Flânerie

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    Altatorre
    Presidio Centrale, Endlos.

    Spinta dalla sua curiosità di viandante, Rynnelthalas si era spinta fin nel cuore stesso della civiltà di Endlos: il Pentauron, noto ai più come Lo Stato delle Cento Torri, composto da più enormi metropoli attigue, ognuna delle quali rappresentava una “punta” del Presidio.

    Quella settentrionale, Altatorre, si presentava agli occhi della draghessa come un autentico dominio dello sfarzo. Una volta passati i controlli alla dogana, dove ricevette più di un'occhiata diffidente rivolta alle sue orecchie e, soprattutto, alle sue bizzarre corna, ella sarebbe stata libera di passeggiare per i suoi viali ampi e puliti, ai lati dei quali si potevano scorgere dei café brulicanti di clienti che discutevano di affari, di come rilevare quella cava di marmo in esaurimento nel Koldran sarebbe stata una pessima idea, di pettegolezzi, perché pareva che Ferdinand Kovacs, quello dei liquori, aveva ripudiato la moglie dopo un tradimento, e via discorrendo. Non andavano ignorate nemmeno le numerose boutiques, nelle quale uomini e donne vestiti di abiti elegantissimi e colorati si addentravano di continuo per poi uscire chissà quando: ma poco importava, perché Rynnelthalas non era giunta fin lì per aspettarli; si doveva continuare a camminare, ad osservare, e ad imprimere nei propri ricordi tutte quelle vie, e tutti quei passanti che talvolta si fermavano a guardare la draghessa con interesse, timore, disgusto, fascinazione o, più frequentemente di quanto sarebbe stato possibile per i più rimanere a proprio agio, lascivia.

    Svoltando l'angolo nelle strade secondarie, e addirittura nei vicoli, si cominciava ad avvistare gente di estrazione sociale più modesta, della classe media e quella lavoratrice, mentre anche i negozi si facevano meno “prestigiosi”, e apparivano infatti i primi negozi di generi alimentari, ferramenta ed edicolanti più piccoli. Quasi invariata, invece, rimaneva la componente etnica: a prevalere erano sempre umani dalla pelle chiara, ma aguzzando lo sgaurdo già si scorgevano altre razze; solitamente elfi, a volte driadi e naiadi, che pure erano insolitamente alienate dai loro elementi naturali. Erano inoltre vestite pure sfarzosamente, in modo simile ai ricchi umani dei viali, come se si fossero abituate oramai da un po' a quella vita cittadina.

    Così si presentava Altatorre, Distretto dell'Oro, con i suoi mille edifici di marmo pregiato che si stagliavano in alto sfidando le rade nuvole in quella giornata soleggiata, e la ricchezza diffusa (per quanto non equamente distribuita) dei suoi abitanti, la cui sicurezza era garantita dalla presenza costante e capillare della Guardia d'Argento nelle strade.
    Questo finché Rynnelthalas non avrebbe scoperto un'enorme scalinata i cui gradini finivano ad un certo punto per venire inghiottiti dal buio dei sotterranei a cui essi conducevano. Scendendo, la draghessa avrebbe dovuto fare attenzione a non scivolare e cadere, appoggiandosi con le mani al muro in assenza di corrimani.

    ???, Altatorre.
    Presidio Centrale, Endlos.

    Alla fine del cammino, doveva essere appena giunta in un'altra città. Eppure, in nessuna delle pur inaffidabili mappe del semipiano si segnalava l'esistenza di una baraccopoli sotterranea nel bel mezzo del Presidio Centrale, illuminata malamente da alcuni vecchi lampioni sparsi ai lati delle strade -molti non funzionavano neppure- e dalle lanterne lasciate sui davanzali di quelle abitazioni ricavate da mattoni, fango, rottami e legno marcescente.
    Questo perché la draghessa non aveva mai lasciato Altatorre. Qualora si fosse informata in merito prima della sua partenza, Rynnelthalas avrebbe riconosciuto quel posto tetro come la parte più povera del Distretto, quella di cui gli abitanti della superficie tentavano spesso di ignorare o perfino nascondere l'esistenza stessa, perché troppa era la distanza fra quel mondo e il loro. Era la notte contro il giorno, il disordine contro l'ordine, il disagio contro il benessere, lo sporco contro il limpido, la piaga contro la salute, l'indigenza contro lo sfarzo, e l'impuro contro il puro.

    Ad accoglierla, gli sguardi prima incuriositi, e poi indifferenti di quelli che, ad un'occhiata inattenta nell'oscurità, avrebbero potuto passare per esseri umani, ma osservandoli meglio sarebbe stato in realtà molto facile distinguere che quelli che crescevano lunghi e fluenti sui loro capi e sulle loro braccia non erano capelli e peluria, bensì penne e piume i cui colori erano quasi sempre piuttosto chiari.
    Alcune donne vennero a chiamare i loro bambini, che giocavano spensieratamente sulle strade polverose, per dissuaderli dall'avvicinarsi a quella strana donna straniera, che non era una di loro, che era solo di passaggio e non voleva essere disturbata.

    Proseguendo ancora in solitaria -oramai sembrava un destino a cui doversi rassegnare-, Rynnelthalas poté notare come l'illuminazione si fece sempre più rara e fioca, tanto da diventare utile perlopiù per evidenziare il buio che le stava attorno, e le abitazioni minori in numero e sempre più isolate, segnalando che stava raggiungendo i confini di quel quartiere.

    Fu pressapoco in quel momento che la dragonessa poté accorgersi di un fuoco in lontananza: si trattava senza ombra di dubbio della fiamma di una torcia, i lineamenti del cui proprietario non furono tuttavia distinguibili fino a quando egli non si trovò che a poche iarde da lei.

    « Ehi, signora... »
    Chiamò la voce di un bambino umano il cui visetto era insozzato di polvere e fuliggine, e così i capelli color grigio topo. La guardò dal basso con grandi occhi castani.
    « ...Se mi dà del cibo o una moneta di rame, posso guidarla attraverso il buio fino a dove vuole andare. Però non voglio il cibo degli Jowa, capito?! »

     
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    Rynnelthalas


    Narrato - «Parlato»


    Altatorre mozzava il fiato. Rynnelthalas non aveva mai visitato una città così bella e affascinante. Neppure Laputa, che tanto l'aveva colpita, appariva così elegante, così sfarzosa, seppur benestante e ricca, a sua volta. Era tutto così diverso dalla sua piccola Valle, con i suoi villaggi e piccole città. Era tutto magnifico. I suoi occhi dorati si soffermavano su ogni dettaglio, registrando tutto con attenzione, bramosa di conoscenza sotto ogni aspetto. Si sentiva a suo agio, nonostante gli sguardi degli abitanti di Altatorre. Percepiva intenti e reazioni contrastanti, ma non dava loro molto peso, giacché era abituata ad essere squadrata - e chissà cosa avrebbero fatto vedendola nelle sue reali dimensioni e aspetto?

    Si fermò di fronte a una vetrina, appoggiando una mano guantata sul vetro che la separava da una serie di vestiti di seta rossa. Amava quel colore, le apparteneva, anche se la foggia di quegli indumenti sembrava scomoda e poco pratica per una che viaggiava di continuo. Indietreggiò senza rendersi conto di essersi messa nella traiettoria di un passante. Ci fu suono di oggetti sul selciato, seguito da borbottii scontenti: «Ma guarda dove cammini.»
    Rynne fu colpita da quell'uomo, dal suo modo di rivolgersi a lei. Non aveva timore del suo aspetto esotico. Chissà quali storie aveva da raccontare. Lo guardò mentre si chinava per raccogliere una serie di oggetti diversi fra loro. Non le venne in mente di aiutarlo, presa com'era da quella sua osservazione del "fenomeno". Infine il signore si ricompose: «Ma che hai da guardare?» e si allontanò rapidamente, borbottando ulteriormente fra sé e sé. Un luccichio attirò l'attenzione del drago. Una moneta dello stesso colore dei suoi occhi era stata dimenticata, non vista, dal signore di poc'anzi. Troppo tardi, l'uomo si era defilato in mezzo alla folla. Rynne si inginocchiò, la raccolse, la soppesò fra le mani e la girò più volte, ammirando l'effige su di essa incisa. I più rimasero indifferenti a quella scena, e così la draghessa mantenne per sé il minuscolo oggetto, in attesa di trovargli un utilizzo.

    Il suo cammino la condusse nella zona meno benestante, più "vissuta" della città, fatta di vicoli e stradine minori, con negozietti di ogni tipo, e persone che andavano e venivano. Erano caratterizzate dalla regalità del loro vestiario, segno di un benessere esclusivo. Rynne era incuriosita, e ogni cosa attraeva il suo sguardo dorato. Si fermava di fronte ai generi alimentari osservando la merce esposta, e poi negozi tessili, piccoli alberghi, falegnami, pellicciai. Un elfo e un uomo litigavano di fronte a una ferramenta riguardo il prezzo di alcuni bulloni. Uno di essi si girò verso il drago: «E tu che vuoi?»
    Lei sorrise e andò oltre, degnando il tutto di un mero e semplice sguardo.

    Guardava spesso verso l'alto, adocchiando quelle torri altissime, chiedendosi chi vivesse là sopra. E senza accorgersene raggiunse un nuovo quartiere, preceduto da una lunga scalinata. Il suo cuore batteva silenziosamente, abituandosi ben presto al buio. Gli occhi analizzarono l'ambiente circostante finanche si ritrovò in una città nuova, diversa. Eppure non si era mai allontanata da Altatorre. «Per gli dei» esclamò, colpita. Com'era possibile una simile differenza fra due quartieri della medesima città? Le case, le strade, persino gli abitanti, tutto sembrava diverso. Si respirava decadenza, polvere, disagio. Ovunque volgesse lo sguardo vedeva miseria. I bambini giocavano spensierati per le strade, ma genitori preoccupati li tennero lontani da lei. E Rynne non intervenne, per il momento atteggiandosi a semplice osservatrice. La sua Valle non era ricchissima, ma nessuno restava indietro. Sotto la sua guida, la povertà era stata debellata. Com'era possibile che nessuno si occupasse di quelle persone, abbandonate come animali nelle profondità della terra?

    I suoi passi la condussero attraverso il marciume fino ai confini del quartiere. Era permeata di cupi pensieri, come se i bassifondi che stava attraversando l'avessero contagiata con la loro oscurità. E solo la vista di un fuoco fu in grado di ridestarla dalle tenebre della sua mente. La voce di un bambino la raggiunse, e Rynne capì che il destino le aveva dato il modo di aiutare quella creatura. Fra le sue dita affusolate comparve una moneta d'oro. Il palmo della mano si aprì verso il giovane e la sua voce melodiosa cantò la sua richiesta:
    «Voglio vedere dove abiti. Portami lì, e fammi conoscere i tuoi genitori. Vi pagherò una volta arrivati.»
    Sorrise, mostrando i suoi denti bianchissimi, che scintillarono di un rosso cremisi alla luce della torcia.


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    Il bambino sgranò gli occhi meravigliato alla vista della moneta d'oro, la prima su cui avesse mai posato lo sguardo in vita propria. Se quella signora generosa glielo avesse chiesto, l'avrebbe accompagnata in giro per Le Ombre per un anno intero!

    « N-non ho il resto da darle, signora! »
    Disse, agitato, scuotendo la mano libera. Abbassò poi la voce, guardandosi attorno come per assicurarsi che non ci fosse nessuno intorno, sebbene fosse impossibile vedere al di là della poca luce prodotta dalla torcia.
    « Se provo a spenderla, mi prenderanno di mira. »

    A questo punto poteva venire spontaneo domandarsi chi avrebbe preso di mira un semplice bambino e perché. Andava considerato innanzitutto che si trattava di un distretto poverissimo, in cui difficilmente si vedevano circolare monete di un simile valore -come aveva dimostrato l'espressione del bambino pochi secondi fa-, e dove di conseguenza il costo della vita non doveva essere così alto, almeno rispetto al resto del Distretto. Altrimenti, se i costi fossero stati pari o superiori a quelli di superficie, tanto sarebbe valso andare ad abitare lì, o tentare di emigrare altrove.
    Quindi, cosa avrebbe potuto comprare di così costoso nella parte bassa di Altatorre senza attirare l'attenzione di malintenzionata o, più semplicemente, persone disperate spinte dai morsi della fame? O cosa avrebbe potuto comprare in quella di superficie, senza che qualcuno pensasse che egli abbia rubato quella moneta?

    « Comunque non ce li ho, i genitori. Se proprio vuole vedere dove abito, mi segua. »
    Il bambino fece cenno alla dragonessa di seguirlo e, se quest'ultima avesse acconsentito, egli le avrebbe preso la mano e l'avrebbe guidata nel buio, tenendo la torcia bene in alto, e avvertertendola di ogni ostacolo non visibile nei dintorni, di fare attenzione a dove metteva i piedi, perché altrimenti rischiava di inciampare nelle rovine disseminate per tutte quelle zone d'ombra. Se Rynnelthalas avesse chiesto chiarimenti in merito, avrebbe appreso dal giovane che si trattavano delle rovine di Altatorre, quella venuta prima ma che era stata infine inghiottita dagli abissi del tempo, e sulla quale fu costruita eventualmente l'Altatorre attuale, quella di superficie.
    Arrivarono infine ai confini di un altro quartiere, molto simile in realtà a quello per cui la donna era già passata, da un punto di vista “architettonico”, se di architettura lì si poteva parlare. Ancora una volta la dragonessa ebbe infatti davanti a sé un conglomerato di casupole tirate su alla bell'e meglio da materiali di fortuna, ma era nell'atmosfera la differenza: se nell'altro quartiere e in superficie Rynnelthalas poté notare una forte omogeneità della componente etnica dei residenti, quel posto brulicava invece di individui di ogni razza possibile ed immaginabile: qualche rado gruppetto di umani, elfi e nani, una coppia della stessa specie di quelle persone piumate incontrate poco prima, una creatura che pareva un uomo, ma sul cui intero corpo spuntavano piccole protuberanze nere simili alle zampe di una scolopendra, qualche animale quadrupede simile ad una rana e così via fino a che la mente non si stancava di soffermarsi su ogni singolo passante, e gli occhi finivano così ad ammirare solo quel caotico e colorato insieme.

    « Eccoci qui. »
    Annunciò il ragazzino, proseguendo nel quartiere fino a quando i due non sarebbero arrivati davanti ad una casa più grande delle altre, incastrata fra altre due, più piccole e anonime.
    Appoggiata la torcia ad un sostegno sul muro, egli si voltò verso Rynnelthalas, dicendole:
    « Chiedo scusa, ma devo parlare un attimo con il boss. Aspetti qui, per cortesia! »

    Fu così che il ragazzino, una volta ottenuto il permesso di entrare dopo aver bussato alla porta in legno, sparì per qualche minuto nell'abitazione. Rimasto a tenere d'occhio la dragonessa era invece un armadio umano dai lineamenti squadrati e l'espressione arcigna, il quale non proferì parola per tutto il tempo.

    aEscJbg« Oh, ma cos'abbiamo qui? »
    Chiese infine una voce femminile melliflua e profonda. All'uscio era infatti appena apparsa una donna umana alta e slanciata probabilmente sulla trentina d'anni, ma era difficile stabilirne l'età effettiva dietro il trucco pesantissimo che portava.
    Quanto ai suoi vestiti, essi erano di pelle, o qualcosa che ci andava molto vicino, più rivelatori perfino di quelli della sua stessa interlocutrice. Sui capelli, viola e cotonati, era posata una piccola coroncina ricavata da qualche materiale di scarto, un pizzico di ingegno e una certa abilità col fai-da-te.
    « Quindi sei tu la genevosa signovina di cui mi ha pavlato il piccolo Johnny? »
    Squadrò Rynnelthalas con un sorrisetto compiaciuto, poi continuò:
    « Sei davvevo un amove, sai~? E non sei nemmeno di queste zone, mi pave di capive! » ridacchiò. « Pvego, entva puve, sento che abbiamo molto da divci~ »
    Voltò le spalle a Rynnelthalas, facendo per rientrare nell'abitazione, ma si fermò all'improvviso.
    « Oh, ma che sbadata! » Esclamò, battendo le mani guantate. Girandosi di nuovo, tese la destra alla nuova arrivata. « Sono Igovina Azhadova, e tu? Oh, ma entva, entva pvima! »
    Disse, liberando finalmente l'ingresso, tornando all'interno con un rumore di tacchi.

     
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    Rynnelthalas


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    Non voleva il resto, voleva solo sbarazzarsi di quella moneta e aiutare il bambino, ma non si rendeva conto delle difficoltà che avrebbe avuto nel spenderla. Lei non aveva nessuna esperienza di vita nella povertà. Chi avrebbe dovuto prenderlo di mira e perché? Lo guardò incuriosita e perplessa: avrebbe dovuto essere felice per il dono, e non sconcertato.
    «Va bene, portami lì.»

    Lo seguì fra le ombre della Altatorre bassa, facendo attenzione a dove metteva i piedi. Ogni tanto si inumidiva le labbra. I suoi occhi dorati si spostavano attorno, cercando di scrutare oltre le tenebre. Aveva un'espressione indecifrabile, un misto fra curiosità e pena. Come doveva essere difficile vivere nelle tenebre, senza il calore del sole a scaldare ogni risveglio.
    «Come mai è pieno di ruderi in rovina?»
    Ascoltò le spiegazioni della sua piccola guida. Il tempo era stato inclemente, e come Rynne sapeva bene, tendeva a cancellare il passato e a rimuoverlo dalla collettiva coscienza. Non a caso gli abitanti di Altatorre non sembravano nemmeno ricordarsi dell'esistenza di quel povero quartiere immerso nell'oscurità. Arrivati nel nuovo complesso abitativo, se così poteva ritenerlo, notò la diversità razziale dei suoi abitanti. Ognuna di quelle piccole realtà sembrava a sé stante, come mondi razziali diversi, nonostante condividessero tutti la stessa sorte.

    Quando giunsero a destinazione, il drago attese con pazienza che il bambino annunciasse il suo arrivo al capo. Si chiese chi potesse essere, e che tipo di leadership gli permettesse di mantenere ordine e controllo in quella zona così degradata. Infine le fu permesso di entrare.
    «È un piacere conoscerti, Igovina» propose lei, educata e con un mellifluo sorriso. Non era per nulla turbata dal succinto vestiario della donna, quanto incuriosita da tutta quella materia che le copriva i lineamenti del volto, una decorazione quanto mai profonda. «Il mio nome è Rynnelthalas» asserì placidamente, varcando la soglia dell'edificio. Una volta entrata non perse tempo a osservarsi intorno, cercando di cogliere ogni minimo particolare. «Sì, ho molta voglia di parlare. Johnny è stato molto gentile e disponibile, nonostante non abbia potuto ancora ricambiare la sua generosità.» Estrasse ancora una volta la moneta dalle vesti e la mostrò a Igorina. «Perché questa moneta non va bene? È d'oro, è di valore. Potreste comprare qualcosa di utile in superficie. Io non ne ho bisogno, non quanto voi.»


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    Igorina guidò Rynnelthalas in una casa estrosamente arredata, nella quale si potevano vedere mobili eleganti che non parevano avere nulla da spartire con il mondo appena al di là della soglia dell'abitazione, e soprammobili ovunque ci si girasse, ognuno dei quali poggiava su un centrino di stoffa. Solo aguzzando la vista, però, ci si poteva rendere conto che ogni armadio, ogni commode, i tavoli e la credenza presentavano ciascuno ora dei piccoli fori nei loro legni, e le decorazioni d'ottone erano macchiate di ruggine. Sotto la gamba di una scrivania, invece, era stata messa una rozza zeppa a mo' di sostegno, poiché questa era stata tagliata verso il fondo, e non era più stabile.
    I soprammobili, invece, erano stati perlopiù ricavati da materiali di fortuna, e abbelliti da una combinazione di ingegno e di esperienza. Gli altri, come molte altre suppellettili là dentro, dovevano essere pure stati recuperati da qualche discarica.

    Anziché provarne vergogna, però, la donna pareva reagire alla curiosità della dragonessa con un sorriso orgoglioso ogni qualvolta la sua ospite posasse lo sguardo su quello specchio appena scheggiato, o su quella statuina a forma di putto col perizoma.

    Alla fine, Rynnelthalas fu condotta in un salotto, dove fu invitata a prendere posto su un divanetto i cui braccioli dovevano essersi strappati tempo fa, e che qualcuno doveva avere ricucito con cura. Igorina si sedette di fianco a lei, accavallando poi le gambe.

    « Johnny è pvopvio un piccolo angelo, vevo~? »
    Guardò con interesse quella piccola moneta d'oro.
    « Vynnelthalas cava, sono cevta della tua buona fede, e così lo è quel bambino, ma... Sono un sacco di soldi pev qualcuno di così indifeso da povtavsi dietvo. Solo gli Uzuh possono pevmettevsi di givave con tanto denavo, e pensa che spesso non lo fanno neanche lovo! Se qualcuno lo vedesse spendeve quei soldi qui, c'è il vischio che qualcuno lo pvenda di miva e gli faccia del male per impossessavsi dei suoi soldi, soldi che magavi non ha neppuve oltve a quella moneta, e se pvovasse a spendevlo in supevficie, pvobabilmente lo scambievebbevo pev un ladvo, vestito com'è. »
    Igorina si alzò dal divano, raggiungendo una credenza dalla quale estrasse due bicchieri di vetro semplici ma puliti, e una bottiglia pure di vetro, verde e opaca.
    « Posso offvivti il distillato della casa? Non savà come quelli del piano di sopva, ma sappiamo avvangiavci anche noi! »
    Se ne versò un goccetto per sé, lanciando nel frattempo un'occhiata incuriosita alla donna.
    « Ma dimmi, come sei capitata qui? La moneta è di Altatovve, ma tu evidentemente no. C'è stato qualcosa in pavticolave che ti ha spinto fin quaggiù? »

     
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    La spiegazione di Igorina la aiutò a comprendere meglio il mistero. Non era il valore della moneta in sé e per sé, quando le condizioni sociali in cui versavano Johnny e gli abitanti di Altatorre. Invidia, gelosia, sospetto: questi sentimenti facevano da padroni in quell'angolo di mondo. Rynne sospirò, chiedendosi come sarebbe stata Altatorre con una guida come lei. Sarebbe riuscita a insegnare l'altruismo e la collaborazione a quei mortali, o l'avrebbero allontanata per rimanere legati alla propria miseria spirituale?
    «Tornerò in superficie e scambierò questa moneta con qualcosa di cui avete bisogno. Nessuno mi negherà un acquisto.» Parlò con estrema sicurezza di sé, un po' come faceva sempre. «Perciò prima che me ne vada mi darai una lista di cose di cui avete bisogno. Vestiti, cibo e medicine, per quando non sarò più fra voi. Johnny mi ha detto che sei un capo, quindi confido che tu sappia di cosa hanno bisogno i tuoi sudditi.»
    La guardò con espressione indecifrabile, ignorando momentaneamente ogni altra domanda. Si alzò dal divanetto e iniziò a perder tempo fra tutti quei suppellettili. La incuriosivano parecchio, e non perse tempo di ammirare ciascuno di essi come se fosse un tesoro. Ogni tanto ne accarezzava qualcuno con la punta delle dita, altre volte si chinava per scrutarne meglio i dettagli, altre volte ci soffiava sopra per pulirli da un po' di polvere accumulata. Improvvisamente si decise a rispondere.
    «Forse sono giunta qui per ammirare la tua collezione di tesori.» Fece una pausa di qualche secondo. «Sono un'osservatrice. Viaggio per Endlos per scoprirne i segreti e le storie. Voi mi affascinate, con la vostra povertà e stile di vita. Vivete come formiche nelle profondità della terra, siete operosi, vi aiutate gli uni con gli altri. Avete uno spirito forte. Se foste voi a governare il mondo di superficie, io mi chiedo, sareste in grado di rimanere puri, o verreste resi schiavi da ciò che rende ciechi coloro che vi dominano? Io cerco la risposta a questo e ad altri interrogativi che mi nascono nel cuore visitando questo mondo. E cerco un modo per renderlo pulito, ordinato e rispettoso. Migliore di com'è. In attesa di scoprire il mio ruolo più grande.»
    Ritornò alla contemplazione dei soprammobili, lasciando il discorso in sospeso. Non dava per scontato che Igorina comprendesse le sue motivazioni, ma di certo non se ne preoccupava. Conosceva i limiti dei mortali e non si aspettava che ognuno di loro potesse comprendere la ragione profonda del suo peregrinare.


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    «Tornerò in superficie e scambierò questa moneta con qualcosa di cui avete bisogno. Nessuno mi negherà un acquisto.»
    La Azhadova reclinò il capo su un lato, squadrando Rynnelthalas con un sorriso divertito mentre reggeva un bicchiere ricolmo di liquidro verdastro.
    «Perciò prima che me ne vada mi darai una lista di cose di cui avete bisogno. Vestiti, cibo e medicine, per quando non sarò più fra voi. Johnny mi ha detto che sei un capo, quindi confido che tu sappia di cosa hanno bisogno i tuoi sudditi.»

    « Oh, immagino. »
    Lanciò uno sguardo alle orecchie appuntite della donna; un'ulteriore conferma del fatto che costei non solo non era di Altatorre, ma nemmeno umana, nel caso quelle quattro grosse corna che protrudevano vistosamente fra i capelli rossi non fossero stati indizi abbastanza soddisfacenti.
    Sarebbe stata in grado di mantenere quella promessa? Ad osservarne abbigliamento ed aspetto fisico poteva passare per una schiava di piacere di qualche maggiorente del luogo, uno abbastanza ricco da aver potuto permettersi di acquistare un membro di una razza che nemmeno Igorina Azhadova aveva saputo riconoscere. Semplice straniera o naufraga, schiava o donna libera che Rynnelthalas fosse, però, per il commerciante medio non era che una potenziale cliente pagante. E se si era avventurata fin quaggiù, aggiunse fra sé, doveva quantomeno saper anche badare a sé stessa.
    Appoggiò la bottiglia sul tavolo, e tornò a sedersi accanto a lei.
    « Ci sono molte cose essenziali che ci mancano, in effetti. Cibo e medicine sono in pavticolave le nostve pviovità più uvgenti. »

    Seguì con gli occhi la sua ospite alzarsi dal divanetto, e curiosare fra i suoi piccoli tesori di interior designing. Dapprima gli angoli della bocca arcuati in un sorriso soddisfatto, questo scomparve nel momento in cui Rynnelthalas prese a toccare e poi addirittura a pulire i soprammobili, provocando un brusco cambio d'espressione che prima si fa perplessa, con un sopracciglio inarcato abbastanza da rendere ben chiaro che non fosse contenta di ciò che stava vedendo, e poi impanicata, una volta che Rynnelthalas si avvicinò agli oggetti più fragili o elaborati.

    «Forse sono giunta qui per ammirare la tua collezione di tesori.»
    Disse infine la draghessa.
    «Sono un'osservatrice. Viaggio per Endlos per scoprirne i segreti e le storie. Voi mi affascinate, con la vostra povertà e stile di vita. Vivete come formiche nelle profondità della terra, siete operosi, vi aiutate gli uni con gli altri. Avete uno spirito forte. Se foste voi a governare il mondo di superficie, io mi chiedo, sareste in grado di rimanere puri, o verreste resi schiavi da ciò che rende ciechi coloro che vi dominano? Io cerco la risposta a questo e ad altri interrogativi che mi nascono nel cuore visitando questo mondo. E cerco un modo per renderlo pulito, ordinato e rispettoso. Migliore di com'è. In attesa di scoprire il mio ruolo più grande.»

    « Guavdave ma non toccave, cava! » la rimbeccò con un tono apparentemente scherzoso. « Quanto al vesto, ti vispondo: non siamo intevessati ad esseve i padvoni, tutto ciò che vogliamo è viveve dignitosamente, libevi, e in spivito di uguaglianza. »
    Lanciò un'occhiata cupa oltre le proprie spalle.
    « Anche senza doveve combatteve come cani vandagi pev un tozzo di pane, magavi. »
    Scosse poi improvvisamente le testa, ritornando a guardare Rynnelthalas con il suo solito sorriso sfrontato.
    « Ci sono tante cose da sapeve su questo mondo. Se vuoi vendevlo più giusto, più pulito, più tollevante e ovdinato, pevò, sei giunta nel posto giusto, cavamellina. »

    Igorina Azhadova si drizzò dal divanetto, e compiette irrequieta un giro intorno al tavolo, sul quale poggiò le mani una volta di fronte alla sua ospite.
    « Pevché pvopvio qui si sta lavovando pev un futuvo migliove! Pev povve fine alle assuvde divisioni che non fanno altvo che indebolivci! Pev cveave un'Altatovve dove la vita di qualcuno non sia detevminata dalla sua vazza di appavtenenza!
    A cominciave dal cveave un vifugio sicuvo pev tutti i vinnegati fva i vinnegati, e pev colovo che non possono tvovave la fovza nei numevi dei lovo simili. Umani, elfi, abada, jowa, uzuh, nani, ovchi, dvaghi, goblin e chi più ne ha più ne metta: qui sono tutti bene accetti!
    »
    Scostò delle tende, e con un gesto teatrale indicò a Rynnelthalas il mondo brulicante del quartiere appena fuori dalla finestra.
    « Questo è il quavtieve più accogliente che tvovevai qua sotto: nella pevifevia della Città Invisibile, Ubejiste! »

    Buttò giù in un solo sorso la sua bevanda, della quale si versò subito dopo un altro bicchiere.
    « Ogni aiuto è bene accetto. Se hai domande da povmi, sono tutta tua. Fufufu! »

     
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    Osservò la sua interlocutrice con sguardo paziente, sereno.
    «Immagino che con il vostro spirito forte e il desiderio di sopravvivere abbiate trasceso la vostra natura, diventando padroni del vostro destino.»
    Un commnto pragmatico, un complimento da parte dell'anziana draghessa, che abbassa le mani lungo i fianchi, lasciando dunque alla sola attenzione degli occhi il suo curiosare fra i tesori di Igorina. Continua dunque a camminare per la stanza a passi lenti, ma la sua attenzione verso quegli utensili e svariati soprammobili scema fino a diventare un blandissimo interesse, al che si volta nuovamente verso la sua interlocutrice le rivolge uno sguardo enigmatico.
    «Sì, ho delle domande. Nonostante abbiate scelto di diventare una comunità aperta, come farete a vincere le differenze con gli altri abitanti di Altatorre? Mi hai detto che un abitante di qui potrebbe essere considerato un ladro anche solo mostrando una semplice moneta d'oro. Da quello che ho capito, siete visti con diffidenza e sospetto. La stessa natura umana, fragile, orgogliosa e diffidente vi gioca contro. Eppure mi sembri molto fiduciosa. Spiegami perché.»
    Parlò lentamente, in modo che tutto il suo discorso arrivasse ben chiaro e limpido. Poi aggiunse: «Se volessi aiutare a creare uno stato di ordine e legalità, cosa potrei fare? Tu conosci Ubejiste meglio di me. Dimmi dunque, cosa posso fare, a parte procurarvi vestiti e cibo?»


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    Igorina sorrise compiaciuta in reazione al complimento, portandosi una mano ai capelli come per sistemarne l'acconciatura.
    « Sono felice che tu appvezzi i nostvi sfovzi, cava, ma devo comunque covveggevti: non abbiamo tvasceso nulla, non siamo mai stati concepiti pev viveve sepavati! Vogliamo solo vitovnave allo stato natuvale delle cose, così cvudelmente sovvevtito da chi qui si pvofessa autovità. »
    Sospirò, lanciando un'altra occhiata al di fuori dalla finestra.
    « Pevché è solo colpa di chi sta lassù che si vive così in questi luoghi. Qualcuno, in supevficie, ha fatto in modo che solo gli umani possano stave ai vevtici della società, e quelli che non lo sono, nel migliove dei casi, non avvà mai il successo di qualcuno... qualcuno come me, diciamo. Faticano a stave a galla, pevché in quella società i pesci gvossi mangiano quelli piccoli. Spesso, o finiscono qui, o diventano schiavi. Succede pevfino agli essevi umani stessi, qualova si facessevo il nemico sbagliato. »
    Strinse i pugni, le sue parole che sillaba dopo sillaba si erano fatte sempre più cariche di livore. Si versò un altro bicchiere di distillato, mandandolo poi giù in un solo sorso.
    « Qui, nessuno possiede un gvanché. Ogni cosa scavseggia, e in molti pev sopvavviveve si adattano, magavi diventando cviminali, e quindi pevicolosi. Quando vivi in un posto così, cosa favesti, quindi? Si cevca di viveve in gvuppi, di favsi fovza a vicenda, e quasi sempve si cevca qualcuno il più possibile simile a sé stessi. Così ti vitvovi con i quavtievi degli umani, quelli dei nani, degli Abada, e così via. Ognuno di questi gvuppi, pvopvio pevché le visovse sono tanto scavse, non badano che al pvopvio intevesse. Giocofovza si cveano tensioni fva i vavi gvuppi, che poi si accumulano o, peggio, esplodono. Sai cos'è peggio? Che chi sta ai piani alti pvefevisce così: che ci ammazziamo a vicenda, nascosti sottotevva dalla lovo vista. Hanno puve appuntato dei "vappvesentanti" quaggiù pev assicuvavsi che tutto vimanga com'è. Possano un giovno capitavmi a povtata di tacchi! »
    Quando Rynnelthalas avrebbe potuto cominciare a chiedersi quanto ancora potesse crescere la rabbia racchiusa nella voce di Igorina, questa scosse la testa, sbuffò sonoramente, e ricominciò a sorridere come quando si era presentata.
    « Ciò che voglio fave io è eliminave tutti questi fattovi che povtano alla divisione, ed estendeve Ubejiste ben oltve i suoi confini attuali. Collabovave, pev visanave questo posto e se possibile tvovave qualcuno che ci aiuti anche da sopva. Se vuoi aiutavci, cava, sappi che già cibo, vestiti e medicine sono un aiuto enovme e concveto, pev noi. Se vuoi spingevti oltve, pevò, c'è un altvo favove che potvei chiedevti... Siediti, qui! »
    Batté col palmo della mano sul divano sul quale si era appena seduta. Se Rynnelthalas avesse accettato l'invito, Igorina avrebbe preso la sua mano nelle proprie, e continuato a voce più bassa.
    « Quando uscivai da qui, savà ancova Johnny ad accompagnavti attvavevso l'oscuvità, fino all'uscita. Vovvei che tu... lo povtassi fuovi di qui, okay? Vovvei che lo povtassi ad Avgenstella, in un ovfanotvofio qualsiasi, dove sicuvamente vivvà meglio che qui, almeno come siamo messi ova. Johnny vive qui da quando ha pevso i suoi genitovi, e io sono felice di avevlo qui, ma... » abbassò gli occhi. « ...siamo sinceve, è difficile viveve qui, specialmente pev un bambino. vimaniamo qui pevché non abbiamo moltve altve opzioni, ma tu non sei di qui. Anche se non sei umana (sbaglio?), tu puoi uscive. Si tvatta di una bocca da sfamave in meno pev noi, e una chance di sopvavvivenza in più pev lui. Quando viuscivò a vendeve vivibile questo posto, tovnevò io stessa a pvendevlo. »

     
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    «Comprendo il tuo punto di vista, Igorina» chiosa il drago con pacatezza. Ascolta tutto quel lungo discorso con attenzione e benevolenza, e mentre la ragazza parla, lei non fa altro che pensare alle prossime mosse da compiere per ripristinare l'equilibrio di Altatorre, infranto dalle autorità locali e dai pregiudizi dei quartieri alti. Si siede dunque sul divano, continuando il suo ascolto e non negando quel contatto fisico che l'altra agogna. Le loro mani si stringono l'una nell'altra, e di sicuro l'interlocutrice sentirà il forte calore della pelle di Rynnelthalas.
    «Posso aiutarvi. Cercherò di guadagnare altre monete e comprerò quello di cui Ubejiste ha bisogno. E mi occuperò anche di Johnny. Se viene con me nessuno sospetterà di lui. Saremo una donna e il piccolo a lei affidato. E lo condurrò in un orfanotrofio dove si prenderanno cura di lui. La tua saggezza ti permette di vedere più lontano di quanto non facciano persone meno lungimiranti di te, e questo ti fa onore, perciò ho deciso che ti aiuterò.»
    Sospira, lasciando che il suo alito caldissimo la raggiunga e la investa come una sorta di piccola benedizione.
    «E hai visto giusto. Non sono umana, anche se non faccio nulla per nasconderlo. La mia stirpe è di origini divine, anche se il mio essere una dea, qui su Endlos sembra una cosa piuttosto comune, in realtà, da quello che ho capito. C'è altro che vuoi dirmi prima che riprenda il mio viaggio verso la superficie? Qualcos'altro che vuoi raccomandarmi?»




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    «Posso aiutarvi. Cercherò di guadagnare altre monete e comprerò quello di cui Ubejiste ha bisogno. E mi occuperò anche di Johnny. Se viene con me nessuno sospetterà di lui. Saremo una donna e il piccolo a lei affidato. E lo condurrò in un orfanotrofio dove si prenderanno cura di lui. La tua saggezza ti permette di vedere più lontano di quanto non facciano persone meno lungimiranti di te, e questo ti fa onore, perciò ho deciso che ti aiuterò.»

    Annuì con una traccia di esitazione. Si trattava di preoccupazione, forse, nei confronti di quel povero ragazzino. Oppure non era del tutto certa del fatto che nessuno avrebbe sospettato di Rynnelthalas, ma... quante opzioni viabili aveva veramente a disposizione?
    Con una passata di mano, Igorina si asciugò il seno imperlatosi all'improvviso di sudore.

    «E hai visto giusto. Non sono umana, anche se non faccio nulla per nasconderlo. La mia stirpe è di origini divine, anche se il mio essere una dea, qui su Endlos sembra una cosa piuttosto comune, in realtà, da quello che ho capito. C'è altro che vuoi dirmi prima che riprenda il mio viaggio verso la superficie? Qualcos'altro che vuoi raccomandarmi?»

    « Oh, non sapvei. Savesti la pvima divinità che incontvo, ammesso di non avevne già incontvate pvima senza esseve stata capace di viconoscevne la natuva! Ad ogni modo, onovatissima~ » sorrise, agitando una mano come a far gesto di non essersi mai curata realmente di simili “dettagli.” Non lei, non Igorina Azhadova di Ubejiste. « Come ultima vaccomandazione ti posso solo suggevive di manteneve un basso pvofilo, almeno finché savai con Johnny. Evita a tutti i costi gli attaccabvighe, da qualunque pavte della scacchieva essi stiano! Se viesci a nascondeve quelle covna, avvai la vita ancova più facile. »

    Si alzò per frugare in una cassettiera, dalla quale estrasse un indumento che lanciò a Rynnelthalas. Si trattava di un poncho nero dotato di un largo cappuccio, sotto il quale la divinità avrebbe potuto facilmente celare quelle sue inusuali formazioni ossee sul suo capo.

    « Sappi che lo vivoglio indietvo. »
    Concluse Igorina, accompagnando finalmente la sua ospite alla porta.

    Quello di ritorno fu un viaggio lungo. Johnny, per quella che sarebbe stata l'ultima volta nella sua vita, avrebbe guidato la divinità attraverso il buio, squarciandone il velo con la stessa torcia che questa gli aveva visto nelle piccole mani al momento del loro primo incontro.
    I due zigzagarono fra le innumerevoli zone d'oscurità assoluta e i quartieri sparpagliati in quel piccolo, enorme mondo sotterraneo, con il giovane che giustificava quei giri particolarmente larghi con il bisogno di evitare le zone più problematiche della città. A prova della sincerità delle sue parole, i viandanti non si imbatterono in nulla di degno di nota durante il tragitto, la cui prima parte si concluse nel momento in cui, prima di salire le scale che li avrebbero portati all'agognata superficie, Johnny piantò la sua torcia nel terreno con cura, come se la stesse lasciando lì per qualcun altro.

    Da lì, raggiungere Argenstella non richiedette particolare sforzo: solo pazienza, perché Altatorre era pur sempre una grande città all'interno dell'ancora più enorme megalopoli che era il Pentauron, e raggiungere un altro Distretto perlopiù a piedi richiedeva, appunto, il giusto tempo.
    Fermatisi in un piccolo, ma accogliente albergo per la notte, Rynnelthalas e Johnny si separarono con un abbraccio presso un orfanotrofio del Distretto d'Argento.
    Chissà se allora la dragonessa si sarebbe scrollata di dosso quella strana sensazione di essere osservata da una specie di ombra che fino ad ora non era nemmeno riuscita a scorgere se non con la coda dell'occhio, ma che pareva averla seguita in ogni suo passo addirittura fin da quando aveva lasciato Ubejiste...

     
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