La gravità del suolo

Prima scena di Levin August Theophil von Bennigsen

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  1. Fëdor D.
     
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    Viaggiatore dei Mondi

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    Desolata, la landa si estendeva per lunghi e interminabili chilometri: un solo, unico paesaggio, uguale a se stesso, monotono. Perenne, come il gelo di quel luogo. Eppure così rassicurante per Levin. Anche un viandante esperto si guarderebbe dall’attraversare quella terra durante una delle frequenti bufere: il rischio di perdersi era elevato, e smarrire la strada equivaleva a perdere la vita. Ma Levin non lo temeva. Non conosceva quelle terre come le sue tasche, non era un individuo avventato, né incosciente, e di certo non uno che dava poco valore alla vita. Al contrario, aveva vissuto più di sessant’anni nel presidio settentrionale e sapeva bene che credere di sapersi orientare con facilità nell’Etlerth equivaleva a ingannarsi; e per quanto riguardava la vita, oh, quanto gli era attaccato! Mai la avrebbe rischiata incautamente, mai, sul piatto della bilancia, ci sarebbe potuto essere qualcosa con un peso maggiore della sua stessa esistenza. E allora per quale motivo continuava a vagare per quella distesa inospitale? Perché osservando la perfezione di quell’incessante tempesta, di quell’indistruttibile, definitivo e duraturo ghiaccio, il suo corpo ribolliva, quasi fremeva per l’ammirazione? Così fragile, lui, come avrebbe potuto divenire eterno come quella terra? Come poteva sconfiggere la morte?
    Un alito di vento spirò con particolare intensità, facendolo trasalire. Il volto si contrasse e le rughe sulla fronte risaltarono, mentre il viso si intorpidì leggermente, accennando un lieve colorito rossastro a causa del freddo. Levin si avvolse nel pastrano e tirò su il cappuccio, riparandosi dalla neve che continuava, imperterrita, a fioccare. Fece passare la mano lungo una sacca che teneva ben attaccata alla cintura e la tastò: era pesante e piena di monete; poco prima aveva venduto molte delle carni e pelli procuratisi con la caccia a un mercante che era passato di lì con la sua carovana. Conosceva il valore del denaro e il peso che questi aveva sugli uomini. Nella sua vita non aveva conosciuto tante persone e non era bravo a relazionarsi, ma del mondo conosceva tanto. Aveva letto, aveva studiato; aveva compreso, soprattutto, che il denaro era la più potente delle armi, il mezzo migliore per proteggersi. Eppure, neanche con quello sarebbe riuscito a sconfiggere la morte. Chiuse forte i pugni e serrò i denti, per poi rilassarsi appena un attimo dopo: aveva intravisto qualcosa di strano. In quel bianco e freddo deserto si intravedevano delle scure mura di granito. Levin abbozzò un sorriso. Sapeva che la presenza di quella carovana significava che nelle vicinanze ci sarebbe stato un insediamento. E un insediamento nell’Elterth poteva solo indicare la presenza di una miniera. Fece ancora qualche passo, e dopo appena quattro o cinque minuti trovò dei cippi militari a segnalare il sentiero. In quel momento il sorriso si trasformò in una risata. Nella sua lunga vita aveva provato in tutti i modi a sconfiggere la morte: rituali, tentativi di magie, miscugli alchemici e quant’altro, ma fu tutto inutile. Il suo corpo continuava a invecchiare e lo spettro della morte cresceva, diventando più forte giorno dopo giorno. Ma Levin sapeva che doveva esistere un modo per sconfiggere quella bianca dama che gli alitava sul collo sempre di più. E l’arma più forte che conosceva era, appunto, il denaro. L’avamposto che aveva di fronte rappresentava il modo migliore che aveva per avvicinarsi alla nobiltà, per poter sperare di arrivare a far parte di loro; non aveva dubbi che tra individui con un tale potere ce ne fosse qualcuno che potesse renderlo in grado di raggiungere il suo scopo.
    Seguì quelle che alla bell’e meglio dovevano essere le indicazioni, lesse ciò che vi era inciso, ma non comprese; lo memorizzò, tuttavia, conscio che il nome GYLLKRAV’YER sarebbe potuto tornargli utile. Giunse, infine, a un grosso portone in legno, così imponente sotto lo stendardo che mostrava una casa in fiamme e una stella d’oro. Si fermò per qualche istante, ispirando profondamente quasi volesse riordinare le idee. L’unico modo che aveva per avvicinarsi alla nobiltà, lo sapeva, era distinguendosi. E lui era bravo a fare solo una cosa: combattere. Doveva riuscire a unirsi alla guarnigione che doveva trovarsi oltre quelle mura. Espirò lentamente e il respiro, raffreddandosi rapidamente, condensò, creando una nebbiolina di vapore. Poi, con un paio di colpi secchi, bussò al portone.




    Eccomi!
    Spero sia chiaro tutto (e che non ci siano grossi errori), ma in caso non lo fosse, non esitare a chiedere. Buona role!
     
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9 replies since 19/3/2021, 20:20   232 views
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