Giorno 4 - sera.

{passato X presente X futuro}

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    Gameaccount di Drusilia Galanodel

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    "Una vita senza conoscenza è una vita a metà.
    Se non sai, non puoi capire, e se non capisci...
    ...che scopo ha vivere?"


    (Licia Troisi)
    ___

    Ore 21.04.
    Kadan, Mirach.

    Riprendere mano nella guida, ancor più con quel cruscotto luminoso che quasi pareva una nave spaziale, non fu affatto semplice per la povera Alhandra, abituata com'era da qualche anno a viaggiare in carrozza o -nel peggiore dei casi- a piedi. In particolare, si domandava come mai -nonostante tutta la tecnologia del suo mondo- esistesse ancora fra i pedali quel cancro vivente della frizione: un decennio prima, approfittando del benestare dei genitori e di una legge nazionale non particolarmente restrittiva verso i minorenni, aveva tentato per ben due volte l'esame di guida prima di essere promossa... e tutto per colpa di quel maledetto pedale.

    Possibile che nessuno se ne fosse mai lamentato?
    Che il mercato non concedesse ancora tali comfort agli autisti?
    Oppure era solo il dottorino a volersi complicare la vita?


    Dopotutto... era accaduto lo stesso con lei: non era rimasta nemmeno ventiquattro ore in sua compagnia e già si sentiva molto più confusa di come era arrivata. Tutte quelle storie: rapporti, attacchi combinati, sparizioni e lei che era stata ritrovata in un altro posto tentavano già da parecchie ore a trascinarla con forza nel mare dell'isteria e della confusione mentale, forse con l'intenzione di spronarla ad accostare, abbandonare l'auto e tornarsene di nuovo su Endlos, lì dove non era al sicuro... ma almeno si sentiva a casa.

    Eppure le sue mani non avevano mai abbandonato realmente il volante. Invero, Alhandra non moriva nemmeno dalla voglia di rivedere i suoi... e non per reale cattiveria o problemi concreti alla base del loro rapporto, ma perché -di fatto- non riteneva che ci fosse stato essenzialmente un "rapporto".
    Sua madre, brillante avvocato in carriera, appariva alla soglia del loro focolare solo a tarda sera: il volto era sempre sfinito, i capelli ben tenuti fino alla fine in un'elegante chignon basso ed eleganti tailleur d'alta moda. Oltrepassata la soglia, era solita lanciare le proprie scarpe lì dove capitavano, sporgliarsi di tutta fretta e sciogliersi l'acconciatura, liberando i morbidi capelli corvini così da gettarsi a letto senza soffrire di strani impicci. Vista in quelle condizioni, nessuno con un minimo di buonsenso avrebbe mai tentato di svegliarla o tenerla ancora in attività.
    Il padre, invece, era un giornalista freelance e -sebbene fosse la madre a portare lo stipendio più consistente- era lui il vero, grande assente della famiglia Liadon. A volte le capitava di non vederlo per mesi e, anche se quando riappariva la copriva di regali, non aveva mai affrontato con lui dialoghi anche solo minimamente seri. In effetti, Alhandra nemmeno conosceva i suoi gusti in fatto di cibo.
    Unica eccezione a tale freddezza, probabilmente, era stato il fratello maggiore Charles con cui era cresciuta. Tuttavia, la differenza d'età non indifferente, aveva contribuito a dividere le loro strade molto presto quando poi andò a studiare ad un college in una nazione straniera. Chissà se ora, dopo tanti anni, era riuscito ad ottenere quel pezzo di carta che lo avrebbe aiutato a diventare un buon magistrato, come lui sognava.
    Persa in quei pensieri, le sfuggì un lieve sorriso, forse pensando che -nonostante tutto- rivederli sarebbe stata una bella cosa. Magari avrebbero anche parlato di qualcosa di serio, ad esempio della sua brutta esperienza a Celentir o l'arrivo su Endlos...

    KriLS31


    -Eccoci qui.

    Parlò da sola, forse per farsi coraggio ed accostare l'automobile.
    Aveva raggiunto l'indirizzo trovato nel verbale di Leorio e si assicurò almeno tre volte di non aver sbagliato casa.
    Eppure le sarebbe bastata una semplice occhiata per notare la somiglianza con la loro vecchia villa; era infatti un edificio slanciato, sviluppato verticalmente su tre piani e dalle linee moderne. Una piscina vuota compariva poco distante dall'ingresso fra i cespugli e le magnolie mentre un grande cancello, in parte in muratura ed in parte di vetri e metalli, la divideva dalla propria famiglia come un sipario colorato.

    A quel punto, nulla la separava dall'unico pulsante del citofono.
    Doveva solo alzare la mano, puntare l'indice e schiacciare; rimase tuttavia alcuni attimi imbambolata, respirando profondamente. Tentennava perché non sapeva cosa dire, come presentarsi. L'avrebbero accettata? L'avrebbero accolta di nuovo... o scambiata per un impostore?

    Respirò ancora... e riuscì infine a trovare quel coraggio che così raramente mostrava: si tirò un pizzicotto... e bussò.


    Edited by Drusilia Galanodel - 10/7/2017, 17:58
     
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    La sera, in città, è quel fastidioso momento della giornata in cui le strade si animano di una vita sconosciuta al mattino e alle ore di luce, perché -liberi dagli oneri della routine- chi affolla i parchi e le vie del centro tende a farlo senza quella fretta che accompagna scadenze, appuntamenti e altri impegni... in una rilassatezza che, data la contingenza delle sue circostanze, lo stizzì smisuratamente.

    « Ma che fa quel deficiente?! Guarda il panorama?! »
    sbraitò rabbioso, per l'ennesima volta da... praticamente quando era salito a bordo
    « Suoni il clacson! Gli dia una svegliata! C'è gente che ha fretta qui! »

    Rinchiuso nel primo taxi che era riuscito a fermare quasi lanciandosi in strada, costretto a tenere le gambe lunghe scomodamente rattrappite, Leorio Paladinknight non trovava altro modo di sfogare la sua impazienza che non agitandosi come una bestia in gabbia sul sedile del passeggero, elargendo a chiunque e qualunque cosa una tale quantità di improperi che gli avrebbero permesso di risolvere il suo problema arrivando a destinazione in un attimo, se solo fosse esistito un modo di trasformare gli insulti in propulsione.

    Sebbene non l'avrebbe messa giù in quei termini, era preoccupato.
    Molto preoccupato.
    Non per la macchina, che quella carognetta di Alhandra gli aveva fregato per darsi alla fuga, ma per la ragazza e per quello che -per quanto ne sapeva- poteva star affrontando proprio in quel momento, del tutto impreparata, e completamente da sola. Forse non avrebbe fatto in tempo a fermarla... ma doveva comunque raggiungerla il prima possibile.

    « Scusi, ma perché va così lento? Non può andare più in fretta?! »
    sbottò il Dottore, prendendo ancora una volta di mira un già seccato autista
    « Quel semaforo è verde! Acceleri! Presto! Prima che scatti il rosso! »

    Contagiato dal nervosismo che rendeva il suo cliente eufemisticamente intrattabile, l'uomo alla guida pigiò a tavoletta sull'acceleratore nella vana speranza che facendolo contento l'avrebbe sentito finalmente tacere, ma.... si stava illudendo: lo scatto compito dal veicolo in pieno incrocio lo portò ad un passo da un brutto incidente con una delle auto proveniente da un'altra direzione, e se anche l'impatto venne evitato, lo strombazzare proveniente dall'esterno risvegliò la belva, giunta al record di due minuti di silenzio consecutivi.

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    « Che cazzo ti suoni?! Eh? EH? Stronzo!
    Chi ti ha dato la patente?! Lo conosci il codice stradale? »

    ruggì, con la faccia appiccicata al lunotto posteriore, gesticolando intimidatorio
    « ...vieni qui a farmeli in faccia quei gestacci, bastardo! »

    Non era sopportabile. Fu per questo, percorsi ancora un po' di metri,
    il taxi rallentò e si fermò in un grosso parcheggio.


    « Perché si è fermato, adesso? Non siamo mica all'indirizzo che le ho dato! »
    naturalmente, le proteste del Medico non tardarono ad arrivare
    « Ma la conosce la città?! Guardi che se gira di qua- »

    « Scenda. »

    Voltandosi indietro dalla sua posizione al volante per guardarlo in faccia, il guidatore lo interruppe a bruciapelo, bruscamente, scoccandogli un'occhiata talmente truce da avere il potere di lasciare interdetto -e quindi muto- il Cacciatore; quando parlò una seconda volta, la minaccia che irradiava dal tassista non ammetteva repliche.

    « Scenda. Dalla. Macchina. »

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    -Eccoci qui.

    Sola nell'abitacolo della lussuosa macchina dell'Hunter che si era impegnato ad aiutarla senza aver in realtà fatto molto altro che offrirle la cena e l'alloggio per una notte, la Punk accostò sul marciapiedi e uscì dalla vettura; la somiglianza del posto con la sua vecchia dimora -lontana nel tempo e nello spazio- le saltò agli occhi in una maniera confortante e straniante al contempo, ma...

    Indugiare, giunti a quel punto, non serviva a un bel nulla, così la ragazza si diresse al citofono che affiancava la cancellata di ingresso, puntò l'indice sull'unico bottone e... esitò, finì per rimuginare, saggiò di nuovo l'amarezza di qualche dubbio rimasticato, e infine si dette un pizzicotto e recuperò la sua determinazione: fece pressione sul tasto, e un lieve ronzio la rese partecipe che l'apparecchio -attraversando il cancello, il giardino, la piscina vuota e le porte blindate- stesse trasmettendo all'interno della casa il tipico trillo di allarme.
    Non restava che aspettare...

    Whiiiii....
    Whiiiii....
    Whiiiii....

    Certamente, la tensione per quella riunione di famiglia contribuiva a rendere la sua percezione del tempo in un certo qual modo distorta, e tuttavia ad Alhandra sembrò passare un'eternità prima che quell'impersonale rumore bianco -a cui forse aveva anche iniziato ad abituarsi- cessasse di colpo, e forse persino trasalì quando il suo orecchio percepì il suono di una cornetta sollevata; poi, dall'altra parte, la voce di suo padre... familiare eppure aliena, ma -soprattutto- curiosamente perplessa.

    « Sì? Cosa desidera? »

     
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    Whiiiii....

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    Nel silenzio della notte, carezzata da un vento freddo ed indifferente, Alhandra attese paziente con sguardo basso. Gli occhi blu si chiusero piano.

    Whiiiii....

    Il tempo iniziò a dilatarsi, lentamente, e quei pochi attimi le parvero infiniti. Modulando piano il respiro, la ragazza osservò che -dopotutto- quello doveva essere, da qualche parte nel mondo, l'esatta rappresentazione del suo inferno. Molto più della fame, della sete o della paura di essere sgozzati.

    Whiiiii....

    Portandosi le mani al petto, ebbe come un forte senso di oppressione, una paura atavica uscita fuori solo in quel momento... col peggior tempismo che potesse mai immaginare. Come in trance, cercò invano di distaccarsene eppure non le ci volle troppo per scoprire che la sua mano stesse tremando. L'afferrò con forza usando la gemella, quasi fosse un bambino dispettoso... e la lasciò andare con indolenza lungo i fianchi, sospirando.

    ZNooW9V
    « Sì? Cosa desidera? »

    Trasalì.
    -I... io...

    Per qualche istante ebbe come l'impressione di aver sbagliato indirizzo, come se quella voce le fosse del tutto sconosciuta. In effetti, erano trascorsi così tanti anni e talmente tante disavventure che avrebbe potuto permetterselo. Eppure, quando comprese a chi appartenesse quel timbro, quasi ebbe schifo di sè stessa.
    Era davvero possibile dimenticare anche la sua voce?

    -...papà?



     
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    « Certo che ce n'è di gente poco seria al mondo...! Ma tu guarda...! »

    Mentre il taxi ripartiva sgommando dal parcheggio, sparendo nel pigro andirivieni della viabilità cittadina dopo averlo sgarbatamente lasciato a terra -da solo e al buio-, Leorio si ritrovò ben presto ad accantonare la questione: non aveva tempo da perdere con un autista che non sapeva fare il suo lavoro (non aveva voluto nemmeno farsi pagare la corsa), e poi... lo stare all'aria aperta, nel pacifico silenzio interrotto della periferia, dove tutti i più tipici rumori urbani arrivavano rarefatti, lo aiutò a raffreddare i bollenti spiriti in breve tempo.

    Cavandosi il telefono di tasca, il Dottore controllò di nuovo le coordinate che il suo amico aveva provveduto ad inviargli come promesso, e dopo aver fatto mente locale sulla propria attuale posizione con le indicazioni ricavabili dai nomi delle vie e dai più vicini cartelli stradali, riprese la marcia verso la meta.


    png

    -I... io... ...papà?

    Dall'altra parte dell'interfono calò il silenzio.. ma fu solo per un istante, un momento di vuoto dilatato all'infinito che avrebbe potuto voler dire tante cose: come poteva sentirsi un genitore nell'udire la voce della figlia caduta in coma tanti anni prima, rimasta incosciente per chissà quanto tempo, e poi svanita nel nulla dal letto d'ospedale in cui riposava? Se il turbinio di emozioni che le si agitava dentro in quel momento le avesse permesso di provare per un istante a cambiare punto di vista, cosa avrebbe immaginato di provare Alhandra al posto di suo padre? Gioia? Commozione? Stupore? Incredulità?

    « Scusi, ma chi è lei? »

    Quel che la raggiunse, invece, fu il dubbio: pacato, perplesso, incerto... come se non la avesse riconosciuta; e pensare che -solo poco prima- la ragazza si era vergognata di sé stessa proprio per la stessa ragione! Ma che bell'accoglienza a casa per la figlol prodiga! Complimenti al Signor Liadon: abbiamo un vincitore per l'award di padre dell'anno!

    Certo che... però è strano... visti i comfort della casa e il livello di tecnologia del suo vecchio mondo, il citofono non dovrebbe avere la video camera...? Magari non avrà riconosciuto la sua voce, ma... il suo viso? Dopotutto, look, occhi e taglio di capelli non sono mica cambiati...

    Strano. Davvero strano... E, a dirla tutta,
    anche piuttosto spiacevole...



    Edited by - Destino - - 16/7/2017, 13:50
     
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    ”Si dice che per capire davvero l’importanza di una persona bisogna prima perderla.
    Io invece credo che l’importanza di una persona si comprenda davvero quando la si rivede a distanza di tempo.

    Non sei d’accordo anche tu?
    Se adesso rivedessi te e gli altri… sicuramente mi viziereste e mi coccolereste come una volta.
    Questa prospettiva mi spaventa a tal punto, che non riesco a muovermi da qui.
    Per quanto io canti e canti e canti l’unica cosa che ottengo è che la mia voce diventi roca.

    La mia rabbia non si placa per nulla.
    Le persone non si comportano mai come uno vorrebbe.
    Neanche se piangi o gridi o se ti aggrappi a loro.

    Nella vita ho sempre rincorso i miei sogni cercando disperatamente di raggiungerli,
    ma guardando lontano non mi sono mai accorta delle cose belle che mi circondavano”.


    (Nana)


    BBOVPM0
    « Scusi, ma chi è lei? »

    Nelle sue parole vi era il dubbio... lo stesso negli occhi di sua figlia, piantata lì davanti al citofono con aria smarrita.
    Non la stava prendendo in giro -altrimenti avrebbe riso- e per un attimo Alhandra ebbe il timore che si fosse in qualche modo scoperto, durante il suo coma, qualche "segretuccio" relativo alle sostanze stupefacenti che si divertiva a provare da ragazzina per noia, cosa che certamente lo avrebbe mandato su tutte le furie. Eppure... no, non era nemmeno arrabbiato con lei al punto da averla disconosciuta: quei modi gentili, l'aria pacata e la domanda sincera non avevano nemmeno un briciolo di senso.

    Tentennò alcuni attimi come una bambina timida, per poi retrocedere di un passetto dal citofono e mettersi sotto la luce del lampione nella vana speranza che suo padre si fosse solo confuso. Dopotutto, mancava da casa da parecchi anni. Lui era invecchiato...

    -...

    Attese in silenzio, ma dentro di se' già sapeva che qualcosa non andava. Perché non la riconosceva? Che diavolo stava succedendo? Anche il mago a Laputa -il biondino che le aveva permesso di tornare con un portale- le aveva detto che chi tornava sui propri passi ne percorreva solo la direzione, ma avrebbe sempre trovato una strada diversa. Sul momento lo aveva anche preso per imbecille... ma in quel preciso istante le sue parole divennero tragicamente calzanti. Era lì con suo padre, in una casa quasi uguale alla propria di un tempo... eppure si sentì un pesce fuor d'acqua come poche volte in tutta la sua triste vita.

    -Alphonzo Liadon.

    Se qualcuno l'avesse vista in quel momento, non avrebbe creduto che quella ragazzina anoressica, chiusa nelle proprie spalle e dall'aria insicura fosse proprio lei. Col senno di poi si sarebbe sentita ridicola, ma in quel momento i pensieri erano rivolti a tutt'altra questione.

    -Sono... io sono... Alhandra. Alhandra Liadon.

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    Si sentì un'estranea. Una signora nessuno anche agli occhi di suo padre.

    -Sono tua figlia.
     
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    Nonostante l'umilissimo contesto sociale in cui era cresciuto -o più probabilmente proprio a causa di quello-, Leorio Paladinknight non era mai stato un amante del duro lavoro e degli affanni: certo, se c'era necessità di chinare la testa, rimboccarsi le maniche, stringere i denti e spezzarsi la schiena dalla fatica per raggiungere un obiettivo, non aveva remore a farlo (e di questo la Licenza di Hunter professionista, e soprattutto la Laurea in Medicina erano più che degne riprove), ma... davvero non capiva il problema di quelli che hanno più soldi di quanti ne riescano a spendere, che mettono tutine griffate per sudare facendo jogging.

    Vero era che anche lui -in quel momento- stava correndo, e che vedendo un uomo in completo elegante giacca-e-cravatta correre un forsennato per il quartiere più benestante della città -senza tra l'altro una sola goccia di sudore- avrebbe potuto fare un effetto parimenti (se non più) bizzarro in degli eventuali osservatori -tipo quella coppia di vecchietti, seduti sul divanetto a dondolo nel portico della loro villa con veranda-, ma... lui aveva uno scopo, una missione.
    E fretta. Tanta fretta.

    jpg« . . . »

    Si fermò ad un bivio per controllare le targhe con il nome delle strade, ma non trovò riscontro sulla mappa che aveva scaricato sul telefono, e tuttavia quell'imprevisto non gli rubò che pochi secondi e una vaga imprecazione: rapidamente, cambiò App sull'apparecchio ed effettuò un controllo incrociato con il localizzatore GPS della sua auto, e lo riempì di un certo sollievo appurare che ormai li separavano solo un paio di strade... così trovò la sua direzione, e riprese a correre senza risparmiarsi.

    Se la macchina era così vicina, doveva esserlo anche Alhandra.

    png

    -...

    Che cosa stava succedendo? Perché stava succedendo? Nella confusione e nell'incertezza che le stavano di certo mettendo in subbuglio i pensieri, l'unica idea che sarebbe potuta essere anche solo lontanamente sensata e plausibile era quella di stare dormendo... perché come poteva mai essere reale una cosa del genere? Doveva essere un incubo. Doveva. Doveva e non c'era altra spiegazione.

    -Alphonzo Liadon. Sono... io sono... Alhandra.
    esordì la ragazza, dopo un lungo momento di silenzio, pesante quanto il piombo
    - Alhandra Liadon. Sono tua figlia.

    Dall'altra parte, calò di nuovo il silenzio, un'assenza di suoni in cui la tensione delle circostanze -che permeava l'aria come un sudario mortifero- non faceva che accrescere l'eco del sangue che pulsa nelle tempie e il vuoto nelle viscere che può avvertire chi sente le certezze sfaldarsi e il terreno crollargli sotto i piedi, accentuando la sensazione irreale di esser finita intrappolata in un brutto sogno.

    Poi, dall'interfono provenne un sospiro
    -stanco- e una risposta.
    Una risposta che non portò alcuna liberazione, ma solo altra angoscia.


    « Ancora questa storia... Di nuovo.
    Vi hanno mandato quelli dell'Associazione degli Hunter, non è vero...? »


    Il fatto di non venire riconosciuta dal proprio genitore sarebbe stato un colpo diretto e improvviso, come uno schiaffo in pieno volto o un pugno nello stomaco, ma quello -forse- sarebbe ancora stato sopportabile; il pacato rammarico in quella voce incorporea, il tono stanco -quasi desolato-, invece, era semplicemente la cosa più crudele del mondo. Che cosa stava succedendo? Perché stava succedendo?

    « Mi dispiace, Signorina, ma...
    Io e mia moglie non abbiamo nessuna figlia che si chiami Alhandra... »

    proseguì, sincero nell'innocenza spietata con cui ogni parola avrebbe trafitto il cuore
    « E adesso, mi scusi, ma devo proprio andare... »

    E mentre il mondo crollava addosso alla ragazza, troppo pesante per il suo corpicino smilzo già incurvato dal peso di quel magone, due mani grandi, grosse e calde -ferme, eppure incredibilmente gentili- le cinsero le spalle, mentre una massiccia presenza -persino più alta di lei- si materializzava (letteralmente) dietro la schiena della Punk, torreggiando protettiva su di lei, offrendole il sostegno della giacca doppio petto, e irradiando abbastanza calore da forzare il gelo asettico che spesso accompagna uno stato di shock.

    jpg
    « Senta, Signor Liadon, ormai siamo davanti a casa sua! »
    sbottò Leorio, cercando nonostante tutto di mantenersi pacato e ragionevole
    « Apra il cancello, e ci faccia entrare! Sua figlia è venuta qui per incontrarla! »

    « E' di nuovo lei, signor Paladinknight... »
    un nuovo sospiro, stavolta più che altro esasperato, e poi... freddezza
    « Con tutto il dovuto rispetto, ma non intendo farla entrare in casa mia:
    se ne vada. E ci lasci in pace. »


    « Allora esca lei, e la ascolti un dannato momento! »

    « Mi ascolti lei, invece, Dottore - e con attenzione: io non so cosa sperava di ottenere portando questa ragazza qui, ma le cose stanno come le ho detto e ripetuto per mesi: non è cambiato nulla, e sono stanco fino alla nausea di ribadire sempre le stesse cose. »
    di che parlavano? Perché il Medico non le aveva detto nulla?
    « Inoltre, l'avevo già avvertita che ad ogni ulteriore pressione in merito avrei sporto denuncia; conosco la legge -mio figlio è Magistrato-, e non mi importa quanto influente sia l'Associazione Hunter: la sua è una persecuzione, ed è un reato! Mia moglie si tormenta ancora per questa storia, e non abbiamo il tempo né la voglia di trasferirci ancora. »
    a quel punto, sarebbe stato facile indovinare il motivo dei continui rimandi di Leorio
    « Adesso, scusatemi, ma devo andare. E andate via, o chiamo la polizia. »

    Il suono proveniente dal citofono, indicava chiaramente che il Signor Liadon aveva chiuso la comunicazione, lasciando il duo immerso in un silenzio denso e pesante: che cosa stava succedendo? Perché stava succedendo? Qualcuno doveva delle spiegazioni ad Alhandra... e solo una persona era rimasta al suo fianco.

     
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    "All’inizio di una fredda primavera, le nostre vite si sono divise.
    Non ci siamo detti addio, ma sapevamo che vivere lontani sarebbe stato fatale per tutti.
    Non ci sono mai state lettere o telefonate.. Non avevano senso se non potevamo abbracciarci.
    Però ogni notte.. Mi sentivo devastata da una solitudine indescrivibile.
    Lo sentivo più intensamente di chiunque altro".


    In quella notte che probabilmente avrebbe fatto fatica a passare del tutto, Alhandra Liadon elemosinava parole in quel silenzio che le toglieva il respiro, gravandole sul capo e schiacciandola lentamente. Erano trascorsi degli anni e sapeva di essere cambiata molto da un tempo: nonostante non fosse mai stata bassa, si era alzata ancora ed il corpo non era riuscito a star dietro al suo sviluppo, asciugandosi lì dove prima vi era qualche grazioso accenno di rotondità. I capelli erano lievemente più lunghi, gli orecchini erano aumentati. Forse anche il suo sguardo era cambiato: prima insofferente e menefreghista, ora confuso ed interessato.

    « Ancora questa storia... Di nuovo. Vi hanno mandato quelli dell'Associazione degli Hunter, non è vero...? Mi dispiace, Signorina, ma... Io e mia moglie non abbiamo nessuna figlia che si chiami Alhandra... E adesso, mi scusi, ma devo proprio andare... »

    v2BgLGK

    Non parlò.
    Non pianse.
    Abbassò lo sguardo piano, lanciando occhiate oblique alla porta oltre quel cancello che non si sarebbe mai aperto. Fu lei, a quel punto, a cancellare ogni parola dalle sue labbra sporche di rossetto. Chiuse gli occhi, cercando di controllare le proprie emozioni.
    Era brava in quelle cose, lei. In un certo senso, si era allenata per tutta la vita a quel momento: concentrandosi su quel peso che portava in petto -come in un esercizio già praticato- respirò profondamente, calibrando i movimenti del diaframma. In uno sforzo di volontà non indifferente, riuscì a spingerlo giù con lentezza e sofferenza, come un boccone troppo grosso, finché non riuscì di nuovo a respirare. Non ebbe paura perché era un dolore già provato chissà quante volte, nella realtà come nella sua testa. Non pianse perché non era ancora diventata il pagliaccio di nessuno... ancor meno quello di suo padre. Non aveva avuto le palle prima di accudire sua figlia, sacrificando la sua carriera da idiota impiccione, e non le aveva avute nemmeno in quel momento... rifiutandola.

    "Manda pure in frantumi le mie illusioni, non ho paura.
    Tanto non saprei come fare per cancellare la tua immagine dal mio cuore".

    In quel silenzio pesante e venefico, due mani grandi e calde la avvolsero in un gesto protettivo, ferme e gentili, ma Alhandra non sobbalzò, rimanendo a fissare il citofono con quello sguardo strano... a tratti assente.

    « Senta, Signor Liadon, ormai siamo davanti a casa sua! Apra il cancello, e ci faccia entrare! Sua figlia è venuta qui per incontrarla! »
    « E' di nuovo lei, signor Paladinknight... Con tutto il dovuto rispetto, ma non intendo farla entrare in casa mia: se ne vada. E ci lasci in pace. »
    « Allora esca lei, e la ascolti un dannato momento! »
    « Mi ascolti lei, invece, Dottore - e con attenzione: io non so cosa sperava di ottenere portando questa ragazza qui, ma le cose stanno come le ho detto e ripetuto per mesi: non è cambiato nulla, e sono stanco fino alla nausea di ribadire sempre le stesse cose. Inoltre, l'avevo già avvertita che ad ogni ulteriore pressione in merito avrei sporto denuncia; conosco la legge -mio figlio è Magistrato-, e non mi importa quanto influente sia l'Associazione Hunter: la sua è una persecuzione, ed è un reato! Mia moglie si tormenta ancora per questa storia, e non abbiamo il tempo né la voglia di trasferirci ancora. Adesso, scusatemi, ma devo andare. E andate via, o chiamo la polizia. »

    I suoni si spensero, e con altro silenzio aveva chiuso quella discussione in realtà nemmeno iniziata. In tutto ciò, Alhandra avrebbe potuto benissimo aver da ridire, dimostrare che avesse ragione, magari urlare o vomitare addosso a suo padre tutto il risentimento che provava per quella situazione e molte altre che avevano ancora in sospeso... ma scelse il silenzio.
    Semplicemente era rimasta abbastanza lucida per cogliere che -infondo- parlare ad un uomo completamente sordo non aveva la minima utilità. Non era più una figlia di papà viziata e che giocava a fare l'alternativa: sapeva bene che c'erano cose impossibili da cambiare, per quanto facessero male.

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    -Ho fatto un errore: non sarei dovuta tornare.

    Lo disse con mimando tutta la naturalezza del mondo... e non seppe dire se le riuscì bene o meno.

    -Me ne vado. E' meglio così.

    Diede le spalle al citofono ma non ricambiò mai lo sguardo di Leorio. Lo avrebbe sorpassato su di un lato per incamminarsi sola nella notte.
     
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    Sebbene quello fosse l'esatto scenario che si era grossomodo immaginato negli ultimi quattro giorni, ogniqualvolta in cui la ragazza gli chiedeva di essere portata dai suoi genitori e lui -puntualmente- procrastinava, Leorio si ritrovò del tutto impreparato a gestire la situazione: l'aveva tristemente previsto che il Signor Liadon avrebbe avuto quella reazione, e non aveva preparato delle contromosse o contromisure per arginarne gli effetti, perché semplicemente non ne esistevano...

    E nel silenzio tombale che assordava la strada, le parole di Alhandra
    non fecero altro che accrescere il peso che gravava sul cuore del Dottore.


    -Ho fatto un errore: non sarei dovuta tornare.
    proferì, con un tono neutro che non poteva assolutamente essere sincero
    -Me ne vado. E' meglio così.

    ...perché non poteva permetterle di andarsene così: in quel modo, in quello stato... e, soprattutto, senza sapere la verità. E non che lui potesse offrirgliela, (non tutta, almeno), perché c'erano ancora una montagna di cose confuse e inspiegabili, ma... doveva almeno raccontarle come stavano le cose! Doveva farle sapere che l'atteggiamento dei suoi genitori -in special modo del Signor Alphonzo- non era stato sempre quello...!

    « Alhandra! Aspetta! »

    Così, il Dottore si mosse per inseguire la Punk: la raggiunse in poche falcate, le afferrò un polso per trattenerla, e dopo averle sbarrato la strada con la sua mole, la fissò negli occhi con aria colpevole per un lungo momento; poi la lasciò andare, indietreggiò di un paio di passi, e -rigido come un pezzo di legno- piegò in avanti la schiena in un inchino di scuse tremendamente formale. Fuori luogo per uno come lui... eppure fin troppo sentito e sincero.

    jpg
    « Io... ti chiedo perdono, Alhandra... »
    in quel modo, lei non l'avrebbe visto in faccia, ma il suo tormento era lo stesso lampante
    « Avrei dovuto dirtelo, nei giorni scorsi: avvertirti... prepararti... spiegarti la situazione...
    Ma non sapevo come fare. Per questo rimandavo e rimandavo... »

    ammise, semplicemente costernato dal trauma che l'altra aveva dovuto subire
    « So che al momento potrai essere stufa di tutto, e non aver voglia di starmi a sentire... ma voglio dirti quel poco che so delle circostanze in cui -d'un tratto- la tua famiglia ha completamente dimenticato la tua esistenza. »

    E sarebbe rimasto in quella posizione, in attesa di una risposta.
    Una qualunque.

     
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    "Forse in quel periodo non eravamo così diverse, noi due.
    Entrambe, rincorrendo i nostri amori, cercavamo semplicemente di colmare quel senso di vuoto.
    Improvvisamente comprendere i tuoi sentimenti era diventato possibile per me.
    La nuova vita che proteggi, c'è riuscita?
    Ti ha completata?"

    Nel silenzio tombale, per pochi istanti, l'unico rumore fu quello degli anfibi neri di Alhandra che percorreva la sua strada verso casa. Quella vera... oltre un portale. Lì dove Virginia e Drusilia l'attendevano, ignare di quella terribile gita fuori porta che voleva a tutti i costi dimenticare.

    « Alhandra! Aspetta! »

    Eppure i guai ne attirano altri, e fu così che il dottore a cui aveva fregato la macchina riuscì a raggiungerla in poche falcate, alto com'era -perfino più di lei. Le afferrò un polso per trattenerla, sbarrandole la strada con prepotenza... ed Alhandra era già sul punto di tirargli un calcio in mezzo alle gambe quando si scontrò con uno sguardo ricolmo di sensi di colpa abbastanza convincente da riuscire a calmarla. Solo dopo la lasciò andare, indietreggiando e piegandosi davanti a lei, formale come un samurai -ed altrettanto rigido. Nonostante la sincerità manifesta, Alhandra sembrò infastidirsi per qualcosa, ma lui forse non la notò.

    « Io... ti chiedo perdono, Alhandra... Avrei dovuto dirtelo, nei giorni scorsi: avvertirti... prepararti... spiegarti la situazione... Ma non sapevo come fare. Per questo rimandavo e rimandavo...
    So che al momento potrai essere stufa di tutto, e non aver voglia di starmi a sentire... ma voglio dirti quel poco che so delle circostanze in cui -d'un tratto- la tua famiglia ha completamente dimenticato la tua esistenza. »


    Anche Alhandra abbassò lo sguardo per qualche strano motivo, mordendosi furiosamente il labbro e stringendo i pugni. Abbozzò tentativi di risposta cercando di modulare la voce tremante e quasi del tutto fuori controllo.
    L6VV1WL
    Stupido, stupido dottore da quattro soldi!
    Perché continuava a seguirla?
    Perchè voleva metterla in ridicolo in quel modo?

    Anche lei aveva un limite, e non avrebbe trattenuto le lacrime ancora a lungo.
    Cosa diavolo voleva? Tenerla lì fino a farla impazzire?
    Al diavolo lui.
    Al diavolo tutto.

    -... e se non m'interessasse scoprirlo?
     
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    -... e se non m'interessasse scoprirlo?

    Dalla sua posizione, chino a guardarsi la punta delle costose scarpe italiane -fatte a mano su misura-, all'eco di quella domanda retorica il Medico ristette per un lungo momento in uno stoico silenzio: una risposta del genere era esattamente quello che si aspettava da lei, anche perché -in tutta franchezza- era probabilmente lo stesso stato d'animo che avrebbe avuto anche lui al suo posto.

    Eppure, sebbene a conti fatti la verità avrebbe finito per darle ancora più dubbi con cui tormentarsi, una parte del Cacciatore non poteva accettare il fatto che Alhandra se ne andasse da quel posto con la convinzione di esser stata
    abbandonata. Sospirò.

    « Immagino che, in quel caso, nessuno dei due arriverà mai a scoprire perché -dal giorno alla notte- un uomo che vegliava il coma di sua figlia quasi ogni giorno ha dimenticato di essere mai stato padre di una ragazza, poi scomparsa dal suo letto di ospedale quella stessa notte. »

    Come la loro conversazione all'interfono aveva lasciato intendere, il Dottor Paladinknight e il Signor Liadon avevano avuto dei trascorsi, ma... al contrario di quanto avevano dimostrato i fatti di quella sera, i loro rapporti non erano affatto stati così pessimi all'inizio.

    Era stato lui il medico che aveva seguito e operato d'urgenza Alhandra al suo arrivo in corsia la notte del Massacro dei Galanodel, per estrarle dagli organi le schegge di vetro di uno specchio rotto; data la rilevanza politica dell'evento, il Consiglio degli Hunter aveva ritenuto saggio predisporlo a medico curante dell'unica sopravvissuta del più grosso fatto di cronaca nera degli ultimi decenni, ed erano state quelle le circostanze che aveva reso Leorio il più affidabile testimone della preoccupazione dei suoi genitori e del fratello accorsi al suo capezzale.

    Aveva visto le lacrime di una madre che stringe la mano immobile di sua figlia incosciente, la maldestra premura un po' ruvida di un fratello maggiore che cerca di ottenere una qualche reazione dal corpo inerte della sorella rievocando vecchi ricordi imbarazzanti, e aveva visto l'irrequieta ossessione di un padre che non si rassegna a stare con le mani in mano, senza poter far nulla per la sua creatura... fosse stato anche solo trovare i colpevoli di averla ridotta in quello stato.


    Per questo Leorio aveve preso a cuore il loro caso. Per questo si era mosso per avvisarli personalmente quando Alhandra era svanita nel nulla dal giaciglio della propria stanza, dando inizio alla leggenda della Onikakushi dei Galanodel, la ragazza “rapita dai demoni” che avevano estinto i discendenti degli angeli. E per questo non si era dato pace quando, all'improvviso, privi dei ricordi che li avevano riuniti intorno alla loro figlia, i Liadon non erano più stati gli stessi...

    « Magari ora sarai stanca e non è il momento di parlarne, perciò...
    Ecco... è meglio se torniamo a casa mia, così puoi pensarci con calma, e... »


    Interrompendo il flusso di coscienza che lo aveva rapito per poche frazioni di secondo, Leorio tornò a raddrizzare la propria postura, e fu così che i suoi occhi scuri andarono a sbattere contro quelli blu e velati di lacrime della ragazzina...

    jpg
    « ... »

    ...e mentre la vista gli si appannava di riflesso -contagiato per empatia dal dolore della Punk- non seppe trattenersi dal circondarla con le braccia e stringerla sul petto, con fare protettivo. In silenzio.

     
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    “... perche' l'amore e' inscindibile dal dolore... e sa essere cosi' penoso... che a volte assomiglia ad un soffocamento”.

    (Nana)


    « Immagino che, in quel caso, nessuno dei due arriverà mai a scoprire perché -dal giorno alla notte- un uomo che vegliava il coma di sua figlia quasi ogni giorno ha dimenticato di essere mai stato padre di una ragazza, poi scomparsa dal suo letto di ospedale quella stessa notte. »

    Nonostante Leorio tentasse disperatamente di spiegare ancor prima che lei gli desse di fatto un qualsivoglia permesso, la ragazza non sembrava ascoltare, piuttosto lo fissava con rabbia e frustrazione. Era davvero importante saperlo? Tanto non sarebbe cambiato nulla...

    sng0I33
    « Magari ora sarai stanca e non è il momento di parlarne, perciò...
    Ecco... è meglio se torniamo a casa mia, così puoi pensarci con calma, e... »
    gli occhi del medico si levarono, e gli sguardi finirono comunque per incrociarsi « ... »

    Come contagiato da una malattia strana, forse per magia, l'inseguitore finì per imitarla. Poi, improvvisamente, le si gettò addosso, stringendola. Sobbalzando appena in un singhiozzo, la ragazzina s'irrigidì tutta. Poi, solo dopo qualche minuto, i muscoli la abbandonarono al punto da reggerla a stento: fu allora che si trovò costretta ad appoggiarsi completamente a lui e, nascosta tra le pieghe della giacca, consumò la sua piccola vendetta distruggendogli per sempre la camicia, sporcandogliela di rossetto, matite e lacrime copiose.

    "Che stupida" -finì per pensare- a gettarsi di nuovo fra le braccia del primo uomo che incontrava.
    Ormai era diventata recidiva: sperò solo che non se ne approfittasse.
    Anche perché... quel Leorio non le piaceva neppure.

    "Ancora oggi continuo a pensare che ognuno sia artefice del proprio destino.
    Adesso però riconosco che non tutte le persone sono abbastanza forti
    da plasmare la propria vita, e provo più indulgenza nei loro confronti
    di quanta non ne avessi all'epoca".


    (Nana)



    Edited by Drusilia Galanodel - 16/7/2017, 23:04
     
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