La gravità del suolo

Prima scena di Levin August Theophil von Bennigsen

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  1. T h e B a r d
     
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    Viaggiatore dei Mondi

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    L’
    uomo procedeva solitario attraverso la cieca e vuota immensità.
    Era un vecchio, soprattutto per gli standard dell’Etlerth, dove una bronchite poteva spegnerti a quarant’anni, senza tante cerimonie, come due dita bagnate di sputo spengono la fiamma di una candela. Lui invece era arrivato fino a lì, e cosa ci aveva guadagnato? Solo uno sciocco avrebbe potuto rispondere “una borsa gonfia di soldi”, e pensare di avere indovinato.
    Niente. La risposta era niente.
    Perché se un orso fosse comparso allora dal nulla e lo avesse ammazzato lì dove si trovava, che differenza avrebbero fatto quei sessantun anni, trascorsi in varie ma in fondo piuttosto insignificanti vicende? Tirata una riga, che differenza risultava, fra quell’istante, ed il momento in cui aveva lasciato piangendo il ventre della madre che non aveva mai conosciuto?
    Certo, si poteva dire esattamente lo stesso per chiunque, o quasi, calcasse o avesse mai calcato la terra. Ma, per qualche ragione, quel vecchio solitario che attraversava in quel momento la landa nei pressi della miniera di Gyllkrav’yer sembrava esserne particolarmente consapevole.

    Nessuno fece caso a lui, e dovette ripetere i colpi sul portone diverse volte, prima che il suono insolito attirasse l’attenzione di uno degli occupanti dello sperduto insediamento.
    Salirono sulle mura, come prescriveva il regolamento, per accertarsi del numero dei visitatori.
    Uno.
    La giornata era meno ventosa del solito, e si riusciva a vedere addirittura per lo spazio di un centinaio di metri di distanza. Quel tizio incappucciato sembrava essere proprio venuto da solo. Che diavolo voleva? I soldati di guardia iniziarono ad azzardare le più varie speculazioni, perché quello non era certo un avvenimento frequente.
    Per fortuna, qualcuno pensò anche di andare ad aprirgli.
    Da fuori, Levin avrebbe sentito per alcuni minuti colpi di scalpello sui cardini ghiacciati, accompagnati da svariate bestemmie, prima che i battenti finalmente si schiudessero.
    « Per i numi, amico – da quelle parti le formalità erano state da tempo abbandonate – cosa diavolo vuoi? »


     
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