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Epilogo ~ Il Messaggero

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    { Città di Kisnoth, Piazza Centrale }
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    Esitanti quasi fossero timorosi di arrecarle disturbo, i dolci raggi di un sole ancora flebile filtrarono tra le foglie di uno degli alti alberi del giardino, scomponendosi in un prisma che versava gocce di luce sui lunghi capelli castani adagiati tra fiori colorati, accrescendo il misticismo dell'aureola che già cospargeva quella figura dormiente, e facendo occhieggiare ad intermittenza l'orologio d'oro che ella stringeva in una mano; come una bambola dimenticata lì da qualche bambino distratto, l'Angelo dormiva placidamente sulla fresca erba verde di un'aiuola della Cattedrale.

    A differenza delle altre stelle che avevano lasciato il Tendone, nessuna scia argentea l'aveva scagliata in quel punto, nessuna ferita segnava il suo corpo, e nessun incubo turbava il suo pesante sonno... perché, nonostante l'addio che si era lasciata alle spalle fosse stato doloroso e triste, un po' di riposo era davvero l'unica cosa di cui quella creatura sentisse il bisogno, per quanto fosse una pace in verità dettata più dall'infinita stanchezza che non dalla serenità.

    jpgIncurante di questo, però, il cagnolino di piccola taglia che l'aveva rinvenuta -una pallotta di pelo, con al collo un vistoso foulard rosa a pallini bianchi- le si agitava intorno senza riuscire a trovar pace, cercando in vano di risvegliarla.

    Le aveva leccato il naso e buona parte della faccia senza che neppure un tremito di reazione scuotesse le lunghe ciglia nerissime, allora aveva cercato di far breccia nella sua incoscienza con qualche “bau-bau” impostato con la giusta drammaticità, ma niente aveva fatto breccia negli abissi del sonno della Dama dormiente, così l'ultimo tentativo era stato scuoterla con qualche ben poco energica pressione delle zampe anteriori unite contro una spalla, ma l'unico risultato dell'animaletto dal pelo bianco era stato ritrovarsi col fiatone.

    Dal momento che non avrebbe avuto la forza bruta di trascinarla via da lì sarebbe risultato un vil lavoro di fatica, la conclusione più ovvia a cui il botolo parve giungere fu che aveva bisogno di qualcuno in grado di svolgere l'ingrato compito al posto suo; così si rimise in piedi sulle quattro corte zampette e trotterellò via, in cerca di aiuto.

    png

    Nei momenti che avevano preceduto la caduta della Barriera e l'arrivo dei Rinforzi, ciò che più di ogni altra gli aveva scavato un solco nell'anima era stato il silenzio di quelle vie: nell'arco della lunga e terribile Notte di guerriglia non ci aveva fatto molto caso, lì per lì troppo preso dal combattere e dal coordinare le sacche di Resistenza contro gli invasori che avevano occupato la Capitale del Pentauron, ma quando i nemici si erano ritirati, e solo i propri pensieri erano rimasti a far loro compagnia sulla linea del fronte, allora l'aveva notato eccome...

    Poteva dire di conoscere la città piuttosto bene, dal momento che i nobili natali gli avevano spesso imposto di accompagnare il padre nei viaggi d'affari, e che il servizio nella Guardia Indaco gli aveva richiesto più di una volta di scortare il suo Alfiere fino allo Stato delle Cento Torri, ma... quella era la prima volta che Kisnoth gli appariva così desolata.

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    « . . . »

    Aveva visto orrore e morte, certo, ma per un veterano i campi di battaglia finiscono per somigliarsi un po' tutti... ma ora che la popolazione era stata rapita e deportata chissà dove, della Grande Dama che conosceva -nei suoi ricordi un centro urbano palpitare di musica e colori- rimaneva solamente l'immagine di un guscio svuotato di ogni vita. Proprio come era successo ad Ovest.

    Il silenzio di quelle sue strade, come un fantasma inquieto, avrebbe sempre avuto un posto nei pensieri con cui avrebbe riempito le proprie lunghe notti insonni... ma ora che l'alba stava finalmente sorgendo su un nuovo giorno -un giorno che era sopravvissuto per riuscire a vedere-, il Cavaliere lasciò che l'eco dei passi dei rinforzi e delle voci dei soccorritori facesse breccia nei suoi sensi, ancora raggelati e affilati dalla situazione di pericolo.

    Forse, fu proprio quel suo attuale disagio nei confronti del silenzio a spingerlo a rivolgere la parola al suo collega Laputense, fermo accanto a lui in mezzo alle macerie di una casa della Piazza Centrale, rimasta danneggiata nel corso degli scontri...

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    « É finita... A quanto pare, ce l'abbiamo fatta. »

    ...non aveva avuto molte occasioni di legare con lui, ma si era rivelato un elemento prezioso nel corso della loro azione: dopotutto, era stato proprio il giovane Capitano del Presidio Errante a piazzare le cariche esplosive che avevano fatto crollare la ruota panoramica e dato il via alla riscossa. E, purtroppo, era stato anche l'unico membro di quel gruppo d'avanguardia a ritornare.

     
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    "La vita è come un arazzo: noi siamo l’ordito, gli angeli la trama, Dio il tessitore.
    Solo il Tessitore è in grado di vedere tutto il disegno".


    (Eileen Elias Freeman)


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    Piazza Centrale, Città di Kisnoth
    Presidio Centrale, Endlos.

    « É finita... A quanto pare, ce l'abbiamo fatta. »

    Affiancandosi al nobile cavaliere orientale, un soldato dall'aria molto giovane annuì in silenzio. La chioma bianca e scompigliata rifletteva in parte la luce di un sole nascente e gli occhi rossi che correvano sulle strade desolate non nascondevano affatto il suo profondo turbamento.
    Nonostante il nemico fosse di fatto scomparso, quella mattina non si sentiva affatto un vincitore: portando lentamente la mano all'altezza del proprio cuore, Gilbert Beilschmidt -Capitano di Centuria del Presidio Errante- si assicurò di avere ancora ben conservata una maschera. Apparteneva a Khalid, un Legionario del Sud: quella notte aveva dato al Mietitore la propria vita per la sua in cambio di una semplice promessa.
    Ne era uscito col cuore a pezzi.

    -Non credo lo sia davvero...- questionò con voce titubante -..."finita", intendo.

    Nonostante il sollievo della fine della lotta, dentro di sé il giovane Gilbert covava ancora il terrore che quegli orrori potessero in qualche modo ripetersi.
    Perché erano deboli -lo aveva capito chiaramente quella stessa Notte- e perché non aveva visto nessun alleato trionfare per davvero sul cadavere del Nemico. A dirla tutta... nemmeno avevano capito chi fosse realmente il nemico, o cosa diavolo volesse da loro. Chi li assicurava che non sarebbe ricapitato la notte seguente? O quella dopo ancora?

    -Spero che le nostre Signore abbiano un piano... perché ho ancora paura e non so come affrontarli.

    Si sorprese delle proprie parole, lui che -spavaldo ed arrogante- guardava alla battaglia con un sorriso ed occhi carichi di aspettative. Quel giorno non si sentiva nulla di tutto quello che era sempre stato: svuotato di ogni fiducia, desiderò solo di riavere il proprio letto e dormire. Magari per sempre, così che il senso di colpa e la paura non gli si affiancassero lungo il cammino che da allora avrebbe percorso. Oppure abbastanza per riordinare le idee e i ricordi di quell'incubo fra i viventi.

    -A tal proposito... dobbiamo trovarle!

     
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    « É finita... A quanto pare, ce l'abbiamo fatta. »
    -Non credo lo sia davvero..."finita", intendo. Spero che le nostre Signore abbiano un piano...
    perché ho ancora paura e non so come affrontarli.


    Del tutto incurante del dialogo che si svolgeva ad appena qualche metro da lui, avanzò per i ruderi senza fare alcuna fatica o rumore, lasciandosi guidare dalle proprie percezioni lungo le vie di quella città sconosciuta: la chiamata era provenuta da lì, e -sebbene flebile- poteva ancora sentire gravitare nella zona la presenza di colui che l'aveva lanciata, perciò si sarebbe presentato tempestivamente sul posto per celebrare l'atteso ritorno del Signifer -come era un suo preciso dovere-, e...

    -A tal proposito... dobbiamo trovarle!

    ...ed essendo più concentrato a captare nell'aria l'eco di qualche suono fantasma che non ad evitare l'intralcio delle macerie sul suo cammino, il nuovo arrivato finì per calciare un sasso, che schizzò dritto dritto contro una tanto vicina quanto instabile pila di detriti, e fu per questo che -in un tragicomico effetto domino- un grosso pietrone si smosse e rotolò su un lato, privando del suo precario sostegno un muro fatiscente, che si schiantò al suolo con un boato. E sollevando un gran polverone.

    jpg
    « Chi è là?! Fatti vedere! »

    Quasi le parole del giovane Capitano Laputense fossero state sconvenientemente profetiche, con un muro che crollava ad una manciata di metri da loro e i nervi ancora tesi dalla nottata di guerriglia che avevano affrontato, i due Endlossiani reagirono all'istante: con i sensi in all'erta e le mani serrate attorno all'elsa delle loro armi -già in parte sguainate e pronte all'uso-, si voltarono a cercare tracce dell'artefice di quel fenomeno, e... seguendo le sue percezioni, il Cavaliere del Lago lo trovò senza problemi.

    Non appena la nuvola di intonaco cominciò ad abbassarsi, in piedi in mezzo ai ruderi fu possibile distinguere la sagoma di un uomo dai lunghi capelli biondi... e poiché la sua postura rigida non trasmetteva minaccia ma solo un certo confuso smarrimento -accentuato dal modo in cui prese a guardarsi intorno, quasi non sapesse bene cosa fare in quella situazione-, Lancelot fu più propenso ad immaginare che si trattasse di qualche civile, come loro sopravvissuto all'orrore, che non piuttosto un nuovo nemico.

    Così, rinfoderando la spada, il Cigno dell'Est decise di fare un nuovo tentativo pacifico di stabilire un contatto con lo sconosciuto: senza muoversi, così da non innescare eventuali sospetti di aggressione, l'albino si impegnò ad ammorbidire la voce -per quel che l'abitudine e le sue limitate abilità sociali gli consentivano- e gli rivolse nuovamente la parola.

    « Non abbiate timore, non siamo nemici. »
    allargando le braccia e tenendo le mani basse, si mostrò disarmato
    « Siamo servitori dell'Est e di Laputa: siamo qui per aiutarvi. »
    dichiarò ancora, indicando prima sé stesso e poi Gilbert, al suo fianco
    « E voi chi siete...? »

    Un'ulteriore occhiata ai paraggi confermò al biondo dall'aria smarrita che i due umani si stavano rivolgendo proprio a lui, così tenendo le braccia in tensione lungo i fianchi -e dondolandole appena appena, nervosamente-, quello rispose alla domanda con fare un po' esitante.

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    « Io... sono un Messaggero del Signore... »

    I due Endlossiani si guardarono l'un l'altro, scambiandosi un'occhiata interrogativa.

     
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    « Io... sono un Messaggero del Signore... »

    L'esclamazione di quello che dava tutta l'idea di un civile smarrito lasciò i due guerrieri muti e perplessi.
    Almeno per Gilbert -laputense di nascita- l'esclamazione non sortì alcun effetto, se non quello di una frase buttata lì, del tutto sconnessa agli eventi. Su Endlos esistevano molti Signori, dopotutto: da quelli feudali ad Occidente, alle casate nobiliari dell'Est fino ai Pasha del Sud. A quale egli si riferisse restava un mistero, e se la carnagione pallida, i lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri gli suggerivano non venisse dal Meridione, restavano ben tre presidi come incognite.
    Vagando fra le sue conoscenze personali in cerca di risposte, la sua mente non si soffermò nemmeno su qualcosa di lontanamente religioso: premesso che non venerasse altri dei se non i Protettori di Laputa, Gilbert non era nemmeno al corrente delle grandi religioni monoteiste. Sapeva che la sacerdotessa dell'Alfiere ne praticasse una, ma non aveva mai ascoltato cosa avesse da dire - o cosa spiegava ai propri pazienti, in attesa della loro guarigione.

    -Ah! Oook...ehm... amico.
    Quelle poche parole ed il silenzio imbarazzante che ne seguì furono l'ovvia reazione alla scena surreale e -per gli endlossiani- inspiegabile.
    -Scusa ma ... quale Signore?

    Alla domanda dell'umano più giovane, fu il turno del nuovo arrivato di rimbalzare lo sguardo dall'uno all'altro astante con aria interdetta: naturalmente, non era la reazione che si era aspettato, così rimase a fissarli in silenzio per nuovo un lungo istante, smarrito.
    « Il.... il Signore. L'unico vero Signore. »
    Non avendo compreso molto di più, Lancelot cercò di rivolgergli qualche domanda mirata.
    « Sapete dirci il nome di questo Signore? »
    A quella richiesta, il biondo sobbalzò un poco, sbarrò gli occhi sorpreso, e sbatté le palpebre un paio di volte, prima di assumere un'espressione da studente impreparato.
    « ...ho scordato di chiederlo. »

    A quel punto, la faccenda diventò assai spinosa, con Lancelot che probabilmente si domandava come fosse possibile non conoscere il nome del proprio Signore e Gilbert che a stento tratteneva le risate, cercando di mantenere un'aria composta e solenne quanto quella del collega. Alla fine -però- cedette alla tentazione, avvicinandoglisi appena e sussurrandogli il proprio pensiero.
    -Secondo me è scemo.
    A riprova di ciò, prese a girare il dito attorno alla propria tempia, mimando quello che universalmente poteva esser visto come chiaro riferimento a problemi mentali di vario tipo.

     
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    Davanti all'assurda affermazione del misterioso interlocutore, gli Endlossiani indugiarono in un silenzio altrettanto imbarazzato, per quanto l'intima reazione alla stravagante rivelazione fu ben differente: se Lancelot oscillava tra una paziente tolleranza -data dal dubbio che il sedicente Messaggero stesse riferendosi nientemeno che a Lord Aeon- e l'incredulità che un servitore non conoscesse neppure il nome della persona a cui aveva votato la sua lealtà, Gilbert faticava a trattenere l'ilarità davanti a quella surreale situazione.

    ...così, in cerca della catarsi che sempre accompagna il bisogno impellente di condividere un pensiero con qualcuno, il Laputense si avvicinò al collega, iniziando un breve scambio di sussurri.

    -Secondo me è scemo.
    « ...magari è solamente sotto shock. »

    jpgMentre i due umani confabulavano tra loro cose che lui poteva udire ma non comprendere, l'uomo biondo spostò nervosamente il peso del corpo da un piede all'altro, si guardò attorno come potesse scorgere tra le macerie una qualche soluzione al problema, e parve così giungere alla più ovvia conclusione.

    « Vado un attimo a chiedere... »

    ...ma quella decisione fu mormorata tra sé e sé a mezza bocca, senza realmente rendere partecipi i due Cavalieri, che semplicemente scoprirono la sparizione dello sconosciuto quando si voltarono per controllare le sue condizioni e rivolgergli qualche altra domanda.

    « Ma dove...? »
    -...e questo cosa è ora?

    Interdetto dal tono quasi esasperato che guidava quelle parole, il Cigno dell'Est rivolse un'occhiata interrogativa al collega, ma comprese a cosa Capitano del Presidio Errante si stesse riferendo solo quando seguì la traiettoria dei suoi occhi rossi e torvi, abbassando lo sguardo verde acqua verso il suolo ed accorgendosi così dell'esistenza di un nuovo piccolo imprevisto occorso sulla scena.

    Fermo davanti a loro (all'altezza delle loro caviglie) stava un cagnolino bianco di piccola taglia, con un buffo foulard rosa a pallini bianchi allacciato al collo, e un lembo della gamba dei pantaloni di Gilbert schifiltosamente stretto tra le piccole fauci... e a riprova che non doveva trovare l'attività molto piacevole, smise di strattonare e mollò immediatamente la presa non appena ebbe conquistato l'attenzione di quei due bipedi dall'aria poco sveglia; a quel punto, il botolo si mise seduto e rimase a fissarli in attesa.

    « Credo sia un cane. Un cane domestico. »

    Una sottigliezza forse ininfluente, ma poteva contare qualcosa, dato quanto appariva a prima vista pesante il fondo-schiena del botolo, specie a confronto con i cani da caccia a cui Lancelot era invece abituato fin da bambino: quello che avevano davanti doveva essere un animale da salotto, poco abituato al movimento, e a giudicare dalla condizione del pelo candido e ben curato appariva dunque evidente che doveva essere abituato alle più vezzose premure. Questo forniva qualche indizio sulla sua presenza lì... e su cosa potesse volere da loro.

    jpg« Forse si è perso e sta cercando il suo padrone...»

    Con un suono a metà tra uno sbuffo e uno starnuto -quasi avesse inteso le sue parole-, l'animaletto scosse il capo con disappunto, dette un altro strattone al pantalone di Gilbert e trotterellò via... ma non fece più di un paio di metri, prima di fermarsi e guardarsi indietro, come per controllare che i giovanotti avessero colto il suo muto invito a seguirlo...

    ...un atteggiamento che al Laputense ricordò un episodio analogo occorso durante le terribili giornate della Guerra Civile della sua Isola, dopo i combattimenti, durante la raccolta dei feriti per le strade.

    -Oh, al diavolo, forse il padrone è bloccato sotto qualche maceria.

    E mentre il cagnetto abbaiava in segno di assenso e si lanciava per le vie di Kisnoth, seguito da Gilbert, Lancelot lanciò un ultimo sguardo al punto dove il Messaggero era svanito prima di accodarsi al compagno d'armi... e se lo sorprese riconoscere il quartiere e la destinazione a cui il botolo li condusse -la Cattedrale vicina al Mausoleo dei Disith-, il Cavaliere del Lago rimase senza parole quando i suoi occhi poterono scorgere la donna che dormiva adagiata in una delle aiuole votive.

    Il piccolo cane bianco li aveva condotti a Drusilia Galanodel.

     
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    Piazza Centrale, Città di Kisnoth
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    Se già quell'orribile Notte si era rivelata un vero teatro dell'assurdo, perfino l'Alba riservò loro una lunga serie di stranezze. Prima il biondo al seguito di un Signore di cui non ricordava il nome, poi un cane da salotto miracolosamente illeso nel bel mezzo di una città svuotata dei suoi abitanti per mano di mostri e bestie abissali.
    Inutile domandarsi a quel punto la ragione per cui Gilbert decise consapevolmente di non porsi più domande.

    Con una rinnovata leggerezza nel cuore, si limitò a seguire il botolo peloso fino alla Cattedrale nei pressi del Mausoleo dei Disith, e se all'inizio supponeva d'incrociare un qualche custode nascosto chissà dove al punto da essersi incastrato, finì per ricredersi quando gli occhi cremisi si posarono su delle aiuole votive.
    Scorrendo lo sguardo prima su lunghi capelli d'ebano e poi su di un viso di donna immacolato, Gilbert riconobbe la sua regina ed allora sentì chiaramente il cuore fermarsi di qualche battito. Procedendo lentamente in sua direzione e trattenendo il respiro, avvicinò una mano tremante al collo da cigno, cercò di percepire dei battiti.
    Gilbert Beilschmidt non era mai stato un grande credente, eppure in quel momento si trovò a pregare qualunque divinità lì presente o che fosse in grado di sentirlo, nella disperata speranza di non veder verificarsi l'evento chiave di tutte le sue paure. Era giunto in quei luoghi da Laputa affrontando l'inferno solo per salvarla: se l'Alfiere Errante fosse morta, ogni cosa avvenuta lì dentro, ogni battaglia, ogni ferita, ogni morte sciagurata di compagni ed alleati sarebbe stata per lui assolutamente inutile.

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    -E'... viva.
    Le parole fuoriuscirono timidamente dalle labbra secche ed incredule quando i battiti del cuore della bella bussarono sulle dita del soldato, regalandogli finalmente qualcosa che gli suonò come una vittoria e permettendogli di riprendere finalmente fiato.
    -L'Alfiere Errante è vivo!

    Si sentì quasi svenire, improvvisamente rilassato da quella scoperta. Tuttavia erano molte le cose di cui occuparsi e la donna ancora non si svegliava -segno che fosse ancora in pericolo, nel migliore dei casi soltanto priva di difese e bisognosa di una scorta-, dunque la raccolse fra le braccia, sollevandosi in piedi e cercando di tenerla in una posizione che le fosse abbastanza comoda. Poi si rivolse al Cavaliere del Lago.
    -Dobbiamo portarla lontano da questo campo di battaglia, al sicuro da tutto- disse in tono concitato, in parte ansioso e spaventato -Ha bisogno di aiuto, è viva ma non si sveglia! Ha bisogno di un guaritore!

     
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    Seguendolo dappresso di qualche passo, il Cavaliere del Lago lasciò che il Capitano del Presidio Errante si spingesse in avanti verso la donna addormentata, ben conscio di non poter far nulla per impedire che il suo giovane cuore si lacerasse sotto la forza uguale e contraria con cui la speranza e la paura, che in quegli istanti tenevano in bilico la sua anima su un abisso di incertezza... come contrappesi di un funambolo, tra la rinascita e la rottura.
    Perché non c'era davvero nulla che potesse fare. Nulla se non pregare la buona sorte.

    -E'... viva. L'Alfiere Errante è vivo!

    Non appena ebbe misurato pulsazioni della Dama del Vento, il sollievo che sciolse i lineamenti del giovane soldato fu un segnale ben più eloquente di qualsiasi parola, e pur concedendo al proprio viso granitico di abbozzare un mezzo sorriso benevolo, Lancelot continuò a tenersi in disparte, senza osare intromettersi in un momento di gioia che apparteneva principalmente a Gilbert – ma tenendosi a portata, nel caso ci fosse stato bisogno di un suo intervento...

    Sì, nel caso l'albino più giovane fosse svenuto per l'emozione, come sembrava sul punto di fare.

    -Dobbiamo portarla lontano da questo campo di battaglia, al sicuro da tutto-
    rianimandosi per la preoccupazione, il Laputense sollevò il suo Alfiere tra le braccia
    -Ha bisogno di aiuto, è viva ma non si sveglia! Ha bisogno di un guaritore!

    Muovendo un passo per fronteggiare il giovane collega in allarme, il Cigno dell'Est gli pose una mano sulla spalla,
    incatenando le iridi verde mare a quelle rosso rubino dell'altro per un lungo momento.

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    « Il campo-base dei soccorsi non è lontano da qui.
    Ci sono molti guaritori e chierici: vedrai che sapranno aiutarla di certo. »

    lo rassicurò, infondendogli tutta la calma fermezza che era in grado di trasmettere
    « Non abbiamo attraversato dolore e morte per perdere la nostra luce. »

    Così dicendo, senza perdere altro tempo, il Cavaliere del Lago ritrasse la mano dalla spalla dell'amico per voltargli le spalle e fargli strada lungo le scorciatoie che conosceva della Capitale; dopo uno sbuffo di disappunto per essere stato lasciato a piedi, il cagnolino bianco li seguì trotterellando.

     
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6 replies since 3/3/2019, 21:17   190 views
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