La gravità del suolo

Prima scena di Levin August Theophil von Bennigsen

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  1. T h e B a r d
     
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    Viaggiatore dei Mondi

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    ir Kennan era un uomo sotto la quarantina, di corporatura imponente, ma nella media per gli standard del Nord. Quando Levin uscì dalla botola nel pavimento di assi, il comandante stava in piedi vicino all’unica finestra dello stanzone, un’apertura di spesso vetro piombato, che gettava all’interno una luce fredda.
    I penetranti occhi scuri esaminarono il nuovo venuto che si issava su per lo scomodo ingresso, con un’agilità notevole per l’età che dimostrava.
    I capelli di un biondo rossiccio gli incorniciavano il viso in ricci quasi da pecora, e la barba di media lunghezza non presentava ancora tracce di grigio. La sua vita indugiava sull’orlo della curva discendente del vigore, ma non l’aveva ancora imboccata.
    Tuttavia aveva anche un ché di spento nell’aspetto, come se dopo una lunga lotta il suo temperamento evidentemente energico iniziasse ad arrendersi al torpore gelido di quella torre dimenticata dagli dei.
    « Un vero piacere dite – commentò, con un’espressione cordialmente divertita – immagino dipenda dal fatto che iniziavate a temere che qui dentro fossimo tutti dello stampo del buon Jacov »
    Eppure, sotto alla patina di superficiale affabilità, non era difficile distinguere uno sguardo acuto, che non aveva smesso di soppesare lo sconosciuto da quando questi aveva fatto il suo ingresso.
    Quando questi dichiarò di non costituire una minaccia, Sir Kennan sbuffò dalle narici con un ghigno. Ma quella reazione significava che riteneva la precisazione superflua, oppure che la cosa era ancora da stabilire?
    « Non c’è pericolo che io sia troppo severo, credetemi. Non sono uno di quei fanatici della disciplina che fanno prendere a bastonate le sentinelle. Non ho mai pensato ne valesse la pena »
    La sala era ampia la metà della pianta della torre: una parete di legno la separava da quella che doveva essere la camera da letto del comandante. Gli arredi erano semplici: un tavolo di legno lucido, delle cassapanche decorate a motivi floreali, due poltrone davanti al camino, e diverse pellicce di animali della tundra a coprire il pavimento.
    « Io ne sto già ricavando qualcosa, ve lo assicuro, dal momento che fino a poco fa mi stavo annoiando terribilmente! Ma sedetevi… » lo invitò amichevolmente, facendo cenno ad una cassapanca, mentre a sua volta prendeva posto sulla sedia dietro il tavolo, in modo da trovarsi di fronte allo sconosciuto.
    « Mi domando – il suo tono, così come la sua espressione, erano cambiati repentinamente – però, che cosa pensiate di ricavarne voi, ser…? – strascicò le lettere, sollevando le sopracciglia, con accento apertamente interrogativo – Levin von Bennigsen. Un nome che non mi suona familiare. La visita non preannunciata di uno straniero che spunta solo e disarmato dal mezzo dell’Etlerth è un evento così singolare ed apparentemente inspiegabile che la mia mente, ve lo confesso, non ha fatto altro che formulare ipotesi da quando siete entrato. In una situazione normale, dove vigano costumi meno rilassati, avreste dovuto giustificare molto chiaramente la vostra venuta, prima di essermi condotto davanti. Ma qui – allargò retoricamente le braccia, ed il suo tono cambiò ancora, smorzandosi, come a non voler far sentire Levin oggetto di un interrogatorio troppo ostile – non siamo certo in una situazione normale. Perciò ditemi, senza tanti giri di parole, amico mio, chi diavolo siete, e cosa sperate di trarre da questa chiacchierata, per il piacere della quale vi siete fatto chissà quanti chilometri nel freddo più fottuto »
     
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