Primo naufragio

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  1. Šyd
     
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    Bimbo Sperduto

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    Aveva calcolato a lungo le coordinate per quel salto. Sull’altopiano si arrivava percorrendo una salita dolce, lungo un sentiero ben curato circondato da erba e fiori, ma pochi alberi. Pochi alberi c’erano anche lungo il pendio che, più bruscamente, correva giù fino a valle: una condizione ideale per il suo volo. Il ragazzo ripiegò un lungo pennone in metallo tinto di bianco opaco; sulla cima era fissata una strana elica a quattro pale, dal profilo sinuoso. Ancora volteggiava, stuzzicando un circuito all’apparenza piuttosto intricato. Il giovane racchiuse quell’arnese all’interno di uno scompartimento del suo velivolo leggero: si trattava di un mezzo evidentemente progettato per un singolo pilota, con due parapetti di protezione, un sistema (piuttosto primitivo, se confrontato con il resto) per l’ancoraggio dei piedi e un meccanismo simile a una cloche, che dava l’impressione di essere molto robusto.

    Il decollo fu semplice: la brezza della valle di Chediya sembrava non aspettare altro. Il vento lo fece dondolare e, prima di azzeccare la corrente giusta, all’aviatore sembrò di trovarsi in mezzo a un mare indispettito. Ma quel posto era perfetto per far pratica, perché era la stessa aria a trasmettere un senso di pace e di calma; dopo un inizio un po’ barcollante, il mezzo si assestò e proseguì il suo volo silenzioso. Sembrava privo di peso.
    A un occhio attento non sarebbero sfuggite le modifiche effettuate sulla parte superiore dello scafo: si intravedevano ancora i segni delle forature – ora debitamente tappate, per evitare problemi di aerodinamica – che dovevano servire a sostenere una qualche struttura superiore. Solo un abitante dell’altopiano della tempesta avrebbe però intuito che cosa, un tempo, doveva essere stato collegato a quel piccolo mezzo di trasporto.

    Accidenti!
    La voce del ragazzino schizzò via in un attimo, trascinata dal vento che ora sferzava la sua faccia e gli toglieva il fiato. Stava sorvolando uno dei corsi d’acqua che spezzavano il verde della valle, quando gli occhi gli caddero su una figura umana che sembrava trascinarsi a fatica fuori da quel fiume. Intuendo che c’era qualcosa che non andava, l’aviatore planò delicatamente, disegnando in cielo dei cerchi sempre più stretti per poi atterrare con dolcezza – mostrando una certa padronanza del mezzo, nonostante la giovane età – sul manto d’erba.

    Ehi! Ehi! Ehilà! Tutto bene?
    Disse, con voce preoccupata e a tratti spezzata dal fiatone, mentre saltava giù dal velivolo. Corse verso l’uomo, togliendosi il copricapo in pelle marrone, sul quale erano state fissate delle lenti e due filtri per l’aria. La tuta che indossava sembrava, come il mezzo che pilotava, modificata: un tempo doveva aver avuto molti più strati, ma conservava una gran quantità di tasche e taschini. Il ragazzo non dava certo l’impressione di sapere molto bene come comportarsi, in materia di primo soccorso; si tolse i guanti in fretta e furia, ma rimase a guardare quell’estraneo con l’aria di chi vuole davvero far qualcosa, ma ha paura di combinare un pasticcio.
    Io… io”, balbettò, mentre con gli occhi qualcuno in grado di aiutare sul serio quel poveretto, “tu… tu! Come sei finito qui? Hai bevuto acqua? Riesci a respirare?
     
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3 replies since 8/8/2021, 08:54   120 views
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