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Epilogo ~ Mugen

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    Che strano sogno che stava facendo.
    Tutto era cominciato per salvare una donzella in pericolo dalle grinfie di un mostro serpente. C’erano di mezzo un invito per un evento grottesco, un tendone e una città tenuta prigioniera. Non ricordava bene i dettagli della trama, ma c’erano di mezzo tante battaglie, tanti scontri, tanti personaggi e tanti nemici così spaventosi e potenti da immaginarli solo nel regno dei sogni e dei racconti dell’orrore. Solitamente, in queste storie, l’Eroe riusciva sempre a spuntarla e a cavarsela, salvando tutto e tutti. Ma in quel sogno c’erano davvero così tanti morti che quasi quasi era meglio definirlo un incubo. Per di più in quella storia, fortunatamente, lui non era che una comparsa! Era lì per dare man forte al suo amico, lo Scorpione. Era infatti il guerriero dall’impassibile sguardo perlaceo quello in missione per salvare la sua amata. Lui, la Volpe dalla pelliccia rossa, era solo la sua spalla e da quando si era separato dall’amico gli eventi erano precipitati senza sosta.

    Man mano che i ricordi degli eventi successivi prendevano forma, quell’eco sognante, tratteggiato e confuso, divenne sempre più concreto e reale. Il ricordo di ogni battaglia, dal riflesso che era, divenne sempre più vivido e doloroso da rammentare. E quel dolore, così astratto all’inizio, divenne sempre più vero e straziante man mano che la sua sua mente cominciava a riprendere coscienza del suo corpo terreno. Così, su una branda tra i feriti, Mugen Fudo riaprì per poco gli occhi, prima di sprofondare nuovamente nel suo sonno tormentato. Nei suoi momenti di veglia gli dissero che la battaglia si era conclusa, che la barriera era stata infranta e che i soccorsi stavano recuperando i feriti, come lui, e si stavano prendendo cura di loro. Era stato fortunato, gli dicevano. Era ancora tutto intero e lo avevano trovato in tempo. Così, sotto la supervisione attenta dei guaritori dell’Est, non gli ci volle più che un paio di giorni per rimettersi in sesto e poter abbandonare il giaciglio su cui lo avevano sistemato.

    Finalmente lucido -e in forze- il Demone Volpe non aveva comunque tempo da perdere. La Notte poteva anche dirsi conclusa, ma le sua guerra doveva ancora cominciare. L’incontro sfortunato con l’uomo farfalla lo aveva infatti informato di quale terribile minaccia stesse per abbattersi contro il Presidio Ovest. Doveva immediatamente mettersi in marcia ed avvertire le Nobili Famiglie dell’imminente invasione dell’Imperatrice Palden Wang-Mu. In ogni caso, prima di ogni cosa, doveva ritrovare Amon.

    Sembrava passata un’eternità da quando erano stati separati nella Casa degli Specchi, ma Mugen non poteva in nessun modo accettare la scomparsa dell’amico. L’assenza dello Scorpione sul palco, dove molti degli Endlossiani sopravvissuti erano finiti, non doveva preoccuparlo troppo. Tuttavia, non averlo ritrovato tra gli altri feriti, a distanza di giorni, avrebbe dovuto metterlo in guardia e prepararlo al peggio.

    Eppure non poteva darsi pace in nessun modo. E così continuava ad aggirarsi freneticamente tra le strade della città in rovina. Le sue narici scandagliavano l’aria con avidità, cercando la più minuscola traccia dell’amico. Il passare delle ore ed ogni mancato riscontro non facevano che renderlo più irrequieto, mentre per l’ennesima volta si ritrovava ad esaminare le stesse vie.

    Amon, dove sei finito?

     
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    Nel silenzio che sempre circondava la sua colossale figura, percorreva a passo lento le ampie strade squadrate della bella Kisnoth, come aveva continuato a fare pressappoco ininterrottamente negli ultimi giorni: sebbene alcuni edifici e un paio di quartieri avessero in effetti riportato danni dagli atti di guerriglia che avevano opposto gli Endlossiani agli invasori, tutt'intorno la città era rimasta intoccata... congelata in istanti di vita sospesa che non avrebbe probabilmente mai più ripreso il suo corso.

    In una inquietante similitudine con quanto aveva appreso da alcuni report essere già successo nella lontana Sequerus, gli abitanti della Grande Dama si erano tutti volatilizzati, lasciando dietro di loro il vuoto desolante di una città-fantasma; certo, qui le persone non si erano dissolte nel nulla nel giro di una notte (sebbene lo stesso arco di tempo fosse bastato per effettuare i rastrellamenti), e nessun miasma letale rendeva il luogo inabitabile, ma... la nota matrice demoniaca dell'attacco offriva stavolta solidi spunti di riflessione per una ponderata comparazione tra i due episodi.

    Le ovvie analogie che tale ragionamento determinava erano potenzialmente interessanti, ma -da studioso- sapeva che sarebbe stato prematuro e insensato accogliere per verità delle congetture non verificate: convincersi dell'esistenza di uno schema -quando tra gli episodi c'erano numerose discrepanze nel
    modus operandi- poteva essere fuorviante a livello logico, oltre che apertamente controproducente per quello psico-emotivo...

    jpg...così, scandagliando vie e palazzi con le proprie percezioni soprannaturali amplificate al massimo, Brifos si votò a considerare tutti quegli elementi come dei dati: dati da analizzare mentre svolgeva il compito che gli era stato assegnato.


    “...Arthur è morto, Brifos...”

    Dati con cui riempire il vuoto della città deserta,
    che ingigantiva in un ritornello spiacevole l'eco di quel preciso ricordo.


    “...è diventato cenere davanti ai miei occhi...”

    Dati con cui distogliere il focalizzarsi ostinato della sua mente su quel pensiero, che si ripeteva in una sequenza continua e senza fine, nella spirale con cui il lutto si ripiega su sé stesso.

    “...quando eravamo all'interno del Circo...”

    Dati come sbarre di una gabbia entro cui confinare la nera metastasi che si era annidata nel centro del suo cervello insieme a quelle parole, minacciando di farlo a pezzi, spezzando la coesione di ogni altro intento. Fu allora che lo percepì.

    Qualcuno si aggirava per il quartiere, non lontano dalla sua posizione: a giudicare dall'aura non del tutto sconosciuta, dubitò che potesse trattarsi di qualche civile scampato alla tragedia, e non appena ebbe svoltato l'angolo per immettersi sullo stesso viale della presenza, gli occhi grigi di Brifos riconobbero abbastanza in fretta quella figura; non che ci fosse qualche tipo di legame tra loro, ma l'aveva scorto nella Sala degli Specchi, e... una Volpe demoniaca, antropomorfa, vestita con gli abiti dell'Ovest, e -tratto singolare- alta quanto lui- gli era rimasta impressa.

    Fiutava l'aria, come alla ricerca di qualcosa, e sembrava assorto nei propri pensieri...
    ma l'Amal stava svolgendo il suo servizio di ronda, così gli rivolse ugualmente la parola,
    col suo solito tono chiaro, pacato e monocorde.


    « Salve. »
    esordì alzando educatamente la mano per rivolgergli il palmo in un saluto amichevole
    « Stai aiutando i soccorsi nella ricerca di feriti? »

     
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    Mentre continuava quella -finora fallimentare- ricerca la mente di Mugen, piuttosto che cominciare a prendere in considerazione le possibilità più nefaste, cominciò a vagliare vari scenari che, per quanto improbabili, potessero spiegare il mancato ritrovamento dell’amico. Magari, pensò, anche Amon poteva aver scoperto dell’imminente invasione e,
    una volta caduta la barriera, poteva già essersi diretto verso il Presidio Ovest per metterlo in guardia. Magari mentre lui era ancora a letto privo di sensi lo Scorpione poteva già essersi messo in viaggio verso il suo adorato bosco per prepararne le difese. Oppure un Amon molto malconcio poteva essere stato trasportato altrove per meglio attendere alle sue ferite. Tornato al campo avrebbe quindi chiesto a chi di dovere se alcuni feriti fossero stati trasferiti altrove.

    In ogni caso la sua ricerca continuava e non avrebbe abbandonato la Grande Dama senza una risposta.
    Intento quindi com’era a setacciare l’aria in cerca della più insignificante traccia di Amon la Volpe quasi non si accorse della figura che gli si era avvicinata. Solo il suo saluto ruppe il filo dei suoi pensieri e lo costrinse ad alzare lo sguardo verso il nuovo venuto. Una strana scintilla si accese negli occhi dorati di Mugen quando riconobbe il suo interlocutore.

    “Brifos…”

    Esordì con tono stanco e disorientato. Non voleva essere scortese -non era nella sua natura-, ma in quel momento non era in vena di convenevoli. Pertanto si limitò a spiegare in modo conciso cosa stava facendo, inconsapevole di quanto le sue parole potessero risultare confuse o fuori contesto.

    “Sto cercando il mio amico Amon. Siamo stati separati nella Casa degli Specchi e non riesco a trovarlo.”

     
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    “Brifos…”

    Al suono della domanda con cui ne aveva attirato l'attenzione, il Demone-Volpe si riscosse dalle proprie preoccupazioni, intercettando lo sguardo grigio del Raitei con un barlume speranzoso nelle iridi auree, e fu con un lieve ed incerto crepitio elettrico lungo il corno dorato che il Saggio constatò di essere stato riconosciuto: non ricordava di essersi presentato a quella creatura nella Sala degli Specchi, ma... solo perché il suo cervello aveva tempo addietro archiviato come evento poco degno di nota la situazione che li aveva riuniti a Fanedell in passato.

    Tuttavia, le informazioni immagazzinate allora dovevano comunque essere dentro di lui -riposte in qualche cassetto della memoria-, e... nell'assenza dei tipici mal di testa che talvolta gli impedivano di ricordare, gli ci volle qualche prolungato momento di silenzio per riuscire richiamare alla mente almeno il nome del suo interlocutore.

    Silenzio che Mugen riempì all'istante con degli asserti che colpirono inaspettatamente Brifos con l'improvvisa tempestività di un pugno... con la sostanziale differenza che un pugno non avrebbe colto di sorpresa i suoi sensi, né sarebbe riuscito ad arrecargli danni seri, mentre quelle parole...


    “Sto cercando il mio amico Amon.”
    disse la Kitsune, visibilmente confusa e provata dall'estenuante ricerca
    “Siamo stati separati nella Casa degli Specchi e non riesco a trovarlo.”

    Senza che potesse prevederlo o spiegarsene il motivo, quelle parole si aggrapparono alle sue viscere e gli appesantirono il petto di una sensazione oltremodo spiacevole, dandogli una nausea di cui mai aveva sofferto e di cui non avrebbe mai creduto possibile poter avvertire una tale veemenza.

    E in quel momento, quasi il tempo e lo spazio si fossero ripiegati su loro stessi per rivoltarsi come un guanto e sovrapporsi in immagini speculari, Brifos rivide sé stesso al cospetto di Uriel nella sala di quel palazzo nobiliare così come ora vedeva Mugen di fronte a lui per le strade deserte della città di Kisnoth, in attesa di ottenere risposta alla sua domanda.

    ...e non ebbe nemmeno bisogno di razionalizzare cosa stava succedendo, o di filtrare le parole che stava pronunciando, perché l'eco dello sgradevole sentimento che aveva preso ad infestare i suoi pensieri negli ultimi giorni risuonò ancora una volta nella sua testa – stavolta tradotto in suoni... parole che piovvero nella realtà, proferite per sua stessa bocca.

    jpg
    Arthur è morto, Brifos...
    « Amon è morto, Mugen. »
    confessò in tono piatto, guardando il suo interlocutore con occhi incolore
    « Combattendo insieme a me contro uno dei Circensi... »
    ...è diventato cenere davanti ai miei occhi...
    « ...è stato consumato dalla luce di un'esplosione. »

    E senza comprenderne il motivo -trovando in qualche modo difficile sostenere la vista della reazione della Volpe-, il Raitei chinò il capo, abbassando lo sguardo d'ardesia sul selciato.

     
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    La Volpe provata dagli Eventi della Notte, dalle minacce imminenti, e dalla fallimentare ricerca dell’amico Scorpione aveva rivelato al Signore del Fulmine le ragioni che lo spingevano, a battaglia conclusa, ad aggirarsi per le strade deserte della Capitale. Mai avrebbe potuto immaginare che quell’incontro casuale avrebbe fatto luce sul motivo -che aveva tentato di escludere ad ogni costo- per cui la sua ricerca di Amon stava fallendo miseramente.

    « Amon è morto, Mugen. »

    Le parole pronunciate con tono piatto dal Raitei lo raggiunsero come una pugnalata allo stomaco. Peggio di ogni ferita che aveva subito da quando avevano attraversato le pareti della barriera che aveva tenuto la città prigioniera.

    « Combattendo insieme a me contro uno dei Circensi... »

    Questa volta la sua mente non cercò di nascondere la verità immaginando scenari improbabili o tantomeno accusando il suo interlocutore di riportare notizie non veritiere. Il Raitei era stato infatti testimone degli ultimi istanti di Amon. Come c’era da aspettarsi lo Scorpione aveva incontrato la sua dipartita da vero guerriero, combattendo gli stessi mostri che Mugen aveva avuto la sfortuna di incontrare. Solo che lui aveva avuto modo di sopravvivere e non era certo stato merito suo.

    « ...è stato consumato dalla luce di un'esplosione. »

    Per lunghi istanti il Demone Volpe se ne rimase in silenzio cercando di assimilare quelle rivelazioni. Poteva convincersi che Amon sapeva bene i rischi che raggiungere Kisnoth avrebbe comportato e che all’inizio di quella lunga disavventura aveva ribadito più volte di essere pronto a dare la vita pur di salvare la sua amata.

    Anche Mugen in fondo si era unito alla missione consapevole dei pericoli che avrebbero incontrato. Non ricordava neanche più quante volte aveva pensato di aver raggiunto la sua di fine. Eppure, anche se pronto a dare la propria vita, non sarebbe mai stato pronto a dire addio a chi gli stava così caro.
    In fondo, per Mugen, Amon era l’unico vero amico che aveva incontrato da quando era approdato nel semipiano.

    Rivisse quindi il suo primo incontro con lo Scorpione e di come, nonostante la diffidenza iniziale, col tempo avesse imparato a fidarsi di lui. Era stato proprio per la loro profonda amicizia che lo aveva accompagnato al Circo.
    Insieme avevano affrontato tante battaglie e avevano partecipato alla guerra di liberazione dell’Ovest. Ed ora che il Presidio Occidentale era di nuovo in pericolo e aveva di nuovo bisogno di Eroi, Amon non c’era più.

    Era rimasto solo, e con un fardello che minacciava di sopraffarlo di minuto in minuto. Eppure doveva continuare a combattere. Lo doveva alle creature dell’Ovest. Lo doveva allo scomparso Namas. E soprattutto lo doveva ad Amon, lo Scorpione.

    Così, solo dopo lunghi istanti, con tono chiaramente malinconico, assolse l’Amal dal suo ruolo di triste ambasciatore.

    “Capisco.”

     
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    “Capisco.”

    Per quanto avesse sempre trovato qualcosa di ineffabile e misterioso nelle emozioni umane e la loro capacità dal potenziale virtualmente infinito di mescolarsi al pari di componenti alchemici per dar vita -in momenti diversi- a sintesi sempre nuove, il Demone delle Tempeste si ritrovò quella volta a comprendere in pienezza e fino in fondo lo stato d'animo della creatura che gli stava davanti. E lo trovò oltremodo spiacevole.

    Perché comprendere la sofferenza di un altro rendeva quel dolore anche un po' suo, e mentre contemplava senza in realtà vederli i disegni geometrici che le giustapposizioni del lastricato creavano sul pavimento davanti ai propri piedi -dove le iridi color ardesia indigiavano senza un vero focus-, l'Eremita si ritrovò a chiedersi che metodo utilizzassero la Luna o la Papessa per convivere con quella percezione.

    Al solito per imitazione, come un bambino che cerca di seguire le orme delle personalità che elegge a proprie figure di riferimento, Brifos cercò di richiamare alla mente tutto quel protocollo di gesti, parole e comportamenti che i suoi modelli erano solite adottare quando riuscivano ad instaurare con lui una qualche connessione che alleviasse i suoi stati d'animo negativi; così, dopo che una ronzante scintilla azzurrina ebbe risalito il corno dorato, il gigante prese di nuovo la parola.


    jpg
    « Torniamo al campo. Ti servirebbe del riposo. E del thé. »

    In questo modo, se -come sospettava- non sarebbe stato capace di fornire un conforto anche minimo a Mugen, avrebbe potuto affidarlo direttamente a Kalia: lei sapeva cosa fare con le persone...
    Lui, decisamente meno.

     
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    Senza proferire parola il Demone Volpe si limitò a seguire il Demone delle Tempeste, accettando tacitamente il suo suggerimento di ritornare al campo per riposare. Camminando in silenzio la stanchezza che aveva accumulato nel corpo e nello spirito si fece sempre più palese. La perdita di Amon, ormai reale, si mescolò al peso della minaccia che stava per abbattersi sul Presidio Occidentale. Un fardello che ormai pesava esclusivamente sulle sue spalle, reso ancor più opprimente dal senso di responsabilità, nei confronti di Amon, che non poteva ignorare.

    Doveva partire al più presto, ma non era nelle condizioni di farlo in quel momento. Il Ratei aveva ragione, doveva riposare. Ma una volta recuperate le energie la realtà dei fatti non sarebbe comunque cambiata. Sarebbe stato sempre solo e con una missione che andava ben oltre le sue capacità. Come sempre, non poteva che promettersi di dare tutto se stesso e sperare che le sue azioni potessero in qualche modo fare anche la più minima delle differenze.

    Avrebbe quindi continuato a combattere, era la sua natura. Ma per il momento si sarebbe accontentato di aspettare che quel giorno finisse.

     
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6 replies since 10/4/2019, 21:38   154 views
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