Il cammino del Drago: l'inizio

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    Viaggiatore dei Mondi

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    Il cammino del Drago: l'inizio
    CITAZIONE
    la prima apparizione di Galad nel mondo di Endlos, questa è una scena singola e privata, si prega di non rispondere.
    -narrato
    -"pensato"
    -"parlato Galad"
    -"parlato altri"

    “A laputa c’è una mescolanza non indifferente di culture, popolazioni, credenze e provenienze. In tutto il tempo che vi ho vissuto avevo solamente grattato la superficie della vastità dei suoi abitanti, eppure in tutta questa moltitudine,o forse proprio grazie ad essa, nessuno sembra riconoscermi, chi mi incontra per strada a malapena mi guarda, chi lo fa appena incrocia il mio sguardo subito si ritrae, questo cambiamento che ha effetto in me deve essere più profondo di quanto io stia percependo.”

    Galad camminava per il livello industriale di Laputa, era mattina ma il sole si era alzato alto in cielo, l’ora di pranzo si avvicinava e il caldo primaverile iniziava a imperlare le fronti di molti passanti affaccendati nelle loro commissioni quotidiane. La leggera brezza che quel giorno blandiva la città faceva svolazzare i lembi del mantello color sabbia che usava per nascondere le sue fattezze nella folla, senza che però il guerriero ne provasse fastidio: nella calura quel vento era un dolce sollievo soprattutto per chi come lui andava portando abiti lunghi o più pesanti, come le guardie che di tanto in tanto si intravedevano in mezzo alla gente per assicurarsi che niente sfuggisse al controllo della legge.

    Come se qualcosa potesse sfuggire all’Alfiere Errante.

    Da quel che Galad aveva potuto intuire osservando i movimenti delle guardie e di quei pochi che ancora cercavano di fare qualcosa che andasse contro la legge, i soldati sapevano esattamente dove dirigersi e raramente non riuscivano a trovare i colpevoli in poco meno di dieci minuti dalla loro comparsa, ancor molto più raramente il colpevole riusciva a farla franca.

    Una folata di vento più forte improvvisamente calò il cappuccio dalla testa di Galad, scoprendone il volto e la testa ricoperta da quei capelli biondi lasciati crescere abbastanza da coprire le sporgenze ossee che si erano fatte strada fuori dal cranio. Con un repentino gesto della mano destra, quella ancora umana, rimise immediatamente a posto la stoffa chiara perché coprisse il capo, ma non poté fare a meno che qualcuno vedesse la sua cicatrice oppure i suoi occhi così strani.

    “Proprio come pensavo, cammino fra la folla, nonostante le mie stranezze nessuno di quelli che sono riusciti a vedermi in volto si sono stupiti, hanno anzi riabbassato lo sguardo e continuato per la loro strada senza notarmi. Ci sono così tante stranezze in questa grande città che le mie non attirano l’attenzione di nessuno, se non la mia. Mi preoccupo per cose che gli altri neanche notano. Con tutta probabilità la mia mania di non farmi notare è inutile e dovuta alla remota possibilità che qualcuno degli Ak-dhull possa riconoscermi e trovarmi.”

    Svoltando in un vicolo, nel quale la densità di persone era decisamente minore rispetto alla via principale, Galad abbassò, questa volta volontariamente, il cappuccio notando ancora una volta come nessuno si scandalizzasse o addirittura alzasse la testa per una cicatrice e due occhi leggermente strani; si diresse quindi verso quell’insegna che ricordava così bene, uno dei primi ricordi dopo il risveglio e il primo rifugio che aveva trovato, nel quale aveva rubato qualche indumento e rotto un lucchetto scardinando anche una porta: il fabbro non aveva trovato più nessuno nella bottega, cionondimeno il danno c’era stato, e Galad aveva intenzione di risarcirlo adesso, perché quell’atto di vandalismo non l’aveva compiuto di proposito, non ricordava neanche di averlo fatto, e comunque era stato solo per salvarsi la vita.

    In generale la città era piuttosto pulita nel complesso, chiaramente questo dipende dalla zona che si prende in considerazione, con i picchi più alti ovviamente nei quartieri nobili, comunque anche i bassifondi hanno una loro dignità, quel particolare vicolo della zona industriale non era da meno, largo poco più di tre metri, il pavimento stradale, fatto di pietre consumate di grandezza diversa e non perfettamente livellato presentava centralmente un avvallamento dove far scorrere l’acqua di scarico dalle diverse attività produttive o per far defluire l’acqua piovana nei periodi temporaleschi. Ovviamente, come nei migliori quartieri industriali l’odore di fumo, ferro fuso e grasso bruciato, frammisto ad un lieve effluvio di escrementi, aleggiava indisturbato nell’aria e si infiltrava nelle narici di Galad, ormai era da un po’ che lo avvertiva e aveva paura che gli rimanesse addosso una volta finito li, alzò gli occhi al cielo, scocciato non tanto da quello, quanto dal fatto che gli importasse che qualcuno sentisse il suo odore e ne avvertisse i residui maleodoranti.

    Erano alcuni giorni che ci rifletteva, a volte gli succedeva come se fosse posseduto da una personalità a sé stante: quando succedeva che fosse preoccupato per qualcosa di “umano”, qualcosa di semplice come quello che la gente avrebbe pensato di lui o dei problemi di altre persone, Galad avvertiva un certo prurito alla nuca, una specie di impulso di rigetto, il suo cervello stava poco a poco rifiutando le preoccupazioni umane che fino a poco fa erano state normali. Per quello provava fastidio anche per l’impulso a nascondere le proprie fattezze, eppure non era ancora pronto a liberarsi del mantello, a dare ascolto a quell’istinto.

    L’insegna del fabbro era di legno scuro e spesso, con il nome della bottega scritto in lettere di ferro grezzamente rifinite e inchiodate sulla tavola, alcune parzialmente coperte da ruggine altre invece più nuove, forse sostituite di recente per l’eccessiva ossidazione; la soglia della porta era stata riparata, e quella sostituita con una nuova dello stesso legno dell’insegna. Era pieno giorno e il rumore del martello usciva dalla porta aperta del retro bottega, suoni musicali si alternavano a ritmo regolare, senza un lamento o un gemito, segno che il proprietario era un vero artigiano e un professionista esperto. Osservò ancora per un istante l’insegna prima di decidersi a varcare l’ingresso, ma in quel momento il mondo si fece più scuro, la sua vista più sfuocata, Galad non capiva.

    Una figura nuda, ferita e debole, stava percorrendo il vicolo strusciando contro la parete, insozzandola di sangue vecchio e quasi secco. I capelli rasati e il corpo esile cozzavano con la durezza della pietra e l’oscurità di quel posto, Galad si guardò intorno, nulla era cambiato tranne i colori, si trovava sempre dove si era fermato, ma il mondo era diverso: tutti gli odori e i suoni che aveva avvertito prima adesso non c’erano più, l’unico suono ovattato in lontananza era un debole “tun-tun”, distante come una tempesta all’orizzonte, eppure vicino come il cuore che batte nelle orecchie. Con uno sforzo paragonabile al fermare il corso di un fiume, riuscì a distogliere lo sguardo dalla figura insanguinata, voltandosi verso sinistra il rumore in lontananza sembrò farsi più chiaro e deciso: stava guardando verso est, li il cielo nuvoloso si apriva un poco per lasciar passare un raggio di sole rosso, l’unico sprazzo di colore in quel mondo oscuro, e osservando bene il drago vide che proprio in quella dimensione c’era qualcosa fra le montagne. Quel raggio di luce si tuffava proprio in mezzo sparendo nell’orizzonte, e proprio li dove il raggio spariva, ritmicamente con i battiti che si udivano, il mondo si distorceva per un attimo e poi si rimetteva in sesto. Questa stranezza colpì Galad, tanto più che provò a fare un passo verso quella direzione, ma sapeva di dover osservare cosa sarebbe accaduto intorno a lui, così si costrinse a tornare a guardare l’uomo, memorizzando la posizione dell’anomalia.

    Avvicinandosi, la figura sembrava avere qualcosa di familiare, Galad mosse un passo verso quell’uomo e così capì, le escrescenze ossee, una cicatrice sul volto, quel colorito della pelle così familiare, e per ultimo, mentre gli passava a fianco, vide la mano destra con le scaglie e tutto il resto: quello era sicuramente lui, visto dall’esterno, ma non ricordava che quello che vedeva fosse mai accaduto. Arrivato di fronte alla porta della bottega il fantasma di Galad si fermò, poi con un gesto quasi involontario, come affetto da sonnambulismo, caricò un pugno e lo scagliò sul lucchetto distruggendolo. A quel punto era chiaro che stava rivivendo il momento precedente al suo risveglio nella bottega, mille domande si susseguivano nella mente del drago, ma proprio mentre il suo fantasma del passato varcava la soglia divelta, il mondo tornò improvvisamente al suo scorrere naturale, gli odori e i suoni invasero prepotentemente i suoi sensi, tanto che quasi Galad ebbe un mancamento.

    Quello che aveva appena vissuto era un altro dei poteri acquisiti con la trasformazione? Oppure la sua mente stava veramente iniziando a ricordare? Quello che era chiaro era il fatto che una manifestazione di quel genere non poteva affatto derivare dal suo normale essere, l’operazione gli stava riservando continue sorprese, e non era passato molto tempo dal giorno che aveva rivissuto poco prima.

    “Mi scusi buon uomo.. aveva necessità di qualcosa?”

    Il martello aveva smesso di picchiare ritmicamente ed il fabbro, un uomo corpulento, dalla calvizie incipiente, la pelle arrossata per la continua esposizione alla fiamma e le mani deturpate da numerosi calli e scottature, sembrava provare un misto fra paura e imbarazzo nell’avere nella sua bottega un uomo incappucciato, dalle intenzioni ignote e per giunta immobile, come se il mondo attorno a lui non esistesse tranne che per le sue riflessioni.

    Calcando il pavimento irregolare di legno della stanza, passando un dito sopra un’incudine ancora calda per il contatto con il ferro, Galad si passò una mano dietro alla schiena, sganciò con un gesto veloce del pollice la sua Dolunay dal fodero, quindi la estrasse con un movimento aggraziato e, ruotandola un paio di volte la porse al fabbro, facendo finta di non notare il balzo tutto sommato abbastanza contenuto di lui, che si ricompose quasi subito gettando gli occhi sulla lama elegante e lucente.

    “Salve. Vorrei che lei affilasse la mia spada e la lucidasse, ci tengo molto, è un cimelio di famiglia.”

    Parlò con voce fredda, quasi tanto fredda da far dubitare che realmente fosse attaccato alla spada, ma evidentemente al fabbro non importava, forse così impegnato a distrarsi per non mostrare paura,prese la spada dalle mani di Galad negli incavi tra pollice e indice con deferenza quasi fosse una reliquia di un altro mondo. Quando iniziò a parlare tessendo le lodi della spada il guerriero capì che quello era veramente un professionista, quella spada era realmente perfetta in tutto e il fatto che quell’uomo lo capisse era segno di professionalità.

    Mentre la sua spada veniva affilata il drago estrasse dalla tasca del suo mantello un sacchetto pieno di monete, non una gran quantità effettivamente, ma molto di più di quanto sarebbe servito per l’affilatura e abbastanza per ripagare i danni che aveva fatto quella notte ad un uomo innocente ed un gran lavoratore. Finito il lavoro il fabbro lasciò che Galad ispezionasse la spada, quindi con un ghigno di soddisfazione accolse il responso positivo, ma quando vide il sacchetto rimase allibito: solo alla vista capì che quell’oro non poteva valere solo l’affilatura, infatti esitò ad accettare il pagamento, sospettoso che ci fosse implicitamente un favore richiesto, ma il drago lo rassicurò.

    “Pochi giorni fa sono venuto qui, nudo, ferito e debole. Per ripararmi ho danneggiato la tua proprietà e di questo mi dispiace. Sappi che quello che ho fatto non è stato per mia volontà, avevo subito torture e altre barbarie e non sapevo quello che facevo, ma non è giusto che tu paghi per colpa mia, questo è il risarcimento che meriti per i danni da me arrecati. Ti prego di accettarlo e di non aver paura, non desidero niente da te.”

    Paralizzato dalla tranquillità del tono di voce, in contrasto con la confessione appena rilasciata da Galad, il fabbro non parlò subito, stava evidentemente pensando alla risposta giusta e al da farsi: se avesse accettato il pagamento avrebbe dimenticato l’accaduto di quella notte, se invece non l’avesse fatto avrebbe dovuto denunciare quel personaggio così strano e minaccioso, con il pericolo di venire aggredito in quell’istante. Tutti questi pensieri l’uomo non li stava esternando con la bocca, ma il colore e l’espressione del suo volto cambiavano continuamente e il suo conflitto interiore era palese e palpabile. Dal canto suo Galad non era per niente preoccupato: se l’uomo non avesse voluto accettare l’oro e fosse andato a denunciarlo lui adesso aveva la prova di non essere così riconoscibile per strada, l’esperimento che aveva condotto pochi minuti prima per le strade affollate e nel vicolo era servito proprio a quello e ormai aveva la prova che nessuno si sarebbe ricordato di lui più di un altro straniero o personaggio diverso dal coro.

    Nonostante quella sicurezza il guerriero voleva evitare seccature, e nascondersi continuamente a Laputa poteva essere difficile, perciò fu sollevato quando l’uomo rasserenò il volto e allungò la mano per afferrare il sacchetto di monete nascondendolo rapidamente sotto uno dei banconi, pareva che nella sua testa oltre al compenso, anche le ferite di Galad fossero un attenuante per i danni arrecati e, visto che alla fine lui era tornato per risarcire il danno con una somma che avrebbe lasciato all’uomo anche qualche extra, probabilmente si era deciso che non c’era poi niente da denunciare.

    Lasciandosi alle spalle la bottega dell’uomo, Galad si immerse di nuovo nella fiumana di gente che calcava il lastricato della via principale del distretto industriale di Laputa, mentre si gettava di nuovo il cappuccio sulla testa non riuscì a reprimere un sorriso per tutto quello che era successo in quel pomeriggio: risarcire il fabbro era servito non solo alla sua coscienza, ma anche a sperimentare il suo comportamento e modo di “convivere” con la popolazione del mondo che lo circondava. Ora che sapeva di non doversi più nascondere, aveva un mistero da rivelare: guardando in lontananza, verso est, credeva di riuscire ancora a sentire il battito nei propri timpani, l’eco di qualcosa di profondo dentro sé eppure lontano miglia e miglia che lo attirava, lo traeva a sé come una fune legata attorno alla sua vita.

    Doveva sapere che cosa fosse.

    E l’avrebbe scoperto presto.

    Note: come detto prima, è una scena singola per l'introduzione del mio personaggio, si prega di non rispondere.
     
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