Il Sacrario delle Ossa Perdute

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    Guardia di Porta.


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    Prologo.


    « Muoviti cretino! Sono qui!
    Ti sto aspettando da un'ora!
    »


    La voce, che riverberava all'intero del cunicolo scavato con mano e picozza, nella neve, nel ghiaccio e nella terra surgelata era maschile. Giovane, ricolma di agitazione che - il padrone della voce - non era più in grado di mascherare o tenere a freno.
    Lavoravano a quel progetto da mesi. Avevano seguito tracce e racconti, per arrivare fin lì. Certi, vaghi come ricordi confusi di vecchi alcolizzati. Ma alla fine erano arrivati alla loro meta. Il Cimitero.

    « Eccomi eccomi. Vedi di darti una calmata. »


    Anche la seconda voce che si era andata a mescolare alla prima, completata poi quell'amalgama dal gocciolio insistente di quei piccoli rivoli d'acqua che ruscellavano giù dalla volta della galleria, a causa delle torce accese per dare un poco di luce agli scavi, era una voce di uomo. Più roca e modulata della prima. Se chi aveva sbottato dava l'idea di essere un giovane, questo doveva essere uno che la professione l'aveva sulle spalle da parecchio tempo.

    I passi di stivali pesanti si erano sostituiti alle voci. E a quelli, colpi di metallo contro il ghiaccio e le pietre.
    Stavano ancora scavando. E poi il secondo uomo si avvicinava al primo, più il rumore si faceva forte, e il ritmo del lavoro di picozza insistente.

    « Dai. Ci siamo quasi. Deve essere qui dietro. DEVE! »


    Altri tre minuti, e le parole si sostituiscono al respiro pesante di entrambi - sì, anche il secondo convenuto si era messo al lavoro; un lavoro di martello, il suo, a scheggiare la pietra, dove il primo cercava solo di demolire il ghiaccio.
    L'intera zona era conosciuta, da secoli, perchè le anomalie del Maestrom sembrava avessero la bizzarra abitudine di accumulare lì pietre preziose di natura pesante. Diamanti giganti, rubini grossi come crani umani. Geodi improbabili di opali ed ametiste.
    Il problema è che la natura del semipiano li faceva apparire tutti all'interno del terreno ghiacciato delle Lande di Etlerth.
    Impossessarsene non era certo facile.

    Qualcuno però, ogni tanto, ci provava. Qualcuno che con buona regolarità moriva di freddo e di fame prima di aver completato il suo progetto. E lì entravano in gioco loro : scoprivano dove erano gli scavi, e li finivano, o li portavano avanti per quanto possibile, raccimolando poche pietruzze per sostentarsi, ma sperando sempre nel colpaccio.
    Sembrava proprio che, quella volta, il colpaccio per loro ci fosse davvero. A portata di mano. E di martello. E di picozza.

    _


    La parete di ghiaccio della galleria, quella che da ore stanno indebolendo, finalmente schianta al suolo, rivelando dietro di sé un piccolo spazio vuoto e libero. Tiepido.
    E' una Sacca : quando la Tempesta delle Dimensioni deposita i tesori alieni, lascia loro attorno un poco dell'atmosfera, o del contesto, se preferite, dal quale li ha trafugati.
    Un sottile odore di zolfo aveva riempito l'aria, e dopo quello... un sentore dolciastro. E di qualcosa di oleoso.

    « Vado davanti io. Stai attento e prendi questa corda. Me la lego in vita; se senti tirare, allora vieni dentro. »

    Il vecchio si assicura una cima sopra agli innumerevoli strati di vestiti e pellicce. Operazione non facile, con le mani guantate in più involucri. Alla fine - dopo aver nominato invano una mezza dozzina di divinità - riesce nel suo intento. Passa l'altro capo della corda al ragazzo, e sguscia dentro alla breccia.
    L'altro è lì, impalato, nel mezzo della galleria che avevano finito di ampliare e consolidare. La cima stretta tra le mani - anche le sue, coperte di guanti di pelliccia -. Respira piano, tendendo le orecchie. In sè, quel lavoro di scavo non è pericoloso per quello che trovi - un diamante non ha mai ucciso nessuno - ma occorre sempre verificare che le condizioni di estrazione dei geodi o delle concrezioni siano sicure. Quella volta sembrava fosse andata piuttosto bene, per loro. Nessun tipo di miasma tossico o velenoso. Solo...

    ...



    La corda si tende, con uno strappo.
    E poi un secondo, prima ancora che il giovane scavatore abbia il tempo di registrare l'accaduto.
    Per non perdere la presa sulla fune, da bravo l'aveva arrotolata attorno al braccio destro due, tre, quattro volte.
    Il terzo colpo sulla corda quasi lo fa cadere a terra. Non ha nemmeno il tempo di far rotolare fuori dai denti la bestemmia che gli è scappata dal cervello per arrivare in gola.
    Solo un altro battito di cuore, e la corda si tende ancora di più, ma lo fa in maniera così inaspettata e improbabile che il ragazzo non ha nemmeno tempo di pensare di opporsi all'evento - magari piantando meglio i piedi a terra.
    E' con un grido soffocato dalle sciarpe e dai berretti che indossa che viene tirato dentro la braccia come un verme all'amo viene ripescato da sotto l'acqua, quando il pesce tarda ad abboccare.

    Dalla spaccatura provengono rumori sordi; qualcosa di metallico viene sguainato. Qualche meccanismo cigola, si muove e ricade con un altro tonfo. Un dei due uomini urla. Poi nient'altro.

    ...



    Il cigolio di più ingranaggi di metallo è qualcosa che accompagna con più armonia il concerto cristallino delle gocce d'acqua che si staccano dal soffitto della galleria per colpa delle torce. La cosa alla fine del tunnel sembra accoccolarsi, stiracchiando - dal rumore - zampe metalliche e meccaniche.
    Poi, più niente.

    Le torce si spegneranno non appena tutto il materiale combustibile si sarà esaurito. Forse, nessuno si avventurerà lì dentro. Forse, non prima di altri lunghi giorni. Settimane. Mesi.
    Forse.


     
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