Far and beyond

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    void

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    « So it goes; again. »

    La prima cosa è un castello sospeso nel cielo.
    Non credo di averlo mai visto, ma somiglia a qualcosa che ho conosciuto. La seconda cosa sono cento torri, tutte diverse. La terza cosa è un obelisco, la quarta un guardiano senza nome, la quinta una enorme, immensa distesa di ghiaccio.
    La sesta è il gelo e la settima...
    la settima sono io, immerso nella neve.

    [...]

    PATH TO OBLIVION
    Act I
    ~


    Theras, Ystfalda - Sera


    Le fiamme delle sei candele disposte circolarmente si spensero in rapida successione,
    lasciando la stanza in una penombra innaturale.
    L'uomo dai capelli biondi sollevò il braccio stretto nel consueto pastrano d'onice, tracciando per aria i contorni d'un simbolo che fino ad allora aveva sempre accuratamente evitato di disegnare - o anche solo pensare. Sospirò, le palpebre si chiusero sugli occhi rossi e stanchi. Poi avvenne ciò che sempre avviene quando l'ombra sembra poter avvolgere ogni cosa: lo strappo quasi doloroso della luce che inonda lo spazio, lo svuota così come l'oscurità l'aveva riempito.
    Un lapillo dorato scivolò via dall'indice, inseguendo a ritroso la strada che il dito dell'uomo aveva tracciato poco prima, sciogliendosi in un filamento luminoso che - via via che andava unendo i punti lasciati sospesi nel vuoto - completava l'effige di un glifo circolare. Quando il lapillo, in un'ultima accelerazione, completò il suo percorso tornando al punto che a tutto aveva dato inizio,
    il glifo vibrò di una nuova, accecante luce.
    L'uomo dischiuse appena le labbra e con un filo di voce pronunciò un nome
    che non poteva essere pronunciato: — Enoma.
    Poi tutto divenne bianco.

    ~

    Endlos è un luogo ricco di sorprese - e non sarebbe lecito aspettarsi nulla di diverso da un semipiano adagiato sul fondo del maelstrom,
    ma anche per gli standard peculiari di quella realtà potrebbe risulta assai poco comune l'evento di un duplice naufragio volontario-involontario, per così dire. Il candore della neve, pura apparenza atta a nascondere il male più grande che albergava sotto l'egida artica del ghiaccio, era macchiato dalla figura di un uomo dai capelli biondi, riverso al suolo, le membra e le vesti ricoperte da un sottile strato di brina.
    In un movimento incerto le dita strinsero la neve, il respiro rarefatto si fece più rapido e le palpebre lentamente tornarono a schiudersi. Rabbrividendo e con qualche difficoltà, l'uomo riuscì a sollevare il torace, riacquistando una posizione verticale, nonostante le sua ginocchia affondassero ancora nei minuscoli cristalli di ghiaccio.
    Si guardò intorno e non riconobbe quel luogo - né avrebbe potuto. Quando aveva chiuso gli occhi si trovava nel suo laboratorio, al termine di un rituale. Adesso era lì, perduto fra i ghiacci, frastornato e a forte rischio d'ipotermia.
    Fece per sollevarsi ma le ginocchia anchilosate dal freddo rifiutarono di rispondere ai suoi comandi. Imprecò a bassa voce per il dolore e la frustrazione, mentre con le mani poggiate al suolo tentava ancora di disincagliarsi.
    Non lo farei, se fossi in te., gli suggerì una voce alle sue spalle.
    Istintivamente fece per voltarsi, ma la sua scarsa mobilità gli impedì di vedere alcunché.
    Le tue gambe sono strette nella morsa del gelo, se le forzi rischi di spezzarle. Non sarebbe una gran conquista, non credi?
    Quella voce sconosciuta lo inquietò, tanto più che non riusciva a scorgerne la provenienza ma - ad agitarlo maggiormente - fu il silenzio che seguì, interrotto solo dal rumore soffice della neve calpestata e dal soffio del vento freddo che sembrava punzecchiargli il volto con una miriade di aghi.
    C-chi... chi sei? - articolò a fatica - Fatti vedere!
    Il rumore di passi si fece più vicino, più frenetico, finché con la coda dell'occhio non riuscì a scorgere la figura di un uomo, avvolto in un lungo cappotto di fustagno color ruggine, che veniva avanti con aria scanzonata, apparentemente incurante del freddo. Sorrideva, tenendo il volto sollevato a scrutare un indefinibile orizzonte.
    Curioso che proprio tu mi faccia questa domanda., rilevò lo sconosciuto.
    Dovresti conoscere bene il mio nome, devi averlo pronunciato correttamente e ad alta voce se sono-- se entrambi siamo qui, adesso.
    L'uomo dai capelli biondi sentì la bocca improvvisamente secca, gli occhi pesanti ed un nodo alla gola che gli impediva di deglutire. L'aria fredda era entrata nel suo torace in maniera violenta, sentiva i polmoni andare in fiamme e un dolore sordo e pungente partiva dal fianco sinistro irradiandosi per tutto l'addome. Eppure, non era il dolore a fargli paura: era la Paura stessa.
    E-Eno... -ma...
    Bingo! E tu devi essere Henkeen.
    (lo sconosciuto fece un passo avanti, abbassando il capo
    ad incontrare gli occhi del biondo)
    Immagino di dover ringraziare te per questa... villeggiatura non richiesta.
    N-no... impossibile... Tu dovresti essere...
    Bandito, sì., concluse per lui Enoma. — O per meglio dire esiliato dal Multiverso in quanto tale, rinchiuso in una bolla atemporale in cui galleggiare sospeso in aeternum. Era questo il piano, sì?
    Ancora senza parole, Henkeen annuì.
    Beh, pare che adesso ci sia un nuovo piano.
    Così dicendo, l'uomo dai capelli neri si mosse, mettendosi finalmente di fronte al suo interlocutore e - finalmente - Henkeen riuscì a vederlo. Gli occhi erano scuri, ma non sembravano nascondere alcuna rabbia; il volto era affilato e scavato, senza tuttavia apparire nervoso.
    Ti immaginavo diverso., commentò Henkeen, mentre lentamente riconquistava il controllo su sé stesso.
    Enoma si finse sorpreso di quell'affermazione, guardandosi intorno e cominciando a tastare il suo stesso corpo come fosse alla ricerca di qualcosa.
    Ti riferisci a questo?, domandò, sinceramente incuriosito. — Un corpo cui sono particolarmente affezionato. Ci convivo da ben trecentododici anni e non mi va affatto di cambiarlo. E tu prega di non vedere mai la mia vera immagine.
    Henkeen si guardò intorno, ancora una volta, ma per quanto si sforzasse di torcere il collo in ogni direzione non vedeva altro che una desolazione bianca, solo saltuariamente sporcata da macchie di cespugli ghiacciati o piccoli boschi di conifere.
    Dove siamo?, riuscì a domandare.
    Enoma allargò le braccia, quasi volesse presentargli un nuovo, spettacolare mondo
    - nascosto da qualche parte sotto la coltre nevosa.
    E - N - D - L - O - S., articolò.
    Non è meraviglioso? Tu mi hai esiliato da Theras - e riesco anche ad immaginare per conto di chi - ma il maelstrom mi ha raccolto e mi ha scaraventato qui.
    Ed io? Come sono finito qui io?
    L'uomo dai capelli neri si strinse nelle spalle, sorridendo con un pizzico di cattiveria.
    Quanto a questo, temo di dovermi dichiarare colpevole. Non avevo nessuna intenzione di finire qui da solo. E ho deciso di trascinarti con me. Non è divertente? Henkeen l'Esiliatore... esiliato, insieme alla sua vittima.
    Scusa se non mi sbellico dalle risate, ma la compagnia non è delle migliori., ritorse il biondo.
    Di scatto, Enoma si abbassò, avvicinando pericolosamente il proprio volto a quello dell'uomo ancorato in ginocchio sul manto nevoso.
    I suoi occhi neri d'abisso scrutarono quelli cremisi dell'altro fin nel profondo, fino a vedere agitarsi dei fantasmi in fondo all'animo - e lì Henkeen venne travolto da un terrore cieco, furioso, che sembrava volerlo dilaniare dall'interno. Avrebbe voluto urlare, ma non era in grado di farlo: non aveva aria nei polmoni, non riusciva a respirare. Panico.
    Farai bene ad abituarti a questa compagnia, Esiliatore - sibilò Enoma, ad un soffio dalla sua faccia
    - perché non ho nessuna intenzione di lasciarti andare.
    E tutto fu di nuovo - e per l'ultima volta - bianco.
    Poi venne l'oscurità.

     
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