[H] Custodial Interrogation

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    Con la mente un po' annebbiata, ma sicuramente più in forze dopo il sonno ristoratore a cui sei stato tuo malgrado costretto, apri gli occhi su un soffitto di pietra: sei al chiuso, questo è evidente, e l'odore dell'umidità che si unisce a quello della legna arsa ti aiuta anche a capire che ti trovi ancora sottoterra.

    In una prigione, puoi concludere, mentre i tuoi occhi convergono sulla più vicina fonte di luce nei paraggi, trovandola in una torcia appesa alla parete opposta a quella contro cui sei appoggiato, al di là della tipica grata di ferro.

    jpg

    Certo, tolta l'umidità e il suo aspetto spoglio, l'ambiente è spazioso e pulita, sotto di te senti il soffice spessore di un pagliericcio che ha ancora l'odore dei campi fioriti e il calore di una spessa coperta, e a metà strada tra il tuo giaciglio e le sbarre scorgi un vaso pieno d'acqua e un vassoio con pane e un'abbondante scodella di stufato, ma.... sei pur sempre in gabbia.

    Prima ancora di averne conferma guardandoti meglio attorno, il silenzio un po' desolante ti fa notare che sei solo: nessuna traccia del Bardo che ti ha accompagnato ed incoraggiato nella difficile risalita... ma ben presto quel vuoto viene riempito dall'eco di alcune parole, non appena una sagoma scura -resa indistinta dal mantello- compare nel vano della tua stanza, posizionandosi sotto la fiamma.

    « Non hai subito danni nel corso della cattura,
    perciò assumo che dovresti poter sostenere una conversazione... »

    proferisce una voce maschile che riconosci come quella dell'uomo che ti ha atterrato
    « ...sempre che tu sia in grado di parlare. Riesci a capirmi, Troll?
    Sai dirmi chi sei e come sei arrivato qui? »

     
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    Era in gabbia, ancora una volta. In questo caso non si trattava di un modo di dire: al posto dell’ennesima copia della Grande Dama c’erano delle sbarre e la luce barcollante di alcune torce. Si risvegliò con il naso saturo dell’odore dell’acqua che, facendosi largo tra le pareti piazzate dagli uomini, divora l’aria e la rende stantia. Si sentiva riposato. Matthew, Svetlano, i vermi nerastri, la raccapricciante conclusione di quell’avventura – tutto sembrava raccolto in un ricordo remoto. Tastò il petto in cerca del ciondolo che lo aveva guidato fin lì ma, come temeva, non c'era più. Mugugnò qualcosa. L’avrebbe mai più ritrovato? Forse. O forse gli era stato dato proprio per quello scopo, e ora il suo significato era scomparso portandosi via tutto il resto.

    Si mise a sedere su quel cumulo di paglia. Questo risveglio era stato diverso rispetto al precedente, ma ancora non sapeva se tutto (o almeno qualcosa) era cambiato per il meglio. Quella superficie non era fredda e la prigione era di sicuro un luogo frequentato; poteva allungarsi e alzarsi in piedi senza sbattere contro i muri, quindi la stanza era abbastanza grande. Vicino a lui c’era anche del cibo. Non aveva pensato a mangiare, fino a quel momento; la vista di quel pane e l’odore dello stufato risvegliarono l’appetito del troll. Agguantò il vassoio con una mano e, per prima cosa, si scolò fino all’ultima goccia d’acqua contenuta nel vaso. Poi, proprio mentre agguantava la pagnotta, si fece avanti qualcuno, avvolto in un mantello.

    Makor-Erenai lo ascoltò e, nella sua testa, alcune cose si fecero più chiare. Era lui che l’aveva arrestato e trascinato in gabbia dopo averlo attaccato alle spalle. Ricordava che aveva parlato di “Silenzio”, ma ignorava a cosa si riferisse. Considerato però quali mostri sembravano abitare le copie della grande città, poteva capire la diffidenza – ammesso e non concesso che quell’uomo si trovasse dalla sua stessa parte. Di una cosa lo sciamano era certo: nelle sue parole c’era la stessa arroganza che, anni prima, gli aveva fatto odiare gli uomini. Alzò gli occhi, in cerca di uno sguardo da incrociare in mezzo all’ombra. Non rispose subito: addentò un pezzo di pane, prima. Lo masticò lentamente. Si pulì la bocca con la mano verdastra.

    Makor-Erenai è il nome di questo troll”, rispose, dopo una lunga attesa, “uomo.
    Prese in mano il cucchiaio per la scodella. La dimensione di quegli oggettini lo faceva sorridere. Mandò giù due o tre boccate di stufato, senza abbuffarsi. Sembrava quasi ostentare una sorta di educazione, per quanto approssimativa. Ci teneva a sottolineare che non era una bestia e che non voleva, di conseguenza, essere trattato come tale.

    I cittadini di Kisnoth mi trattavano con rispetto, una volta. Non so quanto tempo sia passato da allora. Quando ci fu l’attacco provai a difenderli come potevo, ma quelle cose hanno avuto la meglio. Mi sono risvegliato in un’altra città – no, la stessa, ma diversa. Ho lottato, assieme a quel bardo, quello che avete trovato con me. I palazzi si ripetevano, era tutto confuso. Poi siete arrivati voi.
     
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    Ostentando una certa calma, e trasmettendo all'osservatore un primo e apprezzabile segno di raziocinio, il Troll si mise a sedere sul proprio pagliericcio, acchiappando poi il vassoio lasciato a sua disposizione non appena se ne avvide, e vuotandosi in gola la brocca d'acqua con avidità - ed evidente arsura.

    Quando la figura in piedi nel corridoio -al di là delle robuste sbarre, immobile come una statua di pietra- gli rivolse la parola, la creatura levò il capo dal desco per cercare lo sguardo del suo interlocutore, e questi si limitò a muovere un passo in avanti per offrirsi alla luce delle torce, rivelando il volto di un giovane umano in armatura, alto e slanciato, e dai corti capelli chiarissimi, su cui netti chiaroscuri danzavano ad ogni guizzo delle fiamme.

    La sua espressione -algida quanto il suo aspetto- non trasmetteva sdegno né ostilità, quanto più il distacco insondabile di un imperturbabile specchio d'acqua, e fu con quella calma che le sue iridi verde-mare sostennero senza batter ciglio gli occhi e il silenzio del prigioniero.


    Makor-Erenai è il nome di questo troll... uomo.

    Facendo passare qualche istante tra la replica e quell'ultima parola, caricando la pausa con il chiaro intento di sottolineare quanto poco doveva aver gradito l'appellativo in precedenza usato al suo indirizzo, il Troll si prese il suo tempo, dedicando le proprie attenzioni prima al pane e poi alla scodella di stufato, degustandolo senza fretta... e il Cavaliere lo lasciò fare senza alcuna particolare emozione.

    I cittadini di Kisnoth mi trattavano con rispetto, una volta. Non so quanto tempo sia passato da allora.

    Quell'esordio piegò un sopracciglio dell'Albino in un cipiglio vagamente perplesso: non tanto perché la cosa gli suonasse improbabile, quanto per il fatto che quella storia sembrava solleticare qualche vago ricordo nella sua mente; stabilirsi in metropoli umane -specie se grandi e caotiche come la Capitale del Pentauron- non era cosa molto comune per i Troll, ma...

    Quando ci fu l’attacco provai a difenderli come potevo, ma quelle cose hanno avuto la meglio.
    Mi sono risvegliato in un’altra città – no, la stessa, ma diversa.


    Gli pareva di rammentare che ad uno di loro fosse stata accordata l'onorificenza di Protettore della Dama per aver contribuito alla difesa della città in una qualche crisi di alcuni anni prima; certo, però, restava ancora da vedersi se quello che aveva davanti fosse effettivamente la stessa persona, e non piuttosto uno scaltro impostore ben edotto della storia locale.

    Un pensiero malfidato -che alcuni avrebbero persino potuto definire paranoico-, ma di quei tempi la prudenza non era mai troppa, e così, preferendo evitare di suggerire all'altro delle risposte, l'Albino rimase in paziente ascolto.


    Ho lottato, assieme a quel bardo, quello che avete trovato con me.
    I palazzi si ripetevano, era tutto confuso. Poi siete arrivati voi.


    « Il mio nome è Lancelot DuLac, Cavaliere della Guardia Indaco al servizio dell'Alfiere Orientale, e Sentinella dell'Ordine del Silenzio. »
    esordì con voce quieta e posata il giovane, ricambiando la presentazione
    « Sarebbe buona norma affermare che sia un piacere fare la vostra conoscenza, ma non sono ancora sicuro che possa essere così. »

    jpgPer quanto sarebbe facilmente suonata antipatica, quell'ultima precisazione era quanto mai onesta, e dimostrando tanto una conoscenza (almeno teorica) delle buone maniere, quanto uno spiccato pragmatismo, il giovane umano gli stava semplicemente comunicando di non aver ancora maturato un giudizio su quella situazione.

    « Voi e il Bardo vi siete introdotti in una struttura privata e protetta da segreto militare, e per questo siete stati tratti in arresto: state dicendo di non sapere come ciò sia accaduto? »
    pallido ed immobile come marmo, il Cavaliere iniziò ad intavolare il discorso
    « In seguito all'attacco dell'anno scorso, Kisnoth è oggi una città fantasma; di conseguenza, non ci sono più cittadini in grado di garantire per voi, e con l'inasprimento della sicurezza rilasciarvi sulla parola è fuori discussione: dovrete spiegarmi come siete arrivato qui - e dovrete essere chiaro e convincente. »

     
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    Smise di colpo di mangiare. Deglutì con fatica l’ultimo boccone: era diventato amaro e gli lasciò in bocca un sapore di carne avariata. Alzò gli occhi verdastri e stanchi, puntandoli verso il volto del giovane che gli aveva appena detto che Kisnoth – non una delle sue infinite copie, bensì quella in superficie – aveva detto addio ai suoi cittadini. Le parole che seguirono rimbombarono nella sua mente, come un grido nell’acqua; ci mise più di un istante a tornare lì, in quella cella, in quell’istante presente. Davvero era quella la reale portata della sconfitta? Era la conferma di un sospetto terribile, un pensiero fin lì scacciato con forza ma che ora tornava e reclamava quanto gli spettava di diritto.
    Ascoltò con attenzione. Ci mise un attimo per trovare le parole per rispondere, oltre alla forza d’animo necessaria per farle uscire. Mormorò qualcosa di incomprensibile, prima. Un grugnito profondo, rauco, come rivolto a qualcuno o qualcosa che non era più lì e parlava una lingua dimenticata da tutti.
    Città… fantasma?”, disse Makor-Erenai, in tono grave. “Se è così che è, anche io sono un fantasma.
    Quello che diceva non sembrava avere perfettamente senso, e il suo spirito era troppo inquieto per garantirgli la concentrazione necessaria a esprimersi in una forma corretta. Per un attimo si sentì stupido: il confronto con quel giovanotto ben istruito era inclemente. Ricacciò dentro di sé questi pensieri inutili e proseguì, dopo un sospiro profondo.
    Quello che voglio dire è che io ero lì, quando cominciò l’attacco alla città. Ricordo urla, carri, creature strane e spiriti impazziti. Ho combattuto… non così a lungo come volevo, contro due di loro. Una donna con una frusta – Ozma, si chiamava, o almeno credo. Assieme a lei c’era un ragazzino…
    Matthew. Il suo nome era Matthew e voleva dimenticarlo.
    ...un pazzo. Pazzi entrambi. Io ho spaccato la sua testa ma non è servito. Mi hanno fatto prigioniero, poi quello più giovane mi ha portato da una parte e mi ha ferito a morte. Sì, a morte. Non so spiegare come io ho aperto gli occhi di nuovo, ma grazie a te posso dire che è passato un annetto. Mi sono ritrovato in una specie di tempio, in una Kisnoth diversa, disabitata.
    Ho ritrovato quel tale, Matthew, ma non ho subito capito di chi si trattava – ma neanche lui, per fortuna. Siamo scappati insieme da lì. Abbiamo trovato il bardo, attraversato altre città in rovina, popolate da vermi che inseguivano il calore e lo mangiavano, come una piatto di carne gustosa. Abbiamo combattuto con Matthew, quando ci siamo ricordati del nostro primo incontro. Poi ce lo siamo lasciato alle spalle e abbiamo trovato voi.
    A indicarmi la strada c’era un ciondolo che un vecchio compagno, Gabriev, mi aveva regalato. Purtroppo la collana si è spezzata, ed è rimasto là sotto. Questo è tutto quello che posso raccontarti: il resto, anche per me, è troppo confuso e non ci capisco quasi nulla.
     
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    La reazione del Troll alle parole del Cavaliere fu di puro sconcerto, e per un istante i suoi occhi si fecero distanti, desolati e profondamente stanchi... emozioni che raccontavano il suo turbamento per l'infausta fine che i cittadini di Kisnoth avevano incontrato nel corso del più scellerato a sfrontato atto di sfida che fosse mai stato portato al Semipiano da parte di invasori esterni.

    Lancelot udì il prigioniero pronunciare qualcosa in una lingua a lui ignota, e il timbro rauco e profondo gli fece supporre che potesse trattarsi di una sorta di preghiera per i defunti o di una qualche maledizione per i colpevoli; in ogni caso, escluse a priori potesse trattarsi di un antico sortilegio a suo danno - anche perché, in quel caso, le protezioni di cui era rivestito avrebbero rilevato qualcosa, invece di rimanere inerti.

    Così lo lasciò fare liberamente, concedendogli il tempo che gli era necessario senza inquisirlo o pressarlo: al Cigno di Shea servivano risposte sull'accaduto, ma più di ogni altra cosa aveva bisogno di comprendere l'indole di quella creatura per valutare se sarebbe stato pericoloso o meno rimetterla in libertà. E ogni azione ed interazione gli stava certamente fornendo materiale valido allo scopo.


    Città… fantasma? Se è così che è, anche io sono un fantasma.
    mormorò in tono grave l'interlocutore, cominciando il proprio racconto
    Quello che voglio dire è che io ero lì, quando cominciò l’attacco alla città. Ricordo urla, carri, creature strane e spiriti impazziti. Ho combattuto… non così a lungo come volevo, contro due di loro. Una donna con una frusta – Ozma, si chiamava, o almeno credo.

    Sebbene nessuna emozione increspò l'espressione serafica dell'Albino, placida come la superficie della laguna in cui era nato e cresciuto, quelle parole lo colpirono in profondità: non solo per il sincero cordoglio che percepì dietro alla loro stoica compostezza... ma perché, in qualità di comandante di una delle armate che avevano varcato le mura della città quel giorno, accorrendo in soccorso della Grande Dama, Lencelot DuLac aveva affrontato anche lui in prima linea quella schiera di mostri. E Ozma la Domatrice, uno degli abomini del Circus Diabolique, era stata sua avversaria per le strade di Kisnoth.

    Assieme a lei c’era un ragazzino... un pazzo. Pazzi entrambi.
    Io ho spaccato la sua testa ma non è servito.


    Da sopravvissuto alla Notte di Orrori e da agente attivo della élite votatasi alla ricerca dei colpevoli di quei fatti-, il Cavaliere aveva studiato a fondo tutte le informazioni che gli altri scampati a quell'inferno erano stati in grado di mettere assieme... ed era emerso che alcuni tratti comuni definivano le anomale creature classificate come "Circensi": la loro immortalità, e la fin troppo rapida capacità di rigenerarsi dalla poltiglia nera che componeva i loro corpi trasmutati da chissà quale patto demoniaco erano certamente due delle peculiarità più evidenti. E più perniciose.

    Mi hanno fatto prigioniero, poi quello più giovane mi ha portato da una parte e mi ha ferito a morte. Sì, a morte. Non so spiegare come io ho aperto gli occhi di nuovo, ma grazie a te posso dire che è passato un annetto. Mi sono ritrovato in una specie di tempio, in una Kisnoth diversa, disabitata.

    Per quanto strana suonasse quella faccenda, incantesimi di resurrezione non erano insoliti sul mondo di Endlos: la sua beneamata sovrana, la Regina dell'Est, possedeva la forza e la benevolenza per realizzare un tale miracolo, e lui stesso l'aveva visto compiersi più di una volta; certo, anche la Necromanzia era un'arte in grado di scimmiottare gli effetti di quella sacra magia, ma l'aspetto del Troll, e la lucidità con cui era in grado di comportarsi ed esprimersi non collimava con nessuna delle condizioni a lui note in cui le vittime di quei sortilegi blasfemi erano costretti a trascorrere quel che restava della loro non-vita.

    Era dunque altamente plausibile che qualche entità benigna avesse rapito e custodito il corpo di Makor in qualche posto sicuro e segreto nelle Kisnoth del sottosuolo -le Kisnoth delle leggende- per fargli dono di una nuova vita... una spiegazione avallata dal suo risveglio avvenuto in un tempio, e che trovava forse una solida ragion d'essere nella volontà della stessa Kisnoth di rimettere in sesto il campione che aveva ricevuto tempo addietro l'onorificenza del titolo di suo
    Protettore... probabilmente perché tornasse ancora una volta a combattere in sua difesa.

    Una spiegazione forse un po' troppo romantica, ma... la Capitale dello Stato delle Cento Torri era un luogo denso di mistero, e quella non era certamente la leggenda più astrusa che gli fosse capitato di sentire quando, di tanto in tanto, vi accompagnava suo padre per osservare ed apprendere le dinamiche di affari che aveva poi abbandonato per mettersi al servizio della Dama Azzurra.


    Ho ritrovato quel tale, Matthew, ma non ho subito capito di chi si trattava – ma neanche lui, per fortuna. Siamo scappati insieme da lì. Abbiamo trovato il bardo, attraversato altre città in rovina, popolate da vermi che inseguivano il calore e lo mangiavano, come una piatto di carne gustosa. Abbiamo combattuto con Matthew, quando ci siamo ricordati del nostro primo incontro. Poi ce lo siamo lasciato alle spalle e abbiamo trovato voi.

    Matthew doveva essere il nome del ragazzino di cui aveva fatto accenno prima: a giudicare dal suo associarsi con la Domatrice del Circus Diabolique poteva ipotizzare che fosse forse anche lui uno di quegli abomini... ma prima di saltare a conclusioni, avrebbe dovuto sincerarsene approfondendo la questione. Ma non prima che l'altro avesse finito di parlare.

    A indicarmi la strada c’era un ciondolo che un vecchio compagno, Gabriev, mi aveva regalato. Purtroppo la collana si è spezzata, ed è rimasto là sotto. Questo è tutto quello che posso raccontarti: il resto, anche per me, è troppo confuso e non ci capisco quasi nulla.

    « Gabriev... Disith...? »

    Da bravo nobile primogenito del proprio casato, Lancelot era stato istruito fin dalla tenera età alla conoscenza -tra le altre cose- delle principali famiglie nobili del proprio Presidio, ma per quanto il Pentauron non fosse esattamente una zona di sua stretta pertinenza, non era certamente possibile pensare che la politica dello Stato Centrale gli fosse sconosciuta; dopotutto, solo la casa regnante di Kisnoth -nella persona del suo ultimo discendente noto- aveva l'autorità di insignire i Protettori della Grande Dama.

    Attese una conferma o una correzione in merito alla sua domanda, e lasciò passare qualche istante ancora di quieto silenzio, così da avere il tempo di elaborare le informazioni raccolte e studiare il miglior modo di approcciarsi ad un prigioniero che sembrava genuinamente spaesato o che sapeva mentire così bene da ingannarlo; dopo un istante, il giovane Cavaliere prese così la parola.


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    « A fronte di quello che ho sentito, credo che potrei forse aiutarvi a diradare la vostra confusione; tuttavia, ho bisogno che rispondiate con precisione alle domande che vi farò. »
    esordì l'umano dagli occhi verdi, con il solito modo di fare serafico e algido
    « La donna con la frusta, quella di nome Ozma: sapreste descrivermi che aspetto aveva? La collana spezzata: come era fatta e in che modo vi ha indicato la strada da percorrere? Infine, il ragazzo chiamato Matthew... avete notato in lui delle strane capacità? »

     
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    Sembrò suscitare un certo interesse, in quel ragazzo, il nome di Gabriev, lo straniero che fu compagno di battaglia dello sciamano. Si lasciò scappare un breve commento – poteva trattarsi del nome con cui gli uomini ancora indicavano la loro stirpe. Mugugnò, cercando di far correre la memoria a quei giorni lontani, ma quelle lettere non risuonarono nella sua testa.
    Non so, abbiamo combattuto insieme senza passare troppo tempo a parlare. Era un uomo strano, se davvero era un uomo: ricordo che all’inizio lo scambiai per uno spettro. Poi apparse, con quel mucchio di capelli gialli e gli occhi blu: un damerino... che sapeva il fatto suo.
    Sarebbe stato difficile per lui essere più specifico. Per quanto avesse passato molto tempo assieme agli uomini, non riusciva a dare grande importanza ai nomi. Questo problema l’aveva messo più volte in situazioni imbarazzanti, ma adesso sentiva che molto dipendeva dalla credibilità delle sue parole – in mancanza di un aspetto esteriore in grado di mettere a proprio agio gli esseri umani.

    Il ragazzo gli scaricò addosso altre domande. Il troll si alzò in piedi, Curvando leggermente la testa; era una sorta di riflesso, superfluo in quella situazione dal momento che il soffitto era alto. Un riflesso nato a suon di bernoccoli. Cominciò a passeggiare avanti e indietro per la cella: un passo, un passo e mezzo, giro. Cominciò a gesticolare, lasciando che le mani corressero in suo aiuto mentre cercava le parole adatte per rispondere.
    Ozma… lei era molto, ecco…”, esordì, prima che l’imbarazzo lo bloccasse di nuovo, “scoperta, ecco. Aveva pochi vestiti addosso, neri, dei capelli dello stesso colore, lunghi, e combatteva usando una frusta. Il suo spirito era puro veleno.
    Sulla faccia si disegnò un’espressione di disgusto. Quel ricordo era ancora vivido, nonostante tutto il resto rimanesse sfocato e distorto.
    Il ciondolo invece era ben fatto, comodo da tenere al collo anche per uno come me. Aveva una pietruzza blu – uno zaffiro? – al centro. Se guardavi al suo interno, potevi scorgere dei segni che tracciavano una runa. Per anni ho aspettato che mi annunciasse il ritorno di quel ragazzo, ma forse avevo capito male. Quando mi sono svegliato là sotto, una luce azzurra è partita dalla pietra: puntava in direzione dell’uscita e mi ha guidato fino al punto dove ci siamo incontrati.
    Quella stessa luce mi ha… portato via da Matthew, quando ero suo prigioniero, l’anno scorso.

    Si fermò. Aveva visto fare molte cose strane al ragazzino malefico ed ebbe bisogno di qualche istante per mettere in ordine i pensieri. Si accorse, quando fu sul punto di parlare, che i suoi muscoli erano diventati improvvisamente tesi.
    Il corpo di Matthew si riprendeva in fretta dalle ferite. Era come abitato da un’essenza strana, come una malattia dello spirito. Muoveva delle catene, un nemico pericoloso: era difficile tenere d’occhio tutti quegli anelli e da quella morsa era difficile scappare.
     
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    Non so, abbiamo combattuto insieme senza passare troppo tempo a parlare. Era un uomo strano, se davvero era un uomo: ricordo che all’inizio lo scambiai per uno spettro. Poi apparse, con quel mucchio di capelli gialli e gli occhi blu: un damerino... che sapeva il fatto suo.

    Reclinando il capo da una parte, e portando la destra inguantata nell'armatura a carezzarsi pensosamente il mento, il Cavaliere del Lago ascolto e nient'altro, conservando un'espressione neutra ed algida sul volto eburneo; la descrizione fornita -per quanto sommaria- coincideva con quella che i cronisti del Pentauron avevano consegnato alla storia sul conto di Gabriev Disith, ma poiché non c'era reale necessità di condividere quel pensiero, l'albino preferì rimanere in silenzio.

    A dirla tutta, in quel momento, erano altre le informazioni che gli premeva di ottenere: informazioni molto più impellenti ed importanti, non solo perché da esse dipendeva il destino dello stesso Makor -libero o prigioniero, alleato o nemico-, e neppure perché avrebbero permesso una più chiara interpretazione del passato... bensì perché nelle parole che avrebbe da lì in avanti pronunciato giaceva la concreta possibilità di condizionare pesantemente il futuro della sua congrega, del già martoriato Presidio Centrale e del Semipiano tutto...


    Ozma… lei era molto, ecco… scoperta, ecco. Aveva pochi vestiti addosso, neri, dei capelli dello stesso colore, lunghi, e combatteva usando una frusta. Il suo spirito era puro veleno.

    Alzandosi in piedi, l'interrogato cominciò a passeggiare nervosamente nella -per lui stretta- distanza che separava le due pareti della sua cella, gesticolando in modo frenetico e concedendosi una pausa eloquente, che non raccontava una qualche difficoltà ad esprimersi nella lingua comune quanto un autentico imbarazzo e disgusto legato al rievocato ricordo della donna.

    Una donna che, arricciando le labbra in una smorfia sprezzante analoga a quella dell'altro, Lancelot riconobbe come la stessa Ozma con cui aveva ingaggiato battaglia per le strade di Kisnoth nel fatidico giorno in cui -un anno prima- la capitale era stata attaccata dai Mostri del Circus Diabolique: ricordava bene quell'oscena creatura che aveva osato levare le armi contro la sua Regina... e ricordava gli sgradevoli
    innuendo con cui gli si era rivolta durante il loro scontro, probabilmente con l'intenzione di destabilizzarlo e coglierlo di sorpresa.

    Il ciondolo invece era ben fatto, comodo da tenere al collo anche per uno come me. Aveva una pietruzza blu – uno zaffiro? – al centro. Se guardavi al suo interno, potevi scorgere dei segni che tracciavano una runa. Per anni ho aspettato che mi annunciasse il ritorno di quel ragazzo, ma forse avevo capito male. Quando mi sono svegliato là sotto, una luce azzurra è partita dalla pietra: puntava in direzione dell’uscita e mi ha guidato fino al punto dove ci siamo incontrati.
    Quella stessa luce mi ha… portato via da Matthew, quando ero suo prigioniero, l’anno scorso.


    Non conoscendo l'oggetto in questione, il Cavaliere si limitò a prender mentalmente nota del suo identikit e delle sue capacità: il fatto che fosse in grado di guidare il suo possessore in superficie poteva essere oggettivamente utile nelle giuste mani (provvidenziale, date le condizioni in cui Makor si era ritrovato!), ma in quelle sbagliate... in quelle di un nemico poteva divenire un'ulteriore arma con cui pugnalare la stabilità del mondo di Endlos.

    Il corpo di Matthew si riprendeva in fretta dalle ferite. Era come abitato da un’essenza strana, come una malattia dello spirito. Muoveva delle catene, un nemico pericoloso: era difficile tenere d’occhio tutti quegli anelli e da quella morsa era difficile scappare.

    L'alta capacità rigenerativa dei loro corpi del tutto inumani e la disgustosamente pietosa condizione delle loro anime in putrefazione erano proprio i due preponderanti tratti caratteristici degli abomini Circensi... e questo voleva dire che uno di quei mostri era ancora vivo, intrappolato nella profondità del Pentauron, ed in possesso di una chiave per tornare in superficie. Una brutta situazione. Una spada di Damocle sospesa sulle loro teste. Un potenziale pericolo che la Hush aveva il preciso dovere di scongiurare.

    Avrebbe dovuto presentare immediatamente il caso ai suoi compagni d'arme e organizzare una spedizione. C'era bisogno di radunare gli uomini più adatti a fronteggiare una tale minaccia, trovare un modo per scendere nel sottosuolo alla ricerca del nemico, affrontarlo, e recuperare il Pendente dei Disith, e... perso come si ritrovò in quelle elucubrazioni, il Cigno di Selowen si accorse solo in quel momento della tensione che sembrava attanagliare il Troll.

    Essendosi convinto della sincerità delle sue parole e della sua condizione di vittima di circostanze orribilmente avverse, Lancelot DuLac sapeva che trovare un modo di alleggerire il suo disagio sarebbe stata la cosa giusta da fare, ma... lui era un soldato, non certo un mediatore, così non seppe concepire molti modi validi a confortare Makor Erenai da qualsiasi preoccupazione potesse stare attanagliandolo.


    « Vi ringrazio per le informazioni fornite: ora le cose sono più chiare; come promesso, permettetemi ora di spiegarvi la situazione venutasi a creare con gli eventi di un anno fa. »

    Il meglio che l'albino seppe concepire per lo scopo fu provare a distrarlo,
    offrendogli qualcos'altro su cui concentrare i propri pensieri.


    « Quando è cominciata, il gruppo di mostri extraplanari noto come "i Circensi" -esecutori materiali dell'invasione- ha innalzato attorno alla città una barriera arcana per intrappolarvi all'interno i suoi abitanti, ma nonostante questo, qualcuno è riuscito ad evadere e a divulgare la notizia dell'attacco; in risposta all'allarme, gli eserciti di tre Presidi si sono mobilitati per prestare soccorso alla Capitale, ma... al nostro arrivo Kisnoth era già stata svuotata della popolazione. Al suo posto, demoni, creature aliene, ed altri abomini inenarrabili circolavano liberamente per le strade. Naturalmente, il nostro ingresso è stato notato subito, e ne è scaturito uno scontro aperto durato tutta la notte, in cui troppi hanno perso la vita. »

    Portando la mano sotto il mantello, all'altezza della cintura, il guanto d'arme del Cavaliere errò alla ricerca di qualcosa, producendo un tintinnio argentino quando vi prelevò la chiave d'argento che vi aveva appeso; senza dar particolari spiegazioni o fare troppe cerimonie, la infilò nella toppa, ruotandola con movimenti precisi e misurati per rimuovere tutte le mandate, fino a che la grata di ingresso non si schiuse ruotando silenziosamente sui cardini bene oliati.

    jpg« All'alba dell'indomani, i Circensi si sono ritirati e la Barriera è svanita, ma -come vi ho già spiegato- Kisnoth è da allora rimasta una città fantasma: non possiamo sapere cosa ne sia stato dei cittadini, ma con quello che abbiamo visto quella Notte, supponiamo il peggio. »
    nonostante l'espressione algida, la durezza del suo sguardo ne esprimeva lo stato d'animo
    « Con il proposito di scoprire la verità su quella Notte e di scongiurarne il ripetersi, l'Alfiere Orientale Kalia Menethil e l'ex-Alfiere Errante Drusilia Galanodel -entrambe sopravvissute alla Notte di Kisnoth- hanno fondato un ordine militante votato a fare giustizia sui mandanti dell'attacco - che sappiamo essere ancora attivi sul Semipiano. Voi e il vostro amico Bardo siete saltati fuori dal nulla nei sotterranei della nostra sede. »

    Facendosi da parte e muovendo con il braccio un cavalleresco cenno di invito ad avvicinarsi, il Custode di Shea attese che il Troll uscisse dalla sua cella da creatura libera per affiancarlo; tuttavia, non aveva ancora finito di parlare.

    « La donna con la frusta chiamata Ozma e il suo servo in catene -che hai detto chiamarsi Mattew- sono Circensi: nemici del nostro ordine e del nostro mondo; questo fa di te una delle persone che siamo tenuti a proteggere... o un compagno, se vorrai unirti alla nostra causa. »
    voltandosi verso uno dei capi del corridoio, Lancelot avrebbe cominciato far strada in quel dedalo
    « Per il momento, vi chiederei in ogni caso di fermarvi qui e di accettare l'ospitalità che la nostra Sede è in grado di offrire: il vostro racconto ha sollevato importanti questioni di cui è improrogabile analizzare i risvolti... e potrei avere bisogno di consultarvi ancora. »

    Cosa avrebbe deciso di fare a quel punto il buon Makor...?

     
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    Cado spesso un poco dalle nuvole.

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    Fin dal suo risveglio nella Kisnoth sconosciuta, non aveva mai pensato – neppure per un attimo! – alla libertà. Aveva tanto ignorato quell’idea da non essersi mai davvero preoccupato dell’essere in gabbia; né prima, dove i confini erano schiere di palazzi vuoti (o pieni di mostruosità), né ora, dove la pietra si alternava al ferro delle sbarre. Di certo si era reso conto di essere prigioniero, ma non aveva avuto tempo di percepire il mondo come un prigioniero – ed è proprio il tempo a fare della cella una prigione. Altrimenti resta solo una stanza male arredata, che trasuda solitudine.
    Capì davvero di essere stato prigioniero, quindi, solo quando vide la porta della cella aprirsi. Fu come vedere, racchiusi in un solo istante, crimine, processo e condanna. Dopo aver ascoltato il racconto di Lancelot capì però che la loro prudenza era giustificata da una lunga serie di orrori, ai quali lui e i suoi commilitoni avevano dovuto assistere e dai quali lui, Makor-Erenai, era stato travolto.
    La proposta di schierarsi al loro fianco nella battaglia contro i cosiddetti “circensi” lo mise in difficoltà. Aveva meditato più volte la vendetta, fin dal momento in cui aveva saputo cosa era successo; c’era ancora, in lui, un po’ di quel sangue da guerriero selvaggio che una volta gli dava la forza di schiacciare come mosche i nemici. Ma quella parte di lui era morta un anno prima – lo sciamano di oggi non era sicuro di avere più lo spirito giusto per combattere una guerra.
    Avanzò verso l’uscita senza rispondere e si lasciò alle spalle le sbarre di metallo. Percepì il vento sul suo volto e sul petto: Algiz lo stava trattenendo. Perché? Non poté fare a meno di notare un altro dettaglio: le fiamme delle torce si stavano facendo più intense. Al loro interno percepiva una furia senza tempo: Sowilo lo stava osservando. Ricordò le battaglie combattute poco prima, assieme a Svetlano. Capì, alla fine, che non doveva sfuggire alla battaglia e che c’erano altri luoghi, oltre alla prima linea, dove avrebbe potuto servire.
    Bene, Lancelot DuLac. Sarò un ospite qui e parleremo di questa guerra, così capiremo se questo troll potrà mai diventare un vostro compagno.”
     
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