Fragments of Evil

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    La fragilità è qualcosa che nessuno dovrebbe voler mostrare, mi correggo… la propria fragilità, è questo, che nessuno dovrebbe mai voler mostrare. Debolezza, ignoranza, scelleratezza, caratteristiche che ci rendono insignificanti davanti ai nostri avversari, e peggio, patetici agli occhi dei nostri alleati.

    Eppure esistono persone che sembravano rendere le proprie fragilità virtù: se non si ha abbastanza carisma per essere amati si può usare la malvagità per essere temuti; se non si ha abbastanza conoscenza per essere saggi si manipolano le paure altrui per essere osannati; se non si è abbastanza stabili ci si circonda di simili per far sentire sbagliati i “sani”.

    Jester non si sarebbe mai considerata fragile, eppure non poteva negare di adottare comportamenti “compensatori” simili a quelli sopra citati. Il trucco stava nel mascherare le proprie lacune e stare ben attenti a non affondarci dentro. Così faceva lei e tutti gli altri; era l’unico modo per essere ascoltati e seguiti e lei ne aveva la prova.

    Aveva visto massime cariche di stato osannate per la loro giustizia brasare anime innocenti, creature immortali agognare la morte al chiaro di luna, esseri di luce rodersi per le tenebre e divinità onniscienti piagnucolare per un non nulla. Eppure bastava indossare una divisa, improfumarsi e minacciare per continuare ad essere rispettati.

    La mani affusolate di Jester, ora Ela, si protesero verso uno dei mondi onirici sospeso fra le fronde dei pini nella sua foresta notturna. Si trattava di una sfera pesante, percorsa da crepature oscure e profonde quasi al punto di frammentarla; a dirla tutta diversi punti sembravano staccati. La Selvatica era vagamente interessata e leggermente ossessionata da diverse sere da quel ritrovamento. A capo di quella morbosa curiosità i racconti circa il suo proprietario: una personalità malvagia che aveva ferito quello che la giovane sapeva essere il più grande tra gli immortali, temuta ed odiata dalle alte cariche di Laputa, ascoltata e rispettata addirittura da uno dei suoi JT preferiti. Eppure Ela aveva conosciuto quell’individuo e non le pareva nulla di speciale, anzi sembrava addirittura fragile.

    Le dita diafane andarono ad aggrapparsi su una frattura abbastanza pronunciata della sfera poi la Strega tirò con tutte le sue forze. Se non si fosse trattato del suo sogno probabilmente sarebbe diventata paonazza e l’impresa si sarebbe rivelata un fiasco, ma lì era invincibile. Così si ritrovò un frammento di sogno dai bagliori violacei stretto nel palmo. A quella vista un sorriso soddisfatto increspò le labbra della giovane, sapeva di non poter veramente distruggere l’essenza di un singolo, non in quel contesto almeno, eppure il tutto la rassicurava. Fissò la sfera, voleva sfruttare quella fragilità per entrare nel subconscio di quella opprimente creatura, così sarebbe stato facile studiarla per capire i suoi punti deboli.

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    “Uh?”

    La Strega inclinò la testa di lato e posò lo sguardo d’onice sul frammento, le era sembrato di sentirlo pulsare. Ma era impossibile! Almeno che la sua intrusione, per quanto superficiale, non fosse stata notata. Mentre si interrogava sulla questione l’equilibrio onirico era già stato spezzato e tentacoli di tenebra la trascinavano all’interno del sogno.

     
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    Un candore paradisiaco saturò lo scenario onirico.
    Ovunque si posasse l’occhio della mente, il bianco era l’unico colore che danzava tutt’intorno. A poco a poco il pallore opalescente si modellò dall’interno, assumendo un volume plastico che aveva i connotati di un avvallamento. L’aria slavata si coagulò, plasmandosi in superfici dalle tonalità esangui. L’ambiente circostante si conformò a quella nuova configurazione, disegnando gradinate marmoree concentriche che s’innalzavano verso il cielo abbagliante.

    Al centro dell’Arena Bianca si stava scaricando un pilastro d’energia trasparente calato dall’empireo. Da quel portale divino emergevano colossi angelici dalla fisionomia surreale: i loro corpi erano composti da materia esotica e respiravano fiamme sacre evanescenti. Sul sabbione bianco del Colosseo d’Avorio alcuni guerrieri erano intenti a respingere l’invasione degli angeli.

    Uno di essi tranciò di netto l’arto etereo di un nemico e dal moncone cominciò a sanguinare luce fluida. L’androgino messaggero divino privo di volto tentò di contrattaccare con le proprie aureole, ma gli aloni affilati sfiorarono soltanto il bersaglio, lacerandone l’armatura ma non il fisico tonico e reattivo.

    « Finalmente sono arrivati i rinforzi! »

    Il Monocorno commentò ad alta voce ciò che aveva notato con la coda dell’occhio: una fanciulla era giunta sul campo di battaglia per dare manforte al fronte assediato. Con poche manovre disinvolte finì l’avversario già mutilato e poi balzò incontro alla nuova arrivata.

    « Tu devi essere “Alter Ego”, lieto di conoscerti… anch’io sono un Servitore del Calice Celeste: il mio Emblema d’Oro è il “Vendicatore”. »

    Il Vendicatore non condivideva lo stesso portamento nobile degli altri militanti: sul ring spiccava un prode samurai che indossava una maschera da Oni, il cui stile di scherma scivolava come acqua corrente tra i nemici decapitati; un elegante sciamano totemico stava invece incanalando il potere dei suoi antenati nelle ossa animali che ostentava con orgoglio, riversando sugli invasori un torrente impetuoso d’energia spirituale; solo l’ultimo guerrigliero presente aveva sacrificato la raffinatezza marziale in favore di una furia bestiale che gli consentiva di caricare a testa bassa la schiera angelica e travolgerla con furore senza riportare gravi danni.

    « Dobbiamo resistere fino all’arrivo del “Regolatore”, forza! »

    Impugnando saldamente la propria lama ancora gocciolante di luce vischiosa, il Vendicatore si preparò a fronteggiare l’ennesimo assalitore. Purtroppo non c’era tempo per i convenevoli con Alter Ego: il loro dovere di Emblemi era di contenere quella fuoriuscita di entità empiree, ma l’equilibrio delle forze in campo giocava ancora a loro sfavore.

    Tempo… dovevano guadagnare ancora un po’ di tempo:
    presto il più potente degli Emblemi sarebbe giunto in loro soccorso.

     
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    Una luce bianca abbagliò la Strega che per riflesso portò una mano agli occhi, le ci vollero pochi secondi per abituarcisi e capire che il mondo attorno a lei era un luogo candido. Si trovava in un’arena d’avorio al cui centro si consumava una colonna d’energia da cui enormi figure angeliche sgusciavano fuori, a combatterle quattro figure distinte che Ela ricondusse immediatamente a Bid’ daum.

    Una delle quattro la notò e saltandole al fianco -dopo aver tranciato un braccio delle creature- le disse di essere il “Vendicatore” e le chiese di unirsi a loro nella battaglia. A quanto pare credeva lei fosse un certo “Alter Ego” al servizio di un… calice celeste?! Un colore che non la faceva impazzire, a dirla tutta. Un’espressione confusa si dipinse sul volto dalla giovane, ma subito questa si adoperò per modificarla in quello che sperava essere un sorriso convinto. Fortunatamente l’altro, preso com’era dalla battaglia, non sembrò notarlo e tornò ad impugnare le proprie armi. La giovane a quel punto agì d’istinto ed evocò il suo fedele hula hoop, ma le cose non andarono come sperava: nelle sue mani si materializzò una sola delle sue due catene alla cui fine veniva ancorata un pezzo -uncinato- della lama del suo cerchio mortale. Tuttavia la Strega non si diede per vinta, sapeva che anche la più piccola manipolazione in una dimensione altrui le avrebbe provocato un’enorme fatica e doveva mantenere le forze se non voleva rischiare di rimanere bloccata in quel sogno.
    Con un rapido scatto la giovane arrivò ai piedi del titano più vicino. Poteva fingersi una versione alternativa di Bid’ daum… in fondo era un Alter Ego, no?!

    Corse attorno alle gambe dell’essere e le intrecciò con la sua catena, poi approfittò della parete dell’arena per correre sopra come una lucertola e raggiungere il secondo gigante più vicino. E se fosse arrivato il vero Alter Ego? No, ne dubitava… si trattava di un sogno! Non poteva essere così ben strutturato.

    Sugli spalti Ela era all’altezza delle ginocchia dell’altro bestione, quindi gli si lanciò contro puntando al ginocchio destro. Come previsto la lama penetrò senza problemi arpionandosi alla sua rotula e la hunter, tenendo ancora ben salda la lunga catena, ruzzolò a terra. Il polverone che alzò la giovane non fu minimamente paragonabile a quello degli angeli. Il primo -quello a cui aveva legato le caviglie- cadde a terra di faccia tirato dal compagno che s’inginocchiò di riflesso a causa della ferita inferta dalla Giullare. Cosa direbbe Bid’ daum in questo momento? Si chiese la fanciulla mentre tirava con tutte le sue forze l’uncino che schizzò fuori portandosi dietro una rotula e un fiume di luce liquida.

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    “Maledetti bipedi!”

    Urlò la ragazza per poi ansimare affannosamente. Era assurdamente stancante camminare sui muri quando non si poteva usare davvero il Nen e non si era padroni di un sogno. Sospirò… aveva le idee confuse, ma le salì il sospetto che non fosse dell’“unicorno” quella frase. L’aveva sentita al circo, ma non era sua.
    Comunque non si perse in chiacchiere, lasciò la catena, corse verso la creatura e poi saltò preparando il pugno…

    “ARMA-GEDDON!”

    Non ci pensò neanche che urlare quella parola fosse sbagliato, non pensò neanche che usare così tanto potere in un sogno altrui l’avrebbe devastata. Si stava divertendo!
    Rise mentre il cranio della creatura si frantumava sotto il suo colpo, poi ricadde a terra a quattro zampe con il respiro sempre più pesante. Oddio? E se quegli intrusi in realtà fossero la rappresentazione di se stessa che invadeva il sogno?
    Si alzò guardandosi attorno…

     
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    Nel pandemonio silente dell’Arena Bianca - tra la rena candida come neve, gli sterminati muri d’avorio e un firmamento sfolgorante - si consumò una battaglia senza quartiere, sospesa in quegli istanti atemporali in cui gli Emblemi lottarono come un solo corpo pur essendo separati tra loro da invalicabili baratri metafisici. In quanto Servitori il loro compito era di agire come “Forza Deterrente” secondo l’imperscrutabile volere del Calice, così da onorare quell’inconscio collettivo di cui tutti loro erano le sinapsi. Il funzionamento della loro struttura interna seguiva norme proprie che talvolta sfuggivano alla comprensione dei singoli, ma la loro fede incrollabile nel sistema spiritico di cui erano parte integrante metteva a tacere ogni dubbio e permetteva loro di agire nell’interesse collettivo pronosticato dal Maestro degli Emblemi.

    Il Calice Celeste non era soltanto un crogiolo di entità indipendenti eppure interconnesse come parti di un solo organismo, bensì era anche fonte di espiazione – per gli altri e per se stessi: se il Vendicatore aveva emendato il rancore dalla propria anima e aveva riscoperto l’indulgenza spirituale, era solo merito dei suoi affiliati e della dimensione astrale in cui tutti loro erano Spiriti Eroici personificati.

    Al culmine della battaglia tutti gli Emblemi riconobbero un sentore familiare: quel fenomeno a loro noto come “Mesomeria” riverberò attraverso la loro fodera ectoplasmica, segnalando ai presenti l’imminente arrivo di un Emblema dalla mole energetica tanto ingente da presagirne la venuta prima ancora della sua effettiva manifestazione.

    « Il Regolatore…! »

    Al centro dell’anello si cristallizzò un bozzolo oscuro che piegò il tessuto stesso del sogno con la sua sola presenza, incrinando la stabilità della visione onirica. Il guscio si schiuse spalancando le proprie ali frastagliate, rivelando una figura spettrale armata di falce.

    « N-non è possibile…! Quello è l’Emblema Nero, la “Bestia”. Bastardo, cos’hai fatto al nostro compagno?! »

    Lo sconcertato Vendicatore cercò lo sguardo dei propri cari per avere un sostegno a cui aggrapparsi con tutta la propria volontà. Confidando che negli occhi d’onice di Alter Ego avrebbe trovato sicuramente un punto d’ancoraggio per non scivolare nell’oblio, lo Spirito della Vendetta si preparò a sostenere l’aura annichilente dell’incarnazione della Calamità.

    Siete davvero ingenui, confratelli: ciechi a tal punto da non riconoscere la serpe che covavate in grembo.

    La voce distorta del Peccato Originale impose uno stigma su tutti loro, così da prepararli alla cerimonia sacrificale. Il cielo divenne plumbeo e un’eclissi invertì ogni tinta come in un negativo fotografico. Dal fondo dell’Arena Bianca cominciò a sgorgare una pozza densa di sangue, che si allargò progressivamente tingendo di vermiglio i granelli fino a sommergere completamente il ring. Gli Emblemi d’Oro cercarono di mettersi in salvo salendo sulle gradinate, ma uno dopo l’altro furono raggiunti e sommersi dal lago cremisi, in cui si squagliarono fino ad essere fagocitati.

    Mentre annegava nel sangue e si scioglieva in quel brodo primordiale, il Vendicatore capì che il Colosseo d’Avorio non era altro che una coppa da colmare, da cui la Bestia si sarebbe infine abbeverata per tornare completa.

     
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    La realtà del sogno sembrò squarciarsi quando un bozzolo di oscurità apparve al centro dell’arena tra le grida entusiaste del Vendicatore e gli altri. Tuttavia Ela non riuscì a condividere il buon umore dei suoi “compagni”: in primis aveva la consapevolezza -quella che spesso si ha nei sogni- che il “Regolatore” l’avrebbe riconosciuta, secondo quel robo sembrava non promettere nulla di buono. Senza pensarci due volte la Hunter recuperò parte della sua arma spezzandola dal parte della catena spezzata sotto il gigante. Sospirò preparandosi al peggio e a quel punto l’involucro si schiuse svelando un essere minaccioso dalle grandi ali e una lunga falce stretta fra le mani. dall’unico corno che possedeva la Strega dedusse che anch’egli doveva essere una delle forme di Bid’daum. Nonostante ciò la fanciulla dalla chioma argentea comprese la sua natura sinistra dal tono feroce che assunse il Vendicatore mentre lo additava come la “Bestia”.

    La Selvatica annuì automaticamente celando a stento l’ansia quando la creatura prese la parola svelando la presenza di una “serpe” e cercando di sembrare determinata allo sguardo d’intesa del rosso. In quel preciso istante una fontana di sangue sgorgò al centro dell’arena e un brivido le percorse la schiena, non voleva che quel liquido vermiglio la sporcasse, così seguì l’esempio degli altri e cercò riparo sulle mura. Con la sua invidiabile capacità di camminare su qualunque superficie e pendenza la ragazza riuscì nell’impresa prima degli altri ma, per quanto le sembrasse una follia, capì di aver bisogno di un alleato.

    “Vendicatore, di qua!”
    Urlò Alter Ego -come la chiamavano- porgendo la mano al rosso, tuttavia dovette ritrarla velocemente. Il sangue bagnò la caviglia di quella strana versione di Bid’daum che le era quasi simpatica e il suo corpo venne ben presto liquefatto. Al che la Strega della Luna urlò indietreggiando.

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    “Voglio svegliarmi! Voglio svegliarmi!”
    Nel pieno di una crisi di nervi iniziò a strapparsi i capelli provando disperatamente a liberarsi da quell’incubo. Fu proprio in quel momento che il sogno si contorse e un’ombra si stagliò nel cielo affiancando la Bestia. Delle parole risuonarono nella testa della donna che alzò il capo di scatto incredula; si trattava del suo basilisco! Ed eccola lì, Lilith, maestosa mentre sorvolare l’arena come uno di quei vecchi dragoni cinesi mostrati nei libri per bambini. Ela corse in direzione di quell’enorme creatura che la raggiungeva a sua volta planando. Quando furono abbastanza vicine la Strega le si lanciò sopra aggrappandosi alle sue scaglie perlacee così appuntite che ben presto si macchiarono del suo sangue. Quel contatto la fece sentire bene, libera… ma anche stremata. Il basilisco doveva aver in qualche modo sentito era in pericolo, tuttavia per entrate nel sogno doveva aver attinto all’energia della “madre”. Questa però era una prova che qualcosa non quadrava… se era riuscita Lilith in tale impresa, per quale motivo Ela non riusciva semplicemente ad uscire da lì?

    Comunque la sensazione di volare con quell’essere era fantastico: nel suo mondo aveva spesso volato con gli zeppelling, ma questo era diverso, si chiese come sarebbe stato nella realtà vera volare con le sue figlie. Ma i basilischi non volano!
    Le due intanto si levarono in cielo e Alter Ego poté notare come tutto ciò sotto di lei apparisse come un “recipiente caotico ed incompleto”. Stranamente le iridi d’onice della Strega brillarono di ammirazione, tuttavia non aveva la minima intenzione di riempire quel calice… non avrebbe straboccato col suo sangue!

    “Da una creatura come te non mi sarei aspettata nulla di meno. Dopotutto sei pure sempre…” Bid’daum “…Bestia!”
    Finse disgusto la donna per l'orrore che si compiva al di sotto, in modo da cancellare un germoglio di sensi di colpa che nasceva nel suo cuore nei confronti del suo amato. Khatep, a cui il proprietario di quel sogno aveva fatto male, non avrebbe approvato quella situazione.

    “Stai ben attento! Sono un cavaliere, una domatrice con cui non puoi competere! Oggi mi sento misericordiosa e ti concederò la libertà…” per ora “…a patto ovviamente che questo mondo onirico venga spezzato.”
    Disse la donna con tono severo concedendosi un respiro profondo e combattendo il desiderio di accasciarsi sulla sua “bimba”. Nel mentre la serpe argentea, proprio come i suoi capelli, sibilava insidiosa fissando la Bestia col suo unico occhio.

     
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    Il Calice si riempì e rivoli di sangue cominciarono a esondare lungo le pareti bianche dell’Arena. Due figure sorvolavano il Colosseo d’Avorio, ciascuna sospesa nell’aria fittizia del sogno: Alter Ego e Bestia, gli ultimi Servitori rimasti ad assistere alla conclusione del rituale. Laddove la prima - risparmiata dall’incompatibilità dello stigma sacrificale con altri vincoli che ne suggellavano l’anima - continuava stoicamente ad ergersi contro un Avversario fuori dalla sua portata, il secondo invece pareva insensibile alle intimidazioni dell’altra: dopotutto il rito era ormai completo e i Memoriali del Trono erano già stati sovrascritti all’insaputa degli altri Emblemi, perciò la Bestia della Calamità non aveva più nulla da temere.

    A quel punto la sagoma alata dell’Emblema Nero si confuse con lo sfondo della visione onirica, rivelando le proprie sembianze originali: un colosso incommensurabile agguantò la coppa grondante e si dissetò mentre il velo onirico si strappava progressivamente.

    Contestualmente allo sfilacciamento della trama del sogno, da oltre il substrato dell’inconscio cominciò a infiltrarsi l’abiezione sommersa che la struttura onirica aveva tenuto relegata fuori dai propri confini. L’abisso si spalancò in ogni direzione, cancellando ogni punto di riferimento: l’occhio della mente poteva solo assistere alla propria ineluttabile caduta verso il baratro, poiché la stessa sostanza del sogno stava defluendo verso quel canale di scolo – trascinando con sé anche eventuali intrusi.

    La necrosi spirituale si diffuse lungo quella discesa verso gli inferi, suppurando ciascun’anima oltre ogni limite di sopportazione. Non c’era salvezza da quell’averno immondo, né possibilità di sostenerne la corruzione per l’eternità distorta e immanente di quell’incubo. La lucidità della coscienza sarebbe degradata fino ad un sonnambulismo delirante. Le propaggini spiritiche si sarebbero incancrenite, facendo avvizzire qualsiasi impronta interiore fino al totale decadimento. L’ego sarebbe sfumato fino a confondersi nel caos intrinseco del Castigo, diluendosi nella massa informe e contaminata del suo spirito.

     
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    Il Calice traboccò e la Bestia accorse come un assetato alla fonte. Nel farlo la creatura alata divenne mastodontica fino a riuscire a tenere quella che era stata l’arena tra le sue mani. In quel momento l’intero mondo onirico iniziò a sciogliersi come se tutto stesse venendo aspirato da una cannuccia. Ela sussultò quando si accorse che anche le sue mani si stavano liquefacendo e si strinse alla sua bambina lasciando che le sue scaglie si conficcassero in lei. Per quanto quel contatto fosse doloroso la donna non mollò, non voleva che precipitassero l’una lontana dall’altra. Se proprio dovevano cadere nella polvere lo avrebbero fatto assieme.
    “E’ solo un sogno.”
    Ripeteva alla creatura cercando di rassicurarla, tuttavia la sua voce era incerta e mal celava la propria confusione. Perché quell’universo sembrava accartocciarsi su di loro ma non svaniva?

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    Ogni punto di riferimento poi scomparve: la vista si oscurò, il silenzio calò, gli odori scomparvero, perse la percezione dei punti cardinali e infine il tatto. Neanche la ragnatela di En che la Hunter era solita tessersi attorno rispose. Ela tornò ad essere Jester in un sogno senza sogni, incapace di poter fare alcun che, ma il tutto era peggio della morte. La donna era cosciente di sé e galleggiava nell’oblio in preda alle proprie paure e sogni infranti. Era sola, a nessuno importava di lei e tutti continuavano a dirle bugie. Ricordò le facce spaventate dei suoi genitori, l’odio delle Selvatiche, le ambizioni del Padre e l’unica che fingeva di amarla tradirla ed ignorarla.
    Nel nulla più totale una luce argentea sembrò avvolgere il corpo di Alter Ego, era quello il suo corpo? Era lei quella? Eppure quei fili argentei non le appartenevano, non erano i suoi capelli, non era il suon Nen, non era il suo sangue. Le dita diafane della Strega si strinsero su quei raggi di Luna.
    “Io sono una Strega della Luna… ma questo non mi appartiene.”
    Sentiva che quel legame voleva proteggerla, cullarla, forse addirittura svegliarla. Ma non poteva accettarlo! Ormai era tropo tardi, non voleva essere salvata, non aveva bisogno. Ce l’avrebbe fatta da sola le disse una voce sicura e rabbiosa nella testa mentre l’oscurità la divorava.
    “Potete anche sparire!”
    Urlò strappandosi da quel legame che però cercò di tornare da lei. I fili le si allungarono nuovamente addosso e quando la donna cercò di sganciarli l’arpionarono. Su tutte le furie la Strega se li strappò lasciando che rivoli di sangue si aggiungessero a quelli provocati dal contatto con Lilith. Nel farlo sentì chiara la frustrazione: era talmente stanca che somigliava ad una bambina piccola che cercava di lanciare un cuscino troppo pesante addosso al genitore.
    “VIA! ANDATE VIA!”
    Urlò la ragazza mentre la tenebra la inghiottì e al che vi fu una piccola detonazione che la ricaricò di parte dell'energia accompagnata dalla sicurezza che, quello che era stato il suo sigillo da più di dieci anni, era andato per sempre. Ma non ne trasse alcuna soddisfazione, anzi, sentì un vuoto dentro e un nodo alla gola; così cercò di colmare il primo con l'oblio e sciogliere il secondo con l’orgoglio mentre affondava nel Peccato Originario.

    Alla fine la Selvatica toccò il fondo e si accorse di non essere sola, con lei c’era Lilith. Tornata alla stazza di una serpe ordinaria era avvolta sulle sue spalle, doveva essere svenuta.
    Una lacrima si incastrò tra le ciglia della donna, le spiaceva la sua bimba avesse dovuto sopportare tutto ciò solo per starle accanto. Si asciugò la guancia e contemplò l’oscurità che la circondava mentre si sedeva a terra e rifletteva. Per uscire da lì vi erano rimasti solo due modi dato che lei non riusciva, ovvero: il permesso del proprietario o il suo risveglio. Avrebbe preferito la seconda dato come stavano andando le cose ma -c'era un ma!

    Pur non potendo calcolare il tempo, dato che in ogni sogno scorreva diversamente, la Hunter credeva ne fosse passato troppo. Inoltre Jester sospettava che quell'incubo non seguisse regole ordinarie in quanto sarebbe teoricamente dovuto svanire dopo tutte le volte che si era accartocciato. Lei che viaggiava in quelle dimensioni lo sapeva... più o meno... o almeno credeva fosse così!
    A quei pensieri la donna portò le mani allo stomaco ed iniziò a ridere a crepapelle mentre il suo corpo veniva scosso da spasmi grotteschi.
    “Finiamola, vieni fuori!”
    Ordinò per poi schioccare le dita e usare parte dell'energia ritrovata per far avvampare al suo fianco una colonna di fuoco dalle verdi fiamme la cui sommità si perdeva nel nulla. La guardò estasiata continuando a ridere e chiedendosi come fosse riuscita ad evocarla e quanto potesse trattenerla.
    “O inizierò a distruggerti dall'interno.”
    Sussurrò con occhi folli mentre bagliori verdastri si allungavano sul suo viso rendendo sinistra la sua delicata figura.

     
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    Quando sul fondo del baratro si accese una colonna di fiamme verdognole, la luce fredda e innaturale tratteggiò ciò che tappezzava il fondale dell’abisso: una distesa di corpi ammassati dai lineamenti cancellati, riversi al suolo scompostamente e in avanzato stato di decomposizione. Le orbite vuote si accesero col baluginio dei fuochi fatui e le bocche cucite cominciarono a parlare restando serrate.

    Pensi di essere la prima che tenta d’invadere nel sonno i suoi pensieri? Credevi davvero che il Comandante della Legione fosse alla tua mercé, magari addirittura tanto vulnerabile da mostrarti inconsciamente un punto debole?

    Le mascelle scheletriche sghignazzarono malignamente come un’orchestra di nacchere, sovrastando la risata delirante dell’ennesima vittima precipitata nelle profondità degli inferi.

    Morirai come tutti noi.

    La sentenza pronunciata all’unisono dai precedenti condannati fu l’ultimo chiodo piantato sulla bara. L’oscurità spense il pilastro fiammeggiante come uno stoppino morente, soffocando l’ultima luce rimasta in quell’incubo. Bersagliata da energie spirituali ammorbanti e pervasive, la coscienza dell’intrusa si sarebbe gradualmente putrefatta come il resto degli occupanti di quella fossa comune – finché la morte cerebrale non l’avrebbe fatta transitare dal sonno notturno all’eterno riposo.

     
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    La Strega sobbalzò quando notò che tutto attorno a lei era una massa di corpi putrescenti, questi parlarono all'unisono: la derisero, la insultarono e lei si infuriò. Calciò la testa più vicina staccandola di netto dal corpo mentre le altre ridacchiarono irritandola ancor di più. Poi la fiamma che lei stessa aveva evocato si spense abbandonandola tra le tenebre. Immediatamente Jester ne accese una piccola sul palmo della sua mano ma anche questa si consumò in pochi secondi, continuò a farlo finché non si stancò di provare. Tutte quelle bocche amare continuarono a prenderla in giro e per lei fu un incubo. Non voleva essere umiliata, lei era un comandante di Gilda, non più una ragazzina perduta in un bosco.
    Lei era un Capitano!
    Si sedette respirando velocemente -aveva la tachicardia- poi portò le ginocchia al petto ignorando d'esser sopra lo sterno marcito di qualcuno.

    "Andate al Diavolo!"
    Urlò lanciando lontano una testa che aveva provato a morderla.
    "Sono immortale, non marcirò mai! Mai e poi mai! Sono gli altri che muoiono per sempre, io no!"
    Disse per convincere se stessa mentre le lacrime cominciavano a rigarle le guance.
    "E chi cazzo la vuole vedere quella Puttana cornuta!"
    Esordì la giovane facendo scivolare la serpe dalle sue spalle per tenerla con delicatezza fra le braccia, ma quella non si mosse.
    "Lilith svegliati su."
    Sorrise.
    "Lilith?"
    Provò a scuoterla con più energia, ma la creatura rimase inerme fra le sue mani.
    Così tento di leggerle nel pensiero e vedere ciò che stava sognando... poi si rese conto che loro erano già in un sogno. Se nell'oscurità qualcuno avesse potuto vedere lo sguardo di Ela ne avrebbe colto solo orrore. Scoppiò...
    "LILITH! LILITH!"
    La chiamò disperata alzandosi di scatto e lasciandosi poi a degli urli acuti che le raschiarono la gola. Era realistico...
    "SVEGLIATI; SVEGLIATI!"
    Iniziò a sbattere il corpo sinuoso della creatura addosso ai cadaveri che infestavano quella fossa comune. Sentì le ossa delle sua bambina spezzarsi del tutto mentre le rimbalzava indietro come un elastico. Lo fece di nuovo ancora e ancora martoriando la carcassa della serpe. Ricordò per quanto tempo aveva coccolato le uova di lei e sua sorella, di come le aveva cresciute e nascoste sotto il suo cappello giullaresco.

    "SVEGLIATIII!"
    Un pezzo di testa del basilisco schizzò via e con un crack sordo e delle parti decomposte dei deceduti la imbrattarono senza smettere di schernirla. La Strega urlò, urlò e urlò ancora. Finché non cadde in ginocchio abbracciando quanto rimaneva della sua "bimba".
    Poi un odore nauseabondo le salì alle narici dandole il volta stomaco fino a farla vomitare. Era come se le budella le stessero risalendo su dalla gola. Faceva male! Faceva male come se stesse vomitando davvero le interiora. Si sentì soffocare e si sdraiò sulla schiena mentre i suoi polmoni cercavano aria ma era come respirare da una strettissima cannuccia.
    Non poteva accettarlo! Non voleva, non poteva darla vinta, né a Bid'daum né a quelle voci attorno a lei.
    Iniziò a battere un braccio usando ogni briciolo di energia cercando di squarciare il velo del sogno, ma quello sembrò attorcigliarlesi sull'arto e penetrarlo. Si lamentò, il dolore era straziante.
    In quel momento però pensò solo alla vendetta, voleva che anche lui soffrisse quanto lei. Oh, la sua piccola...
    "Anche tu..."
    Si portò le mani agli occhi che iniziarono a bruciarle come tizzoni ardenti, poi si liquefecero scivolandole ai bordi del viso e scavandole le guance come lava. Le convulsioni l'assalirono, non respirava, il braccio era stritolato e in cancrena, le gambe smisero di funzionare. Era atroce! Era atroce!
    ...soffrirai quanto me, pensò prima di morire.

     
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