[EM] Awakening

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    Si alzò il vento e la sabbia rossa venne sollevata dal suolo in una nuvola scura, rivelando un corpo. Gli avvoltoi iniziarono a girare intorno ad esso, quand'egli si riprese dallo stato di torpore che l'aveva colto. Aprì prima gli occhi, rivelando uno sguardo spento e confuso; poi mosse le braccia tastando il terreno e annaspando per l'aria, la barba nera e incolta, sporca di sabbia e terriccio, i capelli spettinati e ispidi, gli abiti da viaggio consunti e rossicci. Si mise in ginocchio. Aprì le mani, le osservò per bene: erano ricoperte di calli, tipici di chi aveva lavorato duro... o impugnato un'arma per molti anni.
    «Dove sono?» La sua voce, un sussurro. Poi un gemito. E infine, un urlo: «Dove sono?!»
    L'unica risposta venne dal vento sibilante e impetuoso, reso più ardito da un clima beffardo dei bisogni degli uomini. La figura solitaria chinò lo sguardo, e ciò che vide lo fece impallidire. Poco di fronte a lui, nella sabbia, qualcosa riluceva, una luce rossiccia e inquietante, ma che per qualche strano motivo pareva attrarlo come il sussurro di un amante. Le braccia si distesero, le mani iniziarono a smuovere la sabbia, a scavare nella terra per liberare la fonte dell'opalescenza e del desiderio irresistibile.
    Fuoco. Sangue. Salvezza.
    Immagini strane e inspiegabili si formarono nella sua mente, finanche le unghie sporche e rovinate cozzarono su una superficie metallica. L'uomo, quasi febbricitante, afferrò l'elsa di una spada nera come il peccato, elegante , finemente decorata e di qualità superiore ad una lama qualsiasi. E poi iniziarono le voci, i sussurri leggeri e indistinti.
    «Il mio nome... il mio nome... Non ricordo...»
    La risposta dell'uomo fu debole, ma il suo sguardo si era fatto infuocato, attento, stranamente lucido. Spada in pugno, si mise finalmente in piedi e barcollò in avanti, reggendo la pesante spada nera con la destra, la punta che solcava il terreno lasciando una scia nella sabbia. Per il momento la sua meta era l'entroterra di Daleli. Non conosceva la regione, non era mai stato in quel luogo, non sapeva nemmeno dove si trovava, ma era come se nella sua testa si fosse formata la visione di un'antica civiltà, un tempo florida e prospera, in netto contrasto con quell'ambiente desolato e vecchio. Intanto la gemma incastonata nell'arma pulsava come il battito di un cuore.
    «La... la troverò...»




    Edited by Elsarin - 20/9/2019, 14:56
     
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    pov - ???

    Una figura possente avanzava a passi pesanti, calpestando le sterpaglie noncurante delle spine e degli scorpioni che potevano annidarsi nei roveti: se anche qualche creaturina della steppa avesse tentato di pizzicarlo, nessun pungiglione avrebbe superato la scorza simil-rocciosa del suo corpo. Le gambe tozze come tronchi ne sostenevano l’andatura poderosa, mentre le quattro braccia di cui era dotato armeggiavano distrattamente con vari utensili – perlopiù martelli, tenaglie, scalpelli e punteruoli.

    Ad un certo punto sollevò gli occhialoni da saldatore calati sul muso, così da poter aguzzare la vista strizzando i suoi quattro occhi arancioni. Spostò addirittura la pipa appesa alle sue fauci per non essere intralciato dal fumo del tabacco mentre scrutava il panorama in cerca di un elemento fuori posto. Notò effettivamente qualcosa d’inusuale, ma non si trattava del motivo della sua scampagnata nella steppa, bensì di un viandante che si stava trascinando attraverso la desolazione delle rovine.

    « Per tutti gli architetti dell’inferno! »

    Esclamò col suo vocione ruvido, poi si precipitò dal vagabondo pericolosamente armato. Dopo aver squadrato la lama sinistra che stava sfregiando il terreno al suo passaggio, lo pseudo-golem si rivolse al suo incauto impugnatore.

    « Ohé, 'ndo l’hai trovata quella?! »

    Il colosso era talmente sbigottito
    che aveva smesso di fumare dalla pipa.

     
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    Camminava lento ma imperterrito lungo un sentiero che solo lui poteva vedere, una strada ampia e decorata da lunghe aiuole alberate. Le latifoglie argentate presidiavano la via da ambo i lati e accompagnavano viaggiatori e cittadini lungo il percorso verso la grande città. Una luce rossa guidava i suoi passi fra le nuvole di polvere e sabbia, trascinandolo sempre più in profondità, sempre più verso quella primeva illusione. Ma una figura nuova, reale, concreta, si palesò di fronte all'ignaro naufrago, il quale strinse con forza l'elsa della spada.
    «...»
    Sollevò gli occhi sul mostruoso essere dai molteplici arti, la spada nera stretta nel pugno, e non interruppe il suo incedere finché non fu abbastanza vicino da poter sussurrare qualcosa e sperare d'essere udito.
    «Dov'è?»
    La sua voce era così fievole che a malapena il vento non la sovrastava. Ancora una volta la domanda venne posta, in tono stavolta più autoritario e aggressivo:
    «Dov'è?!»
    La mancina si unì alla destra sull'impugnatura della lunga spada, che emise una specie di inquietante ronzio. Nella mente del viandante dei mondi, si sovrapposero immagini di una città luminosa, grande, magnifica, circondata da campagne, campi coltivati, caserme, praterie, foreste, campi di caccia, stagni e fiumi. La domanda della creatura servì ad aprire gli occhi del portatore della lama, il quale si accorse, improvvisamente, di reggerla con forza tale da farsi sanguinare le nocche.
    «Non... non lo so. Non so dove sono... Che posto è questo?»
    Ma nonostante tutto non smise di pugnare quell'arma scura come la notte, né di provocarsi dolore. Qualcosa gli suggeriva di lasciarsi andare completamente, ma lui sapeva che il dolore lo avrebbe aiutato a restare cosciente. A restare vivo.
    «Voi cosa.... cosa diavolo siete?»


     
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    pov - Karzew

    Il colosso incrociò le braccia più grosse e si grattò dietro un orecchio appuntito con una delle manine minori, dotate di quattro dita. Aveva buscato un bel grattacapo tra quei ruderi dimenticati da Aeon!

    « Vacce piano, n’è mica un punteruolo! »

    Gesticolò in modo cauto non appena notò che l’altro pareva sul punto di compiere qualche gesto inconsulto. Fortunatamente non cominciò a mulinare all’impazzata la lama, bensì si limitò a stritolarla in pugno fino a sbucciarsi le mani.

    « Stai a Daleli e stai pure attufato se me vedi doppio! Io so’ uno solo, chiamame Karzew. »

    Rispose alle domande con parecchia ingenuità, interpretando letteralmente il plurale maiestatis con cui l’altro lo aveva interpellato.

    « Se nun molli la presa schiopperai presto, cazzabubbolo. »

    Ciò che invece capì al volo fu la nocività di un prolungato contatto
    con quella leggendaria spada maledetta.

     
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    «Sì... lo so che non è un punteruolo... so cos'è una spada.»
    La mente era annebbiata ma era pur sempre un guerriero, uno che aveva combattuto molte battaglie, o così gli pareva di ricordare. Anche i ricordi, in effetti, erano confusi. Qualcosa si infiltrava nella sua mente, modificando ciò che vedeva. "Daleli", quel luogo era differente da come lo ricordava - o era la spada a ricordare?
    «Dove sono i giardini? I fiumi, i campi...»
    Si guardò intorno, confuso, memorie non proprie che emergevano secondo dopo secondo. E avanzò verso il gigantesco quadrumane, uno sguardo che implorava, quasi, di essere ascoltato.
    «Karzew... dov'è la città? La grande città? Lei... lei vuole saperlo!»
    Si portò la mano libera alla testa e cadde in ginocchio, provando una strana fitta alle gambe. Non poteva, non voleva mollare la presa. Le altrui parole vennero perciò ignorate. Ma invece conficcò la lama nel terreno e si diede la spinta per riportarsi in piedi, il mantello che svolazzava come una bandiera al sollevarsi della brezza, sporco di polvere e terra e sabbia.
    «In che anno siamo?»
    La domanda sembrò una supplica sofferente, perché dalla risposta avrebbe forse capito molte cose.
    «E questa Daleli dove si trova? Siamo nei pressi del deserto di Harakir?»
    Non aveva capito, ancora, che si trovava in un mondo differente dal suo... ma forse quell'informazione sarebbe stata acquisita continuando a parlare con Karzew.
     
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    pov - Karzew

    Per quanto l’interlocutore stesse delirando, il gigante continuò a prenderlo sul serio, rispondendo ad ogni suo dubbio anche mentre all’omino cedevano le gambe e le sue suppliche sofferenti stridevano fra i denti.

    « Se cerchi ‘na città, Merovish sta sottoterra, ma nun t’aspettà l’aiole! »

    In effetti le aree verdi scarseggiavano nella Tana e le poche piante presenti di solito erano poco raccomandabili: un’amaca tesa fra una pianta carnivora mutante e un fungo zombificatore era un pessimo giaciglio per una pennichella!

    « L’anno me sa ch’è il centoqualcosesimo dell’Estate… nun so’ bono coi numeri, scusame. »

    Non a caso giù in bottega non era lui ad occuparsi di preventivi e conti,
    altrimenti avrebbe chiuso la baracca prima ancora di aprirla.

    « Daleli st’appresso al deserto dello Yuzrab, l’harakiri lo fanno a Ovest e so’ sicuro che n’è mica un deserto! »

    Come faceva uno come lui a conoscere la tradizione del seppuku
    in voga tra i samurai occidentali? Forse sarà una storia per un’altra volta.

    « Quella n’è ‘na spada normale, fidate che ne capisco: ho fatto er fodero pe’ una simile e nun stava n’attimo bona! »

    Probabilmente però quest’ultimo dettaglio
    non avrebbe dovuto sbandierarlo ai quattro venti.

     
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    «Merovish.»
    Il commento venne quasi sputato dall'uomo, i cui occhi si chiusero per lunghi istanti. Momenti di incertezza sul suo volto, mentre una comunicazione silenziosa era in atto. Le immagini di luoghi lussureggianti sbiadirono, lasciando il posto a un deserto di rovine spazzate dal vento. Ci fu un momento di profonda tristezza nel cuore del portatore della spada, e i suoi occhi si velarono di lacrime. Lacrime non sue.
    «Non cercavo Mervish ma... qualcosa di più vecchio. Qualcosa di antico.»
    Qualcosa che non esisteva più da molto tempo. L'uomo sollevò lo sguardo verso la creatura e digrignò i denti come se fosse un cane con la rabbia.
    «Io... non posso lasciarla. Lei... mi appartiene. Ma... forse potete fabbricare un altro fodero? Un fodero, sì, per proteggerla. Non voglio che si sporchi.»
    Non si rendeva conto di essere lui, ormai, ad appartenere a lei.
    «Un fodero e... cibo. Acqua. Ho molta sete. Vi prego, datemi da bere.»
    Un commento che veniva dal suo cuore e non una pulsione della spada, sussurrato in un attimo di lucidità.
    «Io non ho soldi ma... sono forte, posso lavorare. Datemi qualcosa da fare e vi saprò ricambiare il favore. Io... non so dove sono e non ho dove andare... aiutatemi...»

     
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    pov - Karzew

    Sembrava quasi che il girovago avesse smarrito una patria tra quei ruderi: una rimembranza di un millennio prima, quando la Tana non era ancora un rifugio sotterraneo ma soltanto il nido di creature ben più ancestrali.

    « Acqua te ne posso da’. Tiè, bevi. »

    Il colosso porse cautamente una borraccia al viandante disidratato.

    « N’altro fodero speciale me piglia ‘na fracca de tempo. Nun pe’ vantarme, ma so’ pagato bene e nun ce sta lavoro che puoi fa’ in cambio. A meno che… »

    Si fermò un momento a riflettere,
    spremendosi le meningi pietrose tra le dita tozze.

    « Senti, ce sta ‘l posto ‘ndo rappresento er Distretto della mia fucina. Sta a Yasul, lontano da qui, e là se arruolano guerrieri. Se non schioppi prima d’arrivà, potremmo trovà n’accordo. »

    Dopotutto ormai aveva troppe responsabilità per poter forgiare qualcosa a tempo perso: da quando era stato nominato Pasha del Distretto delle Ceneri e successivamente Emiro, la sua incudine era stata monopolizzata indefinitamente dalle commesse per gli Emirati Meridionali – perciò solo l’ingresso ufficiale nell’organizzazione poteva giustificare la realizzazione di una guaina per la spada.

     
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    Afferrò la borraccia con fare pienod i bramosia, portandola alle labbra, secche e disidratate, e bevendo avidamente. Quando ebbe finito, restituì la borraccia vuota al suo proprietario, ringraziando con un caloroso «Grazie di cuore!» che proruppe dalla sua bocca con rinnovata energia. La luce di follia nei suoi occhi sembrava essersi attenuata, e ora il guerriero aveva qualche attimo di lucidità.
    «Mi chiamo Arthur» disse, sapendo di non essersi ancora presentato. «Ma non ricordo molto altro.»
    Sollevò la spada e la osservò con attenzione. Uno strano potere emanava da essa, e sentiva che mai avrebbe dovuto lasciarla, perché ne andava della sua vita. Quell'oggetto era fondamentale, per qualche misterioso motivo.
    «Noi andremo... volevo dire... io andrò a Yasul. Potete offrirmi un po' di cibo, e indicazioni per raggiungerla?»
    Per un attimo aveva avuto come l'impressione di non essere solo, e che una presenza fosse al suo seguito.
    «Ho bisogno di quel fodero, quindi farò quanto mi avete chiesto.»
    Si sarebbe arruolato - che altro poteva fare per sopravvivere? Lui era un guerriero, dopotutto. E poi la vita avrebbe deciso cosa fare di lui.

     
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