Monolith

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    { Daleli, Tempio dei Monoliti }
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    La steppa di Daleli che circoscriveva l’immenso deserto dello Yuzrab era riarsa dal sole e sferzata dal vento. I banchi di nubi - che raramente concedevano una misera spruzzata di pioggia alla regione - transitavano pigramente sulle distese d’arbusti ingialliti. Roditori e rettili sgusciavano nelle praterie scolorite, mettendo in scena nel loro piccolo quella disperata lotta per la sopravvivenza che permeava il Presidio più ostile del semipiano.

    Per quanto l’inclemenza degli elementi fosse tipica del Meridione, nella regione stepposa di confine essa risultava stemperata rispetto alle ben più aspre zone desertiche e vulcaniche dell’entroterra. Per questo motivo era possibile imbattersi in accampamenti di beduini lungo le tratte carovaniere, spesso bendisposti nei confronti di altri nomadi – purché disposti a barattare risorse con loro.

    Per quanto le società tribali fossero affascinanti per etnografi e studiosi affini, la fama di Daleli risiedeva soprattutto nelle vestigia del passato che punteggiavano il territorio: acropoli diroccate, obelischi erosi dal tempo e altre rovine di civiltà perdute attiravano da secoli archeologi e predoni – accomunati dalla speranza di rinvenire tesori tra i ruderi polverosi. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il continuo susseguirsi di saccheggi e scavi non aveva spolpato ogni resto ancestrale, poiché dove terminava la protezione dei muri spesso cominciava la salvaguardia dei reperti da parte di forze arcane perlopiù ignote.

    Il cosiddetto “Tempio dei Monoliti” ne era un esempio lampante: per quanto adepti e oranti avessero disertato da almeno un millennio quel santuario, i massicci blocchi perimetrali - che avevano ribattezzato il luogo di culto nell’immaginario collettivo - attingevano ancora da indecifrabili energie del sottosuolo, alimentando un filtro invisibile che precludeva l’accesso alla maggior parte dei visitatori – a prescindere dalla loro (improbabile) buonafede.

    Quel giorno però la barriera era inspiegabilmente abbassata. I profili sinistri dei monoliti - che di norma ronzavano sommessamente adempiendo all’oscura funzione per cui erano stati eretti - avrebbero accolto in silenzio un’ignara visitatrice.

     
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    Narrato - «Parlato»


    Raggiunse quelle vaste distese desolate con lo scopo di studiarne gli antichi resti. Volando sopra le vallate sabbiose e desertiche aveva intravisto innumerevoli rovine, e sperava che qualcuna di esse contenesse qualche ricordo, un prezioso frammento di conoscenza utile a svelare i misteri di Endlos. Atterrò in mezzo a quei ampi monoliti dormienti, non conoscendone funzione o significato. Dischiuse le proprie grandi ali, le scaglie che scintillavano sotto la luce implacabile del sole del Sud, e mosse alcuni passi verso le grandi strutture verticali, per esaminarle. Non le dissero granché: svettavano solitarie verso il cielo, antichi e silenziosi. Eppure, sembravano circoscrivere una zona, come a delimitarne l'area. Questo era molto curioso. Il centro di quel cerchio immaginario era una struttura in rovina, apparentemente disabitata. Rynne si mosse verso di essa a esaminarne l'ingresso. Il suo cuore non poteva desiderare altro che un'avventura investigativa nel nome della ricerca del sapere. E così, decisa a entrare all'interno di quella struttura, assunse la sua forma elfica. Pochi secondi dopo, di fronte all'entrata del tempio, svettava un'elfa dai lunghissimi capelli rossi, con due paia di corna nere abbellite da monili di ogni tipo. Occhi dorati studiarono le rune inscritte nelle pareti e nella grande porta, mentre lunghe orecchie a punta cercavano di captare ogni eventuale suono potesse provenire dall'interno o dal circondario. Portò le mani all'altezza del cuore e sospirò. Nulla, in fondo, le impediva di entrare... e così mosse qualche passo all'interno.


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    { Daleli, Tempio dei Monoliti }
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    All’interno dell’edificio l’aria era fredda e umida. Ciò nonostante non c’era odore di stantio, né ragnatele appese agli angoli dei muri, come se il tempio fosse ripulito periodicamente… o come se l’ignoto materiale grigiastro di cui era lastricato impedisse il proliferare di muffe e aracnidi. Col passare dei minuti l’ambiente asettico e anecoico rendeva opprimente perfino il silenzio.

    Isolata dal mondo e immersa in una quiete tombale, procedesti attraverso corridoi spogli e dalla conformazione vagamente sbagliata, di cui però non riuscivi ad inquadrare eventuali anomalie a dispetto di qualsiasi sforzo di concentrazione. Una crescente inquietudine ti sussurrava di fuggire immediatamente, ma una forza uguale e contraria - la tua inguaribile curiosità - ti spingeva ad addentrarti ancora in quegli androni dimenticati immersi nella penombra.

    Se tra le due avesse prevalso il desiderio di sapere, avresti raggiunto un abisso circolare nelle cui colonne perimetrali erano incastonate statue deformi con molteplici arti. I crani oblunghi avevano una conformazione aliena ed erano rivolti verso la piattaforma a forma di disco sospesa nel vuoto del baratro. Una massiccia passerella fatta della stessa materia grigia attraversava la voragine consentendo il transito, senza tuttavia connettersi alla pedana centrale – che dunque fluttuava priva di sostegni visibili.

    Una sfera inerte di metallo liquido era sospesa
    a sua volta al centro della piattaforma.

     
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    Narrato - «Parlato»


    Era strano non sentire l'eco dei propri passi in quell'ambiente monocromatico. Rynne cercò di captare dei rumori, ma l'innaturale silenzio che opprimeva quel luogo, stava opprimendo anche il suo cuore. Era strano per lei provare timore: era una dea del mondo antico, creata per non provare paura, eppure il suo animo era turbato, come se quegli antichi resti di civiltà avessero una natura ostile. Ma la sua curiosità e voglia di conoscenza non potevano essere messe a tacere, e così la draghessa trovò tutto il coraggio e la sicurezza che l'avevano sempre contraddistinta e continuò la sua esplorazione di quegli anfratti. Fino a raggiungere una vasta sala, dalle peculiari caratteristiche. La osservò con meraviglia, chiedendosi quali strane magie fossero all'opera. Con passi lenti e rispettosi raggiunse quella pedana che saliva verso il centro e percorse qualche passo per avvicinare quella meravigliosa sfera che fluttuava sopra la piattaforma. La osservò a lungo, in silenzio, rapita da quella visione, chiedendosi mille domande sulla sua origine e funzionamento.


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    La sfera riflettente si attivò all’improvviso, riproducendo una mappa tridimensionale del cielo stellato nel salone. Il globo fu invece circoscritto da una sorta di sfera armillare composta da rune olografiche verdognole, proiettate dagli occhi delle statue circostanti – a giudicare dalla luce sinistra di cui si erano accesi. Le indecifrabili stringhe runiche orbitavano in parallelo ad altri anelli concentrici di raggio maggiore che abbracciavano l’intera piattaforma. Insieme alle rune anche una sorta di sistema di puntamento gravitava pigramente.

    Sul metallo liquido del nucleo furono processate innumerevoli coordinate interstellari, che disegnarono diagrammi simili a costellazioni in continuo mutamento. Se avessi cercato d’interagire con gli ologrammi, avresti scoperto che i due triangoli incastonati intorno al nocciolo di argento vivo potevano rispondere ai tuoi input: un loro spostamento determinava un movimento simmetrico nei più ampi puntatori perimetrali.

    Pur ignorando il significato di quell’alfabeto alieno, la tua perspicacia da dragonessa riuscì ad intravedere uno schema in quel rompicapo giroscopico. Se ti fossi cimentata coi comandi, probabilmente avresti potuto trovare una soluzione a quel problema di allineamento stellare nel giro di mezz’ora… sempre se quel tetro presentimento che ti assillava non fosse riuscito nel frattempo ad imporsi sul tuo raziocinio.

     
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    Narrato - «Parlato»


    Scavalcò con passo deciso la fessura che separava la scalinata dalla piattaforma. Di fronte a lei si stagliava un marchingegno antico. Quando le luci si attivarono, la draghessa emise un silenzioso sussulto, trovandosi circondata da quei silenziosi ologrammi. Era una tecnologia mai vista prima - o forse era magia antica? - e la sua reazione fu di immensa curiosità. Il suo istinto la spingeva ad allontanarsi, un cupo presentimento nel cuore, ma la sua anima che era dedita alla conoscenza in ogni sua forma, le impose di restare. Dita gentili si impressero su quelli che dovevano essere dei comandi, che riconobbe per intuizione, e iniziò a manovrarli, facendoli ruotare sulla superficie liquida della sfera. Ebbe un risultato affascinante. Continuò a giocare con il meccanismo in modo da cambiare la disposizione delle luci, e trovò la cosa divertente. Si sentì come se fosse tornata un cucciolo, con un gioco meraviglioso fra le mani. Quel senso di euforia superava la sensazione di raccapriccio che tentava, dai margini della sua coscienza, di metterla in guardia. Il suo senso di sicurezza, non ancora messo alla prova, era superiore a qualsiasi paura. Lei era l'aspetto della vita, la creatura più grande della Valle, la dea dell'equilibrio... e Endlos non le aveva ancora mostrato i suoi limiti, perciò non fuggì, come forse avrebbe dovuto, ma continuò a lavorare sui comandi per allineare le mappature stellari e trovare una risposta a quell'enigma affascinante.

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    Il firmamento non sarebbe mai stato stazionario. La riconfigurazione dei corpi celesti trasudava energia ambientale - nota ai primitivi astrofisici come “energia oscura” - in contrazione ed espansione. Particolari disposizione energetiche consentivano alle gallerie gravitazionali di allinearsi e accrescersi vicendevolmente a sufficienza da consentire il Loro passaggio.

    Le stelle non erano mere sfere di plasma sospese placidamente nello spazio. In epoche preistoriche erano state riconosciute come puntelli del cielo notturno, nonché remoti oblò da cui qualcuno poteva affacciarsi e spiare l’universo. Ci fu un tempo in cui il loro decadimento in buchi neri non si limitava a fagocitare le profondità siderali del cosmo, bensì spalancava i cancelli verso realtà recondite, da cui filtravano entità arcaiche originarie del caos primigenio.

    Ipnotizzata dall’andamento giroscopico degli ologrammi, continuasti a giocare incautamente con l’ignoto. L’apparente inoffensività di quel costrutto ti consentì di saggiare innumerevoli disposizioni, mentre ti approssimavi ineluttabilmente alla soluzione di quell’enigma. L’incessante danza orbitale ti fece smarrire la percezione dello scorrere del tempo, a tal punto da renderti ebbra e incapace d’interrompere quella tua scellerata ricerca spasmodica.

    Infine l’allineamento fu raggiunto.

    I puntatori s’immobilizzarono, le rune confluirono nel nucleo centrale e la sua superficie specchiante memorizzò la disposizione definitiva individuata nella mappa interstellare. I proiettori di forma aliena furono percorsi da un impercettibile tremito di appagamento prima di spegnersi. Il globo fluttuante si condensò gradualmente fino a svanire nel nulla. La piattaforma tornò ad essere un disco inerte sospeso nel vuoto, mentre il buio si riappropriò del salone che aveva ormai adempiuto al proprio scopo.

    « C̠̙̫̲̺͍̼͒̔ǒ͓͉͑̂͗̀͌ͤn̖͈̗̪͕̣̽̈́g̘͍̮ͩ̓̒̓r̺̝̀̏̚a̐͗ͥ́t͇̜̘̠̯̹ͤ̔̄ͥ̾͊̔u̺̱̠̝̭̯̅̚l͚̙̲͐̑͛̊ͭͩ̃a̻̝͈͔͙̦͓͑̀̏͊ͭż̥̱͛̉i̬͙̗̘̫̓̓o͔͙͙̥ͩn͚̩̥͖̪ͥ͌̌̉i̬͙̫͑̈́. »

    Una voce distorta proveniente da ogni direzione serpeggiò
    nell’oscurità e infranse il silenzio tombale.

     
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    Quando le luci si spensero il suo cuore si fermò per un attimo, pieno di aspettativa e impaziente esitazione. E infine giunse una voce, che la compenetrò. «Grazie» rispose il drago, senza sapere chi fosse il suo interlocutore. Parlò in modo freddo, seccata per il non poter vedere chi aveva di fronte. E poi, ancora, il silenzio. Passò un po' di tempo, Rynne attese pazientemente, ma via via che i secondi scorrevano, la sua curiosità cresceva. Lei era abituata a guardare negli occhi i suoi sudditi quando dialogava con loro. Inspirò con calma e infine aggiunse: «Dunque? A cosa è servito risolvere questo enigma? E chi sei tu, voce? Mostrati, così che possa vederti.»
    Incrociò le braccia e attese, senza sapere cosa le avrebbe riservato il destino. Di sicuro aveva compiuto qualcosa di incredibile, se lo sentiva, perché aveva risolto il gioco dell'allineamento stellare. La paura era stata completamente nascosta dall'eccitazione per una qualche imminente scoperta.

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    { Presidio Sud, Daleli }
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    L’abitante del buio sogghignò compiaciuto, non tanto per il risultato conseguito - dato per scontato - bensì per l’atteggiamento dell’ignaro strumento utilizzato per raggiungerlo. L’alone d’importanza che quel rettile metamorfo si attribuiva era risibile nella sua ingenuità: permettersi di avanzare pretese verso l’ignoto e convincersi di meritare un riconoscimento per aver maneggiato un impianto sconosciuto in terra straniera… non c’era davvero limite alla supponenza di quelle creature.

    « Io ho molti nomi… ma nessuno di questi ti concerne, piccola naufraga. »

    La voce di chi infestava l’oscurità divenne più nitida, per quanto di matrice inumana: le parole parevano rimbombare direttamente nei tuoi pensieri, scavalcando l’apparato uditivo con inquietante disinvoltura.

    « Ti basti sapere che i tuoi sforzi saranno ricompensati: hai appena tracciato la via che condurrà alla rinascita di questo mondo. »

    Fu allora che le tenebre iniziarono a collassare, facendo crollare lo spazio circostante al pari di un castello di carte. Dal mosaico nero si staccarono in blocco tutti i tasselli, perdendosi nel vuoto. Pur non potendolo percepire direttamente, in qualche modo sospettavi che l’essere non avesse smesso di fissarti.

    Quando infine l’orrenda visione adimensionale si fece insostenibile… ti svegliasti di soprassalto.

    Eri all’aria aperta, coricata sulla sterpaglia secca tipica di Daleli. L’ombra di una roccia ti riparava dall’afa pomeridiana. Nei dintorni non c’era traccia del tempio che credevi di aver visitato, nemmeno a seguito di eventuali perlustrazioni aeree. L’intera peripezia pareva soltanto un incubo provocato dalla calura, i cui contorni sempre più indefiniti avrebbero lasciato presto la tua memoria – se li avessi relegati nel dimenticatoio.

    Oppure potevi scegliere di ascoltare un tenue impulso irrazionale, che ti scongiurava con un sussurro di non obliare quella vicenda. Forse dovevi permettere a quell’angoscia primordiale di perseguitarti e guidare in futuro i tuoi passi, scavando febbrilmente per superare la patina di mondanità che celava un baratro senza fondo.

     
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    Fu un evento significativo per la draghessa, un incontro al buio in tutti i sensi, con una voce che non rispondeva direttamente alle sue domande. Rynne non fu felice di quello che accadde dopo, in quanto tutta la stanza intorno a lei si smaterializzò gradualmente ma inevitabilmente, portando alla distruzione concreta di tutto quello che avrebbe voluto esplorare e scoprire. Quando si risvegliò al di fuori del tempio, scoprì che di esso non c'era più traccia. Ebbe la sensazione che fosse stato tutto un sogno, ma il suo intuito divino la aiutò a comprendere che qualcosa di più soprannaturale era in moto, una forza superiore che voleva imporle l'oblio. Decise che non avrebbe dimenticato quanto accaduto fra le mura dell'aliena costruzione, facendo ricorso alla sua forza di volontà per mantenere un lucido ricordo. Rimase sdraiata a lungo, pascendosi del calore del presidio meridionale, finché non ebbe rivisitato quel tempio più e più volte nella propria mente, combattendo così la dimenticanza, e cementificando nella memoria la sua avventura. Aveva scoperto poco, meno di quanto avrebbe desiderato, e la sua fame crebbe a dismisura. Avrebbe mangiato qualsiasi cosa per colmare quell'improvviso vuoto che sentiva dentro di sé, il suo ancestrale bisogno di conoscenza che non era stato appagato. La giornata iniziò a scadere verso un rossissimo tramonto, che vide un grande drago dispiegare le ali e riprendere i suoi viaggi, sospinto dalle correnti calde del Sud.

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