Il labirinto di fumo

Fu come destarsi in un'invalicabile fobia, un'iniquo torpore, in cui la realtà parea mescolata all'inganno della mente. Da quando la sua missione nei meandri più reconditi della grotta malevola fu esaurita, ei non fu in grado più di lasciar quel loco. Solo con le proprie congetture e con l'assalto continuo di abomini atti a ledere la sua persona. Un dedalo interminabile di cunicoli foschi ove rocce accuminate eran il solo dettaglio di riferimento, eppur parea non vi fosse uscita da quei pertugi oscuri. Un lasso di tempo imprecisato fu quello in cui il cavaliere del nord fu smarrito, ma consapevolmente lucido, rimembrando che forse v'era nuovamente taluno a burlarsi della sua persona, come già accadde quando apprese dal suo regale lignaggio. Non che gli tangesse, invero. Le umane debolezze non appartenevan più al giovane uomo, ma non per vantaggio della tempra sua, altresì i morsi della fame non attanagliavan il suo stomaco, il poderoso arto suo non stancava dinanzi alle stuolo interminabile di anatgonisti.

Lordo d'una linfa che non gli apparteneva giaceva dietro un umida roccia, il ramingo, prenda dei suoi pensieri, ponderando riguardo la sua attuale condizione. Mai prima d'ora avea veduto un sì machiavellico inganno. Come di consueto oramai, l'udito preannunciava l'avvento del prossimo nemico, l'ennesimo mostro che ei avrebbe dilaniato senza remore o esitazione alcuna. In quella genuina oscurità sporadicamente rifulgeva saettante il fulgore delle iridi sue, scarlatte come la cappa che indossava, che sovente gli concedevan l'aspetto d'un araldo divino, ma che ora lo accostava di più ad un demonio, peggiore dei mostri che egli stesso avea trucidato. Si sollevo dal suolo Crimson, ponendosi verso il fulcro di quel tintinno, ragionando su chissà quale sarebbe stato il malcapitato che avrebbe subito la sua ira. Escluse a priori l'ipotesi della fuga, lasciandosi alla terga una la biforcazione angusta. Alcunchè avrebbe potuto abbatter la volontà sua ed avrebbe indi proseguito alla ricerca di un uscita, seppur probabilmente quelle creature fossero un diversivo, non era in grado di tollerar di rischiare.

L'ennesimo aborto vivente si palesò dinanzi ad ei, assai macabro, invero, ma la veduta del mostro non era in grado di cagionar tema nell'animo indomito del Cavaliere, che a capo chino ed imperturbabile rimase. La cappa scarlatta garriva fluente nell'aere, mentre la corvina chioma si scostava dal viso, lasciando sì che le flessuose iridi cremisi si irradiassero. L'eco di guerra del mostro si disperdeva nei cunicoli, scuotendo il suolo e le pareti rocciose, ma non ebbe modo di nuocere il prode furente. Le carni brune della belva eran martoriate da armi ossidate e catene, che tintinnavan ad ogni suo inceder, rendendo sì arduo per la bestia occultarsi. Difatti l'abominio non fu si stolto, ma s'accinse ad un mero e becero assalto frontale. Banale, potea sembrar, invero, ma celava un'insidiosa componente: alla stregua di aspidi le catene mossero alla volta dell'estremità del guerriero, che non oppose resistenza, lasciando sì che polsi e cavigli venissero cinti dal gelido acciaio. Sollevato dal suolo da quest'ultime, attese la reale offesa, il cavaliere, che non tardò a giungere: una pulsante sfera d'energia incandescente fu generata dalle fauci del mostro, che coadiuvò l'aggressione con una feroce artigliata mirata a lambire il petto dell'emissario dei ghiacci. Sì limitò a mantener quella posizione, il ramingo, non fu necessario gesto o movenza di sorta per evocar il suo corteo di mortifere lame. Sei daghe spettrali dalla più diversa foggia, fecero il loro ingresso solcando l'aere e fendendo lo spazio. Celeri si disposero a difesa del loro dominatore, mulinando e turbinando in maniera frenetica attorno alla figua sua, sì da schermarlo e mitigare quela dose massiccia di offese rivolte alla sua persona. Le lame evocate, roteando debellaron in parte la deflagrazione fiammeggiante, mentre Lance auspicò un'annessa lesione alle catente che limitavan i suoi formidabili movimenti. Ahimé, gli artigli giunsero al bersaglio, lasciando sulle carni del Valente i loro sanguinari segni. La linfa unse le logore vesti: per quanto miracolosa, non fu sufficiente a vanificar la totalità dell'attacco. Ove v'era la lacerazione, era possibile scorger il fitto reticolato venatorio del ramingo accendersi soffusamente. Ferito in sì modesta guisa, Crimson trattenne le iraconde grida, cogliendo quell'istante per edificar l'offesa sua, seppur poco prima l'attenzione sua fu distratta.

La divina spada azzurra si manifestò nell'orifizio dentato del ramingo, la sua lama più pregiata adoperata con perizia anche con l'utilizzo della mera bocca: in tal modo ei vibrò un poderoso fendente, istillando l'inusitata potenza della magica lama, che partorì diverse sferzate d'aere, atte a dilaniar il bersaglio con un potere tracimante, mentre le altre daghe difensive eran ormai svanite senza lasciar traccia, medesimo fato che avrebbe investito anche la cerulea lama dei venti.

La virtuosa difesa del prode sortì reazioni tutt'altro che spiacevoli, tutelando la persona sua dalle bramose vampe e liberando l'estremità delle membra imbrigliate, permettendogli sì di attinger alla sua più eccelsa dote: la superba celerità. L'artigliata zampa che solcò il petto fu un becero diversivo, ma doveroso per concedere ad ei la propizia occasione per il ferale assalto. La prodigiosa linfa che si dipanava nelle vene sue, s'intensificò nella locazione lesa, mitigando i danni, ma non il dolore accolto, agonia a cui il prode non era estraneo. Travolta dalle severe sferzate della sacra lama del ramingo, la chimera prese le dovute distanze, ma ciò fu motivo di stupore per Crimson, poiché le precedenti creature solevan estinguersi al seguito d'un simile attacco. Turbamento alcuno assalì Lance, che quasi era entusiasta della coriacea del suo agonista. Predatore e preda or si fissavan, ognuno soddisfatto del proprio operato, senza comprender che il successivo scambio avrebbe sentenziato definitivamente l'associazione dei ruoli. La mostruosa belva e quella in forma umana stavan per accingersi a muover passo, quando d'istinto il Cavaliere del nord si volse scorgendo alle spalle sue, prestando attenzione al quel tedioso tintinnio: in precedenza avea udito quel suono, ma non gli avea badato, poichè avrebbe vouto cimentarsi in una tenzone alla volta, ma oramai pare non gli fosse più concesso un simile lusso. Eppur non l'ennesimo mostro si palesò dalle tenebre, ma bensì una dama in una corazza leggera e abiti tutt'altro che adatti alla pugna. Sollevò il cipiglio Crimson, assistendo curioso alla veduta che si stava palesando innanzi alla sua persona.

Si appellò il cavaliere ai verbi di ella, mentre il palmo dominante strinse l'elsa di una delle lame gemelle al fianco, lesto per abbatter il nemico, che non parea incline a conceder il tempo necessario al colloquio, la dama nel mezzo fallì clamorosamente un attacco alla volta dell'abominio, colpendo la volta rocciosa con un proiettile. Privo d'esitazione alcuna, il prode errante era in procinto di vibrar la risolutiva stoccata al suo bersaglio, che avea guadagnato metri intanto, ma così non fu. Il mostro venne risucchiato da una strana e annichilente forza di trazione, che lo ignhiottì nelle profondità più recondite di quell'incubo. Se egli non fosse rimasto sì al lungo intrappolato nei dedali di quell'inferno, il Cavaliere si sarebbe lasciato andare ad una fragorosa risata, dopo aver assistito a quella scena. Ciò che non fu ragione di giubilo fu prender atto che v'era occultato un meschino marionettista, travolto anch'egli assime al suo trastullo. Infoderata la sua arma, la fanciulla estrasse un piccolo astrolabio e iniziò a marciare dispensando spiegazioni sommarie.

Non era saggio rimanere fermi, indi con falcate lente e ben distese calpestò il medesimo sentiero della dama, pazientando risposte ai suoi quesiti, consapevole che fidarsi con troppo anticipo delle di lei parole non sarebbe stato assai astuto, sin troppo avea appreso durante la sua permanenza nel mondo onirico.

Calcando un sentiero impervio il Cavaliere avanzò, senza tema alcuna al fianco della sboccata donzella, che apostrofava con disprezzo talune presunte divinità per le sbadataggini da ella compiute. Suggestivo, invero. Crimson conosceva bene quelle vie e quei luridi pertugi, indi non ebbe disagio di sorta a stare al fianco della dama, che al seguito d'un tortuoso tragitto, espose le sue ragioni: Antilia custode delle macchine pneumatici era la sorella del farabutto che avea orchestrato tale insidia ai suoi danni. Non realtà, ma una finzione concepita ben oltre l'immaginazione, tale era ciò che avea vissuto il ramingo in quella grotta, dopo la disfatta di densofumo. Dunque ei era vivo, ma distante dalla realtà per le colpe di colui a cui avea prestato i suoi servigi.

Sorrise sornione, quasi senza rammentare la sua attuale situazione e l'interminabile tempo trascorso li, quasi senza badar troppe al fatto che le sue membra giacevan inermi in una bettole.

Non sovente era assai volgare, probabilmente la vicinanza ad Antilia era una cattiva influenza per ei. Or che un'obiettivo s'era erso, il prode ramingo avea acquisito una lucidità che sin ora parea aver smarrito. Tutto in apparenza chiaro ed ogni dubbio districato, seppur in maniera marginale, ma era ciò che attendeva, invero. L'esperienza esigeva uno scotto e pretendeva di esser cauti, ma altresì la situazione non permetteva alternative.

Abbondanti ed esaustive furono le spiegazioni della guardiana, indi Crimson apprese che non v'era una reale parentela di sangue col malevolo traditore che lo avea buggerato, ma una parità di casta. Inoltre, per vie meno convenzionali, il vassallo del nord comprese la non totale natura umana della dama, indi ponderò che anche i suoi compagni d'arme condividessero la medesima realtà. Riprese infine il cammino al fianco di ella, il predatore smarrito, seguendo l'estremità dell'astrolabio, senza badare alla impervia natura circostante. Fu gradita ventura non incontrar altri abomini nel sentiero per gli avventurieri.

Non incline a ritrattare la sua parola, ma il giovane uomo parea assai avvezzo a prender decisioni non propriamente congeniali. Fu calzante tale considerazione quando i dispersi nel mondo onirico giunsero al cospetto dell'immane e solenne portone al centro di quell'incubo e ivi s'arrestaron. Ebano marmoreo la forgia, bassorilievi raffiguranti violenza lastricavan il perimetro della suddetta. La profusione di guerra sembrava un inno ad essa, lasciando presagire ove avrebbe condotto quella via. Antichi battenti ad altezza d'uomo invitavan l'uso di quel tramite. Antlia era ben informata riguardo quel loco e confesso al ramingo quale fosse il pegno da pagare per varcare quella soglia: un frammento d'anima. Crimson trattenne un tenue sorriso, comprendendo che ei era l'unico a cui potean estorcer un simile scotto..

V'era realmente un'alternativa? In tutto quel tempo smarrito nella dimensione dell'incubo mai avea avuto modo di fuggire, in stasi in una perpetua pugna, che per quanto lo dilettasse lo stava privando della vita. Dunque non esito e deciso il palmo dominante raggiunse la superficie dell'antica porta..

Una malevola energia pervase le membra del ramingo una volta che il palmo fu poggiato. Una tollerabile agonia parea svuotarlo della sua anima, ma ei pavido di alcunché non dubitò dell'esito. Infine, il portone si dischiuse, trattenendo il vigore del cavaliere, che avvertì una notevole spossatezza nelle carni e nell'anima, ma neppur tale espediente fu in grado di far vacillar la sua tempra, indi avanzò al di lei fianco, non prima di una manciata di secondi necessari per assumer una posizione consona, poiché le sue membra avean sussultato. Antlia lesta lo invito alla quiete per poi lanciare un incantesimo, finché ella non prese parole, il ramingo non comprese la necessità di quell'arcano. Il cavaliere si limito ad un cenno d'assenso col capo. Ancor una grotta v'era ad attendere ambo gli avventurieri, invero, il loco nevralgico ove gli incubi venivan partoriti e diluiti nel mondo onirico. Disposte casualmente, stalattiti e stalagmiti eran presenti ed un imponente trono nel centro, lo sguardo di Crimson cadde subito ed inesorabilmente sul suddetto.

Ma prima di muover passo alcuno, il rubino del nord prese coscienza che v'era qualcosa di anomalo nella sua persona, come se l'eccessivo sforzo di poc'anzi lo avesse privato temporaneamente dei suoi talenti naturali. Oramai, sì vicino al suo obbiettivo, quel disagio non l'avrebbe trattenuto: non gli era concesso lesinare. Muovendosi indi con una rapidità che mai avea conosciuto, il giovane uomo abusò dell'incantesimo che su di ei gravava, per avvicinarsi al suo bersaglio senza esser udito, celando la sua presenza agli occhi degli astanti sfruttando le calcificazioni naturali del luogo e ciascun appiglio concesso. Una volta giunto cautamente alla giusta distanza, avrebbe evocato nel suo raggio d'azione otto daghe, che squarciando le pareti dimensionali si sarebbero abbattute sulla paffuta preda, mirando minuziosamente alla base del collo, sì da tentar di eliminarlo con perizia e tenendo le forze per il prossimo obbiettivo. Non sarebbe stato facile, ma era l'unico modo per uscire e riprendersi la propria vita.