Echoes from the Deep

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    TRUE LOVE IS POSSIBLE ONLY IN THE NEXT WORLD — FOR NEW PEOPLE. IT IS TOO LATE FOR US. WREAK HAVOC ON THE MIDDLE CLASS.

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    We live on a placid island of ignorance
    in the midst of black seas of the infinity,
    and it was not meant that we should voyage far.



    Un respiro, poi un altro.
    Non c'era spazio per pensare, non c'era fiato per le parole.
    Doveva solo continuare a respirare... solo quello.
    Un respiro, poi un altro.

    Un nuovo conato prese alla sprovvista il ratto mannaro, facendogli rovesciare lo stomaco fuoribordo. Ormai, la povera creatura stava vomitando nient'altro che acqua: ogni traccia d'altro era già stata espulsa giorni fa.

    Nonostante la unta pellaccia nera, Rag era visibilmente pallido.
    ”Fottuta... nave...” riuscì a dire, soffocando la bile.

    Erano partiti non più di una settimana prima, dal Porto Sepolto.
    Una nave nera, che sembrava assemblata con legno marcio e poca speranza, aveva imbarcato lui e cinquecento schiavi, più qualche rimpiazzo per l'equipaggio.
    Sulle prima, il ratto aveva pensato ci fossero state perdite in mare... si era poi ricreduto.

    All'albero maestro, che scricchiolava paurosamente sotto l'incessante ululare del vento, era stato legato uno dei marinai, al quale erano stati tagliati i polsi. L'agonia del poveretto durava da un paio di giorni, e il ponte era imbrattato di rosso. La cosa più inquietante? Il bastardo si era offerto volontario.

    Dopotutto, poteva non essere la speranza a tenere assieme quel vascello.

    La “merce” era custodita sotto coperta, non gli era concesso di aiutare con la navigazione o con le faccende della nave. Veniva nutrita, pulita... e basta.
    Rag doveva assicurarsi che arrivasse intatta a riguardo. Ogni schiavo portava sulla spalla destra un marchio inciso col fuoco e il ferro, il simbolo della Casa del Sangue. Anche lui aveva il suo marchio, anche lui era uno schiavo... ma il suo compito, su quella nave, era diverso.
    La sua padrona era la Dama del Té, e non quell'inquietante ciurma, o l'uomo al quale rispondeva. I suoi compiti erano assicurarsi che il cliente fosse soddisfatto del suo acquisto... e con discrezione, cercare di capire a cosa potessero servire, ad Ovest, duemila schiavi.

    Duemila.
    Quello era solo la prima di quattro consegne, cinquecento schiavi ciascuna. Un numero inaudito, forse l'acquisto più voluminoso mai fatto al Distretto dei Caduti di Merovish. La ricompensa della Casa era stata stellare, oltre a qualche segreto accordo stipulato dalla Dama, del quale il ratto non sapeva niente.

    Un nuovo conato, accompagnato da numerose bestemmie, si rovesciò nell'acqua scura, fuoribordo.

    Il Rarshak sbirciò con i suoi piccoli occhi gialli il resto dell'equipaggio.
    Era facile individuare i “nuovi arrivati” da chi invece faceva parte della ciurma originale... per il semplice fatto che i primi erano normali esseri umani, nel tentativo di evitare qualsiasi tentativo di interagire con gli altri. La promessa di una paga sicura su una tratta tranquilla sembrava ormai un ricordo sfaldato per tutti. I restanti membri della ciurma sembravano invece gusci vuoti, la pelle grigiastra solcata dal sale del mare e gli occhi inespressivi: si capiva che erano vivi solo perché continuavano a muoversi... e in effetti, su Endlos, queste cose spesso non erano nemmeno collegate.
    Al comando della nave non vi erano i due che erano arrivati fino al Distretto dei Caduti per ritirare gli schiavi, loro erano rimasti al Porto per supervisionare le prossime spedizioni... no, a governare quel vascello c'era quello che sembrava un ragazzo dal fisico atletico, segnato da innumerevoli cicatrici e ferite.
    Giusto per rendere le cose più inquietanti, girava sempre con una voluminosa quanto costrittiva maschera di metallo.

    Il ratto mannaro avrebbe preferito farsi amputare anche l'ultimo orecchio buono e annodare la coda piuttosto che interagire con quella … creatura.
    Eppure, aveva del lavoro da fare. Non solo per conto della Dama.

    Dopo aver sputato quel che restava del suo stomaco oltre il parapetto, raccolse il coraggio a due mani e si avvicinò alla poppa del vascello.
    ”Zaratos, giusto?” riuscì alla fine a dire, soffocando la nausea. Il nome lo aveva appreso da Xerses, durante il viaggio di ritorno al Porto Sepolto. ”Siamo lontani dalla destinazione?”
    già, destinazione.

    Stavano navigando nel mare del Presidio Ovest, mare che aveva da poco subito un drastico cambiamento geografico. Il ratto si domandò se questa destinazione fosse davvero nota a qualcuno, e non stessero invece girando in torno da giorni.
     
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    Viaggiatore dei Mondi

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    Non aveva una bella cera. I bianchi capelli erano un disastro, leggermente sporchi di sangue e senza una forma precisa. La faccia, beh, i tagli che componevano il viso parevano delle fenditure demoniache da cui cercassero perennemente di uscire le anime dei disgraziati che aveva barbaramente trucidato. Guizzi verdi balenavano davanti ai suoi occhi spenti, che fissavano ormai da minuti quel pezzo di vetro che una volta faceva parte dello specchio della stanza che aveva requisito. Se stanza si poteva chiamare quel buco dotato di giaciglio locato nella poppa della nave.
    Con un sospiro si voltò verso un pezzo di metallo adornato, perfetto come il giorno in cui il caos stesso lo modellò sul suo viso. La sua maschera, la visage con cui era condannato a girare per l’eternità. Il simbolo di chi serviva, ha servito e servirà. Si alzò lentamente, si diresse verso il tentacolato oggetto e lo prese in mano. Lo guardò carico di odio e speranza, un turbinio di pensieri continuava a vorticargli in testa.

    Uscì sbattendo la porta della stanza, che cedette sotto lo sforzo e volò contro uno degli schiavi che sottocoperta stava tentando di conversare con uno dei membri dell’equipaggio di quella dannata imbarcazione. L’uomo cadde rovinosamente a terra, ma altrimenti senza danni evidenti.

    “Sollevalo e sistemalo. E rimetti a posto la porta”, tuonò Zaratos al mozzo che senza troppi complimenti si mosse verso lo schiavo. La psiche aveva finalmente indossato il suo volto, completo del resto che lo contraddistingueva: catene che legavano l’anello che si trovava nel suo addome ai polsi, simbolo della sua schiavitù verso gli dei dell’abisso, e i pantaloni corazzati che erano l’unico ricordo della sua vita passata, a parte le numerose cicatrici sul corpo. E forse erano queste a spaventare di più gli schiavi, che seppur legati e controllati cercavano di allontanarsi quasi istintivamente da lui mentre si dirigeva verso le scale che portavano al cassero di poppa, dove era posizionato il timone.

    Da sopra lo spettacolo era mozzafiato. Non parlava del mare, con onde incredibilmente alte e mosse che si scagliavano quasi senza conseguenze sulla nave. Non parlava della pioggia, che doveva essere iniziata da poco e che si era velocemente tramutata in tempesta. No, il suo sguardo era catturato dall’albero maestro, al quale era legato uno dei mozzi da ormai qualche giorno. Polsi tagliati, sangue che gocciolava elegantemente sulle travi sotto di lui, e urla di agonia rese possibili dalla magia che lo teneva in piedi. O che almeno lo avrebbe tenuto finché avesse avuto ancora un goccio di quel meraviglioso liquido rosso da poter donare agli abissi.

    Le urla, il sangue, gli abissi. Un sorriso gli balenò sul volto fortunatamente celato.

    Fu in quel momento che gli si avvicinò un qualcosa che poteva solo descrivere come una immonda bestia, un ratto dalle fattezze umanoidi che si reggeva visibilmente a fatica sulla nave ondeggiante.

    “Zaratos, giusto? Siamo lontani dalla destinazione?”

    La psiche lo osservò con un misto di disgusto e curiosità, sentendo il proprio nome sputato da quell’essere, poi scrutò l’orizzonte. Oceano ovunque a prima vista, nessuna traccia di altro. Diede uno sguardo al timone, come l’albero maestro anch’esso sporco di sangue, che si muoveva da solo come guidato da un invisibile capitano.

    “Destinazione? Cosa ti fa pensare che ce ne sia una?” disse Zaratos, rivolgendosi al ratto mentre prendeva il controllo del timone.
    “Torna alla prua e dai ordini che gli schiavi si tengano pronti, forse nel breve avrai una risposta migliore…
    ...se riesci a tenerti in piedi”
    .

    Le cicatrici iniziarono ad emettere sempre più energia, che guizzava fuori dalla maschera come piccoli fulmini.

    “Hastur'or Lloig, goka f'gotha”, disse sottovoce.
    Psiche, aspetto di Hastur, esaudisce il vostro desiderio.


     
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1 replies since 6/1/2019, 23:16   102 views
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