Unspeakable Oath

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    { Carcosa }
    Vares

    Carcosa era una feroce meraviglia di equivoca bellezza e di grandiosità eterea. Chi si fregiava di logica e razionalità non sarebbe mai riuscito a comprenderla, e l’avrebbe anzi trovata disturbante e stomachevole… ma chiunque vi restasse abbastanza a lungo scopriva di non poterne più fare a meno.

    Carcosa era in perenne mutamento, tanto che la sua struttura urbana - o quantomeno la percezione di quest’ultima - si scomponeva e si riassemblava ai margini dello sguardo. Spaziando con la vista si aveva la sensazione che il paesaggio non fosse mai identico a come lo si era lasciato un istante prima: in un battito di ciglia i mattoni ammuffivano, i lastricati mutavano in granito, le palizzate diventavano pareti, le porte svanivano oppure erano sostituite dalle arcate. Non distogliere gli occhi era l’unico modo per stabilizzare un elemento architettonico, a discapito però di tutto quello che si trovava oltre la propria visione periferica: focalizzandosi col paraocchi su di un cancello si poteva mantenerlo intatto, ma il suolo alle proprie spalle poteva sgretolarsi in un dirupo nel silenzio tombale.

    Carcosa custodiva segreti, celati nella sua mutevole follia e sussurrati da una sagoma vestita di stracci. Il mormorio si trascinava fino ad insinuarsi nella mente, ammorbando i pensieri di suadenti parole destinate ad un solo interlocutore.

    Mio simulacro, il giuramento è compiuto.

    Un cuore era stato cavato e un nuovo adepto si era consacrato al Re.
    Non restava che scoprire quale sarebbe stata la sua missione
    e quale via avrebbe dovuto percorrere.

     
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    Carcosa Ingresso Vares


    Qualcosa di freddo e umido si insinuò nella mente di Vares. Il sapore metallico di sangue gli riempì la bocca. Il puzzo di carne in decomposizione gli assalì le narici. Di riflesso fu scosso da conati di vomito.
    Qualcosa iniziò a sussurragli parole all'orecchio. Una lingua indecifrabile, morta, ma il cui significato lo inondò.
    Come una poesia dalla metrica sbagliata, incomprensibile, disgustosa eppure perfetta.
    Quella sensazione nera e viscida continuò a strisciare dentro Vares. Parola dopo parola si apriva una strada dentro di lui. Vares era terrorizzato, timido e tremante come un bambino di fronte all'enormità della conoscenza che si apriva nella sua mente.


    Il buio.

    Vide Carcosa, frammenti di ere passate, di guerre e massacri, di volti preganti e stelle morenti;
    Vide il buio inghiottire il sole, gli incubi emergere nella notte, e sopra ogni sillaba, implacabile, percepiva l'insondabile assurdità dell'infinità cosmica.
    Era doloroso. Come se qualcuno lo avesse preso a martellate in testa. Il cranio si sarebbe di sicuro frantumato per la pressione. E nonostante questo le parole insistevano a spingersi dentro di lui, una massa opprimente e pulsante che riscriveva i suoi pensieri, i suoi sensi, la sua carne. Ampliandoli e divorandoli.


    Ricorda, il momento in cui ci si rannicchia gli uni accanto agli altri alla ricerca di calore e sicurezza. Quello è il momento di avere paura dell'oscurità.

    cadde in ginocchio. La mente sconvolta da immagini che strisciavano tra i suoi pensieri rivelandogli per un terribile istante la vuota verità sul suo destino e su quello di un mondo di cui non serbava memoria, ma a cui sentiva appartenere una parte di se.

    Nel momento in cui Vares si arrese alla follia del vuoto cosmico la sua purificazione fu completa.
    La mente e il corpo plasmati compresero la verità:
    Le parole avevano la stessa natura di Carcosa, oppure erano l'anima della città stessa che riversava in lui la propria conoscenza attraverso il potere del suo padrone.

    Con nuova consapevolezza si riscosse dal quel tunnel di incubi. Il suo signore era di fronte a lui e gli parlò. Il solo sentire le sue parole lo riempì di delizia.


    «Mio signore, non so dirle quanto il trovarmi al vostro cospetto, riempia di gioia la mia anima nera.»

    Mise le mani a terra e poggiò la fronte contro il terreno in segno di umiltà.

    «Permetta a questo umile viandante di presentarsi in maniera confacente al suo ruolo da servitore.»

    «Il mio nome è Vares. Ho perso la via, nel buio.»

    Timidamente, sollevò lo sguardo verso il suo signore, il Re, maestro rivelatore di blasfeme verità.

    «Il mio nome appartiene a voi, mostratemi la via.»
     
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    { Carcosa }
    Vares

    A Carcosa le menti non si sgretolavano con traumi improvvisi, bensì mediante la graduale e costante erosione del raziocinio e di ogni senso di appartenenza. Chi approdava nella Città del Tramonto Eterno perdeva se stesso per riscoprirsi parte dell’unica Corte regale che avesse senso servire – quella di un Re vestito di stracci dorati che dominava una realtà instabile e al tempo stesso definitiva.

    L’Innominabile assistette all’inchino del proprio simulacro e il suo intero dominio parve prostrarsi seguendo l’esempio del nuovo adepto: le rovine aliene collassarono come stelle implose, cedendo il posto ad un baratro sconfinato affacciato su di un vortice tempestoso e incommensurabile. Il discorso telepatico che stava per esondare dalla psiche abissale si sarebbe cristallizzato nel cervello del servitore con termini oltremodo approssimativi per la mole di oscuri presagi di cui era impregnato.

    Esiste un mondo al centro del Gorgo Pandimensionale, una delle innumerevoli dimensioni vassalle da cui il mio Regno riscuote i suoi tributi.

    Il Re era l’unico punto fisso di quella visione turbinante, tanto che Vares avrebbe trovato equilibrio solo nell’orbita del suo signore. Sotto di loro s’intravedeva l’occhio del ciclone e il mondo ivi contenuto, ricettacolo d’infinite possibilità plasmate dalle correnti della Tempesta.

    L’Araldo dell’Abisso si è manifestato in questo semipiano dimensionale e pertanto è nostro dovere onorare la Volontà di cui è latore: il Ciclo Innaturale di cui siamo parte dovrà includere anche la singolarità del Maelstrom e gli autoctoni esseri inferiori non dovranno rallentare il Suo operato.

    D’un tratto al centro del turbine spazio-temporale s’innestò un’abbagliante sagoma nera: si potevano distinguere gradualmente nugoli di sgorbietti scimmieschi che pullulavano disordinatamente intorno al nume attecchito in quelle terre.

    Questi insetti brulicano sopra e sotto la terra, organizzandosi in nidi e sviluppando caste che potrebbero intralciare il Messaggero del Caos. Schiacciarli tutti sarebbe controproducente per il Ciclo, perciò ti ho plasmato anche a loro somiglianza affinché tu possa inserirti nelle loro colonie per sviarli dall’interno.

    La visione si fece più nitida e mostrò vari stralci di quella realtà: organizzazioni comandate da patetiche eminenze grigie, ciurmaglie che millantavano il controllo sui figli degli abissi, e altri microbi leggermente più evoluti rispetto alla moltitudine di amebe informi che prolificavano in quell’ambiente fertile.

    Le vie che puoi percorrere sono molteplici, ma tutte ti condurranno all’unica inesorabile destinazione voluta dal Caos Primigenio.

    Perché se anche qualcuno di quei germi avesse infine intuito l’imminente catastrofe,
    sarebbe stato sempre troppo tardi per porvi rimedio.

     
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    Carcosa Ingresso Vares

    Ogni tassello della tua mente ha ceduto. Sei libero da preconcetti e dalle artificiali convinzioni che gli esseri inferiori hanno tessuto attorno a loro, generazione dopo generazione. Quindi come ti senti? Non è stata forse la scelta migliore quella di arrendersi alla follia?

    Per tutto risposta Vares chiuse gli occhi e lasciò libere le immagini trattenute nella sua mente di sfilare sullo schermo delle sue palpebre.

    Vide una figura, attraverso le acque torbide e oscure dal corpo antropoide, la testa viscida e simile a un polpo. L'essere grande quanto una montagna non si accorge di lui, non ne ha motivo. Attende la fine del principio. E intanto dorme, e sogna.
    Abbassò lo sguardo verso il turbinio di immagini che il suo nuovo padrone voleva vedesse. Erano figure aliene, grezze, disgustose. Eppure in qualche angolo recondito della mente quegli esseri gli risultarono stranamente familiari e una fitta di rimpianto gli morse lo stomaco. Rigettò subito quell'idea, lui non era come loro, non più almeno.

    Vares alzò lo sguardo verso il suo padrone. Indugiò un momento, o cent'anni. Il tempo aveva perso di senso, o meglio, non aveva potere in quel luogo. L'unica verità immutabile di Carcosa era il suo sovrano, tutto il resto era una questione di punti di vista, anche la percezione dello scorrere del tempo.


    «Oh. Si, signore. Certo, signore. E posso dirvi quanto essere scelto per questo arduo compito illumini la mia vuota e squallida esistenza. Solo che...»

    Serrò le labbra, poi aggiunse:

    «Signore, temo di avere qualche problema logico riguardo al ruolo svolto dalla mia persona in queste monellerie.»

    Vares abbassò lo sguardo verso l'occhio del ciclone di immagini oniriche creato dal suo padrone. Quelle creature, i loro modi, le loro ambizioni gli risultavano del tutto incomprensibili. Studiarle a fondo, carpirne i segreti e i punti deboli, c'era così tanto lavoro da fare, così tante vite da rovinare.

    «Non che abbia intenzione di disubbidire, più che altro ritengo pericoloso lasciare queste potenziali minacce libere come l'aria. Occorre prendere precauzioni con queste scimmie ribelli o se non altro individuare il momento migliore per squartarle...»

    Fece un leggero inchino, le mani congiunte dove non molto tempo prima stava il cuore.

    «Estirperò queste erbacce cattive con la stessa perizia con cui il boia separa le teste dei condannati dal collo.»

    Lo avrebbe fatto, avrebbe osservato, studiato, appreso, ogni astruso aspetto della loro miserrima esistenza sarebbe stato decrittato, violato e distrutto per la gloria di Carcosa e del suo Signore.

    «Senza ulteriori digressioni vorrei andare diritto al cuore della spinosa questione di certi nidi di scarafaggi che dovrei contribuire a estirpare, perdonate questo servitore lento di comprendonio, ma mi occorrono ulteriori informazioni per poter svolgere al meglio la mia opera di disinfestazione.»



    "Guardate ancora quel puntino. È qui. È casa. Siamo noi. Su di esso, tutti quelli che amate, tutti quelli di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L'insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di presuntuose religioni, ideologie e dottrine economiche, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e suddito... Ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì su un granello di polvere sospeso dentro ad un raggio di sole."

    Carl Sagan.
     
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    { Carcosa }
    Vares

    Il suo adepto era smanioso di sradicare la gramigna germogliata nell’eden tanto agognato da chi possedeva il lignaggio degli eoni. Il Re apprezzò la sua brama di adempiere all’Antico Volere, perciò iniettò nella sua fragile corteccia cerebrale tutte le nozioni di cui necessitava.

    Questo mondo chiamato Endlos è diviso in Presidi, ciascuno dotato di un nido principale dove falsi regnanti si susseguono per sovrintendere il fazzoletto di terra concesso loro dal dio fasullo noto come Lord Aeon.

    Mostrò a Vares l’alternanza di casate, dittature, anarchie e reggenze in ciascun Presidio, susseguitesi nei secoli per tentare d’imbrigliare una dimensione soggetta ai capricci del Maelstrom e pertanto fuori dalla portata di creature tanto primitive.

    L’Araldo dell’Abisso si sta occupando di quattro insetti in particolare che ebbero la tracotanza di ergersi contro di lui, tuttavia permangono altre nullità che presto oseranno opporsi al Ciclo Innaturale – cercale tra le onde del mare e sotto le dune del deserto: le riconoscerai poiché brandiscono impunemente poteri che appartengono alla sola progenie del Caos.

    A quel punto l’Innominabile squarciò il tessuto dello spazio,
    creando un varco di collegamento col semipiano.

    Ora procedi, mio simulacro: i miei Glifi guideranno i tuoi passi. Un giorno potrai far ritorno nel mio Regno, quando all’estremo orizzonte riconoscerai il mio crepuscolo.

    E quando l’eterno tramonto binario di Carcosa sarebbe riemerso dal Void,
    il Re avrebbe infine riscosso il suo tributo di terrore.

     
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    Carcosa Ingresso Vares


    Vares lasciò che le parole del suo padrone confluissero nella sua mente, aprendogli la strada verso la sua missione futura. Se avesse voluto dare una definizione di ciò che stava accadendo, avrebbe potuto considerare tutto ciò che aveva vissuto dal suo arrivo a Carcosa come un incubo. Forse era così, forse si sarebbe risvegliato nel suo letto, avrebbe aperto gli occhi e avrebbe scoperto che la sua vita non era finita in un cesso cosmico. Tutto quello che era successo avrebbe perso di significato, sarebbero diventati ricordi e i ricordi per nostra fortuna sbiadiscono, si confondono.
    No, quello non era un incubo. Non uno da cui si si potesse semplicemente svegliare.


    In fondo Vares, è la forza che fa muovere i nostri passi a definirci. A conferire significato al suo involucro. Senza una forza a muoverci, a guidarci la nostra esistenza sarebbe priva di senso. Come l'acqua per le pale di una centrale elettrica, o l'anima per i vostri contenitori di ossa e carne, come amate definirla voi esseri inferiori.

    Ora Vares aveva uno scopo, lo scopo era l'obbiettivo concettuale che la forza plasmatrice del suo padrone aveva utilizzato per dargli una forma concreta e regalare un senso alla sua esistenza. Vares barcollò, colpito dalle ripercussioni concettuali di ciò che la voce gli aveva rivelato.
    Si chiese cosa ne fosse stato della sua anima, ma con ogni probabilità era diventata proprietà del suo padrone, un inutile orpello dal cui peso, nella sua immensa magnanimità, il Re in Giallo lo aveva liberato.
    Soprattutto si chiese cosa fosse una centrale elettrica.
    Sbatté le palpebre e diresse lo sguardo verso lo squarcio spazio temporale creato dal suo padrone. La sua missione lo attendeva, aveva indugiato anche troppo. Si diresse verso l'esterno, verso Endlos.


    «Farò del mio meglio per non deluderla mio signore e per poter tornare a Carcosa il prima possibile.»

    Detto questo si lanciò nel varco.



    Le cose reali nel buio non sembrano più reali dei sogni.
    (Murasaki Shikibu)
     
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