e matrimonio- di Akihiko Vuist e della consorte Masuyo Odayaka Nyaad.

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    Hitobito No Ken, Palazzo del Feudatario.
    Presidio Occidentale, Endlos.

    Succeduto al padre Dokuohtei Vuist, morto eroicamente durante l'ultima invasione di Sequerus, il giovane Akihiko aveva festeggiato la propria ascesa a Signore di Nishikaigan all'alba del primo giorno successivo al lutto, imposto tradizionalmente alla famiglia così che lo spirito del padre potesse raggiungere gli avi nell'Aldilà senza che gli fosse dato un motivo per voltare lo sguardo indietro.

    Presa in sposa la secondogenita dell'altrettanto defunto Azumamaro Nyaad, aveva ricevuto in dono di matrimonio dai Magistri del Presidio Errante e dai Saggi di Palanthas dell'Est un potente e misterioso artefatto a cui fu dato il nome di Pietra della Benevolenza. Dall'aspetto simile alla giada, era stata successivamente inserita nella tiara matrimoniale della Nobile Consorte come simbolo di potere, e fu probabilmente questa -quel giorno- la ragione del suo buonumore, comodamente assiso a capo tavola fra una marea di cuscini morbidi, ubriaco di gioia e splendente nei suoi abiti di seta, in grado di valorizzare alla perfezione l'evidente bellezza ereditata dalla madre. Nonostante la giovanissima età era infatti già famoso per il numero di cortigiane a cui destava incanto il suo solo aspetto: i lineamenti gentili -quasi affilati- e gli occhi a mandorla di un blu intenso gli conferivano un portamento fascinoso come pochi suoi avi nella storia.

    Inginocchiato al suo fianco, in una posizione arretrata rispetto al tavolo basso attorno cui erano raccolti i Signori invitati, vi era invece l'anziano Nobunaga. Famoso per aver militato a lungo come compagno d'arme e fedele accompagnatore del Signore defunto durante le battute di caccia, alla sua morte aveva assunto il comando dell'esercito al posto del giovane figlio, divenendo a tutti gli effetti il suo tutore finché non fosse cresciuto ancora di qualche anno. Nonostante l'età, i suoi capelli erano ancora folti e neri, gli occhi a mandorla tendevano al nocciola, impreziositi solo da una punta d'ambra. Anche lui, come la Nobile Consorte, aveva ricevuto dai sapienti stranieri una splendida spada di foggia orientale, abbellita da rilievi e pietre preziose.

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    -E' un onore, per il mio feudo, la presenza di ospiti tanto amati quanto illustri- avrebbe iniziato il giovane Signore, allargando le braccia in gesti eloquenti -Mi presento al vostro cospetto come Akihiko Vuist, del clan dei Titani dei Picchi e nuovo Signore del Nishikaigan.

    La gestualità, sebbene molto accentuata, mostrava una certa eleganza ed altrettanto sensuale era la sua voce, ben calibrata nei toni e dall'accento perfetto.

    -Siamo qui riuniti come da tradizione ...e con immenso dolore scopro adesso posti rimasti vuoti alla nostra tavola. Pregherò le future notti per queste anime e le loro famiglie estinte, e sarà mio interesse perpetrare gli insegnamenti degli avi che ci hanno preceduti, al solo fine di ritrovare la gloria che ci fu strappata anni or sono alla scomparsa dell'Alfiere Mio Aranwe.

    Terminato quel breve discorso, egli tacque, lasciando i convitati in un silenzio raccolto. Solo dopo alcuni attimi, Nobunaga si sarebbe mosso, stendendo sull'enorme tavolo in legno una lunga pergamena dai ghirigori d'oro ed argento. Sollevandosi sulle proprie gambe senza far rumore, avrebbe girato fra i presenti, distribuendo loro pennelli e boccette d'inchiostro.

    -Vi prego di terminare il rito scrivendo i vostri nomi su questa pergamena. Quando sarà finito, la servitù porterà via il documento e vi lascerà soli, così che possiate discutere di quanto vi aggrada.

    La voce era bassa e roca, perfetta per l'uomo sulla cinquantina quale era e con il volto deturpato dalle rughe e le cicatrici. Portava una benda su un occhio, probabilmente l'ennesima ferita di guerra in tanti anni di servizio.

    Quando ebbe terminato, tornò ubbidientemente al suo posto, rimanendo in pacato e paziente silenzio. Lasciando agli invitati tutto il tempo che necessitava a siglare la loro presenza in quella data storica.


    .Istruzioni

    Vi do il benvenuto in questa importante giocata politica.

    Come già accennato in privato, presenzierete interpretando le varie personalità politiche rimaste a governo dei feudi ad Ovest. Si tratta quindi dei Vuist inquanto Titani dei Picchi, dei Teeka dell'Isola di Berjaska, degli Amunhasses -custodi della Stele- e degli Svalinn -custodi della Seconda Reliquia, rispettivamente interpretati da me, ancora me, Madhatter e Kami della Falsa Speranza.

    Come è evidente, non è stato invitato Amon (perché non fa parte delle Nove Nobili Famiglie), ma durante la giocata è prevista un'interruzione (ed irruzione) di un altro giocatore. I turni non saranno sempre ordinati ed in alcuni punti sarà possibile saltare il proprio intervento, quindi occhio alle istruzioni che scriverò di volta in volta.

    Per ora, limitatevi pure a presentare il vostro Nobile (e la sua famiglia, se scegliete di citare anche i festeggiamenti precedenti all'incontro). Potete inoltre dire di aver raggiunto la capitale del Nishikaigan in uno qualsiasi dei primi otto giorni festivi.

    La sala in cui vi trovate è abbastanza spoglia ma particolarmente raccolta. Al centro della sala vi è un tavolo in legno molto basso (stile giapponese) e dei cuscini dove inginocchiarvi.

    Per ulteriori info... sapete dove trovarmi!



    Edited by Drusilia Galanodel - 23/10/2017, 17:19
     
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    TRUE LOVE IS POSSIBLE ONLY IN THE NEXT WORLD — FOR NEW PEOPLE. IT IS TOO LATE FOR US. WREAK HAVOC ON THE MIDDLE CLASS.

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    Fun'ya si mosse inquieto, all'interno dell'armatura cerimoniale.
    Era passato troppo tempo, dall'ultima volta che aveva sopportato il peso del ferro e del cuoio, e anche se ora le sue ossa erano molto più vecchie e stanche, non era la fatica a rendere il vecchio generale in pensione tanto insofferente.

    Mal sopportava quegli eventi mondani.
    L'aveva sempre fatto. Fin da giovane, quando poteva sentire il conflitto delle armate risuonargli nel petto, e pure da adulto, una volta nominato generale, quando era il genio stratega a doversi sforzare, al posto di muscoli e riflessi.
    Era la guerra la sua vita. La disciplina militare.
    Eppure, il nome della sua famiglia faceva si che una parte di quella sua vita dovesse, di tanto in tanto, occuparsi anche di mondanità, feste, giochi politici...

    Il vecchio generale, ormai in pensione, si mosse nuovamente all'interno dell'armatura, sospirando con insofferenza.
    Erano mesi che non riusciva a dormire.

    oscurità freddo fame l'oceano ti osserva ti scava dentro

    Fun'ya spalancò gli occhi, scuotendo la testa con decisione, ridestandosi dall'improvviso torpore.
    Quasi non cadeva da cavallo, con armatura e tutto il resto.
    Erano mesi che non riusciva a dormire.
    Una voce infestava i suoi sogni, ogni volta che la stanchezza aveva il sopravvento... un incubo, fatto di acqua gelida, di oscurità, di catene.
    E nell'incubo, ogni volta che stava per afferrare il significato delle parole che udiva... si svegliava di soprassalto.

    Aveva combattuto tutta la vita, e ora era convinto che la sua più mortale nemica, la vecchiaia, fosse riuscita a portargli via anche il senno.

    Aveva sperato che indossare nuovamente l'armatura lo avrebbe rinvigorito, a ricordo delle età più felici, e anche più semplici. Eppure, le vestigia che aveva dovuto indossare non erano altro che qualcosa di cerimoniale, più simbolico che pensato per uno scontro. L'armatura era intonsa, praticamente senza un graffio. Mai era stata utilizzata in guerra, e mai lo sarebbe stata. Le armature come quella erano pensate per far apparire minaccioso chi le indossava... servivano ad esaltarne i gradi militari, la casata... ma mai, mai a proteggere da un autentico scontro.

    Avrebbe preferito mille volte indossare la sua vecchia armatura, scheggiata e ammaccata in ogni sua parte, con la pittura che si scrostava e con il cuoio da rinsaldare.

    Il vecchio sospirò, lisciandosi la lunga barba grigia dopo esser sceso da cavallo.

    ~

    Ed è in quel clima di lutto, di festa, di matrimoni, che la riunione dei rappresentanti delle famiglie più influenti dell'Ovest era stata indetta... anche se sarebbe più corretto dire ciò che ne era sopravvissuto.

    Il nuovo Signore di Nishikaigan era giovane, e nonostante l'età, particolarmente inquietante.
    Fun'ya si sforzò nel non farsi intimorire da quello sguardo penetrante e da quei lineamenti affilati come la punta di una freccia, limitandosi a ricambiare il formale saluto con tutte le riverenze che l'occasione richiedeva.

    Con il giovane sovrano sedeva Nobunaga, che il vecchio generale conosceva di nome e di fama.
    Sul volto, e sicuramente anche sul corpo, portava i segni degli scontri vissuti, ogni cicatrice la prova dell'onore conquistato in battaglia.
    Il Titano dei Picchi era fortunato ad avere una guida simile, e avrebbe fatto bene a dar peso ai suoi consigli.

    l'oceano ti scava dentro ti osserva l'abisso osserva tutti la marea sta salendo

    Scacciando la stanchezza con una smorfia, il vecchio generale si chinò sulla pergamena, per siglare il suo nome e quello della sua famiglia.
    Ora era legato agli eventi di quell'incontro... qualsiasi fosse la strada che il destino aveva riservato per lui, ne aveva appena compiuto il primo passo.
     
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    Per quanti giunti a Shiju in occasione dei festeggiamenti, i nove giorni di opulenta ospitalità offerti dal neo-incoronato Feudatario avrebbero potuto avere un senso differente a seconda della propria indole, dei propri natali, o del proprio livello di consapevolezza e comprensione, non tanto degli eventi di cui l'Ovest era stato teatro e vittima, ma anche -soprattutto- delle conseguenze che queste avrebbe inevitabilmente comportato nel prossimo avvenire.

    I più sciocchi e superficiali vi avrebbero scorto solo un meritato assaggio di paradiso nella vita terrena, di cui approfittare avidamente dopo i lunghi anni di tribolazioni patiti sotto il controllo degli Usurpatori; i più austeri e intransigenti -o, semplicemente, i più profondamente toccati dal dolore della tragedia- l'avrebbero considerato una ostentazione irriguardosa nei confronti dei lutti e delle atrocità che la loro terra e la loro gente aveva subito, ma... per lui, che era un Saggio, l'essenza della verità non stava mai in una singola forma, perché essa è come l'acqua, e può assumere qualunque aspetto in base a ciò che la contiene; una diversità che diviene problema solo quando la sua ialina perfezione viene confusa e mischiata ad altre cose che la contaminano.

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    La Guerra era finita, ma era ancora prematuro -e forse anche ingenuo- credere di essere già in Pace: l'Ovest avrebbe dovuto affrontare molte trasformazioni prima di giungere ad una solida e rinnovata stabilità, e ora che la morte aveva allentato la sua stretta su quei domini, la gente sentiva il bisogno di tornare ad assaporare la vita – e i Nobili non facevano certo eccezione.

    Decimati dal Regime che li aveva prima schiacciati sotto un giogo di oppressione -in cui i dissidenti che rifiutavano di collaborare venivano abbattuti come ostacoli-, e infranti dai colpi della Resistenza dopo -che li aveva giustamente puniti per la loro colposa complicità con i crudeli disegni di Usama Kuroi e Kikio Ho-, delle Grandi Famiglie rimanevano solamente i vigliacchi, gli astuti e i fortunati: a sopravvivere erano stati principalmente coloro che avevano rifiutato di schierarsi o che avevano trovato una scusa per evitare di farlo... e mentre i suoi vecchi occhi contemplavano il bambino che lo accompagnava -tutto concentrato nel piegare meticolosamente dei piccoli quadrati di carta-, Zheng Amunhasses si chiese una volta di più a quale categoria potesse dirsi di appartenere.

    Come responsabile della custodia della Stele della Memoria, la sua stirpe non aveva altro compito che tenere gli archivi, tramandare la cultura tradizionale, e contemplare le recondite profondità dell'esistenza: erano degli intellettuali, ma di un tipo diverso da quelli che avevano lavorato per i Governatori -di nessun interesse per il loro “progresso”-, che erano stati più che bendisposti ad ignorarli;
    “non avevano bisogno della loro saggezza”: così era stato congedato da Usama Kuroi in persona, l'ultima volta che -anni prima- aveva cercato di parlargli.

    Lontano dal cuore del conflitto, il suo clan aveva portato avanti la propria missione, prendendo così testimonianza del progredire degli eventi, ed era per questo che la sua Famiglia era forse l'unica a non avere ora la necessità (quasi un obbligo morale) di salvare il proprio lignaggio dall'estinzione, impegnando ogni virgulto della propria antica pianta che ne fosse in grado a generare nuovi eredi... e, sempre per lo stesso motivo, i Custodi della Stele erano con ogni probabilità i soli ad aver intuito la natura e il ruolo che i Kami avevano avuto in quella guerra, e le potenziali conseguenze del loro infausto operato. L'aura maligna che ora infestava Sequerus era forse solo l'inizio, ma c'erano ancora molte cose da capire...

    Lo sguardo del vecchio si posò nuovamente sul faccino del bimbo che -suo malgrado- era stato il fulcro delle disgrazie del Paese: l'impronta energetica che gli aveva percepito addosso non era che un residuato fortunatamente inerte e superficiale, che tuttavia lui e molti altri monaci avevano rimosso solo dopo numerose repliche dei rituali di purificazione; una traccia innocua ma persistente, che lasciava intendere che il fanciullo fosse venuto a contatto con una creatura molto potente...

    E per quanto ciò avvalorasse la sua teoria che le nefandezze degli Usurpatori fossero stare ispirate o comunque incentivate dal favore dei
    Kami (che alcuni degli eroi della guerra avevano visto coi loro occhi), il bambino -insieme a cui aveva trascorso molto tempo, per ascoltare la sua triste storia di prigionia e trarne informazioni utili- non aveva incontrato altro che medici e scienziati, e questo poteva significare che quegli esseri, pur infiltratisi nello schieramento, fossero rimasti protetti da anonimato. Il che era singolare, data la natura dei Kami nota alla tradizione. A meno che non si trattasse di Kami. Ma allora, con cosa avevano avuto a che fare?

    jpg« Signor Zheng...? »

    A spezzare il filo del suo rimuginare fu la voce ormai nota del piccolo Elia, che gli stava davanti con sul viso quell'aria esitante e timida che sempre gli aveva visto fin dalla prima volta che lo aveva incontrato, all'uscita dall'Enclave: l'espressione di un animo gentile che convive con il timore e il senso di colpa di essere un fastidio per chiunque altro; lo rassicurò con il più ampio sorriso che la folta barba gli consentisse di mostrare, posandogli un carezza sulla testolina albina.

    « Qualcosa non va, giovane amico? »

    « Ehm, no... E' solo che... Naoko e Sayuri si sono offerte di aiutarmi con le gru, e... e non so se si può. »

    Un poco impacciato, il piccino abbassò lo sguardo sui propri piedini, mentre -oltre le sue spalle- le cinque geishe che Akihiko-sama (nuovo signore del Nishikaigan, e ultimo erede dei Vuist) aveva assegnato alla residenza destinata agli Amunhasses gorgheggiarono delle risatine piene di tenerezza dietro le ampie maniche dei kimono o al riparo dei bei ventagli dipinti.

    Solitamente consegnate agli ospiti per intrattenerli durante il soggiorno, in cui venivano spesso e volentieri sfruttate esclusivamente come prostitute e coppiere per servire il saké, le fanciulle erano state molto sorprese di esaudire alle richieste dell'anziano Amunhasses: estraneo ai problemi di discendenza che -al contrario- affliggevano tutti i suoi pari, l'anziano asceta non aveva desiderato da loro niente altro che la loro Arte... e non tanto per sé, quanto per l'infante che lo accompagnava.

    Stando a quanto aveva molto timidamente ammesso una volta interpellato, Elia non aveva mai visto le danze tipiche della loro regione, né aveva avuto modo di ascoltare le più belle ballate eseguite presso le corti dei nobili, e nei nove giorni che erano stati messi a loro disposizione, il piccolo aveva dimostrato grande interesse presso tutte le discipline che le fanciulle avevano avuto piacere di mostrargli e pazienza di spiegargli; e tuttavia, pur in quel turbinare di attività, non c'era stato un giorno in cui il fanciullo avesse dimenticato o trascurato
    la sua missione.

    « Ti viene in mente qualche ragione per cui non si potrebbe? »
    « N-non lo so... non è un po' come imbrogliare? »
    « Le signore si sono offerte spontaneamente di farlo, giusto? »

    Per colmare la diffidenza oltre cui Elia si era trincerato dopo esser stato affidato alla custodia della Famiglia Amunhasses, alcuni monaci erano riusciti a risvegliare il suo interesse dando vita sotto i suoi occhi ad alcune figurine tridimensionali semplicemente piegando un semplice foglio di carta; vinte a quel modo le resistenze della sua indole timida e dei molti traumi che aveva segnato la sua giovane vita, qualcuno gli aveva raccontato un'antica leggenda secondo cui chi fosse riuscito a creare mille gru -uccello simbolo di lunga vita- con la tecnica dell'Origami avrebbe potuto esprimere un desiderio...

    Il piccolo aveva appreso quella notizia con occhi sfavillanti di meraviglia, e da quel momento aveva accanitamente iniziato a creare uccellini di carta, tanto che -una sera- dei bonzo lo avevano finanche trovato appisolato fuori dalla sua piccola stanza, ormai invasa di gru al punto da non potercisi addentrare; tolleranti e rispettosi verso quel bambino che così già troppo aveva dovuto patire, i monaci gli avevano donato delle scatole di vimini dove conservare ordinatamente i suoi origami, e quando finalmente finirono di radunare le gru, e uno di loro -nel rimboccargli le coperte del giaciglio disseppellito- gli chiese quale desiderio lo spingesse a tanto impegno, già mezzo addormentato, il piccolo aveva biascicato la risposta con una tale innocenza da lasciarli colpiti.

    ...che Amon torni a prendermi.

    Tornando ad alzare lo sguardo per fissare l'interlocutore negli occhi, il bimbo annuì.


    « Allora sono sicuro che non ci sarà nessun problema. »

    jpg
    « ...ma, se mi aiutano, il desiderio si avvera lo stesso? »

    « Ti svelerò un segreto che ho appreso solo dopo tanti e tanti anni, fanciullo: i traguardi più felici da raggiungere sono proprio quelli dove non siamo lasciati soli lungo la strada. »

    Sollevato dalle parole del Saggio, il bambino si illuminò di un sorriso vivace, lo ringraziò con un inchino, e poi gli volse le spalle per tornare tutto contento dalle signorine e accettare con gioia il loro invito; dopotutto, mancava ancora qualche ora all'inizio della Riunione...

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    -E' un onore, per il mio feudo, la presenza di ospiti tanto amati quanto illustri! Mi presento al vostro cospetto come Akihiko Vuist, del clan dei Titani dei Picchi e nuovo Signore del Nishikaigan.

    jpgUna volta che tutti gli invitati al consiglio ristretto ebbero preso posto attorno al basso tavolo di legno di quella piccola sala dagli arredi spartani, le parole affettate dal neo-incoronato feudatario li accolsero con l'impeccabile cortesia di un navigato padrone di casa.

    -Siamo qui riuniti come da tradizione ...e con immenso dolore scopro adesso posti rimasti vuoti alla nostra tavola. Pregherò le future notti per queste anime e le loro famiglie estinte, e sarà mio interesse perpetrare gli insegnamenti degli avi che ci hanno preceduti, al solo fine di ritrovare la gloria che ci fu strappata anni or sono alla scomparsa dell'Alfiere Mio Aranwe.

    In effetti, pur contando l'onorevole Nobunaga, che accompagnava Akihiko-sama in veste di tutore, e per il piccolo Elia, che -al fianco di Amunhasses- proseguiva con dedizione la propria opera di creazione delle gru di carta, felice di ignorare i discorsi degli adulti e -per una volta- di essere da essi del tutto ignorato, il numero di presenti a quella che sarebbe stata la più grande svolta nella politica dell'Ovest stava sulle dita di una mano.

    -Vi prego di terminare il rito scrivendo i vostri nomi su questa pergamena. Quando sarà finito, la servitù porterà via il documento e vi lascerà soli, così che possiate discutere di quanto vi aggrada.

    Quando il veterano ebbe steso il documento sulla superficie del tavolo, distribuito ai Capi-famiglia inchiostro e pennini, e dato istruzioni sul da farsi, Zheng Amunhasses non fece altro che leggere con attenzione il contenuto della pergamena, per poi firmarla come era stato richiesto, impegnando in quell'incontro sé stesso e la sua Nobile Famiglia.

     
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    Hitobito No Ken, Palazzo del Feudatario.
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    Si diceva che, fra le Nobili Famiglie che dall'alba dei tempi si erano spartite il Presidio Occidentale, quella meno legata alle altre da parentele dovute a matrimoni combinati fosse la stirpe dei Teeka. Stabiliti a Berjaska -e dunque isolati- per molti secoli avevano praticato l'incesto, ricorrendo poi al rapimento di giovani fanciulle del loro feudo solo in caso di sterilità o malattie genetiche particolarmente gravi nei loro discendenti. Solo da poco più di un centinaio d'anni vi era stata una certa apertura dei loro confini, favorita dal commercio marittimo e da avanzate tecniche di pesca ma -nonostante l'avvicinamento- non erano mai stati nemmeno considerati dal regime dittatoriale di Kikio-Ho e Kuroi come alleati utili o nemici di cui preoccuparsi.
    Per tale ragione, considerati fra gli ultimi in linea prioritaria da "invitare" ad una annessione territoriale, avevano vissuto gli anni del conflitto in pace entro i loro confini, del tutto disinteressati a ciò che avveniva fuori. Unici legami -spesso conflittuali- erano infatti con i soli Svalinn, dovuti principalmente ai domini di alcune rotte commerciali marittime, per i quali avevano spesso sperato in una caduta per mano del nemico.

    Sta di fatto, comunque, che avevano nel corso della storia sempre risposto alla chiamata dei loro pari, e se per molti quella era un'ottima occasione per stringere alleanze e promettere matrimoni, per i Teeka assumeva maggiormente i connotati di una vera esplorazione, così da sondare il terreno politico e valutare le proprie scelte negli anni a venire.

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    Questo il giovane Hideo Teeka -succeduto da alcuni anni al padre, morto in circostanze misteriose- lo sapeva molto bene, pertanto non aveva mai declinato le offerte del nuovo Signore del Nishikaigan (nonostante fosse già sposato) preferendo ai più ovvi passatempi di un nobiluomo in presenza di giovani cortigiane il futile dialogo ed i pettegolezzi di cui quelle dovevano certamente essere esperte. Fu così che ascoltò storie della cugina della sposa, la famosa Odayaka, e racconti di guerra più o meno interessanti. Intuì anche un tentativo del ragazzino che li ospitava di mettere le proprie mani sulla confinante zona di Undarm, proprio grazie al suo matrimonio improvviso e sicuramente non programmato dai genitori.

    Alla luce di tali consapevolezze, indossati i suoi migliori abiti e pettinati i lunghi capelli di un biondo cenere che -nonostante gli occhi a mandorla ed i tratti tipici dell'Ovest- rendevano abbastanza evidente la lontananza genetica con il resto dei presenti, conferendogli dunque un fascino particolarmente esotico, si era diretto alla sala del loro incontro particolarmente di buonumore, felice di potersi presentare agli altri e discutere insieme del futuro del loro Presidio.

    Inoltre restavano ancora delle faccende in sospeso, fra cui territori rimasti incustoditi e -sicuramente- l'assenza di un Alfiere... la cui carica, per tradizione, doveva certamente spettare ad uno di loro.
    Ammetteva di trovare quel particolare allettante, tuttavia sapeva già che una discussione simile avrebbe implicato tornare sul tema di Mio Aranwe, e solo un pazzo avrebbe osato tirarlo fuori, vista la situazione generale.
    Meglio tacere, dunque, e limitarsi a fare ciò che gli veniva richiesto.
    Almeno per ora.

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    Hitobito No Ken, Palazzo del Feudatario.
    Presidio Occidentale, Endlos.

    Terminato il giro della pergamena, controllando che nessuno avesse dimenticato nulla, il nobile Nobunaga ringraziò i presenti con un profondo e sottomesso inchino, prima di retrocedere lentamente ed adagiarla chiusa sulle proprie ginocchia. A quel punto fu di nuovo il giovane Vuist a prender parola.

    -A tal punto, se mi è concesso, desidererei portare immediatamente alla luce il problema fondamentale che grava sulla pace di questo Presidio- lo disse con voce ferma ed autoritaria, forse un pò ingenuo nel credere che l'Occidente avesse un solo grande problema -Un gran numero di Feudi è rimasto privo di un Signore che lo controlli, in particolar modo la zona di Sequerus, ancora avvolta da quello strano potere oscuro, pare essere abitata da Youkai che ancora non abbiamo avuto modo di combattere direttamente, ma che hanno già sconfinato, dando non pochi problemi alla mia casta sacerdotale.

    Nonostante si trattasse di una lamentela, o forse un'implicita richiesta di aiuto, in realtà fu posta in maniera abbastanza semplice e senza evidenti tentativi manipolatori. Sembrava quasi un semplice dato di fatto... forse un gioco, di fronte a un ragazzino che -in effetti- la guerra non l'aveva mai vista, oltre che sui libri.

    -Vi siete trovato nella stessa condizione, Nobile Amunhasses?- avrebbe domandato, con voce di velluto -Temo ahimè che la soluzione sia riprenderci le confinanti regioni dei Komanari e Legacci, prima che le invadano del tutto, non crede?


    .Istruzioni

    Da ora in avanti, i post sono volontari. Ciò vuol dire che potete anche passare il turno, qualora non aveste nulla di particolare da dire.



    Edited by Drusilia Galanodel - 23/10/2017, 17:20
     
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    -A tal punto, se mi è concesso, desidererei portare immediatamente alla luce il problema fondamentale che grava sulla pace di questo Presidio-

    Mentre l'onorevole Nobunaga completava i convenevoli rituali prendendo in consegna il documento controfirmato dalle varie parti lì riunitesi, il giovane Akihiko prese ancora una volta la parola.

    -Un gran numero di Feudi è rimasto privo di un Signore che lo controlli, in particolar modo la zona di Sequerus, ancora avvolta da quello strano potere oscuro, pare essere abitata da Youkai che ancora non abbiamo avuto modo di combattere direttamente, ma che hanno già sconfinato, dando non pochi problemi alla mia casta sacerdotale.

    Nell'ascoltare la semplicistica analisi della situazione, fornita con tanta sicurezza dall'anfitrione, il giudizio del vecchio Amunhasses si ritrovò ancora una volta ad oscillare come un pendolo tra la bonaria indulgenza che nei più anziani sempre ispira l'ingenuità dell'inesperienza -che con tanto incosciente candore parla per assoluti-, e la ben più grave e consapevole preoccupazione che -pur con la scusante della giovane età- un governante senza discernimento può rivelarsi -come la lunga guerra civile aveva ben più che dimostrato- un governante pericoloso... per il suo popolo e la sua stessa terra.

    Stando alle testimonianze che la loro storia più antica forniva, poteva esser vero che una terra senza padroni è facile preda dell'iniquità di uomini avidi, e campo fertile per ogni sorta di pericoli, ma... ora che la Guerra aveva decimato gli antichi Guardiani dei Picchi, non era un po' utopistico credere che in così pochi sarebbero riusciti a gestire un Presidio ancora debole, diviso, e ora anche gravato dalla minaccia senza volto e senza nome di presenze demoniache, stabilitesi nell'ora deserta capitale fantasma?

    Per quanto forte fosse il suo legame con le tradizioni, l'anziano Zheng si era trovato in fondo a considerare che -oltre a rinsaldare le antiche alleanze con tutti quei matrimoni politici- una scelta parimenti lungimirante per la futura stabilità dell'Ovest potesse e dovesse essere il contemplare l'idea di estendere la ristretta cerchia della nobiltà anche a nuovi e più potenti alleati... ma come presentare quell'idea alle altre Famiglie, senza che essa suonasse
    un blasfemo vaneggiamento? In assenza di una risposta, il Custode della Stele serbava per sé quel pensiero rivoluzionario.

    -Vi siete trovato nella stessa condizione, Nobile Amunhasses?-
    la domanda del giovane Akihiko, direttamente rivolta a lui, lo riscosse dal rimuginare
    -Temo ahimè che la soluzione sia riprenderci le confinanti regioni dei Komanari e Legacci,
    prima che le invadano del tutto, non crede?


    Rivolgendo al giovane dagl occhi blu un ossequioso cenno del capo, l'asceta scelse con cura le parole da usare: per quanto deprecata come arte dei vili, la lusinga -al pari della lingua per il poeta, o del maglio per il fabbro- non era che uno strumento come un altro per compiere un'azione; è l'intento di chi ne fa uso a fare la diffidenza, e poiché buone erano le sue intenzioni, equilibrata l'oratoria, e necessario che il clima in quel consiglio di Pari mantenesse mite e distesa l'atmosfera, Zheng Amunhasses non ebbe esitazione o dissidio nel servirsene per ben disporre il loro ospite alla collaborazione.

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    « Akihiko-dono è invero ancora giovane,
    tuttavia il suo occhio è già mirabilmente acuto... e c'è grande verità in ciò che dice. »

    asserì, sostenendo lo sguardo del Vuist, ma -di fatto- rivolgendosi a tutti i presenti
    « Le creature che ora infestano l'antica Sequerus sono selvagge e diffidenti, e finché non ci sarà possibile stabilire con sicurezza se le loro intenzioni sono ostili o meno, è di prioritaria importanza garantire al popolo sicurezza e protezione con la nostra presenza. »
    dando ragione al giovane, si mosse per spostare pian piano l'angolazione delle cose
    « Il cuore della questione non è perciò se riprendere il controllo delle regioni rimaste isolate e in balia del caos... ma come organizzarci per farlo. »

    Facendo una pausa e mostrandosi meditabondo, il Custode della Stele cercò di mantenere il giusto equilibrio nell'esposizione, evitando di spingersi in argomentazioni troppo arzigogolate e complesse (raramente qualcuno teneva dietro ai suoi filosofeggiamenti), pur sottoponendo all'attenzione dei presenti i dati indispensabili a un ragionamento tanto semplice quanto serio...

    « La Guerra ci ha indeboliti, e con il ritiro degli eserciti dei gaijin, avremo bisogno di valutare oculatamente ogni decisione nell'investimento delle risorse a nostra disposizione. »

    ...che avrebbe dovuto lasciar aleggiare spontaneamente nelle loro menti il punto nevralgico del problema neanche minimamente considerato dal giovane Titano dei Picchi: chi di loro disponeva delle forze per affrontare l'impresa?

     
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    Impeto e tempesta

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    "Frequentare i potenti è come dormire con una tigre."

    (Proverbio Cinese).


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    « Akihiko-dono è invero ancora giovane, tuttavia il suo occhio è già mirabilmente acuto... e c'è grande verità in ciò che dice.
    Le creature che ora infestano l'antica Sequerus sono selvagge e diffidenti, e finché non ci sarà possibile stabilire con sicurezza se le loro intenzioni sono ostili o meno, è di prioritaria importanza garantire al popolo sicurezza e protezione con la nostra presenza.
    Il cuore della questione non è perciò se riprendere il controllo delle regioni rimaste isolate e in balia del caos... ma come organizzarci per farlo. »


    Nonostante il vecchio avesse esposto idee diverse dalle sue, il giovane padrone di casa rimase in placido silenzio -gongolante del complimento appena ricevuto e desideroso di capire fino a che punto si sarebbero spinte le parole del Custode della Stele.

    « La Guerra ci ha indeboliti, e con il ritiro degli eserciti dei gaijin, avremo bisogno di valutare oculatamente ogni decisione nell'investimento delle risorse a nostra disposizione. »

    Proprio in quel momento, il ragazzino si trovò a fare un pensiero strano, forse dettato dalla sua giovane età. Le parole dell'anziano erano senza ombra di dubbio sagge ed anche a lui, non particolarmente erudito e certamente più tendente al conflitto, sarebbe in un certo senso piaciuto risolvere la situazione al massimo delle loro possibilità; dopotutto, un regno florido gli avrebbe portato grande onore e da morto sarebbe stato ricordato come uno dei più grandi regnanti della sua dinastia.
    Eppure nella sua testa il ticchettio del tempo che scorreva si faceva sempre più nitido e l'idea che anche quello fosse una brutta arma contro cui combattere -e con il quale erano già parecchio in svantaggio- lo travolse. Anche suo padre, abile guerriero, sosteneva che "perdere l'attimo" fosse il peggiore degli errori in battaglia. Aveva senso, quindi, fermarsi a lungo a riflettere? E quanto a lungo sarebbe stato lecito pianificare, per evitare una disfatta? Si rese conto di non saperlo... e se anche agire d'impulso poteva sviare dal trovare l'istante giusto, il tentativo del vecchio di procedere più lentamente di quanto previsto lo spaventò più di ogni altra cosa.

    -Io...

    Volle parlare, eppure Akihiko ignorava candidamente che il Tempo non fosse solo arma, ma Nemico e sadico Tiranno: nel momento in cui ci si permetteva di ignorarlo o -peggio- sottovalutarlo per la sua essenza solo in apparenza innocua, questo -da forza passiva- mutava bruscamente ed agiva con la sola volontà di ricordare agli uomini quanto fossero piccoli e gettarli nella disperazione di un pentimento che non sarebbe mai stato espiato... perché l'attimo era fuggito, e non sarebbe mai tornato.

    Delle urla nel corridoio fermarono le sue parole, perché ormai il Tiranno era stato offeso, e l'inequivocabile rumore metallico di spade che s'incrociano gettò tutti in un panico composto ma teso. Nobunaga si levò prontamente, invitando con lo sguardo il suo Signore di non cedere alle passioni e di rimanere stoico in quella camera, così che l'onore della famiglia rimanesse ben saldo. Alla guerra avrebbe pensato lui che, sebbene non fosse il padre, ne era stato amico fedele.
    Portando le mani al fodero della katana, avanzò rapido fino alle porte, eppure un'onda d'urto d'indicibile violenza scartò la debole materia che li divideva dall'esterno, lanciando il guerriero inerme verso i presenti e facendolo sbattere ad un angolo del tavolo di testa. Pavimento e legno si macchiarono di sangue.

    -NOBUNAGA!

     
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    Viaggiatore dei Mondi

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    In vero, non li stava ascoltando. Non era una mancanza di rispetto, la sua, ma l'esatto opposto: la semplice consapevolezza di ritrovarsi -suo malgrado- immerso in un contesto di cui poco o nulla poteva essergli chiaro... e da questo pensiero conseguiva la convinzione che la cosa migliore che potesse fare per non creare problemi a chi si occupava di lui e non arrecar disturbo a nessuno dei signori impettiti lì radunatisi -essere un bravo bambino, insomma-, fosse rendersi invisibile ai loro occhi.

    Immobile accanto ad Amunhasses, e silenzioso come aveva dovuto imparare ad essere durante gli anni di prigionia sotto gli Usurpatori, Elia rimase buono buono a piegare quadrati di carta per trasformarli in origami a forma di gru, tenendo tutto il tempo gli occhietti bassi sulla porzione di pavimento dove l'operazione si svolgeva, concentrato su ogni passaggio dell'operazione.

    Nonostante le parole del Signor Zheng fossero sempre suonate al suo orecchio buone e ragionevoli per i loro toni concilianti e saggi (unico elemento da cui poteva giudicarle, visto che non ne capiva completamente il significato e i risvolti), al piccolo parve che la reazione del giovane Lord Akihiko tradisse un certo insofferente dissenso, ma -timoroso e timido come per sua natura era- il bimbo non si arrischiò a sbirciarne l'espressione, preferendo portare avanti il suo tentativo di scomparire.


    -Io...

    No, perso nei propri pensieri, concentrato sul ricordo della persona che voleva rivedere (come gli avevano insegnato fosse necessario perché quella piccola magia funzionasse), Elia non li stava proprio ascoltando... ma i rumori che provennero dall'esterno li udì all'istante, perché nessuno dimentica la voce della guerra dopo aver sofferto della sua presenza e della sua compagnia almeno una volta.

    Il cozzare delle spade e una cacofonia di urla (di paura, rabbia e dolore) squarciarono la quiete del Palazzo del Feudatario, e -attraverso il filtro dei suoi ancora freschissimi traumi-, al bambino parve come se un gelo irreale fosse improvvisamente calato su tutto quanto, travolgendo i convitati, ghermendo le loro viscere, graffiando la compostezza che ostentavano, sgretolando la loro sicurezza, e divorando i loro cuori... e mentre i suoi occhi di fanciullo si dilatavano spaventati, il visetto impallidiva -d'un tratto prosciugato di ogni goccia di sangue-, e le manine cominciavano a tremargli, Elia ebbe la netta sensazione che il freddo crudele che sentì spandersi fin dentro le ossa stesse rallentando persino lo scorrere del Tempo.

    jpgEppure, nonostante la lentezza inesorabile e straziante con cui egli vide svolgersi gli eventi, tutto accadde in un solo tragico istante: l'uomo con l'occhio bendato rivolse un cenno al suo padrone, accostò la mano all'elsa della spada, e si diresse alla porta per affrontare la situazione, ma fece appena in tempo a far scorrere da una parte l'intelaiatura scorrevole rivestita di di carta di riso, che una forza invisibile lo scaraventò nuovamente dentro della stanza, concludendo il suo breve volo con un atterraggio di testa contro uno spigolo del tavolo delle trattative.


    -NOBUNAGA!

    Una pozza densa e scura cominciò ad allargarsi sul tatami dalla ferita che il Samurai aveva riportato al cranio, e mentre questi rimaneva immobile sul pavimento, una nuova algida figura fece la sua comparsa nel vano dell'uscio, e ad Elia bastò sentire addosso il peso distratto del suo sguardo severo per venire scosso da un brivido di paura incontrollabile: era alto, dalle membra proporzionate e forti, dai lunghi capelli bianchi e gli occhi dorati... si sarebbe detto bello, persino... ma la sua freddezza promanava pericolo, e la mano artigliata intrisa di sangue era una più che chiara dichiarazione di intenti.

    Nessuno gli chiese chi fosse – quello, non aveva importanza.
    Nessuno domandò per quale ragione fosse lì – non ce n'era bisogno.
    Nessuno lo provocò – perché non ne ebbero il tempo.

    Un singolo passo -talmente rapido da risultare invisibile- lo portò a torreggiare sul giovane e gracile padrone di casa, e mentre l'oscurità offuscava la vista del Feudatario, e la morte lo accoglieva nel suo gelido abbraccio, Akihiko Vuist potè vedere gli ultimi battiti di vita che gli rimanevano far palpitare il grumo sanguinolento che lo straniero gli aveva cavato dal petto, prima di stramazzare a terra con un suono sordo.

    Nonostante lo shock che quella visione avrebbe potuto suscitare, e a dispetto della sua età avanzata, Fun'ya Svalinn fu il primo a muoversi: era stato un abile spadaccino in gioventù, e l'ottimo istinto da combattente lo spinse a incalzare l'invasore con uno scatto, vibrando un fendente con la katana... ma il Generale era vecchio, e la sua armatura solo un inutile cascame consacrato all'estetica, e l'arco del tagliente di quel filo (che avrebbe dovuto, nelle sue intenzioni, sottender la distanza tra il fodero e il collo del nemico) si interruppe sulla lama che l'albino aveva fulmineamente estratto dalla guaina al suo fianco.

    Fun'ya ebbe appena il tempo di stringere i denti per sopportare il contraccolpo di quel contrasto; poi, la sua testa rotolò sul pavimento, e il suo corpo crollò in ginocchio, dove la pesante corazza da cerimonia lo mantenne in posa come la statua di una fontana, che zampillava rosso.

    Lasciando cadere il cuore di Akihiko -che aveva trattenuto in un palmo-, e mulinando la destra con un gesto secco, l'aggressore scrollò con noncuranza il sangue dalla arma prima di rinfoderarla, investendo di schizzi cremisi il volto inorridito di Hideo Teeka, macchiandone l'incarnato pallido, i lunghi capelli dorati, e i ricchi abiti, spingendolo ad arretrare verso la parete con qualche passo tremante delle gambe d'un tratto molli; in perfetto silenzio e con assoluta calma, l'assassino si guardò intorno per scegliere il prossimo... ma fu la vittima seguente a scegliere per lui.


    jpg« Fermati subito, youkai! Bestia sanguinaria! »
    l'apostrofò una voce anziana ma ancora autoritaria
    « Non ti permetterò di spargere ancora del sangue e seminare altra morte indisturbato! »

    Il Monaco in abiti arancioni si era erto in piedi al suo posto, ma ad attirare su di lui l'insondabile attenzione della creatura con gli occhi d'oro -più del vistoso colore che vestiva- fu la sgradevole sensazione che avvertì promanare dal vecchio, mentre le sue mani sgranavano un rosario orientale, componendo sigilli e simboli di un'antica arte spiritica; il fatto che egli gli avesse rivolto la parola, o che l'avesse di fatto riconosciuto come un demone, non lo interessava minimamente: la sua Regina gli aveva comandato di ucciderli, e niente altro contava.

    « Nobile Hideo... Elia... fuggite! Allontanatevi da qui! »
    proseguì il Custode della Stele, stavolta rivolto agli altri due ningen nella stanza
    « Dovete andarvene e mettervi in salvo! Io cercherò di trattenerlo... »

    Naturalmente, il giovane capofamiglia dei Teeka non se lo fece ripetere due volte, e non appena il vecchio cominciò a salmodiare i suoi antichi versi sacri, egli colse l'occasione che gli era stata offerta e volse le spalle al pericolo, ma... in una situazione di tale svantaggio, non c'era nulla che Zheng Amunhasses potesse fare per contrastare un simile avversario, e senza nessuno a proteggerlo durante l'esecuzione del rituale, anche quel tentativo di resistenza ebbe un ben misero esito: colpito dall'etereo prolungamento degli artigli del mostro, il filo del Mala si lacerò, disperdendo sul tatami le perle mistiche che lo componevano, e riversandole ovunque; poi, un fendente diretto di quelle unghie adunche squarciò la gola del vecchio, spegnendo quel mantra esorcizzante in un gorgoglio strozzato, prima che potesse arrecare danni seri all'avversario.

    Tolta di mezzo l'unica potenziale minaccia rimasta nella stanza, il mostro valutò a quale degli ultimi due rimasti dedicarsi per primo, ma la scelta non gli richiese troppo tempo, né troppo impegno: era una decisione semplice, visto che l'adulto stava cercando di fuggire, mentre il cucciolo era ancora immobile al suo posto, accanto al corpo del Vecchio, riverso per terra e ora scosso dalle convulsioni che precedevano la fine, ascoltando il suo respiro e le sue formule esalare in un rantolo; così si diresse verso il biondo, perché se anche fosse riuscito a vincere lo shock e tornare a muoversi una volta sfumata l'influenza del timore che incuteva,
    i bambini hanno le gambe corte, e non possono scappare lontano.

    A passi marziali e misurati, il sicario raggiunse Hideo nell'istante in cui questi stava affacciandosi nel corridoio, ed impugnando di nuovo l'arma che gli pendeva al fianco, lo trapassò da parte a parte con un singolo affondo deciso, spezzandogli la spina dorsale e perforando diversi organi interni, precipitandolo così al suolo, dove -dopo una breve agonia- la morte l'avrebbe trovato, immerso nel suo stesso sangue.

    ...e mentre intorno a lui pozzanghere rosse si spandevano lente e placide, stagnando come i campi di riso in mezzo a cui era nato, all'ultimo superstite -il piccolo Elia- non rimase che stare a guardare la vita spegnersi negli occhi dell'ennesima persona che era stata gentile con lui: perché finiva sempre così? Era colpa sua? Chiedendosi se non fosse davvero lui ad attirare la malasorte, il bambino rimase accucciato a terra; con gli occhi offuscati da lacrime brucianti, vide l'ombra dell'assassino allungarsi su di lui, e tremando scosso dai singhiozzi attese la lama che avrebbe posto fine alla sua breve e già orribile esistenza...


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    « . . . »

    Eppure, in quell'istante ripiegato su sé stesso, in cuor suo Elia si disse che non voleva morire.
    Non voleva morire lì, a quel modo. Non voleva morire senza aver scoperto quanto era morbida la pelliccia della volpe Mugen. E aver ringraziato il Dottor Blue che l'aveva guarito. O esser andato a bruciare incenso sulla tomba della Signora Odayaka Mira -morta per cercare di liberarlo- per onorarne la memoria. Soprattutto, non voleva morire prima di aver finito di costruire mille gru di carta per poter rivedere Amon... salire di nuovo sulle sue spalle... gettargli le braccia al collo per dirgli che gli voleva bene...

    Non voleva morire senza essere riuscito a fare quelle cose e tante altre ancora.
    Non voleva morire, e desiderò con tutto se stesso che qualcuno arrivasse ad aiutarlo.
    Fu in quel momento che l'invasore abbassò la lama su di lui,
    e tutto ciò che Elia sentì fu un clangore metallico.

    Sollevando freddamente gli occhi gialli sul viso del miserabile umano appena intromessosi, lo Youkai incontrò lo sguardo fiero di Nobunaga: cieco da un occhio, e con una ferita ancora fresca e sanguinante all'altezza di una tempia, il Samurai si era rialzato per parare la propria spada a difesa del bimbo; il colpo alla testa l'aveva tramortito qualche dannato istante, e solo il suo pragmatismo gli aveva impedito di cedere alla disperazione alla vista del suo giovane Signore morto... perché se non era riuscito a proteggerlo, il più impellente dovere che ricadeva su di lui era quello di ottenere in suo onore vendetta sul suo assassino.

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    - . . .

    Con la stessa indifferenza con cui un dio guarderebbe un lombrico, il demone non si prese neppure la briga di rispondere: facendo forza col braccio -ancora impegnato nel contrasto- respinse la spada del veterano per sbilanciarlo all'indietro, e vibrò un fendente trasversale per spazzarlo via; tuttavia, affettò solamente aria, e un lieve piglio di disappunto gli scavò un solco tra le sopracciglia nel notare che a salvare la preda non erano stati i suoi riflessi -infiacchiti dalle sue condizioni-, e nemmeno la fortuna.


    « Non hai da preoccuparti, Elia... »

    In piedi a diversi metri da lui -rivolgendogli le spalle in un'ostentazione di sicurezza eccessiva- stava ora un uomo alto e longilineo, dai capelli neri e ricci, di cui non riusciva a percepire l'esistenza neppure mentre il suo sguardo gli perforava la schiena... una quarta misteriosa entità materializzatasi dal nulla, che ora reggeva contro la camicia bianca il cucciolo di ningen -a cui il braccio sinistro faceva da trespolo-, e che nel pugno destro stringeva ancora la collottola di stoffa del kimono del Samurai, punto dove il nuovo arrivato lo aveva afferrato per tirarlo via dalla traiettoria della lama.

    « Per i prossimi sette anni sei sotto garanzia, quindi...
    Questo signore non ti torcerà un capello. »


    Ancora sotto shock, il piccolo sollevò lo sguardo vacuo su quel signore moro con gli occhiali, ma -non indossando il camice- gli ci volle qualche secondo prima di riconoscerlo come il Dottor Harold Blue; non appena lo fece, lacrime copiose lo accecarono, ed Elia gli allacciò le braccia al collo, sprofondando la testolina sulla sua spalla.

    « Voglio andare via. »
    bisbigliò il piccolo, singhiozzando sommessamente

    « Sicuro. Non c'è problema, tranquillo...! »
    assentì l'uomo, con tono bonario, pacato ed incoraggiante
    « Ti porto via da questo posto. »

    « Questo è impossibile. »
    con voce fredda, lo youkai straniero parlò per la prima volta
    « Le vite di tutti quelli che si trovano in questo palazzo sono un tributo per onorare l'ascesa al potere dell'Imperatrice Palden Wang-Mu... comprese le vostre. »
    lentamente, sollevò la lama verso di lui per indicarlo
    « ...perciò non so chi tu sia, ma sei morto nel momento in cui sei venuto qui. »

    Nonostante la calma in quelle parole suonasse più sinistra di una qualsiasi rabbiosa minaccia, il Dottor Horrible non ne parve minimamente scosso o preoccupato... al contrario di Elia, che si rintuzzò ancora più contro il suo salvatore, e forse fu proprio quello a far raddrizzare la schiena al moro in un impercettibile moto di tensione; inspiegabilmente, la temperatura si alzò sensibilmente.

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    « Oh... Ma davvero...? »
    domandò sornione il Medico, voltandosi per dedicare allo Youkai un lieve sogghigno
    « Beh, allora... baciami il culo. »

    Un istante dopo, il Dottore, il Samurai e il Bambino erano svaniti nel nulla,
    e un fiore di fuoco esplose con un ruggito nella sala-riunioni del Palazzo del Feudatario.

    La Riunione era terminata.

     
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