Fantasmi

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  1. Bøss
     
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    Faro Nikteouse - Sommità - Giorno e orario: non pervenuti

    Con i gomiti appoggiati alla ringhiera e le dita intrecciate contempla l'orizzonte come diversi anni prima. Il mare è naturalmente sempre lo stesso, e identico è anche il suo lamento mentre le onde si infrangono sulla scogliera frastagliata alla base del faro. Questa volta, però, è solo. Ricorda esattamente le parole pronunciate all'epoca, il brivido lungo la spina dorsale e sulla pelle. L'emozione era palpabile, viva, e una strana forza ultraterrena aveva attraversato l'atmosfera e colpito nel profondo ogni astante, dando vita ad un unico organismo nuovo. E' passato molto tempo ed è stato versato molto - troppo - sangue, ma la missione è tutt'altro che terminata. Agli occhi del mondo probabilmente lo è: per tutti, il Ragno non è - non era - altro che uno squadrone della morte responsabile di un tentato genocidio ai danni di una casta merovisha, i cui membri sono ormai dispersi, o morti portando con sè nella tomba le proprie oscure motivazioni. Ma a meno che non se ne schiacci la testa, l'aracnide non può morire: gli arti rinascono e rimettono in movimento l'intera struttura, espandendo la suo ombra minacciosa, che stagliata contro la luce della luna scivola sull'intero semipiano.

    Spider

    Questa volta è tutto diverso. A cominciare da Rain, che per primo ha fatto perdere le proprie tracce e ha innescato una disperata e infruttuosa ricerca da parte dei membri rimasti fedelissimi, culminata nell'amara constatazione della sua probabile morte. Così qualcuno ha abbandonato la squadra in cerca di miglior fortuna, incapace di accettare un leader che non fosse l'uomo in nero, forse l'unico davvero in grado di tenere unita una compagine tanto eterogenea. Ma non tutti: qualcun altro non ha mai smesso di cercare il vecchio leader, il solo in possesso di risposte a domande che a lungo sono rimaste aperte, a cominciare dal senso di quella notte insanguinata, forse per dare un qualche valore a tutta quella sofferenza. Chi per un sentimento di fiducia incondizionata, chi per una rivalità antica ma fraterna, altri ancora incapaci oramai di dare un senso alla propria esistenza al di fuori di quella strana famiglia.

    L'uomo attende qualcuno o qualcosa e la sua espressione è come sempre indecifrabile e ambigua, forse nostalgica. Indossa abiti civili di colore verde scuro: una abbondante camicia di lino con le maniche arrotolate e un paio di anonimi pantaloni, quasi a sottolineare un netto distacco dal passato. I capelli si sono allungati in maniera disordinata raggiungendo quasi le spalle, mentre sul lato sinistro del viso si sono fatte strada alcune vistose cicatrici che - al buio - paiono brillare di una sinistra luminescenza rossastra, al pari degli occhi. Non sembra neppure umano, a dire il vero, bensì un emissario della Morte stessa. Ma forse è tutta una questione di suggestione.

    Chiunque avesse raggiunto la sommità del faro varcando la porta avrebbe visto soltanto la schiena dell'uomo ma difficilmente non lo avrebbe riconosciuto: certe cose si avvertono con la pelle. E con il cuore, per chi ne possiede ancora uno in questi tempi difficili.

    Porta un dito all'orecchio attivando il codec, ma dall'apparecchio giunge solo rumore statico. Come sempre.
    Si è alzato il vento, un vento che trasporta odori e suoni lontani.

     
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    I suoni cominciarono a giungere alle sue orecchie come un lieve sospiro: il flebile battito cardiaco di un neonato che viene alla luce per la prima volta, ancora prima che urli il primo vagito. Era una sensazione surreale; la coscienza si materealizzava lentamente, prendendo controllo delle percezioni basilari poco a poco: il vento che sferzava tranquillo sul declivio ricoperto d'erba secca; lo sciabordìo delle onde sulle spiaggia; il tremore degli scogli lambiti dall'acqua dell'oceano.
    Poi giunsero gli odori: il profumo del sale, del verde che lo circondava, della pietra antica che costruiva le basi di un lungo e anziano faro sulla scogliera.
    Sentiva il calore di un sole senza tempo sul volto pallido, e il solletichio di incolti capelli bianchi sulla fronte.
    L'epifania fu immensa.

    Non poteva descriverlo a parole - non una sillaba sfuggì dalle sue labbra sottili. I pensieri stessi si raccolsero nella sua mente come un'esplosione di luce; quanto poteva essere potente l'emozione umana? Ogni essere razionale poteva comprendere il peso dell'amore, della tristezza e del dolore, dell'ansia e della felicità. Della paura. Ma esistevao sensazioni che non potevano essere descritte o comprese, tanto era potente la loro portata. Inspiegabili.
    Il pensiero di un incontro con il se stesso di un tempo remoto / osservare fugacemente in sogno il volto di una persona amata e perduta / immaginare di trovarsi in un luogo molto lontano dalla casa che ricordava, osservare il cielo di un mondo nuovo, sotto la luce del primo sole
    Quanto poteva essere potente la mente, quando certe emozioni sapevano trascendere il tempo e lo spazio?

    Cautamente, il giovane uomo in completo elegante mosse i primi passi di un nuovo risveglio. Osservò le proprie mani, ruotando i polsi e sfiorando i propri polpastrelli con curiosità quasi infantile. Il cuore gli batteva nel petto: non era mai stato così vulnerabile alle emozioni - non era mai stato poi tanto prono ad accettarle dentro di sè. Non era mai stato un guscio vuoto, poichè c'era stata una persona che gli aveva dato uno scopo, e aveva riempito il deserto della sua anima con un sogno - il sogno del Ragno. Quella perfezione irraggiungibile, lontana, cristallina. Eterna.
    Alzò lo sguardo, cercando con gli occhi l'ingresso della torre che aveva sancito l'inizio della loro avventura tanto tempo fa. Non poteva che essere lì: tutto aveva una ragione, e la sua era la Testa del Ragno. Attirato come una falena alla luce di una lanterna nella notte, il giovane salì i ripidi gradini con andatura calma e misurata. Ogni centimetro che compiva verso la sommità sconvolgeva i suoi ricordi: il primo raduno in quella sala dimessa; la promessa fatta sotto un sole morente; il legame indissolubile costruito con altri membri di un singolo organismo - unito e implacabile.
    La distruzione di Merovish;
    le fiamme della Terra Promessa.

    Varcò la soglia. Udiva ancora il vento, il sole lambiva ancora con i suoi lunghi raggi il suo volto.
    Controluce, di spalle, Fate osservava la sagoma dell'uomo che aveva sempre seguito dall'inizio della sua stessa esistenza. Poteva scorgerne i tratti decisi, la chioma lunga e arruffata dal tempo; i bagliori scarlatti dei suoi occhi che vedevano molto più al di là di qualsiasi umano potesse mai sperare - o avere l'ardire di sognare. L'aura attorno all'uomo pareva elettrica, ma di una carica stanca e statica - non morente, ma paziente, in attesa. Come se il potere totalizzante delle sue ambizioni fosse ancora assopito, incompleto senza i suoi arti. Come se, per poter tornare a plasmare la realtà, la Testa avesse bisogno di sentirsi di nuovo unita con le sue zampe.

    « Ho dormito. »
    (a lungo; un'eternità intera)

    Il battito del suo cuore sembrava scandire i secondi - rintocchi solenni di un organo a canne in una immensa cattedrale.
    Quando Fate sollevò lo sguardo verso colui che poteva modificare l'essenza stessa della Trama, i suoi occhi azzurri mostravano soltanto un sentimento: fedeltà.

    « Bentornato. »

     
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    Viaggiatore dei Mondi

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    Il Faro. Quante volte ancora si sarebbero incontrati lì?
    Ancora.
    Come una droga che ti scorre nelle vene e ti spinge a prendere la dose successiva. Questo era il Ragno. La sua droga. Era stata una famiglia, gli aveva dato uno scopo. Ma come ogni cosa, alla lunga, rischia di abituarti e quando smette di esserci ti manda in astinenza.
    Ancora.
    Non era forse successo? Non era forse morto il giorno in cui il Ragno era sparito?
    E ora eccolo lì, pronto a risorgere e lui non si sarebbe fatto attendere.

    ANCORA.



    Un passo dietro l’altro, il clone salì la scalinata che l’avrebbe condotto in cima. Ancora una volta consapevole che la via da seguire non sarebbe stata facile. Ci sarebbero stati morti. Sarebbe stato versato sangue. Ed era esattamente quello il motivo che lo aveva spinto a rispondere alla chiamata.
    Una chiamata silenziosa. Portava ancora il codec con sé, ma era più un ricordo di un’altra vita.

    Anzi, due vite.
    Già una volta era tornato su quel mondo, dopo la prima morte. Almeno la prima che ricordasse…
    Aveva solo dei vaghi ricordi di quella seconda esistenza. Un altro volto, un altro nome, altre abilità. Non era nemmeno davvero lui.
    Paul. Un povero ragazzo senza una famiglia o una casa. Un vagabondo con una pistola che non sapeva usare. Un nessuno qualunque. Era stata una fortuna che il suo corpo senza vita fosse stato trovato e fuso al precedente, con qualcosa in più, per ricrearlo.
    Ora era un Daligar nuovo, dentro di sé.

    Fuori era sempre lo stesso, invece. Un ragazzo di diciotto/vent’anni, moro con gli occhi grigi. I pantaloni neri come la notte finivano in scarpe alte meno di cinque centimetri dal suolo; la maglia a maniche corte gli fasciava il petto, stringendolo senza impedirgli i movimenti. Sopra, una giacca leggera, lunga fino alla vita e un paio di guanti gli coprivano le mani.
    Posò gli occhi su Fate, accennando un movimento del capo in saluto. L’uomo in fondo alla stanza, invece, volgeva loro le spalle, ma non poteva che essere lui: l’unico in grado di richiamarli a sé.
    Si guardò intorno. Erano soli.

    «È bello rivedervi.»



    Avendo due pg con lo stesso nome, specifico che in questa giocata userò il primo in firma (che verrà prossimamente ripreso e ripresentato in nuova veste)
    Buona giocata ;)
     
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2 replies since 3/6/2017, 14:20   80 views
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