Frammenti d'Autunno

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  1. Gabriev Disith
     
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    CITAZIONE
    continua da qui.

    “La verità è un ricordo coperto da foglie. A volte per farla emergere, basta un colpo di vento."

    La delegazione militare prese a rallentare, segno che oramai erano giunti a destinazione: in tutta risposta, anche il Cavaliere Rosso regolò l’andatura del palafreno, adattandola a quella dei suoi carcerieri.
    Davanti a loro si stagliava ora la Chiave, un enorme complesso architettonico, fulcro vitale dell’equilibrio di Endlos... là dove, al suo interno, qualcuno attendeva di rivedere un vecchio compagno d’armi dopo tanto Tempo.

    Giunti all’ingresso, nonostante la comprensione e i privilegi concessigli da Sir Belmont, il prigioniero fu costretto ad indossare le manette inibitrici, strumenti ideati dallo stesso Aeon per precludere qualunque possibilità di fuga o rivolta da parte dei condannati - per quanto nessuno, una volta al suo cospetto,
    avesse mai tentato nulla di così avventato, stupido e pericoloso.
    Il falco dei Disith accettò di buon grado l’imposizione, non opponendo la minima resistenza e richiudendosi in un silenzio meditabondo ed elusivo.

    Fu scortato dallo stesso Belmont - dietro espresso desiderio del Paladino - fin dentro alla sua cella, situata in una stanza remota della torre più alta di Rivenore: l’interno era molto spartano, l’architettura di pietra grigia regolare prevedeva soltanto un piccolo scrittoio, per giunta inutilizzato da diverso tempo a giudicare dalla polvere,ed una finestrella dalle dimensioni di pochi centimetri, attraverso cui la vista del panorama era ingabbiata da una grata di sbarre metalliche, dall’aspetto particolarmente robusto.

    Fu fatto entrare, e venne lasciato solo nella stanza, mentre la porta - in triplice metallo blindato - si richiudeva pesantemente alle sue spalle; gli sembrò di essere tornati indietro, dove uno dei percorsi aveva avuto inizio:

    Kisnoth, nella prigione reale.

    Un'epoca così distante -eppure così nitida- che,
    all’erede dei Disith parve di vivere una sorta di Dejavù.
    Quasi meccanicamente passò le mani sulle pareti della cella, in cerca dei simboli che, in passato, molti guai avevano causato a lui e ai suoi compagni:
    fortunatamente, non vi era traccia della profezia dei faustiani.

    Si sedette allora mestamente sul pavimento, esattamente dirimpetto alla finestra; ora non c’era davvero nulla da fare se non restare in attesa che Lord Aeon lo chiamasse per una discussione - l’ultima-
    che lo attendeva da lungo… Tempo.
    Carezzò involontariamente le tre lacrime del cielo incise nella sua carne,
    sopra l’arcata destra.
    Per il resto, la partita era già iniziata da un pezzo.


     
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  2. Moloch
     
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    Cieli di Endlos - la Capitale

    Inseguì la coda di gendarmi con discrezione, planando di tetto in tetto anziché sorvolarli portandosi ad alta quota -ed in bella vista. Un errore che la sua esperienza e -soprattutto- la sua paranoia non gli avrebbero mai concesso né perdonato; ovemai il comandante del plotone lo avesse scoperto ed avesse abbattuto il veicolo metafilatterico di cui era attualmente in possesso, gli ci sarebbero voluti almeno due giorni per riprendersi completamente dal trauma. Giorni in cui Gabriev gli sarebbe stato sottratto per l'ennesima volta, se non per sempre.
    Doveva agire, e doveva farlo in fretta.
    Arrivato in vista del palazzo, schioccò sonoramente il becco prima di gettarsi -pur malvolentieri- in volo verso le mura della costruzione. Mantenere il giovane nel proprio campo visivo non era importante: la sua aura lo avrebbe guidato dall'interno del maniero come un inequivocabile segnale luminoso nelle tenebre grigie, gelatinose ed amniotiche del mondo su cui affacciava la vista dello spirito. Aggirò doccioni e barbigli con grazia, mirando
    a raggiungere la torre più alta.

    Palazzo di Kisnoth - Prigione Reale

    Le tracce multicolori e sovrapposte della presenza di Gabriev indicavano l'ultimo piano di una delle torri più remote, al quale approdò dopo non meno di un quarto d'ora di cerca e spostamenti cautelari. Si affacciò alla finestra senza pudore né sorpresa, concedendosi qualche istante per osservare il proprio obiettivo più da vicino: era un uomo robusto e solido, ma ancora verde negli anni. I lunghi capelli color miele che gli cadevano oltre le spalle creavano un contrasto stridente con il rosso coagulo del vecchio cappotto, le estremità penzoloni oltre la sedia su cui si era appena abbandonato.
    Un frullo d'ali, e la trasmissione di un pensiero
    altrettanto effimero e delicato.
    -
    Pare davvero che ti serva un amico,
    in questo momento.

     
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    L'ingresso della prigione si richiuse alle spalle del prigioniero.
    La porta della cella di confino si sigillò davanti ai suoi occhi cerulei
    con una serie di scatti netti e sonori dei meccanismi delle serrature blindate,
    innescate controvoglia dalla fermezza dalla sua stessa mano.

    L’uomo biondo, che aveva appreso chiamarsi Gabriev Disith,
    adesso era concretamente, incontrovertibilmente e definitivamente agli arresti.

    E questo voleva dire che il suo lavoro lì era finito.

    Era libero adesso; aveva svolto il suo lavoro e ora era libero.
    Libero di riprendere il suo posto di Capitano delle Guardie del palazzo di Istvàn.
    Libero di andarsene e tornare a Chediya, da Kalia.
    Libero di fare ritorno dal suo Dreamer di cui conosceva soltanto il nome - Armand.

    Eppure, rimase lì impalato per un lungo istante,
    in piedi davanti alla finestrella inferriata della stanza piccola e spoglia,
    quasi fosse indeciso -combattuto!- su cosa fare a quel punto.

    Il suo lavoro era finito, eppure...

    ...eppure qualcosa -come un imperativo morale- gli rendeva improponibile
    l’idea di abbandonare un uomo innocente in cella per andare a divertirsi;
    in fondo, in cuor suo, il Paladino confidava
    che qualsiasi equivoco fosse sorto attorno al Cavaliere Rosso
    sarebbe stato chiarito in quella sede, e lui presto liberato...

    Aveva anche pensato di provare a conferire con Lord Aeon,
    ma il timore che potesse succedere qualcosa all’accusato in sua assenza, lo innervosiva;
    più precisamente, l’innervosiva la consapevolezza del fatto che, in ogni caso,
    quello non si sarebbe neppure difeso.

    Così prese a passeggiare su e giù per il tratto che sottendeva il corridoio,
    mentre gli stivali cadenzavano con ritmo uniforme i suoi passi inquieti.

    A vederlo in quello stato, pareva fosse lui l'animale al gabbio.

    Alfine, dopo aver camminato lo stesso percorso almeno una dozzina di volte,
    Leon tornò sui suoi passi fino alla porta della cella, e vi prese posto davanti,
    lasciandosi andare con la schiena contro la dura superficie della porta.


    "Sir Gabriev...?"
    sospirò, non senza un certo imbarazzo
    "So di sembrare ipocrita, ma... mi dispiace. Vorrei poter fare qualcosa..."
     
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  4. Gabriev Disith
     
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    Posò gli occhi blu sul rapace, e gli sorrise.
    Sapeva che sarebbe arrivato: lo aveva visto nelle linee di probabilità temporale, lo sentiva nel suo animo, e -soprattutto- sapeva che da quel lontano giorno di due anni prima, l’alfiere del nord aveva speso ogni singolo istante
    nel tentativo di rintracciarlo.
    Salve Moloch, è un vero piacere rivederti.
    Scuserai la villania se non ti stringo la mano, ma temo sarebbe ancor più disdicevole se alterassi la composizione di queste manette e la stanza venisse invasa dai soldati:
    sorgerebbero complicanze non gradite, per entrambi.

    E poi ho promesso a Sir Belmont
    che non avrei opposto alcuna resistenza.
    È un bravo ragazzo sai?

    Non c'era in quel suo conversare mentale nemmeno una delle ombre che presumibilmente dovevano tingere di disperazione gli ultimi momento di un sicuro condannato a morte; la sua espressione era limpida e serena,
    fiduciosa e benevola persino nei confronti dell'uomo che l'aveva condotto in gabbia in catene.
    image
    Avrei un favore da chiederti; si tratta di una facenda molto delicata
    che comporta non pochi rischi.
    Sappi che non ti biasimerò se vorrai rifiutarmerlo.

    Ne seguì un lungo attimo di silenzio, che pareva dilatarsi nell’infinita spasmodica attesa della prossima sillaba.
    Prendendo fiato, tornò a rivolgersi all’alfiere.
    Necessito che tu prenda il mio posto,
    per parte della durata del processo.
    Devo assolutamente giungere in un luogo per impedire
    che venga commessa una sciocchezza.
    Sospirò. Vi era molta malinconia nella parole del Cavaliere Rosso, insieme con un sentimento indecifrabile e lontano, che pareva avvolgerlo in un emotività ancor più grande di quella già naturalmente mostrata.
    Ho rimandato fino ad oggi nella speranza che questo giorno arrivasse il più tardi possibile, ma temo di non poter temporeggiare oltre.

    Anche le sue più buone intenzioni causavano dispiacere a qualcuno:
    ora a Sir Belmont, ora a Moloch, ora ad Aeon stesso.
    Purtroppo con i biasimi non si salvano le persone
    e questa lezione il Cavaliere Rosso l'aveva imparata a suo tempo.
    Attese in silenzio la scelta dell’altro.

     
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  5. Moloch
     
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    Rimase affascinato dalla sua compostezza. Da un uomo così straordinario -e la vista dello spirito continuava a sottolinearne questa virtù- d'altronde, non poteva aspettarsi di meno. Né quello, presumeva, poteva aspettarsi meno da lui. Nel loro incontro non c'era fortuna, ma una sottile ed ancora oscura premeditazione: la studio accurato di chi ha preparato la propria mossa in anticipo e si mette comodo per attenderne i frutti. L'idea di essere stato condotto piuttosto che accompagnato, per quanto impercettibile, lo infastidiva. Una sensazione che si premurò di scacciare immediatamente, richiamando la propria lucidità di pensiero. Dovevano uscire di lì,
    e dovevano farlo entrambi.

    “Salve Moloch, è un vero piacere rivederti.
    Scuserai la villania se non ti stringo la mano, ma temo sarebbe ancor più disdicevole se alterassi la composizione
    di queste manette e la stanza venisse invasa dai soldati:
    sorgerebbero complicanze non gradite, per entrambi.”
    Per non dire che faresti ben magra figura, a stringermi le penne. Dovremo rimandare
    i saluti formali ad un'occasione più felice.


    Replicò asciutto, squadrando la cella attraverso le grandi pupille ovoidali: i bulbi del falco saettavano da una parete all'altra in una frenetica indagine, cercando punti deboli nella muratura e nei giunti metallici che fissavano la porta d'ingresso. Una ricerca infruttuosa, e frustrante.

    “...e poi, ho promesso a Sir Belmont che non avrei opposto alcuna resistenza.
    È un bravo ragazzo sai?”
    Dovrò crederti sulla parola.

    Nel pensiero trasmessogli non c'era acrimonia, ma perplessità: non aveva dimenticato l'aura mostruosa del non-più-sconosciuto capitano della guardia, e l'idea che Gabriev lo avesse in grazia lo sconcertava. Evidentemente, c'erano ancora molti significati a lui ignoti da leggere fra le righe di una vicenda che, svanito l'entusiasmo iniziale, cominciava
    a piacergli sempre di meno.

    “Avrei un favore da chiederti; si tratta di una faccenda molto delicata
    che comporta non pochi rischi.
    Sappi che non ti biasimerò se vorrai rifiutarmelo.”

    Annuì col piccolo capo piumato, incoraggiando il Cavaliere Rosso
    a continuare il discorso.

    “Necessito che tu prenda il mio posto,
    per parte della durata del processo.
    Devo assolutamente giungere in un luogo per impedire
    che venga commessa una sciocchezza.”

    Ammutolì -o meglio: l'impulso mentale che trasmise involontariamente al biondo non conteneva che un vuoto stupore, muto nella propria inespressività. Lo guardò, ancora, e ne guardò l'aura tripartita che trovava innesto nel busto per diffondersi nei dintorni come una cupola di energia rarefatta e meravigliosa. Pensò al Lich, ad Antares, all'uomo dai capelli rossi. Pensò all'assassino che aveva i suoi stessi occhi, e pensò alla sua spada rossa e ripugnante come vecchia ruggine. Pensò a Celentir, alla dimensione bianca nella quale era trasmigrato prima di approdare su Endlos, ed alla mano tesa che lo aveva condotto durante il tragitto con gentilezza. Aveva una risposta.

    Sì.
    Un pensiero crudo, deciso, quasi tagliente.
    Facciamolo.

     
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  6. Gabriev Disith
     
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    Gabriev teneva in estrema considerazione l’Alfiere del Nord:
    egli era una persona dal cuore puro ed onesta, un giovane il cui senso del dovere veniva spesso e volentieri messo innanzi alla propria incolumità, nonostante la sua vita -riusciva ad intuirlo-
    non fosse stata propriamente un giardino di rose e fiori.
    Per certi versi, si poteva quasi dire che lui e Moloch di casata Aldeym si somigliassero, tanto il biondo percepiva reale e concreto quella sorta di legame che li accomunava.
    Una considerazione curiosa che parve riportargli alla mente un’eco di un passato ormai lontano: “E questo è un bene Falco?
    Sai quanto possa essere pericoloso somigliarti.”
    Assentì distintamente.
    Non era chiaro se avesse annuito a Moloch stesso, all’ammonimento della sua anima udibile a lui solo, o forse per entrambe le cose.
    Un sottile riverbero d’energia sorse dall’animo del cavaliere, scostandogli leggermente i lembi del cappotto, e rivelando uno strano simbolo arcano, tatuato sul petto del giovane all’altezza del plesso solare: un triangolo nero con il vertice rivolto verso il basso, iscritto in un triangolo vuoto di direzione opposta,
    sui quali passavano due sottili catene color oro e argento.
    Elemento che attirava lo sguardo era il ciondolo appeso al suo collo, un pendente a forma di una piccola spada, al cui incrocio tra elsa e lama stava incastonato un zaffiro dal taglio ovale; quattro ali spuntavano da lì, due spalancate verso l’alto, e due più piccole, leggermente incurvate,
    che discendevano verso l’interno del pendaglio.
    La sua triplice aura prese a vibrare sommessamente, e -in tutta risposta- i lineamenti del giovane vennero percorsi lentamente da un groviglio di venature che rivelavano un ampio numero di sigilli posti sulle carni del cavaliere rosso; si trattava, per quello che si poteva comprendere, d’un intricato arabesco di rune inibitrici, dalla complessità e dal potere inarrivabili, atte a contenere un energia
    altrimenti incontrollabile.
    Infine Aeon è pronto...E’ l’ora.
    Una semplice constatazione, effettuata con una voce priva di qualunque sfumatura emozionale, quasi atona.
    Il Falco dei Disith si sollevò dal terreno e, un passo dopo l’altro, si avvicinò all’inferriata della stanza, quindi anche al Lord Alfiere.
    Porta le mie scuse a Sir Belmont e digli di non angustiarsi:
    non ha fatto nulla di sbagliato.

    I cristallini s’appuntarono in quelli del rapace; gli occhi di Gabriev parevano trasmettere un gran numero di emozioni senza voce: rimorso, gratitudine, e anche rammarico, la miscela amara come fiele che il suo cuore tenero sanguinava al pensiero di dover lasciare il giovane Moloch in una situazione tanto rischiosa.
    Ciò che vedrai o sentirai, potrà non esserti chiaro,
    ma lo feci in buona fede.
    Mi raccomando, se ti trovassi di fronte ad un pericolo mortale,
    abbandona il mio corpo: lui non può più morire,
    ma non posso assicurare che per te valga lo stesso.

    Ah, Moloch, ancora una cosa…
    Una breve pausa. Un silenzio dilatato in un arco temporale infinito
    seppure breve.
    ...grazie.

     
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  7. Moloch
     
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    Assistette al rituale con il piglio deciso e duro di chi non è disposto a retrocedere o trattare. il Falco Maestro si sollevò a mezz'aria pervaso da una grazia fragile e violenta, la cui sostanza era minacciata dal disegnarsi dei percorsi vermigli e pulsanti che lo percorrevano; riconobbe gli arcani tracciati come rune di contenimento, analizzando attraverso la vista i filamenti energetici che tracimavano oltre le maglie della barriera formatasi sul corpo del biondo. Certo era che, tuttavia, i simboli non appartenevano a quel mondo -né tantomeno al suo. La cosa non lo sorprese.
    Il Falco albino ne ascoltò la chiosa con attenzione, serrando le ali contro i fianchi a monito di una severissima concentrazione. Mentre Gabriev stava aprendo le proprie difese, lui già lavorava per penetrarle: dal rapace cominciarono ad esalare fumi luminosi e gravidi, subito condensati in strali color grigio piombo. Le appendici erano dotate di una delicata trasparenza, e fluttuavano attorno al piccolo predatore come un prolungamento naturale della coda piumata.
    Prima dell'abbandono, un pensiero -e un sorriso.

    Se c'è una sola cosa di cui devo rendere merito al lord mio padre,
    è di avermi insegnato che la morte è una paura sopravvalutata.

    Gli strali si intrecciarono fra loro, dilatandosi in un alone omogeneo.
    In molti sensi.
    aggiunse, ironico.
    Starò bene.

    "starò bene", ripeté mentalmente prima del buio. Un flash abbacinante, la percezione del proprio io strappato dall'involucro e proiettato nella grigia e tetra dimensione transitoria dello spirito, e fu oltre i suoi occhi. Sbatté le palpebre e sollevò le mani, osservandone il dorso. Quando sollevò lo sguardo, il falco si limitò
    a restituirgli un'occhiata perplessa.

    No, Gabriev.
    mormorò con una voce che non gli apparteneva.
    Grazie a te.

     
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    La sua domanda cadde nel vuoto e il silenzio vi fece eco,
    spingendo il Paladino ad acuire al massimo i suoi sensi per cercare di capire
    perché
    non una parola si fosse levata in risposta dalle labbra di Gabriev Disith.

    Probabilmente, non aveva voglia di passare gli ultimi istanti prima del processo
    a discorrere con il responsabile della sua cattura, e Leon l’avrebbe trovato comprensibile
    se non fosse stato così strano o difficile concepire dell’ostilità nel Cavaliere Rosso...

    Per un istante, l’attraversò il timore gelido che gli fosse capitato qualcosa
    -qualcosa che gli impedisse di parlare; chissà, forse un malore...-
    e questo, unitamente al rumore cadenzato di passi in avvicinamento,
    indussero il Cacciatore ad alzarsi rapidamente dal cantuccio che aveva occupato,
    nel vano della porta blindata.

    Quando le guardie fecero la loro comparsa in cima alle scale della torre,
    il Belmont si era rimesso in piedi, perfettamente composto;
    sostava davanti al pesante battente della cella,
    e questo gli valse lo sguardo perplesso e diffidente di più di uno dei gendarmi,
    ma -a sua volta- anche il biondo sembrava alquanto sorpreso di vederli là.


    "Come mai già di ritorno...?"

    Per un attimo, gli balenò in testa il pensiero che l’equivoco fosse stato chiarito,
    e che i soldati fossero giunti a scarcerarlo, ma quello sprazzo di ottimismo durò ben poco,
    presto disilluso dalla replica che ricevette.


    “Siamo venuti a prenderlo: è ora dell’udienza.”

    "Ma... è appena arrivato."
    gli occhi cerulei li fissarono uno per uno, con aria di basito sconcerto
    "Avete già svolto tutti gli accertamenti del caso prima di procedere?"

    “La giustizia è veloce a Rivenore.”
    si limitò a ribattere senza entusiasmo uno degli uomini

    "Lo vedo."
    assentì con voce ruvida e un po’ secca, senza riuscire a rilassare il volto corrucciato

    In cuor suo, non poté far a meno di pensare che
    -evidentemente- il sopruso fosse capace di scatti ancora più rapidi.

    Una brutta cosa a realizzarsi, frustrante per un moralista come lui -a dirla tutta-,
    ma quel sentimento di dispetto per lo strapotere cui stava assistendo non l’avrebbe fermato:
    non si sarebbe fatto scoraggiare, e non si sarebbe tirato indietro.

    Non avrebbe abbandonato un innocente -su questo non nutriva dubbi- a un ingiusto destino.

    Così, si mosse per fermarsi dirimpetto al soldato, tendendo la mano in un gesto perentorio di richiesta;
    le iridi colore del ghiaccio si appuntarono in quelle spaesate del suo interlocutore,
    trasmettendogli fiducia con la loro fermezza limpida, e intimidendoli nello stesso tempo.


    "Le chiavi."
    dispose, con un tono cortese e garbato, che tuttavia non ammetteva proteste
    "Intendo accompagnarlo di persona."

    Gesti lenti, resi svogliati dall’incertezza, effettuarono la consegna nel palmo guantato,
    restituendo obbedienza al comando del Paladino con uno sferragliare metallico;
    fu allora che -con l’eleganza marziale che lo contraddistingueva- Leon si accostò all’ingresso,
    armeggiò con fare sicuro e posato con il chiavistello, sbloccando la serratura,
    e spinse in avanti il pesante uscio che ruotò remissivo sui cardini con un cigolio stridente.


    "Sir Disith, mi dispiace, ma devo condurla davanti al tribunale ."

    Mentre si stagliava da solo nel vano della porta,
    gli occhi azzurri del Cacciatore s’incatenarono a quelli aurei di un rapace;
    il falco stridette, e incuneandosi tra le sbarre della finestra spiccò il volo in un frullio d’ali,
    e Leon abbassò lo sguardo sul Cavaliere Rosso, che sedeva contro la parete.


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    ". . ."

    Non credeva di conoscerlo abbastanza da poterlo affermare con certezza, eppure...
    In qualche modo, Gabriev gli sembrava diverso.
     
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7 replies since 3/1/2010, 11:49   330 views
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