Il Goblin, il Drago e l'umano

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    Una martellata colpì il metallo.
    Erano ormai molto tempo che i suoi colpi, scagliati con maestria e precisione, modellavano l’acciaio. Molti sacrifici erano stati fatti, primo fra tutti vendere la sua anima alla Seele per farlo arrivare sul piano originale di Karakuriki. Il passo successivo era stato quello di cercare il popolo Goblin e farsi scortare con il giusto materiale, ai piedi della montagna più alta di quel mondo.
    Aveva passato due mesi a lavorare con fatica e costanza ma non ci sarebbe voluto molto di più per vedere la sua opera finita.

    Una seconda martellata risuonò nell’aria.
    Da quando era arrivato su quel mondo non aveva visto altro che distruzione e Goblin. Tanta desolazione era riuscita perfino a fargli rimpiangere Merovish e la sua sabbia.
    La carovana su cui era stato caricato aveva iniziato a sobbalzare con maggiore frequenza, indice del fatto che lui e la sua scorta si stavano avvicinando sempre di più alla destinazione finale.
    Gli altri Goblin raccontavano che sulla cima di quel monte aveva fissa dimora un essere assai antico ed estremamente potente. Che fosse quello l'obiettivo finale di Karakuriki?

    Il metallo cambiò ancora sotto il terzo colpo.
    Cosa poteva mai volere da una creatura come quella il suo padrone umano? Assieme al portale, che avrebbe garantito un veloce spostamento da Endlos a quel mondo, gli era stato chiesto anche di costruire un fucile tecnologico particolarmente potente. Per sua fortuna aveva trovato molti prototipi in delle vecchie basi umane situate in quel mondo.
    Era sicuro che ci fossero stati gli umani. Vi erano intere città che gli ritraevano ma di fatto non ne aveva mai visto uno.
    Nè vivo, nè morto.
    Ad attirare ulteriormente le sue attenzioni furono anche i progetti del fucile. Quando gli erano stati passati i manoscritti con i giusti materiali da usare e incastrare, aveva notato che il progetto era stato firmato da un certo “Gingillo”. Eppure il suo nome appariva solo ed esclusivamente su quei pochi fogli, nonostante fosse evidentemente un genio futurista.

    Quando la quarta martellata affondò come una spada nel materiale grezzo, il carro su cui si trovava si fermò.

    "Dobbiamo essere arrivati alla fine. Chi avrebbe mai pensato che il viaggio sarebbe durato così tanto?"

    La carrozza su cui aveva lavorato per tutto quel tempo venne aperta e lui vide nuovamente la luce solare.
    Era stranamente fredda e l’orizzonte appariva più grigio di quanto si ricordasse.
    Scese con qualche difficoltà ma fu solamente quando ebbe camminato per qualche passo lontano dalla carovana che la vide: la montagna.
    Perfino sdraiandosi a terra e guardando verso il cielo non riusciva a vederne la cima, nascosta da pesanti nuvole cariche di lampi e neve.
    I Goblin attorno a lui erano estremamente silenziosi mentre salivano sulla carrozza per scaricare a terra sia il portale che il fucile.
    Erano molto piccoli tanto da sembrargli dei neonati precoci. Quando però gli avevano spiegato che il loro aspetto dipendeva completamente da un particolare gene che ne cambiava la fisionomia da generazione a generazione, non ci aveva creduto.

    "Dovrei essere rientrato nei tempi prestabiliti da Karakuriki. Chissà se però il tempo passa allo stesso modo."

    Disse ad alta voce mentre sistemava le pietre energetiche nelle cavità della sua creazione.
    Molto tempo era passato da quando aveva lasciato Endlos e in cuor suo sperava che Karakuriki si fosse ricordato della promessa.

    ”Tra due mesi mi farò ritrovare davanti al portale che abbiamo costruito a Daleli ...”, gli aveva detto dopo che la sua anima era stata venduta alla Seele, ”... non mancherò.”

    Non poteva far altro che sperare nelle parole dell’umano che gli aveva dato la libertà e un obiettivo da seguire.

    L’accensione del portale durò qualche minuto in più del previsto dato che uno dei cristalli energetici sembrava essersi rotto durante il tragitto verso la montagna, ma l’energia che era contenuto nel minerale non pareva essere stata intaccata.
    Quando il portale si accese con successo, Scratch si aspettò di vedere Karakuriki attraversarlo da un momento ad un altro.
    E così accadde.
    Una lunga gamba varcò il portale, seguita poi da un braccio e da tutto il busto del ragazzo. Agli occhi del goblin sembrava cambiato: più maturo e pronto alla sfida.

    ”Finalmente … sono tornato.”

    Si guardò attorno.
    Il mondo era grigio e in desolazione ma sul volto del ragazzo nacque un sorriso.

    ”Adesso mi aspetta la scalata. Passami il fucile Scratch.”

     
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    "Bandiere sulle montagne non ne porto:
    sulle cime io non lascio mai niente,
    se non, per brevissimo tempo, le mie orme
    che il vento ben presto cancella".


    (Reinhold Messner)

    - ‡ -

    Mentre il sole si abbassava, diretto al tramonto, il vento solleticava la montagna, ululando e schiaffeggiandola con insolenza, spingendo Karakuriki a destra ed a sinistra, prima di scegliere una direzione a lui avversa.
    Ad ogni passo, il peso dei desideri superava quello della stanchezza.
    Ad ogni brivido di freddo, erano la lotta interiore e la trepidante attesa di una battaglia reale a scuoterlo e riscaldarlo.

    Raggiunta quasi la cima, l'umano ebbe per la prima volta l'ardire di guardarsi alle proprie spalle, scrutando l'orizzonte.
    Il sole morente, coperto da un velo di nubi grigiastre, si accasciava su un paesaggio desolato e silente con tutta l'espressività di una madre distrutta al capezzale del proprio bambino. Strutture di cemento e metallo in parte crollate s'innalzavano al cielo come le dita di un supplicante, quasi nel tentativo di afferrare l'unica stella visibile, in una cornice che profumava di grandezza e tragedia al tempo stesso.

    Un vento gelido gli carezzò la guancia, sporcandolo di neve.
    Compagno di viaggio crudele e scanzonato, gli ricordò con un ennesimo brivido che la cima era vicina... esattamente come lo era Huk Millar. Assieme a lui, lo attendevano tutti i suoi desideri. La ragione per cui aveva lottato, pianificato, lavorato...
    ...e perso ciò che aveva di più prezioso.

    Turno 1

    Turno squisitamente introspettivo: il pg recupera i famigli e sale la montagna. Puoi approfittarne per spiegare meglio lo stato del giovane uomo e/o permettergli di pianificare (sia fra sé che con i famigli che si porta) cosa farà, a seconda di cosa aspetta di trovarsi sulla cima.
    Siamo quasi al tramonto: può decidere anche se accamparsi o proseguire.

     
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    La scalata si stava rivelando più dura del previsto.
    Il vento che gli soffiava sulla faccia era freddo e pungente, mentre le mani continuavano ad aggrapparsi a rocce che finivano per creare dei tagli sulle dita.
    Tante volte le gambe erano state sul punto di cedere, mentre l’aria diventava sempre più rarefatta nei polmoni di Karakuriki, eppure Scratch riusciva a vedere un fuoco che bruciava negli occhi del suo padrone pari a quello dello Yuzrab.
    Mentre scalava, lento ma inesorabile, sembrava essere una vera forza della natura la quale non aveva rivali che potessero tenergli testa.

    Il goblin Turchese si voltò e vide ciò che aveva sempre osservato dal basso: città distrutte.
    Nessuno gli aveva spiegato nulla e lui, dal canto suo, si era messo semplicemente a costruire ciò che gli era stato richiesto.

    "Padrone … dove sono tutti? Così tante città distrutte e quello che ho visto non sono stati altro che Goblin, gli uni molto diversi dagli altri."

    L’umano non si fermò. Non ne aveva il tempo materiale e mentre continuava a salire, con il fucile che oscillava pari passo con lui, diede la risposta al piccolo servitore cibernetico.

    ”Le città erano degli umani ma adesso sono tutti morti. Sono stato io al comando dei Goblin a creare questo mondo. Erano malvagi Scratch e non potevo permettere che continuassero a vivere come se nulla fosse.”

    "Umani?! Mi stai dicendo che erano uguali a te quindi?"

    ”NO!”

    Quella fu la prima volta che si fermò durante la scalata, fu la prima volta che urlò a Scratch e fu anche la prima volta che si girò per guardarlo negli occhi.
    Sulla faccia aveva iniziato a formarsi un leggero strato di brina, eppure gli occhi erano sempre due fuochi inestinguibili.

    ”Loro non erano come me. Loro erano molto peggio, esseri ciechi e mossi soltanto dal desiderio di possedere più cose possibili. Non riuscirono ad accettare che potesse esistere qualcosa di esterno al loro mondo. Erano malati e deviati, spinti soltanto da … non lo so. Qualunque cosa fosse quella che avevano nel cuore, non era certo pietà.”

    Alzò lo sguardo come a cercare le risposte alle sue domande nell’aria, nelle città distrutte e nel fianco della montagna. Aveva reso quel mondo vuoto e sterile, doveva quindi porvi rimedio.

    ”Non lo so cosa avevano nel cuore ma … nei loro occhi c’era odio, tanto di quell’odio nel rifiutare che non erano gli unici in questo mondo che … COFF COFF.”

    Una violenta serie di colpi di tosse riuscì a piegarlo a metà, lasciandolo per un momento stordito e spaesato. Era troppo tardi per pensare a cosa fossero o no gli umani di quel mondo, dato che ormai non esistevano praticamente più.
    Mandò giù della saliva e riprese la scalata.

    Che il padrone odiasse gli stessi esseri della propria razza non era una notizia nuova, ne era più che a conoscenza di questa sua peculiarità.

    ”Gli ho uccisi tutti Scrathc … uomini, donne, bambini, vecchi, neonati … non sono meglio di loro e sicuramente le mie mani si sono sporcate più di chiunque altro. Ero accecato dall’odio mentre gli uccidevo, tanto che non ricordo le grida, le facce e le smorfie di dolore di chi uccidevo. Anche io sono umano e anche io sono malato, questa cosa deve essere una piaga della mia razza.”

    "Non tutti però sono cattivi, dico bene? Tu hai salvato me e Cut dalla schiavitù e quello strano pugile ha anche fatto un dono a ... "

    ”... tutti gli umani sono malvagi, solo che alcuni riescono a nascondere meglio le loro vere intenzioni. Non pensare a quelle cose e continua a salire con me, anche se è notte siamo vicini alla cima. Quando incontrerò Huk lo ucciderò e gli prenderò l’anima, solo così riuscirò a guidare completamente il popolo dei goblin e a portargli su Endlos.”

     
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    "Bandiere sulle montagne non ne porto:
    sulle cime io non lascio mai niente,
    se non, per brevissimo tempo, le mie orme
    che il vento ben presto cancella".


    (Reinhold Messner)

    - ‡ -

    Il sole morente si portò oltre le sagome ossute della città fantasma i suoi raggi di rame liquido, abbandonando quella terra desolata nell'abbraccio freddo delle tenebre.
    Sopra di loro, un tripudio di stelle circondava la luna calante come un corteo silente, tutte concentrate a guardare in basso, contemplando le tombe degli uomini e la miseria umana dell'ultimo esemplare, completamente assorto in una crociata in cui il grande nemico non sarebbe stato altro che il proprio riflesso.

    Passo dopo passo, Karakuriki raggiunse la cima, e fra la neve ed il vento, ad occhi socchiusi avrebbe potuto scorgere la sagoma dell'antico capo Huk Millar, ormai eremita.
    Secondo ciò che gli fu tramandato, costui -nei tempi passati- fu potente e temuto, addirittura in grado di fondersi con una creatura dagli straordinari poteri, così da accrescerne i propri. Poi -improvvisamente- aveva scelto di sparire.

    Nessuno poteva conoscere i reali motivi dietro le scelte di quel potente capo, ma la sua forza era indubbia, la sua sopravvivenza alla solitudine più che plausibile e l'utilità alla buona riuscita del piano che l'umano aveva in serbo per raggiungere il suo sogno... assolutamente innegabile.
    Per questo Karakuriki era lì, proprio di fronte a lui.

    Turno 2

    Turno di interazione col png: il tuo può parlare con lui e rispondergli, tacere e passare all'azione o altro, sta a te la decisione.

     
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    Quando Karakuriki arrivò in vetta era ormai scesa la notte, che stava iniziando a nascondere l'orizzonte agli occhi dell'umano.
    Il fiato che gli usciva dai polmoni veniva trasformato in piccole nuvole dense a causa dell'altitudine. Nonostante i pesante vestiti anche la pelle del viso era diventata più rossiccia. Le mani erano tagliate in tanti punti e i muscoli sembravano aver raggiunto il limite possibile.
    Eppure non apprestava a fermarsi, accelerò persino quando vide la fine della sua scalata.

    Con un ultimo disperato sforzo si issò su, lasciandosi cadere poi sulla pietra della vetta. Cadde riverso al suolo come morto ma gli occhi tradivano quella apparente condizione, bruciando ancora come un rogo fatto di sterpaglie e legna secca.

    Scratch accorse subito in suo aiuto ma venne presto respinto da una mano. L'umano sembrava aver visto qualcosa che lo aveva ricaricato di tutte le energie perse durante la scalata.
    Il goblin turchese a stento riusciva a credere che il suo capo avesse ancora tante energie.

    ”Il fucile ... ora.”

    Il servo gli passò l'arma costruita con meticolosa attenzione, stando ben attento a non sbatterla da nessuna parte.

    "Quindi quello è ... lui?!"

    Karakuriki non rispose come sempre aveva fatto, si limitò invece ad alzare il fucile.

    ”Huk Millar”

    Le parole che vennero pronunciare parevano essere più pesanti del fucile che, con molta fatica, il ragazzo impugnava. Pesanti come la montagna stessa.

    ”Io sono Karakuriki e al momento sono il Re del tuo popolo. Non pretendo che tu obbedisca ai miei ordini, era però necessario che mi presentassi.”

    Il goblin rimase immobile come la pietra su cui era seduto a meditare. Solo il vento, che stava iniziando a soffiare forte, osava smuoverlo leggermente.

    "L'arma è per lui quindi ...", si bloccò un momento confuso,"... come può ... cioè. Dentro di lui ci sarebbe lo spirito di un drago?! Eppure non è molto diverso da tutti gli altri membri della sua razza che ho visto arrivando qui."

    Di nuovo nessuna risposta corse a rispondere alla sua domanda. Scratch sapeva soltanto in parte come avrebbe funzionato il piano del suo padrone. Usare Huk Millar per far arrivare i goblin su Endlos, non era però chiaro come questo si sarebbe dovuto svolgere.

    ”Hai sentito quindi? L'arma è per te.”

    Imbracciandola verso il nemico, Karakuriki sparò.
    Il proiettile era particolare, incantato dagli sciamani goblin al fine di renderlo in grado di uccidere il corpo e lasciare intatto l'animo.

     
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    - ‡ -

    ”Hai sentito quindi? L'arma è per te.”

    Huk Millar rimase a fissarlo in silenzio.
    Del tutto somigliante ad un'imponente statua, egli si ergeva silente e con il capo alto, lo sguardo penetrante di chi può scrutare un'anima aldilà della carne e scovarne gli sfregi e le cicatrici mai guarite. Sembrava intuire le intenzioni del ragazzo, eppure non si mosse, nemmeno quando costui -imbracciata l'arma- iniziò a sparare.

    Più rapidi dei fuochi pirotecnici, alcuni colpi salirono al cielo e poi scesero sul bersaglio come una pioggia di acciaio bollente. Huk Alzò lo sguardo al cielo quando una seconda successione di colpi avanzò invece in linea retta, cogliendolo in un punto cieco e ferendolo. Del sangue sporcò la neve bianca e gli spasmi si fecero ben visibili, eppure il goblin rimase stoico, non lasciando scivolare dalla bocca alcun suono che potesse ricondurre la sua natura a quella di una patetica vittima sofferente, anche quando -schivato un raggio laser in pieno petto, che invece lo colpì alla spalla- fu costretto ad arrancare sulla propria destra, nel tentativo di allontanarsi dal fuoco incrociato.

    Ebbe pochi attimi per ricomporsi, eppure la schiena non fu più dritta e con una mano si tenne ben stretta una ferita sanguinante. Sembrò non voler agire ancora, eppure l'aria divenne calda ed un unico -possente- grido di battaglia squarciò la sua gola e la quiete circostante, inondando ogni cosa di fuoco e lasciando che in esso tutto bruciasse.
    Mirò allo stolto che diceva di chiamarsi Karakuriki, e lo stesso accadde quando -gelata innaturalmente l'aria in seguito alla tempesta fiammeggiante- si lanciò sul ragazzo, stringendo i pugni e colpendolo senza alcuna pietà al volto ed al ventre, ignorando il goblin che lo accompagnava.

    Huk Millar avrebbe continuato a colpirlo in quel modo finché gli sarebbe stato possibile e solo allora l'umano avrebbe scovato nella profondità dello sguardo freddo e distaccato una fiamma vorace e spaventosa. La rabbia e l'ardore che nascondeva sotto la corazza ribollivano come magma ed erano gli stessi che lo avevano reso l'Huk Millar delle leggende, il cui ricordo ancora generava timore fra i suoi simili.

    Turno 3

    Turno di combattimento scenico. Il png ha incassato parzialmente l'attacco del tuo pg (+ famiglio) con una schivata e contrattacca con un soffio di fuoco diretto su Karakuriki. Completa l'azione con una tecnica di freddo ad area che dovrebbe cristallizzare sia il tuo pg che il famiglio, poi si lancia addosso al pg per farlo a pezzi a suon di pugni. Non ho messo consumi o slot perché è tutto scenico.
    A te lascio il secondo pezzo e (se vuoi) i discorsi. ;)

     
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    A sostegno della sua causa, anche Scratch fece fuoco attraverso il suo occhio bionico. L'affetto che nutriva per Karakuriki era uno dei più puri e sinceri che avesse mai provato, dargli un piccolo aiuto per la causa gli sembrò il minimo che poteva fare.
    I loro colpi andarono a segno e il sangue iniziò a macchiare la candida neve.
    L'umano, con un sorriso beffardo, ricaricò il fucile e si preparò ad un secondo poderoso attacco, quando qualcosa lo "invitò" a desistere. La figura dell'eremita rosso arrancava a causa delle ferite, un dolore che non provava da chissà quante centinaia di anni, ma furono proprio quelle a dargli forza per passare invece all'attacco. Una fiammata si abbatté violenta su Karakuriki e ,potente come un'inondazione vulcanica, riscaldò al tal punto l'arma che il duro metallo divenne liquido come la neve attorno a loro.

    ”Ma che ...”

    L'ondata calda gli fece lasciare la presa sull'arma, mentre la pelle della mano aveva iniziato a bollire e a staccarsi dalla carne. Distrutto dal dolore sarebbe voluto cadere in ginocchio ma uno spesso strato di ghiaccio gli si creò su tutto il corpo, bloccandolo come in una morsa di ferro.
    Fu in quel momento che Huk Millar gli balzò incontro, iniziandolo a tempestare con una scarica di colpi.
    I suoi dii tagliavano come coltelli e la corazza ossea gli penetrava la carne come un grosso chiodo.
    Urlando dal dolore provava a liberarsi, dimenandosi dal dolore ma tutto era inutile in quella corazza di ghiaccio dentro cui lo aveva rinchiuso.

    ”Ma-maledetto ...”, provò a dire mentre Scratch guardava inorridito la fine del suo padrone, ”... non pu-può finire così.”

    Il corpo si agitava in preda al dolore e alla rabbia cieca che provava per quell'essere. Sarebbe dovuta finire con la morte ma non la sua, lui era destinato a portare i goblin su Endlos, a conquistare quelle terre e regalare al suo popolo una speranza per il futuro, aveva sacrificato tutto pur di non fargli vivere in quel mondo distrutto e consumato dalla guerra contro gli umani.

    ”Do-doveva finire meglio.”

    Un pugno ben assestato gli fece volare via l'occhio destro dall'orbita, raggiungendo così la soglia di dolore massima che poteva sostenere il ragazzo. Il mondo si spense quando decise di lasciarsi andare all'abisso oscuro, svenendo smise di provare dolore, smise di combattere e di vivere.
    Il goblin turchese, spaventato che il destino gli riservasse una sorte simile, decise di darsi alla fuga lungo il pendio della montagna. La paura fu però tale che un piede gli scivolò sopra ad un sasso, il cyborg perse l'equilibrio e si ritrovò a rotolare lungo il fianco del monte. I suoi urli di dolore lo avrebbe seguito fino a quando non avrebbe toccato la base.



     
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    (Reinhold Messner)

    - ‡ -

    Il goblin turchese -quando fu certo della morte del suo condottiero-, colto dall'orrore ed il raccapriccio, si diede alla fuga lungo il pendio della montagna. Se la paura non fu tale da paralizzarlo, fu comunque abbastanza dal condizionarlo e provocargli spasmi e tremori lungo la il cammino. Per questa ragione bastò un sasso per attentare in modo incisivo al suo equilibrio precario, e si ritrovò quindi a rotolare lungo il fianco del monte.

    Huk Millar -intanto- era rimasto immobile a fissare il cadavere del suo nemico: negli occhi scuri era ormai spenta la vivida fiamma del drago, quell'impeto violento e fiammeggiante in grado di divorare ogni cosa.
    Colto da un'idea malsana ed apparentemente priva di senso, gli si avvicinò piano, inchinandosi al suo fianco; lo prese fra le braccia e, sempre in silenzio, aprì le fauci proprio sul volto privo di vita di Karakuriki. Uno strano ringhio gli salì dalla gola, prima che iniziasse ad inspirare in modo vigoroso ed insistente.
    Un alone argenteo e appena percettibile si levò dalla pelle del defunto e -come una nebbia luminescente ed informe- salì alla bocca ed alle narici di Huk Millar, fagocitata dallo stesso ad ogni singolo respiro. Quando l'aria ne fu ripulita ed Huk Millar ebbe banchettato, abbandonò definitivamente Karakuriki al suolo, sollevandosi ed allontanandosi da lui come se non avesse più importanza.
    Come se non fosse altro che una bambola vuota o scarti di carne.

    Turno 4

    Molto bene: come chiusura ti concedo la parte introspettiva del tuo nuovo personaggio. Scrivi pure cosa pensa e cosa intende fare nel futuro, cosa prova e tutto ciò che lo ha colpito di questo evento.

     
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    Huk Millar


    Il vento soffiava freddo e silenzioso sulla cima della montagna, così come aveva già fatto tante altre volte.
    Huk scrutò quello che aveva fatto con le sue mani e la sua violenza, una tale rabbia che ovviamente non gli apparteneva.

    "Ops ... l'ho fatto di nuovo."

    Esclamò soddisfatto il drago attraverso la bocca del goblin, facendoli assumere un ghigno tanto inquietante quanto grottesco.

    "Cosa diavolo hai fatto Millar?"

    Gli occhi cambiarono nuovamente forma e divennero leggeri e dolci come quelli di una madre.
    Un forte senso di disgusto si impadronì di lui quando vide il corpo dell'umano dilaniato dalle sue stesse mani, un senso di colpa pesante come un masso lo schiacciò.

    "Quello che andava fatto ovviamente. Ti stava per uccidere e noi, anzi -io-, lo abbiamo fermato."

    La voce antica del drago gli risuonava nella mente. Nonostante avesse passato centinaia di anni con quella voce nella testa, ogni volta si sentiva impotente e vulnerabile anche se i fatti avevano dimostrato pienamente il contrario.

    "Ormai ti conosco e ho quindi provveduto ad assorbirgli l'anima. Almeno potrai ripercorrere il motivo che lo ha spinto a compiere una tale scelleratezza contro di -noi-"

    Huk si guardò attorno con fare intontito, non curandosi subito delle parole di Millar. Era notoriamente un essere poco affidabile e assai propenso a cambiare idea, l'anima del ragazzo però era presente all'interno del suo corpo, inglobata dentro il suo spirito spaccato.

    "Sembra che sia venuto sino a qui perché voleva aiutare il suo ... popolo?! Voleva portare quello che era rimasto su un nuovo piano. Endlos?! Lo hai mai sento Millar?"

    Solo il vento gli rispose, gettandoli dei grossi fiocchi di neve sulla pelle coriacea.
    Con sguardo mesto si iniziò a guardare attorno. L'esilio forzato lo aveva allontanato dal suo popolo e non era affatto a conoscenza della guerra che era avvenuta. D'altro canto era possibile che il drago avesse voluto nascondere la realtà di proposito, solo per lasciarlo nel suo limbo di meditazione.

    "Come ho potuto che tutto questo accadesse? Non posso permettere che il sogno di questo valoroso ragazzo vada perso. Forse uno con le mie capacità potrebbe realizzarlo ... forse."

    Nel silenzio della vetta si voltò intorno spaesato.
    Sarebbe partito quanto prima per Endlos utilizzando i poteri del drago Millar, per nuove avventure e per difendere nuovamente il suo popolo.



     
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    - ‡ -

    Turno 5

    Scena conclusa. :flwr:

     
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