Dim Light Knights

« “Qualcuno” si sta interessando a noi, e... vivrebbe in superficie, mi pare di capire. » Yenis continuava a guardare il pugile con sospetto, picchiando impazientemente il tallone contro il pavimento in legno che schricchiolava ad ogni passo dei presenti. « Sempre questa persona misteriosa si sarebbe “ritrovata fra le mani” un presunto traffico illecito di esseri umani. Qualcuno che ha cominciato solo di recente ad occuparsi degli affari di Altatorre, dunque. »
Alzò le sopracciglia e sospirò, alzandosi poi di nuovo in piedi. Si accarezzò poi la barba, corta e verde, e prese a camminare intorno al tavolo lanciando di tanto in tanto un'occhiata a quel prigioniero che non pareva ancora dare segni di ripresa.
« Questa persona si tratta per caso della nuova Matrona, Evangeline Raillier-Lanty? O chiunque ne stia facendo le veci per questa specifica faccenda, non fa alcuna differenza per me. »
Sollevò il viso per poter guardare Ted Carter in faccia. Quest'ultimo sovrastava l'Abada di quasi un piede intero, ed era grosso almeno una volta e mezza tanto, eppure Yenis non mostrò la benché minima traccia di preoccupazione, e non indietreggiò di un solo passo.

« Se pensate che una singola testimonianza possa cambiare qualcosa, siete degli ottimisti, ma non sarò certo io ad impedirvi di provarci. Se riuscite in qualunque sia il vostro intento, avrete fatto un favore anche a noi. Probabilmente. » Si girò ancora una volta a guardare l'umano svenuto. « Avete inoltre già capito che state correndo un grosso rischio: quest'uomo non è stato che l'inizio. »

« Voglio soltanto tornare a casa, signor Yenis. »
Intervenne Caryn, che fino ad ora si era limitata ad ascoltare in silenzio quella conversazione fra due adulti estranei. Il suo tono, tuttavia, era fermo e deciso, e la ragazzina si era pure alzata dalla sua sedia, fissando l'Abada non più con gli occhi intimoriti di prima, ma con sicurezza.
Yenis posò su di lei le iridi dorate, e rimase in silenzio per qualche secondo.

« Sei stata in superficie, e... stai ritornando in questo inferno di posto di tua spontanea volontà? » Rivolse un rapido gesto della mano a Ted, come a dirgli “nessuna offesa.” « Saresti potuta restare in superficie, condurre una vita più serena. Quindi, perché? »
Caryn indietreggiò, quasi come se si sentisse aggredita dalla domanda dell'Abada, malgrado egli avesse mantenuto un tono decisamente pacato. Un istante di esitazione più tardi, però, ella rispose:
« Perché è casa mia. »

Yenis annuì.
« Ottima risposta. »
Voltatosi nuovamente verso Ted, l'uomo riprese a parlare.
« Ho preso quest'uomo perché volevo chiedergli il motivo di quell'attacco, ma a spiegarlo ci hai già pensato già tu. Gli chiederò di conseguenza... tutto il resto che voglio sapere da lui. Cosa che non farò tuttavia in presenza di due stranieri: quindi, ora che le acque si sono calmate, andatevene, e state più attenti la prossima volta, poiché potrebbe non esserci sempre qualcuno a vegliare su di voi. »

Yenis si limitò in risposta a guardare il pugile con aria impassibile, tenendo le braccia incrociate sul petto. Se il giovane avesse prestato fede o meno alle prime parole dell'Aviatore, era difficile da stabilire. Anche qualora ci avesse creduto, questo non significava necessariamente che tutto ciò gli interessasse. Forse, stava solo dubitando della capacità di un palese estraneo di dare giudizi su quel posto. O quella di poter dare consigli ai suoi abitanti.

Gli occhi dell'Abada rimasero incollati a Ted Carter fino a quando quest'ultimo non chiuse dietro di sé la porta di quella catapecchia fatiscente. Liquidato con un semplice “addio,” il Campione del Mondo avrebbe ripreso il suo cammino guidato da quella ragazzina coraggiosa, riprendendo nel giro di una decina di minuti il percorso lasciato poco tempo prima a causa dell'apparizione del Cavaliere, arrivando eventualmente fino a quel fatidico slargo.

Silenzio.
Come Yenis aveva correttamente predetto, non si vedeva né sentiva più alcuna traccia di quel tale Sir Jonathan. Non se ne scorgeva più la figura imponente, né si udiva quella sua voce fragorosa o il tintinnio della catena che brandiva. Ciò che rimaneva, però, era il segno evidente del suo passaggio.
« Urgh! »
Caryn trattenne con fatica un conato di vomito. Sparpagliati per tutto il piazzale c'erano ancora gli uomini affrontati dal cavaliere in battaglia. Corpi, perlopiù, o loro pezzi. Grazie ad un rivolo di sangue ancora fresco che gli bagnò le calzature, il pugile sarebbe potuto risalire, seguendolo, al cranio completamente fracassato di uno di quegli scagnozzi. Uno dei tanti, come avrebbe appreso poco più tardi.

Si fecero così strada fra la piccola folla che, inorridita e al tempo stesso curiosa, si era raccolta intorno a quella specie di percorso ad ostacoli fatto di casse toraciche aperte come scrigni, costole, teste strappate via dai rispettivi corpi, e pozzanghere color rubino, e che non badava a loro. C'era perfino un superstite in mezzo a quella carneficina, ma aveva perso molto sangue, e respirava con così tanta fatica che apparve evidente a tutti che non gli rimaneva più di qualche minuto ancora di vita. Difficile dire se, nell'oscurità, qualcuno di loro era poi riuscito a fuggire alla furia di quel guerriero, oltre al capo catturato dall'Abada.

Se c'era qualche sopravvissuto, di certo si era guardato bene dal tendere un secondo agguato ai due; non con il rischio di una seconda apparizione del cavaliere, né con i propri numeri così considerevolmente diminuiti: del resto, pure senza quel vigilante a vegliare, sarebbe rimasto ancora un ostacolo importante fra loro e quella ragazzina fuggitiva.
Quell'ostacolo era un uomo i cui pugni erano spesso paragonati ad aeroplani: di ferro, e capaci di far volare una persona sulle lunghe distanze.
Quell'uomo si chiamava Ted Carter.

Anche se quel giorno il fato gli aveva negato la battaglia, rimaneva comunque suo il merito di essere riuscito a riunire una ragazzina ai suoi genitori, che la accolsero con gli occhi gonfi di lacrime e le braccia aperte che si erano strette in un istante attorno alla loro Caryn.
Quanto alla ricompensa, erano troppo poveri per permettersela; e il pugile sapeva già che sarebbe stata la Matrona ad occuparsene al loro posto, una volta tornato a fare rapporto. Ciononostante, i tre insistettero parecchio per porgere all'uomo un segno della loro riconoscenza: il loro piccolo tesoro, un bracciale di fil di ferro, decorato da biglie colorate di metallo, vetro e plastica.
Avrebbe scoperto solo in seguito che una di quelle sfere era platino. Si trattava di un prezzo irrisorio, comunque, per rivedere una figlia.