Il cielo sopra la nebbia

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    Mare di Nebbia, ieri.

    Era una delle tante finestre della cattedrale, tra le poche però a conservare tutti i vetri. I piccoli frammenti colorati, incastonati in un telaio divorata dalla ruggine, quel giorno avevano riempito la stanza di una luce del tutto insolita. Leonard aveva quattordici anni ed era entrato da poco nella struttura, perciò non gli era ancora capitato di vederlo.
    « Venite! », dicevano gli studenti più grandi, richiamando le reclute dal dormitorio. C’era un gran rumore di passi, di scarpe calzate in fretta e di corse per le scale.
    « Che cosa c’è? »
    Mentre si vestiva, il giovane apprendista lasciò parlare la sua curiosità. Il compagno che era venuto a chiamarlo aveva paura di perdersi lo spettacolo e rispose frettolosamente.
    « Il cielo! »
    Salì, seguendo gli altri, fino a uno dei due torrioni (l’unico ancora intatto) della struttura. Fu costretto ad aspettare un po’ prima di poter sbirciare nella stanza. Quando finalmente riuscì a infilare la testa oltre la soglia rimase di sasso: una moltitudine di nastri di luce colorata tagliavano la polvere che li attraversava.
    Leonard si avvicinò alla finestra e ci appoggiò la fronte; chiuse l’occhio sinistro e, con le mani a mo’ di binocolo, gettò lo sguardo più lontano che poteva, in mezzo all’azzurro che sovrastava ogni cosa: si sentì un gigante, in grado di guardare dall’alto quel mare di nebbia senza orizzonte. Capì a cosa gli alchimisti aspiravano, con la loro continua ricerca di un modo per scacciare via quel velo grigio che nascondeva ogni cosa. Mai avrebbe immaginato, però, che ci sarebbero volute altre nubi per avvicinarlo al cielo.

    Dorso del drago di pietra, oggi.

    Bianco, dappertutto. Non sembrava che la nebbia si fosse diradata, ma piuttosto che fosse caduta a terra, formando il manto gelido dove era affondato il suo corpo. Quel cielo, che ora poteva guardare solo alzando la testa, non era il suo. Spezzato dalla sagoma di un colosso di ghiaccio, roccia e neve, era minacciato da sud da nuvole di tempesta: Leonard doveva muoversi.
    Vagò in cerca di un sentiero che lo portasse a valle; ne trovò uno non molto distante, incastrato in mezzo a due pareti rocciose alte almeno il doppio di lui. Era strano: qualsiasi cosa fosse stata a portarlo in quel luogo, sembrava essersi come preoccupata di indirizzarlo su una strada precisa.
    Mosse un primo passo e avvertì un dolore all’occhio sinistro. Una figura gli passò a fianco. Teneva in mano attrezzi da scalata rudimentali e tutto il suo corpo era avvolto dal ghiaccio. Girava la testa spesso, come se sapesse di essere seguito da qualcosa: nei suoi occhi spenti, Leonard vide la morte che non trova quiete. Lo spirito svanì come era apparso, ma molti altri si erano nel frattempo affacciati dall’alto, e seguivano con lo sguardo la Piuma di Corvo.

    Lungo il tragitto raccolse una misera quantità di legna. Accese l’Atanor (il piccolo forno da alchimista che teneva alla cintura), attingendo dalle sue scorte – le poche che aveva con sé – e tenne i ramoscelli vicini al calore che l’oggetto metallico emanava, nel tentativo di farli asciugare almeno un po’.
    Raggiunse una spiazzo quando il sole ormai stava per scomparire dietro la montagna e il cielo da rosso diventava, a poco a poco, scuro. Doveva trattarsi di un rifugio di passaggio, di quelli che i pastori usano d’estate, ma sembrava essere stato quasi del tutto distrutto dalle intemperie. Tese come poteva i pali di una tenda e stese quel che rimaneva di alcune pelli di animale, togliendogli di sopra il ghiaccio accumulato: si ricavò un riparo e accese un piccolo fuoco.

    Spiriti di uomini, dai corpi oscenamente maciullati, si avvicinarono. Presero posto intorno alla fiamma, e questo sembrò trascinarli in uno stato di pace – tanto che l’occhio rosso di Leonard faceva fatica a distinguerli, nel buio che precedeva la notte. Uno di questi, che aveva la mascella divisa a metà, gli indicava con insistenza la punta del monte: là, nascosta tra nuvole grigiastre, l’enorme sagoma di una bestia si contorceva intorno alla vetta.
    Chiuse l’occhio sinistro e si ritrovò da solo, a fissare un cielo vuoto, che ora cominciava a rivelare le prime stelle.
    « Gli spiriti di queste terre sono turbati... e io con loro. »
     
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    Erano trascorsi quasi quindici cicli da quando Malakair aveva preso in consegna la supervisione delle miniere della Spina del Drago, ed ogni anno aveva percorso quei sentieri ghiacciati da solo, con la sola compagnia della pipa da viaggio e del rassicurante rumore metallico della sua tuta Arcanauta, un massiccio complesso di piastre metalliche e tubi blindati che a detta di alcuni lunghi lo facevano sembrare un palombaro, ma che per la sua razza è senza dubbio un'opera di ingegneria aetherica duardin con ben pochi eguali. Il ghiaccio si spaccava con uno schiocco sonoro mentre calcava l'acciottolato coperto da uno spesso strato di brina con i calzari corazzati, fusi in un tutt'uno con il resto dell'armatura pur senza una traccia visibile di giunture o saldature. Questo, unito alle innate doti di equilibrio della sua razza ed il baricentro basso dovuto alla statura moderata, facevano sì che nemmeno il più infido dei ghiacciai potesse minarne la stabilità. In virtù di ciò avanzava senza il minimo indugio come una piccola fregata che fende un mare agitato, a dispetto del vento infame e del terreno in pessime condizioni. Otto cicli prima in quel punto c'era un sentiero abbastanza vasto da far passare due carri trainati da una coppia di rhinox come quelli che a volte si vedono sfilare per le vie di Epartis, proprio sotto le finestre di casa sua. Poi un giorno l'abbietto maelstrom aveva deciso di svuotare le proprie viscere proprio lì, sulla maledetta via per le miniere, e da allora Malakair Melekairsson del clan dei Seminamorte aveva bisogno di due intere rotazioni in più per arrivare a destinazione, patendo al contempo i capricci del maltempo.

    Si fermò a guardarsi attorno, per essere certo di dove i suoi piedi lo stavano conducendo. Si accorse solo allora che ormai era quasi sera, e dunque indossava la maschera da quasi ventiquattro momenti d'infinito, almeno dodici di troppo secondo la fiacca tempra degli umani che vivono ad Est. Aveva camminato tutta la notte, affatto debilitato nella vista grazie ai fari incassati nell'armatura e alimentati dai diamanti, ma quella sera aveva tutte le sue buone intenzioni di mangiare del cibo caldo e riposare. Seppur forgiato dal dio-progenitore Grugni nella pietra, perfino lui aveva bisogno di riposo di quando in quando. Inoltre non voleva stancarsi troppo perché due cicli prima in quella stessa zona aveva avuto a che fare con un ogre solitario particolarmente stupido che l'aveva obbligato a metter mano alla carabina assicurata sulla sua schiena. Se ben ricordava le ossa di quel grosso e grasso idiota si trovavano ancora a qualche migliaia di passi da lì.
    Slacciò i ganci a pressione che assicuravano il casco al resto della tuta, poi rimosse uno ad uno i quattro tubi muniti di filtri che permettevano la respirazione nell'ambiente completamente isolato dall'esterno interno alla corazza, i quali erano perfettamente mimetizzati nella barba riprodotta in oro e argento su di una elegante scultura che riproduceva il suo aspetto stilizzato secondo la cultura della sua razza. Si riempì i polmoni con l'aria fredda e pungente del nord, trovandola una volta tanto particolarmente piacevole anche se portava con se l'odore della steppa. Armeggiò con le dita tozze per liberare la folta barba fulva dall'interno della tuta e si compiacque di quanto fosse folta e ben curata. Non avrebbe mai capito l'usanza dei lunghi di radersi, a suo giudizio era una follia tanto quanto lo era mozzarsi un braccio. Aveva intrecciato ad essa quattro anelli d'oro, uno per ciascuno dei suoi figli, più un quinto tempestato di diamanti su cui recava i giuramenti matrimoniali di fedeltà e protezione nei confronti di sua moglie, Alla. Il solo vederli gli riaccese la voglia di raggiungere in fretta la miniera, poiché tanto prima arrivava a destinazione, tanto prima avrebbe potuto incamminarsi per la strada di Istvàn, capitale dell'Est, che per lui significava casa.

    Fu proprio grazie al fatto che aveva rimosso provvisoriamente la maschera che riuscì a notare il filo impercettibile di fumo che si alzava sul cielo plumbeo. Era talmente piccolo che non l'avrebbe mai visto con gli occhi protetti dalle pesanti lenti che servivano a schermare dai malefici riflessi della luce sui ghiacciai. Si domandò chi fosse talmente pazzo o disperato da accendere una fiamma in un luogo del genere, e subito sospettò di una banda di ogre come quello che aveva impallinato neanche. Sussurrò una preghiera di ringraziamento a Valaya, dea della saggezza e del focolare, che gli aveva fatto notare quel segno di presenze, e subito pensò di girare lungo il pendio del monte in modo da aggirare quella zona. Poi però rifletté sull'eventualità che quegli stessi esuli ogre potevano benissimo tendergli un agguato sulla via del ritorno, senza contare che potevano nuocere ad altri viandanti come lui. Decise che era meglio sbarazzarsi di loro al più presto possibile, con un po' di fortuna avrebbe trovato una zona adatta alle cariche da demolizione e li avrebbe seppelliti tutti sotto una valanga di neve e roccia.

    Raggiunta la zona da dove proveniva il fumo, tuttavia, scoprì con un mezzo disappunto che non si trattava di ogre banditi, bensì di uno dei lunghi, forse un mercante che aveva smarrito la via oppure uno dei minatori che abitano più a nord. Ripose la carabina aetherica nella custodia sulla schiena, accese una delle luci dell'armatura incassate sul petto e si avvicinò annunciandosi con lo sferragliare placido della tuta, salvo alzare una mano protetta dai pesanti guanti foderati di oro e ottone in segno di saluto.

    « Salute. »
    Annunciò con baldanza, tutto sommato contento di trascorrere qualche ora in compagnia di un'anima viva, e più ancora felice che quest'ultima non sia né ostile né con la brutta faccia di un ogre affamato.
    « Appartengo al clan dei Seminamorte, di Istvàn. Abbiamo delle miniere, laggiù. Ne avrete sentito parlare... »
    Indicò un punto a casaccio nell'oscurità più totale dell'orizzonte. Dei monti lontani si riusciva sì e no a scorgere un vago profilo, e probabilmente non erano nemmeno le montagne giuste. Ma tuttavia Malakair era certo che quel lungo dall'aria spaesata fosse di quelle parti, quindi certamente aveva sentito parlare del suo clan. Dopotutto pagavano i minatori della zona con l'argento dell'est.
    « Scambiereste un po' del posto che vi avanza di fianco al vostro falò con del maiale salato della capitale? »
    Domandò in tono cordiale, sorridendo da sotto la barba ramata.
    « E' particolarmente buono. »
    Assicurò senza pensarci due volte, poiché se anche si trattava di razioni per un lungo viaggio, si trattava pur sempre del cibo di un nano...

     
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    Il freddo cominciava a reclamare attenzione. Consumava le energie dell’alchimista, conducendolo verso un sonno pericoloso. Era abituato a passare le notti all’aperto: il suo era un lavoro d’azione, che lo teneva lontano dalla cattedrale per buona parte del tempo; il mare di nebbia aveva un clima di certo più mite e Leonard non aveva mai conosciuto, prima di allora, i venti delle montagne innevate. L’aria, a quell’altezza, è furba e sottile: si insinua in ogni fessura lasciata incustodita tra i vari strati di vestiti. Oltrepassava il cappotto marrone, poi anche la giacca e la camicia sottostanti; spostava la tesa del cappello, ignorando la sciarpa grigiastra, consumata, stringendosi poi sulle guance mentre obbligava gli occhi a cercare un riparo. La punta del naso, dopo qualche minuto, sembrava essersene scappata via.

    La fiamma scoppiettava ancora. Alla sua luce debole, sola nella notte, se ne aggiunse all’improvviso un’altra. Leonard spalancò solo l’occhio destro, per essere sicuro che fosse vera. Era strana: chiara, quasi incolore. L’incontro con il fumo ne evidenziava il fascio ristretto – era artificiale, ma nonostante questo l’alchimista non riusciva a sentire il rumore di alcun motore. Istintivamente avvicinò una mano alla lama a percussione, che aveva risposto al suo fianco, mentre le dita dell’altra già prendevano posizione intorno all’impugnatura della pistola, sotto al cappotto. La fonte di luce era attaccata alla pesante e vistosa armatura di un uomo, straordinariamente basso ma di costituzione evidentemente robusta. Sembrava essere molto a suo agio in quell’ambiente e lo salutava con un cenno di mano. La Piuma di Corvo allontanò la sua dalla spada e ricambiò il saluto, dopodiché aprì anche l’occhio sinistro.

    L’uomo basso era accompagnato da uno spirito ben più grande di lui, ma dall’aspetto meno fiero. Si guardava intorno, annusando le rocce e buttando i piccoli occhi in ogni anfratto. Cominciò a prendersela con i fantasmi seduti assieme a Leonard, rovistandogli addosso con le sue dita oblunghe, appropriandosi di piccole cose che, via via, disponeva sul corpo rinsecchito. L’alchimista si accorse che la strana presenza fissava le sue cose. Dopo un po’ cominciò a disperarsi, forse perché il suo corpo immateriale gli impediva di prenderle con sé. Aveva combattute bestie del genere in passato, ma questa sembrava essere ancora lontana dal diventare una minaccia per il corpo che la ospitava.
    « Prego, accomodati, c’è posto per entrambi », replicò Leonard, « mi sembra un ottimo scambio: sono un po’ a corto di provviste. »
    Fece un po’ di spazio all’interno di quel riparo di fortuna, mentre rimuginava sui nomi strani che aveva appena sentito: Seminamorte, Istvan… quanta strada lo separava da casa?
    « Purtroppo non conosco né il tuo… clan, né la tua terra. Per un fatto che non ti sto a spiegare – in parte per non annoiarti e in parte perché dovrei prima finire di spiegarlo a me stesso – mi sono ritrovato su queste montagne, poche ore fa. »
    Abbassò la sciarpa, lasciando scoperta la faccia e, da sotto la barba ispida e sfumata di bianco, abbozzò un sorriso imbarazzato.
    « Non so se puoi darmi indicazioni. Questo sentiero porta a valle? Devo tornare al mare di Nebbia. Sono un alchimista della Cattedrale, ammesso che per te significhi qualcosa: viviamo molto isolati dal resto del mondo. »

    Per comodità ti riporto di seguito la passiva chiamata in causa:
    Vedere Oltre
    Dopo una lunga convalescenza a seguito dell’incidente, gli alchimisti più esperti capirono qualcosa in più rispetto al dolore e alle visioni che Leonard lamentava. Un contatto fugace con l’essenza della Rubedo aveva dotato il suo occhio della capacità di vedere oltre, di scorgere gli spiriti che si celano dietro i confini dei cinque sensi: il tono rosso assunto dalla pupilla lo testimoniava. Purtroppo la mente acerba di Leonard, nel costante tentativo di tradurre nella sua lingua – la logica – ciò che l’occhio sinistro vedeva, ammorbava il cacciatore con visioni raccapriccianti.
    Nonostante l’incubo in cui spesso si trova catapultato, questa capacità gli ha permesso di scovare nemici altrimenti invisibili durante le cacce nel mare di nebbia. Gli alchimisti votati al bianco sono però convinti che l’occhio finirà per trascinarlo verso la pazzia.
    Potere Passivo – Auspex spiritivo, 30 metri di raggio (cono visivo)

    E l'arma che Leonard ha al suo fianco:

    Lama a percussione
    L’arma principale utilizzata da Leonard durante le sue spedizioni con le altre Piume di Corvo. Una lama larga e appuntita, lunga poco più di mezzo metro, incassata in una sede – assicurata a sua volta al braccio del cacciatore. Il meccanismo al suo interno permette di estendere e ritrarre velocemente la parte tagliente, variandone la portata: se la massa dell’arma la rende naturalmente più goffa rispetto a una spada comune, la possibilità di alterare sensibilmente la forma rende le traiettorie dei colpi meno prevedibili.
    Arma bianca
     
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    « Prego, accomodati, c’è posto per entrambi »
    fu la risposta del viandante,
    « mi sembra un ottimo scambio: sono un po’ a corto di provviste. »

    « Malakair Melekairsson del clan Seminamorte, minatore e mercante. Al vostro servizio. »
    Il Kharadron si mise di fronte a lui con aria piuttosto solenne, piantò meglio le gambe a terra e poggiò il braccio all'altezza del cuore come si suole fare fra la sua gente, poi chinò rispettosamente il capo in cenno di saluto e ringraziamento. Dopodiché, senza dilungarsi oltre in cerimonie, sfilò la piccola sacca e ne tirò fuori un treppiedi di metallo ed una ciotola di rame su cui versò il contenuto intero della borraccia. Certo non era un fuoco da campo ammodo come quello che avrebbe tirato su un nano, ma una zuppa tiepida è meglio di una zuppa fredda.

    « Purtroppo non conosco né il tuo… clan, né la tua terra. Per un fatto che non ti sto a spiegare – in parte per non annoiarti e in parte perché dovrei prima finire di spiegarlo a me stesso – mi sono ritrovato su queste montagne, poche ore fa. »
    Un fuggitivo? Pensò Malakair mentre tirava fuori la carne di maiale dalla carta cerata. La sua memoria vagò a diversi cicli prima, ben sette, quando una nevicata l'aveva costretto ad allungare il percorso lungo il valico ed aveva incontrato due lunghi che potevano benissimo essere stati due naufraghi scaraventati in quella regione del Koldran da un capriccio del maelstrom. Peccato che erano già tutti e due rigidi come pietra coperta dalla brina quando si era imbattuto in loro, quindi non aveva potuto scoprirlo con esattezza, ma i loro abiti non lasciavano adito a dubbi. Pensò che da come parlava anche quell'uomo poteva essere un naufrago, ma i suoi abiti non erano troppo dissimili da quelli dei capi minatori e si trovava a poche rotazioni di marcia da un centro abitato. Malakair decise di non trarre conclusioni affrettate, perché la diffidenza e la saggezza sono parenti molto strette in quelle lande, e per quanto ne sapeva poteva avere di fronte un uomo che ha deciso di strangolare la moglie ed i figli nel suo letto ed era in fuga dalla legge.
    « Non so se puoi darmi indicazioni. Questo sentiero porta a valle? Devo tornare al mare di Nebbia. Sono un alchimista della Cattedrale, ammesso che per te significhi qualcosa: viviamo molto isolati dal resto del mondo. »
    Malakair grugnì un breve dissenso, mentre finiva di distendere le strisce di carne nel pentolino e porgeva quella di disavanzo all'uomo, qualora avesse voglia di sgranocchiare qualcosa prima che la cena fosse pronta. Poi tirò fuori le erbette ed iniziò a gettarne porzioni accuratamente bilanciate nell'acqua che andava via via scaldandosi. I figli del fabbro non hanno bisogno di bilance o dosatori, sanno sempre qual'è la porzione giusta per spezie ed erbe.

    « Da quella parte c'è la spina del drago. Ci sono gli ultimi villaggi civilizzati, poi inizia la forra del diavolo, le cime delle nevi perenni e le grotte dell'Amnos. E' il territorio degli ogre, dei giganti e delle peggio creature cacate dal culo di Morr. »
    Le bestie si sarebbero mangiate l'umano in un sol boccone, ma quello Malakair non lo aggiunse per non arrecare offesa. Non aveva l'aria di un guerriero, ma non si sapeva mai che conservasse un qualche genere di orgoglio marziale. Scosse il capo, rovistando nella sacca per tirare fuori il cucchiaio da viaggio.
    « Devi andare a sud, lungo la strada, e pregare che il fronte della tempesta non ti raggiunga troppo in fretta. Però mi dispiace, mai udito di cattedrali, qui nel nord, e di certo non vi sono distese d'acqua. Eppure marco queste terre con i miei calzari da almeno dodici cicli, e conosco bene la zona. Dimmi una cosa... »
    Gli venne in mente una prova. Parecchio tempo prima, quando non aveva ancora la barba e soggiornava all'orfanotrofio di Misericordie mentre suo padre era troppo impegnato a scavare l'oro e ripristinare il patrimonio di famiglia per seguire la sua educazione, gli insegnanti usavano insegnare ai Nuovi Giunti su come riconoscere il cielo di notte, le stelle e le costellazioni. Si dice che ci sono poche cose che turbano l'animo più di un cielo fatto di stelle sconosciute. Malakair accennò al cielo. Ormai era sera, il chiarore del sole non era del tutto sparito all'orizzonte ma le prime stelle facevano già capolino dove le nubi lasciavano filtrare la loro luce fioca come quella della lanterna della dea Valaya.

    « Guarda là. Vedi, quel trittico di stelle che insieme sembrano formare una cuspide? Dimmi: le riconosci? Ricordi il loro nome? »
    Malakair scrutò il viandante negli occhi. Se fosse stato un semplice viaggiatore, l'avrebbe preso per pazzo. Se fosse stato un impostore che tentava di spacciarsi per un viandante per fuggire a qualche reato avrebbe dovuto fingere, e lui l'avrebbe scoperto. Ma se fosse stato davvero un naufrago, allora la scintilla della paura si sarebbe accesa in lui, e Malakair l'avrebbe vista. Quella sarebbe stata la prova definitiva, esattamente ciò di cui il Kharadron aveva bisogno...

     
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    Prese senza fare complimenti il pezzo di carne che Malakair gli porse. Mentre assisteva con piacere alla preparazione della brodaglia, affondò i denti nel modesto e salato antipasto, che subito ravvivò il palato dell’alchimista. Pensò che la cura che il piccolo uomo stava mettendo nel dosare gli ingredienti non era poi tanto diversa da quella che lui stesso doveva esibire durante una trasmutazione. Non era un caso se i maestri della Cattedrale portavano la cucina come esempio ai giovani novizi più maldestri.
    « Da quella parte c'è la spina del drago. Ci sono gli ultimi villaggi civilizzati, poi inizia la forra del diavolo, le cime delle nevi perenni e le grotte dell'Amnos. E' il territorio degli ogre, dei giganti e delle peggio creature cacate dal culo di Morr », disse il suo improvvisato compagno di bivacco, con il tono duro di chi non è girovago per passione, ma per necessità. Leonard impresse quei nomi nella neve, tracciandoli con il dito; passò gli occhi su ogni lettera più volte, per aiutare il cervello a raccoglierle, poi con un gesto secco cancellò tutto.
    « Devi andare a sud, lungo la strada, e pregare che il fronte della tempesta non ti raggiunga troppo in fretta. Però mi dispiace, mai udito di cattedrali, qui nel nord, e di certo non vi sono distese d'acqua. Eppure marco queste terre con i miei calzari da almeno dodici cicli, e conosco bene la zona. »
    Sarebbe partito l'indomani presto, allo spuntare del sole – tentare di orientarsi al buio in terre tanto aspre e sconosciute sarebbe stato da sciocchi – sperando di trovare gli accampamenti che gli erano appena stati menzionati. Avrebbe forse portato con sé le pelli che ora erano tese contro il vento che, leggero ma instancabile, faceva tremare la fiamma a ogni respiro.
    « Dimmi una cosa... guarda là. Vedi, quel trittico di stelle che insieme sembrano formare una cuspide? Dimmi: le riconosci? Ricordi il loro nome? »
    Per rispondere alla domanda di Malakair, Leonard alzò gli occhi al cielo per poi subito bloccarsi, scosso da un brivido.

    Non erano molti gli alchimisti del mare di nebbia a interessarsi delle stelle – la volta celeste si lasciava ammirare tanto di rado da essere stata quasi del tutto dimenticata da molti. Un suo compagno e amico, Jacob (uno dei votati al bianco), ne era invece quasi ossessionato. Faceva lunghi viaggi, seguendo i percorsi che le Piume di Corvo si impegnavano quotidianamente a mantenere sicuri, per trovare punti di osservazione favorevoli. Alcune volte insisteva e finiva per trascinare con sé Leonard, con la scusa della necessità di protezione, e allora parlava per tutta la notte muovendo il dito tra i vari grumi bianchi sparsi nel cielo.

    Allo stesso modo, l'alchimista seguì il gesto dell'uomo al suo fianco, ma si trovò davanti a uno spettacolo nuovo.
    « Io... non capisco. »
    Cercò anche solo una stella a cui poter dare un nome, ma senza successo. Si accorse di essere in affanno. Ricordò che Jacob una volta gli aveva detto, "gli astri sono in perenne movimento e una parte di essi ci sono lontani, destinati ad apparire solo a popoli che forse non incontreremo mai."
    « Devo essere molto lontano da casa, perché non conosco questo cielo. »
     
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    « Io... non capisco. »
    Il Kharadron annuì, sedendo di fronte al piccolo fuoco mentre guardava l'umano negli occhi con aria assorta.
    « Devo essere molto lontano da casa, perché non conosco questo cielo. »

    « Lontano... Aye. Sei molto lontano, amico mio. Su questo non vi è dubbio. »
    Confermò lui, mentre con il cucchiaio da viaggio seguitava a mescolare il pentolino. Il maiale salato si stava ammorbidendo, ma la zuppa ci avrebbe messo molto per scaldare a sufficienza. Dannazione, cosa non avrebbe dato per un fuoco da campo come si deve? Ma in quell'angolo di mondo innevato e brullo, la legna era rara quanto l'oro. Mormorò qualche rimostranza rivolta agli antenati, mentre con la mano coperta dal pesante guanto di cuoio laminato si carezzava la lunga barba, indugiando sugli anelli intrecciati ad essa e riflettendo con calma.

    « Un tempo gli anziani raccontavano ai bambini che le stelle sono la luce della fucina eterna che arde nei mortali, che gli dei hanno preso dai corpi degli eroi e dei re del passato per fissarle nel cielo ad eterna memoria delle loro gesta. »
    Iniziò Malakair, mentre seguitava a far girare il cucchiaio nella zuppa.
    « Io ho scoperto che si tratta solo di una favola più di venti cicli fa, quando la nave di mio padre ha imboccato una tempesta senza ritorno. »
    Alzò lo sguardo in direzione delle montagne, cercando di indovinare dove si trovavano le miniere.
    « Il mio popolo ha vissuto in uno stato di guerra permanente per un centinaio di generazioni. Guerra contro gli elfi, guerra contro gli adoratori dei demoni, poi guerra contro i pelleverde e gli uomini-ratto. Alla fine anche le montagne non erano più un luogo sicuro, e siamo scappati nel cielo. Giacché sono stato capace di intendere e di capire, io non ho conosciuto altra verità se non che per sopravvivere devi combattere. Poi un giorno, mentre stavamo navigando nei cieli in tempesta, una nube troppo densa e scura ha investito la fregata di mio padre. Abbiamo cercato per tutto il giorno Barak-Norr, la nostra città nei cieli, con gli strumenti di bordo in avaria. Ma non siamo riusciti a trovarla in nessun modo. Quando è calata la notte abbiamo alzato gli occhi al cielo sperando che le stelle ci dessero consiglio sulla rotta da seguire, ma... »
    Malakair posò il cucchiaio ed allargò le braccia scuotendo il capo, ed indicò l'alto.

    « Questo cielo non poteva più indicarci la via di casa. Le stelle erano ignote. Quel giorno, credo di aver provato qualcosa di simile a ciò che ti attanaglia in questo momento... »
    Volle provare un po' di brodaglia, per essere certo che fosse giusta di sale. La trovò quasi fredda, ma in compenso il sapore era buono e la consistenza robusta. Un po' di pazienza ancora e sarebbe stata ottima.
    « Questo posto, i saggi ed il popolo lo chiamano Endlos e per quanto ne so, si è sempre chiamato così. E' il crocevia alla fine di tutti gli universi, un piccolo scoglio non più grande di un continente. Qui non è tanto raro che il maelstrom si porta dietro qualche relitto, e talvolta anche qualche anima viva. In un certo senso sei stato fortunato. Quale sia il nome del fenomeno che ti ha strappato al tuo mondo e gettato qui, di solito uccide. A me ed al mio clan ha donato una nuova vita, qui abbiamo incontrato popoli pacifici e ci siamo ricostruiti un posto da chiamare casa. »
    Indicò gli anelli legati alla folta barba, sorridendo con gli occhi sotto le sopracciglia ispide.
    « Adesso ho una moglie e dei figli. Sono nati qui. L'unica guerra che hanno incontrato è quella nei libri, e di questo sono grato agli dei... Malakair Seminamorte ormai è tale sono di nome. »

     
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    Ascoltò la spiegazione di Malakair senza fiatare, con lo sguardo perso tra le bolle della zuppa riscaldata che, rompendosi, lasciavano intravedere i pezzi di verdure e carne al suo interno. Sarebbe stato bello non credere a quei discorsi, perché le parole che uscivano dalla bocca del piccolo uomo facevano male. Era come vedere una squadra di fratelli tornare da una spedizione e accorgersi che qualcuno manca all'appello, o come dire addio a un gruppo di compagni in procinto di partire, in cerca di fortuna oltre il del mare di nebbia. Avrebbe voluto prenderli, uno a uno, tutti quei volti salutati o persi nel tempo e dirglielo, urlarglielo negli occhi che sì, c'era qualcosa al di là di quella sconfortante distesa bianca, ma che non era quello che si aspettavano. Avrebbe consigliato a tutti di ripensarci, stavolta portando nuove prove e motivazioni. Poi sarebbe tornato in braccio a quella tempesta e avrebbe forse persino accettato questo nuovo mondo, sapendo che la sua partenza era servita almeno a qualcosa.

    « Se credessi al destino », disse l'alchimista dopo un lungo silenzio, « avrei almeno qualcosa da maledire. »

    Una domanda ancora più angosciante gli salto in mente e lo fece quasi alzare in piedi: era stato l'unico a essere trascinato via? Se, come diceva Malakair, quel viaggio che involontariamente aveva compiuto era spesso fatale, quante vittime potevano esserci state? Immaginò la Cattedrale nel caos, attribuendo forse troppa importanza al vuoto da lui lasciato tra le fila delle Piume di Corvo – ma pensare lucidamente non era una sua priorità, al momento. Sarebbe arrivato anche a spararsi un colpo in testa, per scoprire se era possibile che si trovasse in un sogno da cui era possibile svegliarsi. Poi, un secondo dubbio si sostituì al primo: potrebbero esserci altri superstiti?, pensò, imbastendo all'improvviso una missione che davvero poteva sperare di portare a termine. Si avvicinò all'uomo intento a cucinare e, con gli occhi lucidi, chiese:

    « Hai detto che tu e il tuo clan siete stati portati qui! Vi siete svegliati tutti assieme oppure... come dire, eravate lontani? Puoi circoscrivere un'area? »

    Si accorse di essere stato irruento, così smise di gettare domande addosso a Malakair e ritornò a sedere al suo posto. Il miraggio di un obiettivo lo aveva riportato al presente ed entrambi i suoi occhi erano ansiosi di cercare tra le due facce del mondo, in cerca di corpi o spiriti noti.

    « Non posso essere il solo, non c'è motivo. Devo assolutamente scoprire se qualcun altro è finito qui assieme a me. »
     
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    « Se credessi al destino, avrei almeno qualcosa da maledire. »
    Malakair aveva appena saggiato la zuppa con la punta della lingua, giudicandola passabile, e stava giusto dividendo il pasto in due parti versandone una metà in una grossa brocca da viaggio, su cui ben presto iniziarono a galleggiare grassi pezzi di carne di maiale impregnati di zuppa, che offrì all'umano con un grugnito sprezzante di commento alle sue parole.

    « Voi umani. »
    Disse con una smorfia.
    « Non avete le mezze misure. La maggior parte dei lunghi che conosco hanno paura del destino o si abbandonano ad esso come se fosse qualcosa di inevitabile. Ed ora conosco te, che nemmeno ci credi. »
    Scosse il capo, ingollando una cucchiaiata di zuppa e masticando rumorosamente.

    « Hai detto che tu e il tuo clan siete stati portati qui! Vi siete svegliati tutti assieme oppure... come dire, eravate lontani? Puoi circoscrivere un'area? »
    Malakair grugnì di nuovo. La speranza può essere una brutta bestia, pensava, una spada a doppio taglio. Può dare forza ad un umano, come anche spezzargli la mente e condurlo alla depressione o alla pazzia. Provò pietà per quel viandante, sbattuto in uno scoglio dimenticato dagli dei solo e senza una meta. Almeno Malakair era giunto su Endlos in compagnia dei suoi parenti e con tutto l'equipaggio della poderosa ironclad su cui viaggiava, la separazione dal resto del clan e della comunità dello skyport era stata dolorosa, ma non era solo. Accettare quello scherzo degli dei era stato più semplice, e ricominciare daccapo perfino facile. Invece quell'uomo... lui era solo e sotto un cielo straniero.
    « Non posso essere il solo, non c'è motivo. Devo assolutamente scoprire se qualcun altro è finito qui assieme a me. »

    « Non lasciare che il cuore ti ottenebri la ragione. »
    Sentenziò lui, scegliendo attentamente le parole ed il tono di voce per non sembrare troppo rude, sebbene non fosse nella sua indole. Avrebbe pagato con tutto l'oro e l'argento che aveva con se per il viaggio per anche solo qualche minuto in compagnia di Dama Kalia. La voce della Dama Azzurra rincuora gli animi e dona fiducia anche dove c'è solo buio. Purtroppo si trovava in un buco sperduto nel nulla del presidio nord, l'Alfiere dell'Est era lontano intere leghe e l'umano aveva solo un nano Kharadron a cui affidarsi, e doveva farselo bastare.
    "Padre dei padri" pensò Malakair invocando una preghiera agli dei ancestrali, "per quale motivo mi hai voluto qui in questo momento? Stai forse mettendo alla prova la pietra di cui mi hai creato?"
    « Il maelstrom può assumere molte forme diverse. Nel nostro caso, era una gigantesca nube nera gravida di campi elettromagnetici, una porta per l'immateriale. Talvolta assume l'aspetto di un vortice, o di una cascata. In certi casi è solo nulla, un battito di ciglio in cui ti ritrovi trasportato qui, o altrove. Non so dirti quale sia stato il tuo caso, forse uno di questi o un altro ancora, ma di certo se sei giunto qui con qualcuno, allora dovresti saperlo. »
    Cercò nella sacca, in cerca della carta, della penna di corvo e del bossolo da viaggio contenente l'inchiostro. Quella era una piccola invenzione che i Kharadron avevano importato nel presidio est: il bossolo era un cilindro di ottono come quello dei proiettili, ma poco più grande, al suo interno era conservata una quantità di inchiostro sufficiente a scrivere un breve messaggio ed aveva una strozzatura come quella di una bottiglia che permetteva l'ingresso della punta della penna, ma limitava le perdite. Nel suo mondo d'origine lo usavano in battaglia, per scrivere rapidamente missive anche nelle trincee mentre fischiano le frecce e le quadrella di balestra, ma anche in viaggio era molto più comodo del comune calamaio.

    « In questo momento il tuo cammino è nascosto alla tua vista, dovresti concentrarti a ritrovarlo ed a guardare bene dove punti i piedi, non farti distrarre da speranze vane o dalla disperazione per quanto è successo. Come ti ho già detto, la mia stirpe ha trovato fortuna in questo semipiano ed il warp ci ha privato degli affetti ma al contempo ci ha liberato dalla guerra. Magari gli dei hanno in serbo un piano per te. Non puoi saperlo. Quello che sai, invece, è che domani notte sarai morto assiderato se la tempesta ti coglie all'aperto. »
    Indicò il riparo di fortuna ed iniziò a graffiare la pergamena con la punta della penna, la punta foderata di stagno che grattava ad ogni arco sapiente.
    « Se vuoi puoi venire con me e guadagnarti il pane lavorando alle miniere, ma non mi sembri un minatore e di certo non è il tipo di vita cui un umano può puntare come massima aspirazione. Alcuni uomini che lavorano per il mio clan si trovano là perché scontano pene minori, altri sono reietti e scarti della società. Se invece vuoi tentare di scoprire che cosa vogliono gli dei da te, allora puoi provare a dirigerti a sud-est, scappando dalla tempesta in arrivo nella direzione opposta al fronte in arrivo. Ti sto scrivendo una lettera di presentazione, così se lo vorrai potrai chiedere udienza a Rivenore dall'Alfiere dell'Est, il capo supremo della comunità più grande e civile di questo continente. E' saggia e di animo nobile, molto compassionevole nei confronti di chi ha perso tutto a causa del fato. Ti darà consiglio e, se lo vorrai, un posto da chiamare casa... Nulla ti vieta però di puntare a sud, se vuoi, ma te lo sconsiglio perché non troverai un focolare acceso per parecchie leghe. La capitale del nord è chiusa, agli stranieri è vietato passare. A sud-ovest invece finiresti con l'imbatterti nella tempesta, ma non è impossibile trovare un riparo. In quel caso ti troveresti nelle terre dove un tempo si estendevano le paludi dell'Undarm, ora più simili a delle foreste. Là ci sono molti insediamenti di umani scampati alla guerra... »

     
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    Quel piccolo uomo parlava bene. Leonard si sentì stupido, ed essendo una condizione che per tutta la vita aveva cercato accuratamente di evitare, rimase in silenzio ad ascoltare. Prese il cucchiaio, pescò un pezzo di carne imbevuta di brodo e cominciò a mangiare; sentì il liquido caldo scorrere fin dentro allo stomaco e subito brontolò, esigendone ancora. Notò che Malakair sembrava sforzarsi di mantenere un tono consolatorio – una premura che apprezzò molto, tanto più che sembrava essergli così impropria. In un futuro, gli sarebbe piaciuto poter osservare meglio tutti i marchingegni che portava con sé: se quello che gli aveva raccontato circa il mondo in cui ora si trovava era vero, allora potevano esistere possibilità fin'ora inattese di confrontarsi con gruppi di ottimi artigiani, combattenti, o addirittura alchimisti. Nell'immaginare cosa avrebbe potuto incontrare, nel prossimo e incerto futuro, la piuma di corvo si soffermò su un dettaglio del discorso del suo compagno improvvisato: "Voi umani", aveva detto. In che senso? Eppure, non avendo intenzione di dimostrarsi ancora più stupido, evitò accuratamente di chiedere chiarimenti.

    Pur continuando a dubitare che una qualche divinità avesse in mente un qualche oscuro piano per lui (mai stato così egocentrico in vita sua da pensare una cosa del genere), Leonard cominciava a riflettere sugli insegnamenti ricevuti nel corso dei primi, noiosi anni di scuola, dove si insegnano i rudimenti teorici dell'alchimia. Alla base della trasmutazione c'è il passaggio di stato della materia, ripeteva maestro Titus, con i suoi modi rigidi. Ogni cosa è in perenne mutamento: l'alchimista non fa che seguire il naturale scorrere delle cose, limitandosi a incrociare tra loro elementi affini intenti a percorrere il loro arco vitale. Perché lui, che pure era un composto di materie organiche, doveva credere di essere fuori da questo ciclo? Il Maelstrom aveva mutato lo stato della sua esistenza, ma questo non significava né che si trattasse ncessariamente di un passo indietro, né che il processo fosse irreversibile.

    Posò la ciotola, per poi tirare fuori dalla borsa dei componenti – che ancora teneva sotto il cappotto, al riparo dall'umidità – una boccettina contenente un po' di cenere fina, dalla tonalità particolarmente scuro. Appoggio a terra l'Atanor, il piccolo forno dal profilo esagonale, e ne aprì la camera inferiore, facendo scorrere un piccolo sportello su una delle facce: dentro, il calore era ancora sufficiente. Richiuse e sigillò con un piccolo gancio la camera di combustione, poi si mise un po' di neve nel palmo e la rovesciò nella camera superiore, aprendo il coperchio impreziosito da pochi arabeschi e molti graffi dovuti all'usura.

    « Accetterò la tua lettera, Malakair, solo se tu prenderai questo piccolo dono in cambio. »

    Disse, gettando una certa quantità (opportunamente misurata con un minuscolo cucchiaio) di cenere all'interno della camera per poi richiuderla. Dopo poco, del vapore scuro cominciò a uscire fuori a piccoli sbuffi, e aveva quell'odore fresco e delicato del muschio appena staccato dalla roccia. Dopo poco, rovesciò il contenuto in un piccolo contenitore di metallo, che posizionò in un luogo al riparo dal bagliore del falò, a contatto solo con la luce lunare.

    « Si tratta di un piccolo elisir in grado di velocizzare le normali capacità curative dell'organismo. Non è molto, ma può sempre tornare utile... se lo si beve entro quattro settimane », aggiunse Leonard.
    Osservando il liquido mutare di colore, diventando bianco come il latte, sorrise.

    « Prendilo, prima di ripartire, ma lascialo riposare ancora un po'. Sai, queste stelle non saranno né le mie, né le tue, ma l'energia che irradiano sulla terra è la stessa. Per quanto mi riguarda, seguirò il tuo consiglio e partirò verso est, all'alba di domani. »
     
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    « Accetterò la tua lettera, Malakair, solo se tu prenderai questo piccolo dono in cambio. »
    Il Kharadron ingoiò una generosa fetta di carne ammorbidita e masticò rumorosamente, mentre osservava interessato le manovre dell'alchimista, affascinato come un orefice in una fabbrica di orologi. Malakair era stato un guerriero per necessità, un mercante per vocazione ed ora un minatore per dovere verso il suo clan, ma era sempre stato attratto dalla difficile arte dell'alchimia, che nella sua stirpe era più sviluppata che mai. In un mondo più civile di quello da cui proveniva avrebbe volentieri studiato la chimica degli elementi di cui è composto il mondo invece di brandire le carabine ed i fucili Aetherici contro i grobi e gli uomini-ratto, anche se in cuor suo sapeva di essere troppo attratto dal brillare dell'oro per spendere la sua intera esistenza curvo sui libri e le provette. Nonostante ciò le manovre di quell'uomo lo affascinarono al punto da rimanere a bocca aperta quando l'intruglio cambiò colore, divenendo bianco come dolomite purissima.

    « Si tratta di un piccolo elisir in grado di velocizzare le normali capacità curative dell'organismo. Non è molto, ma può sempre tornare utile... se lo si beve entro quattro settimane. Prendilo, prima di ripartire, ma lascialo riposare ancora un po'. Sai, queste stelle non saranno né le mie, né le tue, ma l'energia che irradiano sulla terra è la stessa. Per quanto mi riguarda, seguirò il tuo consiglio e partirò verso est, all'alba di domani. »
    Il figlio del fabbro annuì di nuovo, commosso da quel dono inaspettato. Gli anziani avevano ragione quando dicevano che da un'opera di bene disinteressata non può che venire del buono. Malakair vide quel suo gesto come una sorta di investimento, ed il suo istinto gli diceva che ne avrebbe guadagnato dieci volte tanto grazie a quell'elisir. Il viandante era stato appena scagliato sul semipiano dal maelstrom e non poteva avere molti reagenti con se, quindi il nano aveva ragione a credere di avere fra le mani un pezzo più unico che raro, come non se ne sarebbero visti molti su Endlos.

    « Accetto volentieri questo dono. Lo conserverò con cura e ne farò buon uso. »
    Disse guardando ancora la sostanza bianca. "Chissà che non sia questo il motivo per cui il mio sentiero si è incrociato con quello di questo umano," rifletté lisciandosi la folta barba, "padre dei padri, sei stato tu a condurre qui i miei passi?" Sospirò incapace di capire. I piani degli antenati erano troppo complessi perché un mortale possa sperare di vedervi attraverso e comprenderli. Decise che avrebbe lasciato che il destino seguisse il suo corso, il suo istinto gli diceva che non ne sarebbe potuto venire nulla di male.
    « Adesso che abbiamo la pancia piena credo dovremmo riposare. Molte miglia attendono i miei passi, prima di arrivare alle montagne. Ed almeno altrettanta fatica ti aspetta, giacché le valli del Chediya sono molto lontane da qui e tu devi fuggire al fronte della tempesta. »
    Prese la mantella e ne fece un fagotto, che poggiò sotto la testa a mo' di cuscino. I nani non soffrono il freddo come gli umani, e Malakair sentiva la stanchezza che gli bussava alle tempie. Anche se il piccolo falò alchemico non scaldava granché, avrebbe dormito come un re.
    « Ti avverto, qualora non lo sai. La mia razza non è famosa per essere delle più quiete durante il sonno. Ho sentito umani asserire che il russare di un nano può svegliare un drago e personalmente non mi sento di smentire troppo questa maldicenza... »

     
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