[EM] Sandy Boggart

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    TRUE LOVE IS POSSIBLE ONLY IN THE NEXT WORLD — FOR NEW PEOPLE. IT IS TOO LATE FOR US. WREAK HAVOC ON THE MIDDLE CLASS.

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    "Un Boggart sa sempre quale bacche leccare,
    quale kithkin ingannare
    e cosa fare quando in uno dei due casi si sbaglia."




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    “Ha! Noi vicini! Presto me ricco e tu... niente. Tu come è ora.”

    Lo Yuzrab , il deserto dei Laghi di vetro poteva fregiarsi di tantissimi aggettivi che descrivevano perfettamente la sua natura.
    Immenso. Immobile. Eterno. Sabbioso. Cocente.
    In questo istante era tutto meno che silenzioso.

    Le innumerevoli dune del deserto erano solcate da due serie di impronte che tracciavano il tragitto di quella piccola e monofamiliare carovana. Il vento stava già pigramente provvedendo a occultarne le tracce, come se anche lui volesse eliminare per sempre anche solo il ricordo del passaggio di quei... disturbatori della quiete.

    Il grosso quadrupede avanzava pigramente, facendo ballonzolare la lunga proboscide a ogni passo assieme alle due paia di zanne, rese di un bianco innaturale dall'azione del sole. La pelle grigiastra era solcata da rughe talmente profonde che potevano benissimo essere scambiate per dei veri e propri canali in miniatura, e se mai una colonia di formiche avessero abitato su quella pelliccia, avrebbero potuto facilmente costruire degli impianti idrici.
    Ogni tanto la grande e saggia creatura dava un occhiata distratta al suo accompagnatore, come a volerlo rincuorare della malasorte che pareva accompagnarlo da sempre.
    Era davvero molto dura essere l'unico interlocutore di un Boggart per più di tre giorni.

    23 socchiuse appena gli occhi, camminando affianco al oliphant, cercando di vincere la stanchezza. Erano in mezzo al deserto da soli ormai da tre giorni buoni da quando la carovana li aveva mandati via per “atteggiamenti inappropriati al benessere del gruppo”.
    ”Padrone, temo di dover insistere sul fatto che non ci troviamo dove dovremmo. Ci siamo persi... ieri, probabilmente.” commentò per l'ennesima volta, cercando di non menzionare il fatto che fin da prima di entrare in quell'inferno di sabbia e fuoco erano completamente fuori strada.

    Dalla sommità della schiena dell'animale, alla quale era stata fissata tramite un imbragatura di pelle una grossa portantina in legno e stoffa di dubbia qualità, si alzò una piccola testa rosastra e vagamente barbuta.
    ”Tu no contraddice tuo padrone, inutile umano. Noi vicini! Bussola dice così!”
    La figura aveva un portamento sicuramente comico, le orecchie da pipistrello sovrastate dalle due coppie di corna biancastre. La faccia era un ammasso di carne senza ne arte ne parte, dove il destino aveva giocato a mettere qua un naso, la gli occhi e, per amor di anatomia, una bocca munita di parecchi (numero da verificare) denti.
    In poche parole: un Boggart.

    Zimm agitò, come a rafforzare la sua teoria, il pugno chiuso, minacciando silenziosamente lo schiavo di non contraddirlo più. Così facendo tuttavia si sbilanciò irrimediabilmente fuori dalla portantina, facendo capitombolare la figura a terra, permettendogli si assaporare la sabbia ardente del sole.

    23 alzò gli occhi al cielo, preparandosi alla cascata di imprecazioni che inevitabilmente si rovesciò, investendo il povero schiavo di una quantità esorbitante di insulti in almeno tre lingue diverse.
    Il Boggart, dopo lo sfogo, diede un leggero scappellotto alla nuca rasata del ragazzo (leggero perchè era stanco, fosse stato per lui gli avrebbe mozzato la testa) prima di tentare di risalire sulla groppa dell'elefante, all'ombra della portantina.
    ”Tu stupido uomo di malafede. Noi ha bussola! Noi sicuramente nei pressi di città-Sequerus!”

    La fede del Boggart nella sua mercanzia era assolutamente cieca.
    23, in un attimo di ispirazione, si domandò se non fosse anche lui almeno orbo, giusto per giustificare l'assenza delle enormi montagne e picchi che tanto caratterizzavano la zona dell' Ovest, dove in teoria erano diretti.

    Perfino il barripede aveva capito che non erano dove volevano essere.

    Il Boggart, all'ombra del suo piccolo nido, frugava nelle numerose sacche contenenti ogni genere di oggettistica: da vecchie teiere di porcellana a mine inesplose, passando da una quantità virtualmente infinita di lampadine fulminate e delle famose bussole che segnavano, di volta in volta, quello che volevano loro.

    ”Dove io ha messo mappa... Zietta Bacherozza diceva sempre che io disordinato, quella vecchia gallina... “ borbottava irritato, sputacchiando occasionalmente qualche rimasuglio di saliva e sabbia da quella sua boccaccia malriuscita.
    La mappa, ovviamente, era stata utilizzata come... bene di prima necessità.
    Era incredibile come la carta igienica fosse stata l'unica cosa che fosse riuscito a vedere a quegli ingrati della carovana.

    Non solo aveva rifornito i loro sederi di vellutata carta alle ortiche, ma si era anche gentilmente offerto di portare al posto loro qualche oggetto di scarsa importanza... i soliti calici d'oro e posate d'argento, così pesanti e faticosi...
    Ingrati.

    “23, tu ha perso mappa! Quando noi arriva a città-Sequerus, dieci frustate.” urlò, con la testa praticamente immersa dalle sue stesse cianfrusaglie.
    23, dal basso della sua posizione, si limitò ad annuire. Non aveva di cui preoccuparsi, in fondo... tutto avrebbero trovato in quel deserto meno che Sequerus.




    Edited by Netrøsis - 18/5/2011, 22:20
     
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  2. Dracace
     
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    Riprende da qui


    Era stata una nottata tutto sommato tranquilla, priva di avvenimenti degni di nota. Poco dopo il tramonto il cane aveva cominciato a radunare il proprio gregge e poi, con ringhi e ululati, lo aveva fatto allontanare in qualche galleria laterale. A quel punto gli unici rumori udibili erano stati l’impetuoso infuriare del vento secco, al di là della volta cristallina, e l’altrettanto forte russare dell’oplita, ritmico e nasale. Lui non aveva dormito, ma si era lasciato immergere in quella tranquilla pace, tendendo solo l’orecchio di tanto in tanto all’insorgere di fruscii sospetti. Immerso in un tale stato di comunione con l’ambiente, l’unico capace di disturbare Raem era la sua seconda personalità, quell’irriverente moccioso dell’insostenibile smania dell’azione.

    *



    Quando i raggi solari tingono di un rosso acceso ogni sottile filo d’erba, il dotto si alza e stira le membra addormentate. Alcuni passi gli sono necessari per riprendere il pieno controllo del corpo decomposto prima di poter fare a mente lucida il punto della situazione. Di fronte a lui, ancora stretto al proprio scudo come farebbe un bimbo con l’orsacchiotto nuovo, Ariste dorme beato, immerso profondamente nei propi sogni. Senza disturbarlo, si allontana in punta di piedi in direzione del bazar delle talpe, con l’intenzione di fare provviste utili al compagno per l’intera durata del viaggio. Un piacere indescrivibile lo coglie mentre si aggira nella Merovish assopita, così diversa dalla frenetica e febbrile città del peccato dipinta nell’immaginario comune. Anche il mercato è particolarmente deserto, silenzioso e calmo, tanto che la scelta su dove poter fare gli acquisti si restringe a non più di due o tre bancarelle.

    Di ritorno dopo meno di cinque minuti, l’accademico trova Aristotelis abbastanza sveglio da potergli rivolgere un mattiniero saluto. Il non morto porta con sé una rigonfia sacca di tela, da cui estrae una sostanziosa focaccina ripiena e una borraccia in pelle conciata, quest’ultima provvista di una cinghia e quindi facilmente indossabile a tracolla.

    Quando è tutto pronto, lo strano duo riprende il trasporto del pesante baule, imboccando i cunicoli esterni per dirigersi verso l’immensa distesa sabbiosa.
     
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    Il campo era pieno di cadaveri. Ovunque volgesse lo sguardo, solo morte e desolazione.

    Cosa è successo... Tutto questo sangue...

    Tutto quel sangue sulle sue mani, sul terreno, nel cielo. Le fronde degli alberi risuonavano di metallo e sangue.
    Inginocchiato sul terreno, l'oplite stringeva tra i pugni due teschi.

    COSA È SUCCESSOOO!!

    Hah!

    Si risvegliò di soprassalto, con il respiro affannato e la fronte sudata.
    Ansimando si guardò intorno, prima sgomento, poi rassegnato, infine risoluto.

    Aveva avuto un incubo, evidentemente; non riconobbe a prima vista il luogo dove giaceva, convinto di essere ancora nella sua Grecia.
    Ma non era così.
    Si trovava nella città sotterranea di Mer-o-Vish, su Endlos. La terra di mistero e magia.

    Senza proferire parola, si alzò nervosamente, lavandosi in una pozza d'acqua vicina e sistemando la panoplia.
    Ripensò alla giornata precedente: era passato solo un giorno dal suo arrivo in quella nuova regione, eppure quante cose aveva già fatto...

    Notò soltanto dopo che Raem non era presente, lanciando uno sguardo al carico che dovevano consegnare.

    Che razza di situazione...

    Proprio in quel momento tornò l'acrobata con una sacca d'appresso, ed Aristotelis ricambiò il saluto.
    Prese il cibo e la borraccia che Raem gli porse, ringraziandolo.

    Finiti i preparativi, il duo poté ripartire per svolgere il compito assegnatogli, e così l'oplite riuscì a distrarre la mente dal brutto sogno vissuto.
    Mentre si avvicinavano all'uscita dei cunicoli sotterranei, ad Aristotelis venne un dubbio.

    Raem, dove dobbiamo andare?

    Evidentemente dovevano andare fuori, nel deserto, e la cosa non rallegrava di certo il soldato.
    Chissà se dentro quella sacca di tela vi era pure una mantella per ripararsi dal sole.
     
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    Un altra ora era passata, trascinando via una porzione di deserto vomitandone un altra identica davanti agli occhi dei tre viaggiatori. Ormai gli occhi acquosi del Boggart erano così tanto abituati al coloro giallognolo della sabbia e all'azzurro intenso del cielo che non avrebbe saputo riconoscere un albero nemmeno se gli fosse andato addosso.
    Il viaggio era snervante. Non per la stanchezza, per la possibilità di morire al primo passo messo in fallo o per l'arsura del cielo.
    Lui non aveva fatto un passo da quando avevano lasciato la carovana, grazie alla larga schiena del barripide. Date le sue misure limitate, il Boggart poteva muoversi liberamente per una porzione della portantina, aggirandosi per le numerose sacche piene della sua mercanzia.
    Anzi, lo spazio era talmente abbondante che, stando un pochino stretti, avrebbe anche potuto starci un umano di dimensioni standard.
    Peccato che con lui non ci fosse nessuno da ospitare sopra quella posizione privilegiata, anche solo per scambiare quattro chiacchiere.

    Certo, poteva far salire 23, ma lui non era un umano. Prima di quello, era uno schiavo... e non sia mai che il Boggart si abbassasse allo stesso livello di uno schiavo, o ancora peggio, che lo elevasse al proprio!
    L'animo straziato del piccolo molliccio derivava invece dalla noia. Quel deserto era davvero troppo monotono.

    D'altro canto, il giovane umano non sembrava soffrire troppo l'arsura del deserto. Dal suo punto di vista, quella era una normalissima giornata di servizio, e nemmeno una delle più pesanti.
    Il caldo era abbastanza sopportabile, gli ricordava la sua infanzia di lavori forzati nelle miniere di sale di Golconda. Quelle si che erano giornate infernali. Da quando era stato venduto per sbaglio assieme a quella partita di schiavi, la sua vita era leggermente migliorata. Il Boggart non era esattamente il padrone ideale, ma non era nemmeno il peggiore. Quando veniva la sera gli permetteva di mangiare del cibo decente (per i Boggart la cena era sacra per chiunque)e quando lo vendeva a qualcuno si assicurava di lasciarlo legato con delle corde scadenti, in modo che potesse scappare e tornare da lui.

    La piccola carovana si trovò davanti a una duna particolarmente alta, tanto che il sole ne proiettava l'ombra lungo il profilo sabbioso. L'oliphant fu irremovibile: arrivò nella zona d'ombra e si accucciò sulle zampe possenti, acciambellandosi nella sabbia.
    ”Coraggio stupida bestia! Io no comprato te per farti dormire tutto il giorno!” inveì il mercante, sporgendosi dalla portantina per picchiettare col pugno sul capo della creatura. Questa si limitò a raggiungerlo con la proboscide spingendolo indietro, facendolo finire contro la sua stessa merce.

    Il Boggart si domandò chi tra i due fosse il padrone, prima di rialzarsi e scendere dalla portantina.
    ”23, vai su e fai inventario. Noi deve essere pronti per mercato di città-Sequerus!” esclamò convinto, iniziando a scalare la grande duna che li stava ombreggiando, forse convinto di trovare la fantomatica città oltre di quel gigante sabbioso.

    Lo schiavo sospirò, ammirando in parte la cieca dedizione del suo padrone. Potevano anche essere sul fondo del oceano, ma se il Boggart era convinto di essere in aria, erano in aria.
    Il giovane si arrampicò sulla portantina, forse per la prima volta da quando era incominciato quel viaggio, e iniziò a sciogliere i legacci delle sacche, trovandosi davanti a quella chincaglieria di prim'ordine. Tra tutta quella marea di oggetti inutili vi si potevano trovare anche qualche raro esempio di mercanzia di qualche valore, come degli occhiali per la visione notturna o un numero indefinito di pezzi di argenteria.
    La cleptomania era una delle caratteristiche più apprezzate, giù nei Cunicoli.



    La scalata fu a dir poco difficoltosa: i tozzi piedi della creatura non erano sicuramente pensati per le scalate delle dune. Per ogni passo in avanti la gravità lo faceva arretrare di due, costringendolo a reggersi con le mani e arrancare carponi. Ovviamente imprecando verso qualsiasi anima conosciuta, in ordine alfabetico.

    Era arrivato a “Favazzi-Della tana”, compagno di cunicolo, quando finalmente rotolò al di la della sommità della duna. Non era una duna così gigantesca, almeno non per giustificare tutto quello sforzo. Ma quando non si arriva al metro di altezza, anche una duna di medie dimensioni può sembrare la più ardua delle montagne.
    “Me aveva ragione... questa è sicuramente città-Sequerus! Questo deve essere.. picco!” esclamò tutto contento, ripulendosi le vesti di pelle dalla sabbia. Davanti a lui, altro deserto.
    Le imprecazioni ripresero.


     
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  5. Dracace
     
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    Alla domanda dell’oplita, Raem si arresta. Fermo, sulla soglia del cunicolo, lascia che il vento caldo proveniente dall’infinito paesaggio d’orato si diverta a giocare con i lembi del suo mantello scuro. Come colto da un perentorio dubbio, lascia la maniglia del baule caricando il compagno anche della sua parte di peso, fa scattare il meccanismo con un suono secco e solleva il coperchio. Finalmente il greco ha la possibilità di osservare il contenuto del forziere, ora illuminato dai raggi che si riflettano sulle lisci superfici metalliche. Centinaia e centinaia di punte di freccia in ferro battuto brillano davanti ai due, ma non è a queste che il non morto presta la propria attenzione. Con un gesto rapido afferra una logora e sbiadita mappa e ne segue i lineamenti di nero inchiostro col dito. Fermandosi un istante per osservare la posizione del sole, scruta l’orizzonte per poi ripiegare con cura il papiro tra i risvolti della veste e far cenno al greco di proseguire. Mentre risponde, il suo braccio è teso, puntando l’orizzonte di fronte a loro.

    Vedere quel punto lontano? Oltre!



    Non fosse per la solita serietà e scarsa propensione ai giochi e agli scherzi del dotto, la risposta sembrerebbe una battuta di spirito, più che una vera e propria informazione.

    Le ore passano, inesorabili, seguendo le orme della loro marcia. Il letale calore inizia a farsi sentire, ma pare non dar particolari problemi al cadavere, che svolge il proprio compito di trasportatore con disinvoltura. In effetti, l’unica sua preoccupazione sembra essere quella di ricevere un’adeguata risposta ai quesiti trattenuti fino a quel momento e posti durante la lunga camminata.

    Parla me degli dei. Hai mai visto uno? Essere veramente immortali?



    La situazione non cambia fino a metà giornata, quando il sole, ormai verticale, sembra voler cancellare dal Regno ogni singola traccia di vita con il caldo emanato. Inaspettatamente, un’impercettibile cambiamento del paesaggio mette in allarme l’evocatore, stimolandolo ad accelerare l’andatura. Un punto scuro è infatti comparso nitido contro quel predominante sfondo giallo e si allarga, definendosi man mano che la coppia si avvicina. Ormai si denota il profilo di un grosso elefante,provvisto di quattro zanne e di un baldacchino, carico di sacchi. Stranamente l’animale, decisamente fuori dal proprio abitat, non sembra essere provvisto di proprietari. Eppure qualcosa (o qualcuno) deve pur averlo portato in quest’inferno di sabbia.



    Nota: I due avventurieri riescono a vedere solo l'olifante, ma il mercante o 23, se guardano nella loro direzione, possono scorgere le due figure avvicinarsi in fretta.

     
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    Uff!

    L'oplite trattenne il respiro di botto quando l'acrobata gli fece sobbarcare l'intero peso del carico. Riusciva a portarlo, certo, ma era stato un gesto improvviso.
    Erano sull'uscio di uno degli innumerevoli cunicoli d'ingresso, ed il vento accarezzava i loro corpi.

    Quando il coperchio fu sollevato, Aristotelis dovette proteggersi gli occhi dal riflesso accecante del sole su quelle che sembravano essere punte di freccia, innumerevoli punte di freccia. Raem prese una mappa, consultandola rapidamente.
    Intanto il greco provvide a togliersi l'elmo, facendolo ricadere legato dietro la testa, ed assicurò lo scudo alla schiena. In qualche modo doveva ridurre al massimo la superficie di corpo coperta dal metallo, o sarebbe diventato un forno vivente.

    Finito lo studio della loro posizione, l'evocatore indicò ad Ariste la meta, e quest'ultimo non poté fare a meno di sorridere amaramente, divertito e sconfortato al tempo stesso.

    Oltre... Ah!

    Così, si incamminarono per andare oltre.

    ~

    Odio questo maledettissimo deserto.

    L'unica cosa che mandava avanti Aristotelis passo dopo passo era la sua determinazione. E sì, anche la sua rabbia repressa diretta a quel luogo infernale.
    Durante il viaggio aveva rimosso l'armatura depositandola sopra il baule, trovando un po' di pace per il corpo sudato, ma non bastava.
    Ogni tanto beveva con parsimonia, per idratare i tessuti prosciugati.
    Da quanto stavano camminando? Un'ora? Due? Tre e mezza? Aveva perso il conto, e sicuramente era meglio così.

    Pensava di dover trascorrere il resto del tragitto chiuso in se stesso con i suoi pensieri, ma Raem gli rivolse un paio di domande dalla difficile risposta.
    L'oplite rallentò il passo, stranamente rabbuiato.

    Gli Dèi...

    Certo che li aveva visti.
    Aveva visto Ares, innumerevoli volte: nei campi di battaglia non mancava mai, onnipresente tra le fila degli schieramenti nemici tra loro, spada alla mano ed elmo fiammeggiante sul cranio; l'aveva visto ridere, mentre donava anime ad Ade, tediato nel collezionarle come fossero semplici oggetti, restando nascosto agli occhi dei mortali nel suo mondo di morti.
    Aveva visto la collera di Zeus incendiare alberi con le sue sagitte, ed Afrodite far innamorare anche i più vuoti uomini corrotti. Poseidone rendere il mare calmo e piacevole prima, terribile e mortale un istante dopo.
    Aveva visto gli Dèi agire, mostrandosi in tutta la loro potenza.
    Ma anche degli esseri così magnificenti potevano morire. Lo dicevano gli scritti, i miti degli eroi che trascendevano l'umanità, le stelle del firmamento.

    Li ho visti, gli Dèi: scatenano tempeste, guidano eserciti l'uno contro l'altro, viaggiano più veloci del vento, compiono magie che superano quelle di questo mondo. Ho visto anche i resti dei figli del Signore dei Mari, gli scheletri dei Ciclopi. Vi sono tante divinità ed esseri misteriosi, eppure non sono immortali. Anche un uomo come me potrebbe ucciderli, se mai ricevesse il potere necessario per attuare una tale e scellerata azione.

    Riprese il passo, più rapido.

    Solo il Fato è immortale. Solo le Parche dominano ciò che sta in cielo ed in terra senza che nessuno possa far nulla. Solo il loro operato è ineluttabile.

    Ed era per loro azione, se lui si trovava dov'era. O almeno questo credeva.

    Proprio quando il sole era ormai a picco sul deserto, qualcosa attirò l'attenzione di Raem. Anche Aristotelis notò qualcosa d'insolito, oltre le dune.
    Una volta arrivati ad una distanza tale da permettere la distinzione della figura, l'oplite corrucciò le sopracciglia.

    Quello è un... elefante?

    Non ne sapeva molto su quegli animali maestosi, ma aveva sentito alcune storie su di essi. Soprattutto, sapeva benissimo che erano usati come arma e mezzo di trasporto allo stesso tempo.
    Ne aveva visti tanti, utilizzati dai persiani.

    Si mise subito in allarme, mentre sentiva un odio velenoso risalirgli le viscere. Era davvero in Persia, allora?
    Strinse il pugno intorno alla maniglia del forziere, con i muscoli del corpo che si irrigidivano divenendo pietre.
    Poco importava che l'animale avesse quattro zanne anziché due: per il soldato poteva trattarsi benissimo di qualche specie sconosciuta.

    Persiani maledetti...

    Biascicò a voce bassa, impercettibile alle orecchie di Raem.
     
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    La sabbia sulla quale si era lasciato cadere il Boggart era oltre modo bollente, tanto che se fosse stato a pelle nuda, probabilmente si sarebbe ustionato le chiappe.
    Gente sensibile, quella dei cunicoli.
    L'improvvisa marea di imprecazioni si affievolì pian piano, fino a lasciare spazio ad un ostinato silenzio e uno sguardo truce puntato verso l'orizzonte giallognolo.

    La questione, per lui, era molto, molto semplice. Qualcuno aveva spostato la città dei picchi, giusto per fargli dispetto e farlo perdere in quella sabbionaia infinita.
    E non era per niente da escludere un coinvolgimento da parte di 23 in quella faccenda... quel umano puzzone non aspettava altro che il povero, piccolo padrone abbassasse la guardia per pugnalarlo alle spalle, ne era certo.
    ”Stupido schiavo. Vedi quante frustate io ti da questa notte.” brontolò, raccogliendo una manciata di sabbia nel pugno artigliato, facendola scorrere pian piano tra le dita.
    Aveva un carico oltremodo scomodo da trascinarsi dietro, e nessuna anima pia a cui sbolognarlo. Era tutto molto irritante.

    Il Boggart si sporse appena dalla duna per osservare l'oliphant seduto a godersi l'ombra. Era una creatura stupida, con poca voglia di fare e buona solo a consumare le sue provviste. Di buono c'era che non doveva più frustare 23 per portare il vecchio carretto con sopra tutta la mercanzia... Dei dei cunicoli, se a volte era esasperante quel ragazzo!
    E piove, e grandina, e nevica, e fa caldo, e fa freddo, e sto trasportando tre pianoforti a coda...
    Sempre a lamentarsi.
    E pure razzista. Non è mica colpa di quei pianoforti se avevano la coda. E mica gli dava fastidio poi.

    No, davvero, quella bestia (l'olifante, non 23) era stata davvero una manna dal cielo sotto questo aspetto.

    Dalla posizione di Zimmer, praticamente sdraiato sul ciglio della duna, questi potè facilmente notare quei due puntini che si muovevano in linea retta verso di loro.. ma non gli diede molta importanza. Erano solo due puntini nerastri su quello sfondo giallastro.

    Fu solo quando quei due neuroni che gli erano rimasti fecero contatto, che il Boggart fece i collegamenti necessari: due puntini che camminano assieme equivalgono a due uomini. Due uomini sono due possibili acquirenti.. o due possibili predoni.
    L'eccitazione del momento lo fece sbilanciare e letteralmente ruzzolare giù dalla duna, facendolo rotolare inesorabilmente verso l'olifante.
    Sono in momenti come questi (la possibilità di far soldi) dove i Boggart fanno ricorso a tutte le sue abilità. Zimm si ribaltò durante la caduta stessa, facendo attrito con i piedi e mettendosi in posizione eretta, slittando verso “valle”. Sterzò a pochi metri dalla bestia, facendo una capriola e rimettendosi così in perfetto equilibrio.

    ”La pistola capo!”
    Dopo anni di allenamento, 23 sapeva riconoscere quando il proprio padrone aveva bisogno di equipaggiamento. Con un movimento rapidissimo, lo schiavo tuffo la mano all'interno di una delle sacche sopra la portantina, gettando un oggetto metallico verso il Boggart. Questo, senza nemmeno girarsi verso il ragazzo, tese la mano sopra il proprio capo, afferrando al volo la pistola e infilandosela discretamente nelle vesti di pelle.

    “Tutti ai propri posti, noi ora diventa ricchi!” esclamò convinto Zim, mettendosi con le gambe ben piantate sul terreno e le braccia incrociate ad attendere i due nuovi arrivati.
    Dietro di lui l'olifante e lo schiavo iniziarono i ben noti preparativi per accogliere i possibili acquirenti.
    L'animale si mise faticosamente in piedi, senza però abbandonare la zona ombreggiata. 23 intanto recuperava uno striscione logoro dalla portantina, appendendone i capi alle poderose zanne dell'animale.
    Lo striscione, un tempo bianco, ora di una moltitudine di tonalità diverse, e riportava a lettere cubitali rosse la scritta.

    Da Zimmer dei Cunicoli. Oggi: saldi.






     
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  8. Dracace
     
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    Strano quanto possano essere caotici due puntolini all’orizzonte. I proprietari della bestia, apparentemente in coppia, si sono finalmente fatti vedere, ma ciò non vuol per forza dire che la situazione è diventata anche di poco più chiara. Prima di tutto la statura, che sembra particolarmente ridotta ( ma probabilmente è il confronto con la mole del pachiderma a farli sembrare così minuti); secondo il comportamento, semplicemente indescrivibile. Non appena si sono accorti di loro, le sagome iniziano un confuso adirivieni, confabulando, cozzando contro qualsiasi oggetto nei loro pressi, gesticolando in modo forsennato e non smettendo un solo istante di innervosire il dotto.

    Poi, forse per un inspiegabile colpo di genio, le formichine all’orizzonte decidono di comunicare un messaggio e ogni singolo dubbio viene sciolto. Mercanti, c’era da aspettarselo. Piccoli affaristi più viscidi di un serpente e più untuosi di una saponetta. Da non confondere con i proprietari di negozi, ben inteso. Come il buon vecchio Vorit testimonia, tra la semenza dei venditori c’è anche brava gente, ma questi decisamente non ne hanno l’aria. Oltretutto, già solo il fatto che se ne vanno in giro per il deserto in un modo simile li caratterizza per ciò che sono realmente: predoni un po’ più bravi dei colleghi a piazzare la refurtiva, nulla di più. Insomma, gente buona solo a essere disprezzata.

    Ormai i cinque esseri sono distanziati da poche decine di metri e gli sguardi si incrociano, come lame affilate. Le due fessure del non morto si soffermano sulla fisionomia del padrone di quel bizzarro bancone mobile, lì di fronte a lui. Poi lo sguardo passa dal padrone al posseduto, e il ribrezzo diventa in un lampo indignazione.

    Non avrà mica intenzione di fargli avvicinare quello schiavo, vero? Un simile esempio della cenciosità umana avvicinarsi a lui, un nobile, seppure sotto altre fattezze? Sarebbe stata un onta ripulibile unicamente col sangue.

    Ed è pensando al sangue che l’accademico si accorge di non aver ingerito nulla negli ultimi giorni. E cacciare prede fresche in pieno deserto non è tra le cose più facili, soprattutto se bisogna portarsi dietro un oplita in armatura e un baule di ferraglia. Dopo tutto, a quanto pare, quei pezzenti hanno pur uno scopo in quest’occasione.
     
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    Buffo.
    Gli era sembrato di vedere una specie di... Nano, tra quelle dune.
    Ma non era un nano qualsiasi. Sembrava un altro di quei strani mostri cantati nelle leggende.

    E man mano che si avvicinavano a quell'elefante, le cose si facevano sempre più strane.
    Innanzitutto, oltre all'elefante c'era veramente quello strano essere molto basso, più un essere umano che del trio sembrava quello messo peggio.
    Poi, appena Raem ed Aristotelis furono avvistati, si misero in agitazione e imbandirono una sorta di teatrino prima di appendere un telo alle zanne dell'animale, riportante una scritta enorme ed incomprensibile al soldato.

    Di botto, tutto l'odio dell'oplite scomparì nel nulla. Non potevano essere persiani.

    Decisamente no.

    Arrivarono infine di fronte a quella bancarella improvvisata, ed Ariste poté squadrare meglio l'essere alquanto basso.
    Era molto strano, a dir poco: aveva delle corna, era di un colore rossastro e totalmente glabro.
    Aristotelis rimase parecchio interdetto nel vederlo, e il tuo sguardo tradiva questo sentimento.
    Tuttavia, ciò che lo spiazzò di più fu ben altro: quella strana creatura sembrava essere il capo, lì in mezzo.

    Si rivolse all'acrobata, posando in terra il baule.

    Sono amici tuoi?

    C'era un pizzico di ironia, in quella frase.
     
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    Regola numero uno del mercante: fare orecchie, appunto, da mercante. Ma sebbene il Boggart col fai-da-te si era sempre dimostrato particolarmente abile, non era ancora mai riuscito a usare bene in una trattativa quei due organi amputati a un suo collega, ne tanto meno ad appuntarsele su un berretto così da poterle usare. Si doveva quindi accontentare nell'interpretare le espressioni facciali dei suoi acquirenti, e in questo era abbastanza bravo.
    Non che fosse una cima dell'osservazione, basti pensare a dove si trovava e dove credeva di essere, ma quando c'erano di mezzo i soldi... bhe, ho detto tutto.

    Gli occhi si spalancarono, il sorriso si spalancò come una finestra sdentata e le mani iniziarono a grattarsi fra di loro, come se avesse già venduto qualcosa.

    I suoi possibili (ma improbabili) acquirenti dimostravano quanto la natura fosse bizzarra nel disporre le proprie coppie in giro per il mondo.
    Il primo dimostrava la più piattezza delle espressioni, tradita appena dal leggero disgusto provato, evidentemente, per la piccola banda di mercanti. Ma la cosa più simpatica era la quantità indicibile di escoriazioni e di cicatrici che gli solcavano il viso, mal nascoste da uno strano velo di... trucco? Per non parlare dello sguardo poi, sembrava quasi un cadavere.

    Zimmer lo annotò mentalmente come “Uomo di ventura: vedergli ago e filo, qualche garza e del fondotinta”.

    Il secondo era ancora più strano.
    Non tanto per l'aspetto fisico, che agli occhi del Boggart non si discostava troppo da quello umano.
    (Tra parentesi, come facevano a distinguersi fra loro? Sono tutti uguali! Zimmer, nel suo cunicolo, era l'unico rosastro. Ed erano in una dozzina!)
    Dicevo: la stranezza del tipo era nell'abbigliamento.
    Un armatura d incredibile fattura, completamente nera, di cui una sola scheggia poteva benissimo valere di più di tutti i sacchi presenti sull'olifante.
    Doveva quantomeno avere un caldo atroce, comunque.
    “Guerriero di ventura: vendergli un ventilante.”

    Anche lui, comunque, sembrava parecchio sorpreso dal vedere il gruppetto di mercanti. Il che era strano: 23 non stava facendo nulla di anormale, almeno per una volta.

    ”Benvenuti, cari voi! Noi ha molto da condividere, se vuoi vuole. Voi interessa si? Noi ha grandi cose di stupenda fattura!”
    Si presentava così il piccolo Boggart, esibendo un sorriso a trecentosessanta gradi. Dopo la frase, il molliccio battè le mani due volte, come se stesse recitando un copione.
    L'olifante, dietro di lui, roteò gli occhi verso il cielo, con fare esasperato. Con la lunga proboscide andò a prendere i sacchi posti sulla portantina, disposti in modo tale da rendere facile l'operazione.
    Questi furono poi disposti ai piedi del Boggart.

    ” Vuole comprare voi si? Si, io lo sente, voi vuole comprare qualcosa..."
    lo sguardo del Boggart andò inevitabilmente alla cassa che i due stavano trasportando.

    23, riconoscendo lo sguardo del padrone, sospirò rassegnato.






    Edited by Netrøsis - 27/5/2011, 11:36
     
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  11. Dracace
     
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    Per definire artefatti di stupenda fattura la paccottiglia ammassata tutt’intorno ci vuole una bella faccia tosta. Però il mercante non sembra difettare di questa qualità, quindi, in un certo senso, il discorso non è poi così sbagliato. In una parte, comunque, è contenuta una certa dose di verità. C’è qualcosa che il non morto brama, se non con insistenza, con impellente interesse. Quel sangue, che da qualche minuto gli occupa ogni facoltà mentale, ora può procurarselo, in un modo o nell’altro. Certo, forse il greco avrebbe disapprovato una carneficina lì in mezzo al deserto, sotto il sole cocente, ma si tratta pur sempre di un sudicio predone. Eppure l’idea di avere a che fare con l’infimo scarto della gerarchia sociale lo disgusta talmente tanto dal dover chiedere al giovane di fare le trattative al posto suo. Tutto il suo operato si limita infatti a una spiccia domanda rivolta ad Ariste, per informarsi dei suoi desideri.

    Qui vendere. Desiderare tu qualcosa?



    Veret, invece, non si dimostra altrettanto ben disposto nei confronti del commerciante. Estraendo i coltelli affilati dalla cintura della cintola, inizia a giocarci con fare noncurante, lanciando occhiate inquietanti al venditore.

    Esatto amico. Ho la gola secca e vorrei sciacquarmela un po’. Puoi vendermi due o tre litri di sangue o mi servo io gratuitamente?
     
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    In altre circostanze, l'oplite avrebbe pure riso: per le fattezze e le movenze del venditore, per quell'elefante dalle quattro zanne che pareva rassegnato al suo compito, per quel caldo allucinante.

    Invece, Aristotelis continuava a guardare serio ed impassibile il mercante ed il suo seguito, mentre l'animale iniziava a disporre la merce grazie alla sua proboscide.
    L'umanoide basso e rossastro rivolse loro delle parole incomprensibili, ma Raem aveva capito tutto, così riferì all'oplite il messaggio in una sola e sintetica frase.

    Avevano l'opportunità di comprare qualcosa, ed in quel frangente c'era soltanto un oggetto nella mente del greco: un mantello.
    Doveva assolutamente ripararsi ad quel tepore infernale.
    Così, chiese all'evocatore di domandare se il nano avesse quanto desiderato.

    Chiedigli se vende mantelli.

    Dal canto suo, Veret, preso controllo del corpo, sembrava desiderare ben altro, come stava facendo intuire con le lame.
    Voleva forse derubarlo? Eppure non possedeva chissà quali mercanzie rare o pregiate, quella buffa creatura.
    Stancandosi anche solo a pensare, il greco bevve alcuni sorsi d'acqua dalla borraccia che portava al collo, in procinto di essere svuotata del tutto.

    Perfetto...

    Con tono stanco e contrariato, si rivolse nuovamente a Raem.

    Un mantello ed acqua, il resto non mi interessa minimamente.

    Detto questo, si sedette sulla cassa mezza affossata nella sabbia, sbuffando mestamente.

    Odio questo caldo.
     
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    Le mercanzie erano state con cura disposte ai piedi dell'olifante, inscenando quella sorta di mercatino di chincaglierie nel mezzo del deserto. Dai vari sacchi svolti potevano figurare in tutto quel ciarpame delle autentiche collezioni di quella che poteva, da alcuni, essere considerata spazzatura.
    Per come la vedeva il Boggart, ognuno di quei pezzi offriva invece un opportunità. Nessun genio aveva costruito le sue invenzioni con l'oro fuso, nessun pittore dava la prima mano su una tela fatta di seta.

    Alcune cose, completamente inutili, potevano mascherarne di altre, mentre altre che a prima vista sembravano gradevoli all'occhio, nella vita pratica valevano meno di un rotolo di carta igienica fatto di foglie di ortica.
    Tra parentesi, Zimmer aveva un intero sacco dedicato alla carta igienica urticante. Dava quel pizzico di vita in più.

    Poi le cose parvero prendere una svolta diversa: l'interlocutore del molliccio, il tipo strano con le cicatrici, aveva estratto quelle che sembravano delle armi.
    L'olifante roteò nuovamente gli occhi al cielo: lo spettacolino del Boggart seguiva quel copione ormai da anni. Prima o poi, o il mercante o i clienti estraevano le armi.

    ”Qui niente gratis... o tu ha soldi o tu infila quei tuoi bei pugnaletti su per sfintere.” esclamò gelido Zim, estraendo la sua pistola dalla veste in pelle dove la aveva riposta poco prima e puntandola verso il possibile predone.
    La lancetta presente sull'indicatore di pressione sulla canna schizzò verso il rosso, mentre le dita artigliate dell'abitante dei cunicoli toglievano la sicura.
    ”Me è curioso... più veloce proiettile o coltello?

    Il secondo “predone”, dal canto suo, si esprimette in una lingua ignota al piccolo mercante, che fece uso di tutta la sua conoscenza arcaica della popolazione umana per cercare di tradurre.
    ”Hey! Come tu ha chiamato mia madre?” gli urlò dietro il Boggart, cambiando bersaglio dalla prima alla seconda figura.
    ”Naaa... ogni insulto no può essere veritiero abbastanza per descrivere arpia come quella.” commentò subito dopo, rendendosi conto del proprio gesto.
    Il bersaglio su nuovamente portato al coltellaro.

    Finalmente entrò in gioco 23, come un araldo che portava pace fra la discordia.
    Mentre il suo padrone perdeva tempo a giocare a chi ha l'arma più figa, lo schiavo aveva fatto l'unica cosa intelligente: indietreggiare fino alla portantina e recuperare parte delle scorte che non facevano parte della mercanzia. Queste furono disposte ai piedi della cassa ove si era seduta la seconda figura: comprendevano una mantella bianca per proteggersi dal sole e una borraccia d'acqua piena.
    ”Mantello... acqua!” mormorò verso l'oplita, in un greco molto sdentato e da un accento che rassomigliava quello di due sassi che cozzano fra loro.

    ”Alle miniere di Golconda c'era un lavoratore che parlava così. Qualche parola alla fine l'ho imparata.” spiegò tutto inorgoglito, notando la faccia stupita del proprio padrone.
    Forse, per una volta, era riuscito a evitare il terzo atto di quella commedia: lo scontro.
    Sarebbe stata la prima volta, in effetti.
    L'olifant sembrò barrire di solievo.

     
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  14. Dracace
     
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    Al contrario dell’evocatore, anche se inizialmente intento a minacciarlo, Veret finisce con l’apprezzare quel tipetto buffo. I suoi modi nudi e crudi, il suo senso dell’umorismo, perfino l’accento straniero. Quando questo estrae la pistola, non è la paura a dipingersi sul volto del non morto, ma è un ghigno di soddisfazione. Quello è decisamente il tipo di persona con cui poter andare d’accordo.

    Un certo nervosismo lo colpisce però quando l’obbiettivo dell’arma da fuoco diventa l’amico del pomposo coinquilino, ma vedendo che il tutto si risolve nell’ennesima battuta (e che l’obbiettivo torna ad essere lui) si calma. Anche se le pallottole sono di sicuro più veloci dei coltelli, i non morti sono per certo più coriacei dei vivi. Anche svuotandogli il caricatore addosso, difficilmente può causargli serie grane.

    Visto che intanto il garzone del mercante e il greco sono riusciti ad intendersi, e che ora l’oplita sta prendendo gli oggetti appoggiati sulla cassa, l’acrobata sceglie di rinunciare al vermiglio succo e di proseguire verso la loro destinazione. Prima di allontanarsi, comunque, lascia scivolare il dovuto da un sacchetto che tiene appeso in vita, per evitare inopportuni liti. L’umore gli fa perfino lanciare un ultimo saluto al burbero commerciante, quando ormai la strana coppia è nuovamente in marcia. Un addio che suona più come un invito.

    Se vuoi scoprire chi tra la tua pistola e le mie lame è la più veloce, ti aspetto a Merovish. Chiedi del funambolo.
     
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    Strane situazioni vengono a crearsi nel deserto.
    Dopo le minacce di Veret, il mercante basso rispose a modo estraendo uno strano marchingegno da sotto la veste, puntandolo contro l'acrobata.
    Vi fu un rapido scambio di battute durante il quale l'oplite osservò corrucciato i due interlocutori, ognuno con le sue incomprensibili parole.
    Ad un certo punto fu proprio Ariste ad essere puntato dal venditore.

    Altre frasi astruse, e sguardo stancamente attento del greco verso il nano rossiccio.
    Aristotelis calò leggermente il capo in risposta.

    Sì?

    Durò poco, comunque; poi la buffa creatura dedicò nuovamente la sua attenzione a Veret.

    Fortunatamente, intervenne quello che sembrava essere il servo del mercante, il quale rapido si occupò di portare le merci richieste dall'oplite proprio ai suoi piedi.
    Un'espressione felice si dipinse sul volto del greco, più per esser stato capito da qualcuno che per gli oggetti in sé.

    Tu mi hai capito!

    Allegro, indossò il mantello, avvolgendoselo per bene attorno al corpo e alla testa, come i beduini del deserto. Sentiva già la calura infernale alleviarsi.
    Non si lasciò sfuggire l'opportunità di sfogarsi del caldo con uno sbuffo lungo e profondo. Avrebbe voluto domandare altre cose, ma non v'era tempo utile.

    L'agire dello schiavo fu provvidenziale, in quanto fece desistere l'acrobata dalle sue intenzioni ed allo stesso tempo aiutò il mercante, in quanto Veret pagò la mantella e la borraccia d'acqua per incamminarsi nuovamente verso la meta di quel baule, salutando il piccolissimo convoglio mercantile del nano, lo schiavo e l'elefante.

    Aristotelis bevve un piccolo sorso di quel liquido così prezioso alla vita, per poi riprende la cassa ed incamminarsi.
    Si rivolse soltanto un'ultima volta al venditore ed al servo.

    Grazie per la veste, e per l'acqua.

    Mentre spariva tra le dune insieme all'acrobata, si chiese che cosa mai fosse quell'oggetto che il rossiccio gli aveva puntato contro, sollevando le spalle per quella domanda senza risposta.
     
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