Those who Dare shall be Rewarded

Epilogo ~ Firion

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    Viaggiatore dei Mondi

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    Firion

    Per la maggior parte delle creature, la morte rappresenta uno dei più grandi misteri dell'esistenza: un concetto informe e multiforme, un male da temere, demonizzare, scongiurare, o... attendere.

    I più romantici se la figurano come un incappucciato mietitore armato di falce, o come un teschio scarnificato che tutto raggela col tocco delle sue mani scheletriche, ma c'è chi la scorge nella sua apparenza più orrendamente banale: occhi chiusi che mai più si riapriranno, un respiro interrotto su di un petto immobile, pelle bianca e fredda come il marmo dei mausolei, e lacrime amare che rigano i volti disperati di chi resta indietro, a contemplare il vuoto dell'assenza che essa lascia al suo passaggio.

    E per lui? Per un uomo che aveva passato la vita proteggendo i deboli e combattendo per i più alti ideali della giustizia, quale impresa l'aveva condotto ad errare in quell'ultimo lungo viaggio nella terra delle ombre? Non si era mai soffermato a riflettere sulla propria morte -non prima di quel momento fatidico, almeno-, e quando quella soglia si era improvvisamente parata difronte a lui, l'Aviatore si era aspettato di trovare l'oscurità...

    ...ma, paradossalmente, era stata la luce ad avvolgerlo.
    Il bagliore accecante di un'esplosione.
    Perché la Luce era sempre stata la guida dei suoi passi.
    Incarnata nella donna angelo, ingabbiata sopra al suo capo.
    E la Luce era tutto ciò che la sua coscienza ricordava, anche mentre fluttuava dispersa nell'infinito.

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    E da quella Luce, che lo circondava calda e confortevole come l'abbraccio di un genitore, una voce senza suono lo raggiunse, vibrando con una forza tale da mandare in risonanza ogni fibra di quanto restava della sua essenza... ma in essa non c'era minaccia di dolore o paura -sentimenti di cui ormai rimaneva solo un'eco distante e senza valore-, bensì un'assoluta solennità.

    La luce della tua giustizia ha squarciato le tenebre della mia prigione:
    non permetterò che la morte ne estingua l'ardore o ne smussi la lama.


    In quel momento, una nuova consapevolezza si ridestò nell'esistenza sospesa del Maestro d'Armi, conferendo all'entità che gli aveva parlato -e che riusciva a percepire unicamente come un onnipresente fulgore che tutto permeava- una sensazione di calore intenso... e da quel tepore che nel cuore gli era germogliato, l'Eroe riconobbe il suo contrario, ricordando con un piccolo brivido la fresca carezza di un soffio di vento sul viso.

    Sii vigile nell'oscurità, e contro i suoi servitori ti darò forza,
    finché quelle ombre maligne non esploderanno in fiamme fino all'ultima...


    E come mille altre volte gli era capitato nello scorrere degli anni della sua giovane vita, Firion riaprì gli occhi come destandosi da un lungo sonno... ma quella fu probabilmente la prima volta che gli capitò di risvegliarsi già in piedi: di nuovo integro, di nuovo incolume, di nuovo vivo...

    Qualunque cosa lo avesse guidato fin lì e gli avesse rivolto quelle parole di ringraziamento se ne era andata, lasciandolo da solo sotto le prime luci dell'alba, in mezzo alla piazza di una Kisnoth deserta e silenziosa.


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    La luce dorata filtrava dolcemente soffusa attraverso le foglie del colossale albero che si stagliava contro il cielo limpido e sereno di un altro tranquillo giorno del Presidio Errante, permeando il Latifondo di un'atmosfera ovattata che sembrava perfetta per trascorrere la mattinata in serenità, tra i campi; certo, l'intenzione era stata quella di allenarsi un po' con la spada, visto che da qualche tempo aveva la sensazione di essersi pesantemente arrugginito, ma... sarebbe stato un crimine rifiutare quel muto invito della natura, così si era sdraiato all'ombra delle alte chiome per concedersi un pisolino.

    Non seppe dire quanto fosse passato -giacché il tempo sembrava avvolgersi su sé stesso e perdere ogni significato-, né cosa fosse occorso a spezzare la quiete di quel luogo, ma d'un tratto spalancò gli occhi cerulei e scattò a sedere, scoprendosi in allerta.

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    Intorno a lui, una forte brezza aveva iniziato a spirare per la prateria fiorita -scompigliandogli i corti capelli dorati-, e per quanto il sole sembrasse brillare con maggior intensità, la temperatura gli parve essersi abbassata; ma -forse- fu qualcosa dentro di lui a raggelarsi, quando lo sguardo azzurro incontrò la figura che si ergeva una dozzina di metri più in là, nella canicola: vestiva di un'armatura leggera, aveva il fisico asciutto e tonico del guerriero, pelle abbronzata dai lineamenti sottili, occhi blu zaffiro, capelli grigi nonostante la giovane età, e lo conosceva...

    Eppure, guardandolo, qualcosa non gli tornava:
    come se la sua mente trovasse qualcosa di sbagliato in quell'apparizione.
    Ma che cos'era...?

    « Ehi, Firion! Sei venuto ad allenarti anche tu? »

    Il biondo si rimise in piedi con uno scatto fluido, e il compagno Aviatore tese la destra verso di lui, in un chiaro invito a raggiungerlo; con un vago senso di disagio inspiegabile, l'altro mosse un incerto primo passo per andargli incontro, e fu quello il momento in cui una stretta salda si chiuse gentilmente attorno alla sua mano, impedendogli di proseguire.

    « Non andare... »

    Aspettando di ritrovarsi davanti la donna bionda a cui sapeva appartenere quella voce, il ragazzo si volse a fronteggiare la forza che l'aveva trattenuto con aria interrogativa, ma tutto ciò che vide fu un turbine di petali bianchi, che lo costrinse a rinserrare le palpebre per non finire accecato dalla raffica di vento; un istante più tardi, quando tornò ad aprire gli occhi, Ryusang era l'unica presenza viva rimasta nella radura.

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    Il viso imberbe del giovane dormiente tornò finalmente a rilassarsi nella pacifica maschera d'inerzia del riposo, abbandonando il cipiglio angosciato che ne aveva poc'anzi minacciato la serenità e placando le ansie della fanciulla, capitata lì senza capire come o perché la voce della donna nella sua testa l'avesse condotta fino a lì con tanta urgenza.

    Nello scrutare i lineamenti ora distesi del ragazzo biondo, sconosciuti eppure -in qualche modo- assurdamente familiari, l'intrusa serrò le labbra pallide in una linea sottile, trattenendo in fiato, in apprensione al pensiero che il giovanotto stesse male di nuovo... ma poiché nello scorrere lento dei minuti nulla soggiunse a turbare la quiete, la ragazzina dai lunghi capelli d'argento sciolse con delicatezza l'intreccio delle dita in cui aveva racchiuso la mano dell'addormentato.

    Tuttavia, l'opprimente senso di apprensione che l'aveva seguita dal sonno alla veglia non si dissolse, e mentre le iridi rosso rubino vagavano con preoccupazione e smarrimento attraverso la finestra e per il cielo notturno ormai prossimo all'alba, il pensiero corse alle persone più care che aveva, come un bambino spaventato in cerca di conforto.

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    « . . . »

    Sperò che Augustus e Khatep stessero bene.
    Voleva rivederli presto...

     
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