Open, Sesame!

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    Endlos - Presso Ricca Villa a Merovish



    A Merovish vi era un luogo segreto contenente oggetti preziosi dai valori inestimabili. Nessuno effettivamente sapeva dove si trovava questo luogo né se realmente conteneva ciò che si diceva. Alcuni credevano che la storia fosse falsa e che non esisteva nessun luogo del genere. Creata unicamente per attirare persone provenienti da altri presidi, per raggirarli, per privare loro di tutto. C'era addirittura chi credeva fermamente che tale luogo si trovasse tra le montagne del Nord, tuttavia queste voci erano molto esigue.

    Una ragazza con un ombrello passeggiava tra le strade di Merovish. Passo aggraziato e costante. L'ombrello copriva la metà superiore del viso, mentre quella sotto era caratterizzata da un instancabile piccolo sorriso. Nessuno si avvicinava a lei, nessuno sembrava voler a che fare con lei. Si fermò presso un negozio, sollevò lo sguardo: una panetteria. Un uomo, incuriosito e sospettoso, la stava osservando da un po'. La giovane se n'era accorta da un pezzo e voltandosi, con un cenno cordiale del viso, sollevò l'animo dell'uomo. Questo si voltò sdegnato e tornò fra i suoi passi.

    Entrò nel negozio e in breve tempo ne uscì con un sacchetto bianco contenente del pane. Continuò la lenta e tranquilla passeggiata. Apparentemente senza meta. Passarono i minuti, quando decise di sostare su una panca. Si sedette, chiuse l'ombrello e mise una mano all'interno del sacchetto. Ci mise un po' a sbriciolare per bene il pane. Instancabile e paziente, non diede il minimo segno di fastidio. Compiaciuta e soddisfatta. Appoggiò il sacchetto sulla panca al suo fianco. Riaprì l'ombrello e appoggiò il suo asse sulla spalla sinistra.

    Teneva il manico con l'omonima mano, mentre l'altra si occupava di infilarsi nel sacchetto per prendere un po' di pane sbriciolato. Con piccoli gesti, cominciò a gettarne le molliche. Al pari di una vecchietta vissuta in un rigoglioso parco. Dava da mangiare a piccioni inesistenti. A Merovish non c'erano piccioni. Eppure la giovane ombrellaia non pareva preoccuparsi dell'immagine che dava. Nemmeno di fronte a quel tozzo individuo che arrivava da un lato della strada, aveva un'aria particolare ed era vestito di viola.

     
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    Dopo il lungo colloquio avuto con Marco, il ragazzo affetto da una misteriosa patologia che l'avrebbe condotto inesorabilmente alla morte, skekDor decise di esplorare Merovish, ora che finalmente era riuscito a introdursi nella città sotterranea.
    Ricordò quasi con rabbia come il suo primo tentativo di arrivare fino a lì fosse fallito miseramente. Un cratere s'era aperto sotto di lui, e l'oscurità l'aveva avvolto in poco tempo.
    Invece di ferirsi, però, si ritrovò stranamente all'esterno, sotto il sole rovente.
    Chissà, magari s'era ferito davvero e, nel tempo che aveva passato incosciente, i raggi solari l'avevano medicato. Non lo sapeva, e a esser sinceri preferiva rimuovere tutta la faccenda.
    Anche perché non intendeva rovinarsi il buon umore. Era a Merovish. Merovish!!!
    Un luogo inadatto alla sua esistenza, giacché nel buio poteva solo nutrirsi d'anime al fine di rigenerare il suo corpo. D'altro canto, però, apprezzava l'ambiente lugubre. Non che la città in sé potesse definirsi tale, ma l'idea lo era: vivere nelle profondità della terra, lontano dal sole e dal mondo esterno.
    Come detto, si sentiva felice, ma non troppo. In altre parole, a dominare era ancora una volta la metà malvagia. La scintilla di vita nel cuore di tenebra provò ripetutamente a uscire, ma non ci fu verso.
    E al fine di annichilirne la presenza, iniziò anche a frustare i Podling con la coda di rettile. Di conseguenza, si levò una litania dietro di lui, mentre incedeva fra gli sguardi curiosi e forse un po' spaventati dei popolani.
    Ah, Endlos... Il mondo degli umani, o presunti tali. Bastava essere un po' fuori dagli standard, che si veniva etichettati come mostri.
    A lui stava bene: un essere temuto è un essere rispettato!

    Se ne stava quindi a cincischiarsi su pensieri tanto effimeri, quando al suo fine olfatto giunse l'odore del pane. No, dalle sue parti a Thra non esisteva niente di simile. C'erano sì dei cereali, ma non possedevano l'aroma del grano.
    Esso gli impregnò le cavità del naso tanto in profondità che quasi ne poté sentire il sapore in bocca. Si guardò attorno, chiedendosi da dove provenisse e, nonostante ci fosse appunto il negozio del pane a pochi metri, si concentrò invece su di una ragazza intenta a mangiarne un pezzo.
    Mugugnò stridulamente, com'era solito fare quando qualcosa era di suo estremo interesse, quindi s'incamminò a braccia conserte verso l'umana.
    Giuntole abbastanza vicino perché lei potesse percepirne l'odore di cadavere e vecchiume, spalancando il becco esclamò: "Pace, umana. Potresti dirmi cos'è quel che stai mangiando, se non ti spiace?"
    Si stava dimostrando fin troppo educato per i suoi standard, ma quel cibo doveva esser suo!

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    Armamentario:

    - Frammento del Grande Cristallo:
    Si tratta di una minuta porzione, della grandezza d’una mela, del Grande Cristallo originale. Il colore ricorda quello dell’ametista, anche se le tonalità variano considerevolmente a seconda dell’ora del giorno e dello stato mentale di skekDor. Normalmente si trova all’interno del corpo dello Skeksis, il quale lo vomita fuori solo nel caso in cui dovesse bagnarsi nei suoi raggi curativi. E’ un oggetto che può venire utilizzato solo dalle divinità: nelle mani di un qualunque mortale apparirebbe come una semplice pietra preziosa.
    La scheggia del Grande Cristallo erige inoltre naturalmente un velo invisibile tutto attorno al corpo dello Skeksis, la cui robustezza è equiparabile a quella di una corazza pesante. Ogni colpo portato a questa protezione evanescente produce sprazzi d’energia violacea. Qualora la barriera dovesse cedere, le zone di frattura diverranno visibili a occhio nudo e, fino a completa rigenerazione del potere, non sarà possibile innalzarne un’altra

    - Caesti eterei:
    Qualora la situazione lo richieda, skekDor attinge al potere del Grande Cristallo per ricoprire mani e avambracci di vispe zaffate di mana fluorescenti nel verde, che ricordano nella forma dei guanti da combattimento avvolti dalle fiamme. Queste insolite armi hanno la resistenza dell'acciaio e, a ogni colpo portato, lasciano dietro di loro una scia eterea che scompare dopo pochi secondi (La scia è scenica e non ha consistenza). La gittata dei colpi è di circa un metro da ciascun avambraccio di skekDor

    Passive:

    - Semi-immortalità (Passiva):
    L’organismo di skekDor non è dissimile da quello di un cadavere che cammina. Non ha realmente bisogno di nutrirsi, a eccezione dei raggi assorbiti dalla luce solare rifratta sul frammento di Cristallo nero. In alternativa, può assorbire le anime dei vivi come sostentamento. Può provare dolore, ma mai fatica. Nella sua nuova forma, skekDor può esser ferito gravemente, ma non ucciso [Abilità Passiva – Immortalità + Resistenza all’esaurimento delle energie]

    - Potere Passivo di Classe Elementalista:
    L'acqua non intacca il corpo di skekDor in alcun modo. Il mezzo-Mistico potrebbe ad esempio rimanere in un torrente per giorni interi senza risentire di alcuna conseguenza relativa al lungo periodo di tempo trascorso in ammollo. Inoltre, (non respirando affatto già di suo) può restare in apnea quanto desidera [Abilità Passiva – Immunità scenica all'acqua]

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    Endlos - Presso Ricca Villa a Merovish



    Di fronte a lei si ergeva un'imponente e ricca villa. Alta e dalle colonne possenti. Presentavano delle guardie e una di queste la stava guardando nella sua particolare esibizione. Un lunga recinzione si frapponeva e un enorme cancello dava l'aria dell'impenetrabilità alla sontuosa abitazione. Si diceva vivesse una rispettabile famiglia. In realtà si diceva che vivesse un uomo solo, vecchio e stanco. Anzi, in realtà si diceva che costui era d'animo corrotto, così avaro e attaccato ai suoi tesori che aveva circondato il luogo di guardie armate.

    Una strana creatura si avvicinò all'ombrellaia. Vestito di stoffe, pizzo e quant'altro, presentava sul volto d'un pennuto un becco. Particolare, interessante, l'ombrellaia scompose per un attimo il suo sorriso, sorpresa che qualcuno si avvicinasse a lei per qualcosa. Che sapeva già o meno, lei sorrise cordialmente al saluto dell'essere. Chiese cosa stesse mangiando. Non scostò l'ombrello per guardarlo dritto negli occhi, non fermò la mano intenta a continuare a lanciare pane per terra.

    "Pace a lei, creatura" - rispose al saluto con profondo educazione, accompagnando la voce con un cenno del capo, accresciuto dal conseguente movimento dell'ombrello.
    "Non sto mangiando niente" - affermò continuando l'attività da benefattrice.
    "Sto dando da mangiare" - tornò ad abbozzare quel sorriso di cortesia. Accavallò la gamba destra sulla sinistra.

    "Questo è pane, vuole favorire?" - domandò gentilmente, continuando a lanciare briciole di pane con una precisa costanza da far paura.
    "Come preferisce? A creature simili a lei piace mangiare da terra" - poi improvvisamente si fermò, non lanciò più nulla, deluse quegli ingordi invisibili e privi d'esistenza.
    "Creature simili a lei non chiedono il mangiare" - disse con voce profonda, ma senza smettere di degnare il suo sorriso.

     
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    La ragazza gli si rivolse educatamente, e questo sulle prime lo lasciò perplesso. No, non c'era segno di paura nei suoi movimenti. Davvero non lo considerava minaccioso neanche un po'? Beh, poco male. Questo gli avrebbe facilitato il compito.
    Anche perché, come la rossa asserì subito dopo, lei quel pane non lo stava mangiando: lo stava DONANDO, a suo dire. Che insperata fortuna trovarsi lì proprio mentre un simile miracolo avveniva!

    Sicché, tese la mano rachitica in direzione del sacchetto, preparandosi ad agguantare un pezzo di quel misterioso cibo. In quel mentre, le parole che gli giunsero furono dette con garbo, ma ben poco gentili nel loro significato.
    "Prego?!" Esclamò, inarcando un sopracciglio e serrando appena il pugno.
    Poi, commentò: "No, è vero. Noi dei non necessitiamo di cibo comune. Volevo solo sentirne il sapore, infatti. Ne gradirei un pezzettino, sempre se non ti spiace." Disse, con tono di voce ora lievemente alterato.
    Ovviamente, non aveva compreso il paragone tra la forma del suo corpo e quella dei piccioni. Durante i suoi viaggio aveva visto gli uccelli di Endlos, ma come poteva compararli alla sua figura?
    Un po' come un uomo cresciuto nel bigottismo della sua religione nega a se stesso di avere qualcosa in comune con le scimmie antropomorfe e, magari, di essere imparentato filogeneticamente con loro, allo stesso modo al mezzo-Mistico non passò lontanamente per l'anticamera del cervello di venir paragonato a esseri tanto inferiori.
    Il che, era quasi un bene per la ragazza, che in altra maniera avrebbe scoperto il lato peggiore del suo carattere prima del tempo.

    Avvicinò dunque di nuovo la mano, mugugnando nuovamente con voce acuta. Tutto sommato s'era calmato presto, merito dell'odore del pane.
    "Solo un pezzettino... piccolo piccolo..." Quasi cinguettò, mentre gli artigli quasi trasparenti erano così vicini al sacchetto

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    Mercenari, guardie, soldati. Erano quaranta ed erano ladroni. Trentanove al servizio di uno. Tutti uguali, tutti avidi, tutti impegnati a condurre un'esistenza ricca di inquietudine, al pari del tesoro che essi nascondeva nella città del Re dei Ladri. Costui progettava di intrufolarsi nel covo dei banditi e sottrarre il loro amato tesoro. Quel tale aveva una serva premurosa, tanto che seppe della sua intenzione e, con pazienza e riverenza, aveva deciso di portarsi nei presi del luogo, nel caso in cui la situazione si facesse particolarmente pericolosa.

    "Eh eh.." - scappò una piccola risatina alla reazione di colui che s'identificava come un dio. Smorzò presto l'atto offensivo portandosi una mano alla bocca.
    "Le chiedo scusa" - sollevò la gamba destra e invertì le posizioni di accavallamento, per poi appoggiare lentamente la stessa mano sul ginocchio sinistro, ora sopra.

    Un dio dalle fattezze bestiali, per quanto pareva non sorpresa di fronte a tale verità. L'ombrellaia tentò di fingerla.
    "Un dio? Mi chiedo quale sia la definizione di dio" - quello chiedeva di assaggiare le briciole di pane e, per quanto alterato, si dimostrava comunque cortese. Poi avvicinò la mano artigliata con quegli occhi ardenti di desiderio.
    "Un dio non dovrebbe chiedere il mangiare" - ma prenderselo, proprio come stava facendo lui in quel momento.

    Non avrebbe fermato la mano avida, come quella dei predoni sempre appoggiata sull'elsa delle loro sciabole.
    "Faccia pure, però così non potrò più dare da mangiare" - disse sollevando apparentemente un problema alquanto ridicolo. Sottrarre pane da lì, significava che qualcuno di immaginario non avrebbe avuto la sua razione giornaliera.
    "Faccia pure, se ciò non la fa sentire in colpa, poiché una creatura simile a lei verrà privata del suo pasto" - e sorrise maliziosa, poiché a lei non importava della fame altrui.

     
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    La risatina sardonica della ragazza non giovò al morale del mezzo-Mistico, che a quel punto voleva quasi arraffare tutto il sacchetto solo per beffa.
    E le parole di lei lo convinsero che era la cosa migliore da fare. Prese tutto il pane, portandoselo in grembo, quindi cacciò una mano all'interno del sacchetto.
    "Sei saggia, piccola mortale. E' vero, noi divinità di solito non chiediamo. Otteniamo ciò che vogliamo, infischiandocene di voi esseri inferiori. Ma io sono una creatura a modo, e un dio retto e giusto." Sì, come no. Gli ci volle una buona faccia tosta per dire qualcosa del genere senza ridere.
    Aprì il becco e si cacciò in esso un panetto: "Inoltre... Mmmhhh..." E le chiacchiere andarono a quel paese. Le papille gustative furono invase finalmente del dolce sapore che lo Skesis aveva immaginato fino a poco prima. E la consistenza era morbida e soffice, nonostante la crosta leggermente dura. E come non parlare del piacevole retrogusto acidulo che rimaneva in bocca? Una gioia per il palato.
    Masticò a becco aperto, facendo cadere briciole e bava sul collare e sul petto. Finito il primo panetto, ne agguantò un secondo, smanioso.
    Quindi, dopo aver finito anche questo, improvvisamente sembrò perdere interesse e allontanò l'incarto da sé, restituendolo alla proprietaria.
    "Niente male davvero. Mh-mh!" Commentò, tendendo la zampa col pane in direzione della ragazza mentre al contempo, con la mancina, si puliva i lati del muso con un fazzoletto di seta.
    Che la giovane avesse ripreso il sacchetto o meno, avrebbe domandato: "Stento a credere, comunque, che ci siano altri esseri simili a me qui. O su Endlos in generale. Mi avrai scambiato per qualcun altro, piccina. A tal proposito, perché non mi dici come ti chiami? Così saprò chi ringraziare per lo spuntino." Concluse, con un'espressione alquanto anodina

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    Fece un cenno di dissenso rifiutando il sacchetto. L'aveva preso e ora se lo doveva tenere.
    "No, grazie" - cordialmente abbozzando nuovamente il sorriso. Arcaico, ormai, come quello delle antiche statue pre-classiche. L'ingorda divinità le fece un complimento e sottolineò, gonfiandone i significati, la sua superiorità verso quella umana, o in generale di tutte le altre creature viventi. Piegò di lato la testa, perplessa su come per ben due volte l'aveva chiamata.

    Gustò senza alcun rimorso il pane preso dall'ombrellaia. Poi dubito delle sue parole e fu curioso del suo nome per poterla ringraziare della sua magnanimità.
    "Ma lei già mi ha dato dei nomi" - sorrise, ancora, nascondendo la sua identità. Diede indirettamente permesso al suo interlocutore di usufruire dei soprannomi già usati. Umana, mortale e piccina. Un nome non identifica certo la persona, altrimenti avrebbe già fatto valere il suo diritto di difendere se stessa.

    Si era gustato due panini, alla fine era riuscita davvero a dare da mangiare a qualcuno. Sarebbe stato triste se quel giorno nessun volatile si fosse nutrito dalle sue mani, come potrebbe fare un dio alle creature inferiori.
    "Se permette, vorrei farle una domanda" - raddrizzò la testa, senza scomporre l'espressione usuale. La gamba sinistra si sollevò e torno a piantare il suo piede sul terreno. Portò la mano libera ad appoggiarsi anch'essa presso il manico dell'ombrello, sull'asse per la precisione, un pochino più sopra rispetto all'altra.

    L'ombrello cominciò a ruotare in senso antiorario con un moto lento e inesorabile.
    "Vuole ascoltare una storia?" - domandò senza permettersi di guardarlo negli occhi. Una storia, una favola. Il racconto dei ladroni, della loro avidità, della loro orribile fine. La diceria di un altro mondo, una dimensione in cui basta conoscere una formula per poter aprire la porta dei desideri. Quelli corrotti che oscurano l'anima dei mortali. Non era solo una questione di fantasie, ma di successive domande di discutibili risposte.

     
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    La donna rifiutò di riprendersi il sacchetto, ma alla divinità non dispiacque. Facendo spallucce accartocciò alla bene e meglio il tutto, per poi fissarlo a una delle cinghie della sua veste. L'avrebbe tenuto da parte, per poi cibarsene un po' per volta, quando il "vizio" gli avrebbe fatto venir nuovamente voglia di cibo.

    Ridacchiò invece alle successive parole di lei. Poteva chiamarla come meglio voleva? La cosa gli suonava bene. Faceva alla stessa maniera coi suoi schiavi, su Thra.
    Di seguito, la ragazza espresse la volontà di voler porre un quesito a skekDor. Questi la osservò in silenzio per un po', socchiudendo gli occhi e riflettendo.
    Ah, eccola la fregatura! Ora voleva qualcosa in cambio per il pane. Beh, si sarebbe scordata di carpirgli il segreto della vita eterna!
    "Sta bene, umana. Chiedimi ciò che vuoi." Fu la sua risposta. Chiaramente, si guardò bene dal rivelarle che, se la richiesta fosse stata superiore alle aspettative, avrebbe richiesto dell'altro in cambio per esaudirla.

    La vide armeggiare col suo ombrello, anche se non prestò troppa attenzione alla cosa. Una storia, aveva detto. E voleva raccontargliela lei?
    Di nuovo, lo Skeksis rimase perplesso. Quella mortale si stava dimostrando alquanto contorta, il che non era mai un bene.
    "Sentiamo. Cosa vuoi raccontarmi? Un tuo ricordo? Una leggenda?... Una fiaba?" Ne conosceva anche lui. Anche se, per la maggior parte, erano storie di crudeltà e orrore inaudito.
    E non doveva neanche inventarle: alcune vedevano lui come carnefice.
    Portò le zampe nella ampie maniche della veste e attese, lì in piedi di fronte alla panchina su cui era seduta la ragazza, di sentire cosa avesse da dire. Iniziò anche a frustare le schiene dei Podling con minor intensità, affinché i loro canti non disturbassero la favella della sconosciuta

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    Endlos - Presso Ricca Villa a Merovish



    E all'umana fu consentito di procedere con la sua richiesta.
    "Una novella, a dire il vero" - precisò perché il racconto in mente originariamente era una novella di una città molto simile a quella che doveva stare a Daleli al posto di quelle macerie. Tornò ad accavallare le gambe, la destra sulla sinistra.
    "Una breve novella su un tale che riuscì a scovare il covo di alcuni banditi" - rivelò la trama con una serenità e tranquillità di una donna vissuta priva di rimorsi per la sua vita passata.

    "Un tale un giorno scoprì questo covo venendo a conoscenza della formula segreta per aprire il varco tra le montagne aride. Erano quaranta ed erano ladroni. Essi nascondevano un tesoro immenso: oro, gioielli, armi di ottima fattura." - le parole uscivano con una lenta costanza. Poi si fermò. Spostò l'asse dell'ombrello sull'altra spalla, quella destra. Il moto rotatorio si placcò nel contempo e fu riavviato nel senso opposto a prima, quindi orario. Sempre a velocità lenta e inesorabile.

    "Questo tale lo rivelò a suo fratello, già in possesso di molti beni materiali. Purtroppo per lui, scordò la formula e quando i ladroni tornarono nel covo, lo trovarono e lo uccisero." - si lasciò andare ad una piccola risata, poi tentò subito di smorzarla ponendo una mano sulle labbra.
    "Chiedo scusa..allora il tale portò via i resti del fratello e così i banditi seppero che vi era un altro a conoscenza del loro segreto. Scoprirono la sua abitazione e studiarono un piano per ucciderlo"

    Cambiò posizione. Sollevò la gamba e invertì l'accavallamento.
    "La serva del tale, con uno stratagemma, riuscì a uccidere tutti e quaranta i ladroni, salvando così la vita del suo padrone. In cambio quest'ultimo la diede in sposa al suo primogenito" - abbassò il capo, col conseguente e impercettibile movimento dell'ombrello. Poi si sciolse le gambe e si alzò rivelando di essere alta quanto il suo pubblico, portando i tacchi.
    "Così si racconta, ma in realtà la storia è un'altra"

     
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    Beh, un racconto era un racconto. Lo Skeksis continuò a tenere il muso rivolto alla donna, e frattanto s'avvicinò alla panchina su cui era seduta, al fine di mettersi bello comodo di fianco a lei.
    Poi però ci ripensò. In due non avrebbero potuto stare comodi, visto lo spazio. Dunque, ritornò dov'era prima.
    Intanto, la rossa iniziò con la novella.
    Di nuovo, mosse l'ombrello in uno strano modo, accompagnando le parole ai gesti. skekDor pensò si trattasse d'un modo per dar enfasi alla narrazione, per cui non ci fece troppo caso.

    Quando la donna arrivò a parlare del fratello del protagonista, che si ritrovò ucciso in quanto aveva dimenticato la formula per aprire il covo, commentò: "Che razza d'idiota..." Per poi lasciarsi andare anche lui a un risolino contenuto, avendo premura di tenere la mano di fronte al becco.
    Seguì quindi con passione la novella fino alla sua degna conclusione, per poi schioccare la lingua contro il palato quando la ragazza gli rivelò che in realtà il finale era diverso.
    La vide alzarsi, e rifletté sul fatto che per una volta non avrebbe dovuto torcersi il collo per fissare qualcuno negli occhi: la mortale era praticamente alta come lui.
    "Oh, sì? E com'è andata, in realtà? Il padrone ha ucciso la serva così che non rivelasse che la sua fortuna derivava da un mero furto perpetrato a dei ladroni mammalucchi?" Azzardò con sarcasmo.
    La storia tutto sommato non era stata niente di che, ma d'altro canto gli era stata offerta senza alcuna pretesa di avere qualcosa in cambio, per cui poteva starci

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    Armamentario:

    - Frammento del Grande Cristallo:
    Si tratta di una minuta porzione, della grandezza d’una mela, del Grande Cristallo originale. Il colore ricorda quello dell’ametista, anche se le tonalità variano considerevolmente a seconda dell’ora del giorno e dello stato mentale di skekDor. Normalmente si trova all’interno del corpo dello Skeksis, il quale lo vomita fuori solo nel caso in cui dovesse bagnarsi nei suoi raggi curativi. E’ un oggetto che può venire utilizzato solo dalle divinità: nelle mani di un qualunque mortale apparirebbe come una semplice pietra preziosa.
    La scheggia del Grande Cristallo erige inoltre naturalmente un velo invisibile tutto attorno al corpo dello Skeksis, la cui robustezza è equiparabile a quella di una corazza pesante. Ogni colpo portato a questa protezione evanescente produce sprazzi d’energia violacea. Qualora la barriera dovesse cedere, le zone di frattura diverranno visibili a occhio nudo e, fino a completa rigenerazione del potere, non sarà possibile innalzarne un’altra

    - Caesti eterei:
    Qualora la situazione lo richieda, skekDor attinge al potere del Grande Cristallo per ricoprire mani e avambracci di vispe zaffate di mana fluorescenti nel verde, che ricordano nella forma dei guanti da combattimento avvolti dalle fiamme. Queste insolite armi hanno la resistenza dell'acciaio e, a ogni colpo portato, lasciano dietro di loro una scia eterea che scompare dopo pochi secondi (La scia è scenica e non ha consistenza). La gittata dei colpi è di circa un metro da ciascun avambraccio di skekDor

    Passive:

    - Semi-immortalità (Passiva):
    L’organismo di skekDor non è dissimile da quello di un cadavere che cammina. Non ha realmente bisogno di nutrirsi, a eccezione dei raggi assorbiti dalla luce solare rifratta sul frammento di Cristallo nero. In alternativa, può assorbire le anime dei vivi come sostentamento. Può provare dolore, ma mai fatica. Nella sua nuova forma, skekDor può esser ferito gravemente, ma non ucciso [Abilità Passiva – Immortalità + Resistenza all’esaurimento delle energie]

    - Potere Passivo di Classe Elementalista:
    L'acqua non intacca il corpo di skekDor in alcun modo. Il mezzo-Mistico potrebbe ad esempio rimanere in un torrente per giorni interi senza risentire di alcuna conseguenza relativa al lungo periodo di tempo trascorso in ammollo. Inoltre, (non respirando affatto già di suo) può restare in apnea quanto desidera [Abilità Passiva – Immunità scenica all'acqua]

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    Il Re dei Ladri era un uomo dai lunghi capelli biondi. Passo furtivo, inosservato, un talentuoso ladro cui era impossibile eguagliarlo. Il Re dei Ladri si intrufolò nel covo dei quaranta ladroni, ma lui non era il tale della novella raccontata. La serva attendeva fuori da ore, mentre dava da mangiare ai piccioni. Avidi quanto il fratello, avidi quanto i ladroni, avidi quanto poteva essere una divinità. La serva s'intrufolò nel covo e fece in modo che i ladroni avvistassero il tale, confondendosi tra loro. Ma l'ombrellaia non era una serva.

    "Un'interpretazione realistica" - commentò il sarcasmo della divinità. Fece un paio di passi distaccandosi dall'odore da morto che emanava l'interlocutore. Cominciò a girare su se stessa lentamente, in senso opposto al moto dell'ombrello. Creando un'aria suggestiva e surreale, un comportamento quasi non umano.
    "Prima di rivelarle la verità.." - come se le parti fossero invertite - "..Avrei ulteriori domande da porle" - altre richieste gratuite. Domande che necessitavano una risposta per proseguire.

    Un ostacolo dopo l'altro. Così questa volta non attese un'espressione diretta del suo pensiero, lo anticipò di netto.
    "Rubare a un ladro significa ancora rubare?" - perché Alì non venne mai considerato un ladro, eppure oggettivamente ha commesso tale crimine. La maggioranza è cieca, vede il fine ma non il mezzo. Una sporca bugia, giudicare secondo le motivazioni e la meta. Il mezzo giustifica i mezzi, ma non rende innocente la persona e, in quanto tale, merita la punizione, divina se necessario.

    "Il pane non l'ho comprato, l'ho semplicemente preso, così come lei lo ha preso a me" - sentenziò con una risatina, stavolta non coperta, non interrotta.
    "Prendere le cose altrui significa rubare?" - domandò e ormai le parole non uscivano più seguendo la costanza ritmica di prima. Veloci e incalzanti, come spadini appuntiti, colpivano la verità e il giusto, mettendo a dura prova gli indecisi.

     
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    La ragazza disse che, per avere il continuo del racconto, lo Skeksis avrebbe dovuto rispondere ad altre due domande.
    Di nuovo, non ebbe di che lamentarsi. Anche perché la giovane non gli permise di replicare, ponendogli subito la prima.
    E dato che si trattava di nuovo di retorica e non di richieste dirette, non nutrì un particolare interesse nel dare una risposta troppo articolata.
    "Dal mio punto di vista, anche rubare al più onesto degli uomini non costituisce peccato. Poiché quel che vi circonda, ciò che sentite vostro, è opera di noi divinità. Siamo noi a concedervi il lusso di "prendere in prestito" quel che usate."
    Socchiuse gli occhi, per poi riprendere: "Ma forse preferivi una risposta "a misura d'uomo". Beh, dipende. Dipende dalla propria etica. Si considera "peccato" un qualcosa che va contro la nostra etica. Se per te rubare è etico, allora non è peccato neanche se privi un mendicante dell'unico straccio di cui è vestito."
    Di seguito, all'esternazione della "verità", fece semplicemente spallucce: "Bambina, pensi davvero che me ne importi qualcosa? Il pane era buono, tu me l'hai offerto, io l'ho mangiato. Per me la faccenda finisce qua."
    Effettivamente, la rossa aveva forse scelto l'essere sbagliato per lanciarsi in un simile argomento. O, per meglio dire, la metà sbagliata.
    In effetti, la luce all'interno del cuore di tenebra la pensava molto diversamente. Ma non aveva voce in appello, in quel mentre

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    Endlos - Presso Ricca Villa a Merovish



    Non placcò il giro e continuò a girare. Scoppiò in una piccola risatina sentendo come quel che si chiamava divinità assecondava il suo pensiero sottolineando che ciò che esiste e la sua disponibilità, dipendono da un semplice gesto di bontà divina.
    "Menzogne" - sentenziò, rapida e aggressiva, ma senza scomporre la sua espressione. Al contrario il suo corpo smise di continuare a girare, fermandosi proprio al fronte. Un sorriso più largo dei precedenti, giusto un attimo per lo scontro d'idee.

    "Perché un dio necessita di mentire?" - il tono era il medesimo e la voce ritornò nuovamente alla velocità di prima, calma e tranquilla. Menzogne, sottolineò. Bugie, scovò. Perché le contraddizioni erano più che evidenti.
    "Mi chiedo se anche voi siate avidi nei confronti delle vostre cose" - e non si riferiva di certo a tutto ciò che era lasciato a chiunque. Intendeva a ciò che custodivano gelosamente per loro stessi, qualunque cosa fosse.

    Riprese a ruotare inesorabilmente su se stessa, stavolta invertendo i moti rotatori sia dell'ombrello che del suo corpo.
    "Cose e nomi servono solo a identificare, ma esse non sono proprietà di nessuno" - compresa la vita, anch'essa poteva venire sottratta senza problemi. La privacy è nata solo per il bisogno di creare un ordine e ciò che viene costruito in seguito non è legge da rispettare con riverenza. Ce ne sono molti di racconti in cui le stesse divinità sono soggette a raggiri, il qui presente poteva essere uno tra i tanti.

    "Non mi fraintenda" - continuò - "Del pane non mi è importato nulla" - poiché non era suo e se voleva difenderlo ad ogni costo, poteva benissimo opporsi alla gentile richiesta dell'altro.
    "Non è forse differente offrire dal lasciar prendere?" - il sorriso si allargò sfociando in un'ennesima risatina forzata. Smise di ruotare come una ballerina di uno carillon, in attesa delle ultime risposte. Una storia era in attesa di venire terminata.

     
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    Lo Skeksis aggrottò lo sguardo alla supposizione della ragazza. Lo fece perché lo stava urtando. E si sentiva urtato perché sapeva che diceva il vero. Sì, gli dei erano avari riguardo alle loro cose. E questo perché, appunto, le loro cose erano un qualcosa di unico e inimitabile.
    Per skekDor, ciò era costituito dal Frammento del Grande Cristallo che giaceva nel suo gargarozzo.
    Potevano privarlo delle vesti sontuose, di tutti i suoi amuleti e persino, perché no, della compagnia dei piccoli Podling. Forse avrebbe sopportato anche il tormento di vedere le sue membra dilaniate e i suoi arti strappati e gettati ai quattro venti. Ma non avrebbe mai potuto -e voluto- lasciare che gli togliessero la gemma che costuitiva la sua stessa esistenza.
    Nessun essere mortale poteva usare un simile oggetto. Per gli altri, sarebbe stato non dissimile da un ametista. Un monile, forse un regalo per qualche donzella. Ma certo non un vaso di Pandora di potere illimitato.
    Suo, suo! Il Frammento di Cristallo gli apparteneva.
    Avrebbe alzato gli artigli persino contro altri Skeksis, pur di tenerlo tutto per sé.
    "Hai la lingua lunga, ragazzina. Dovresti fare attenzione. Prima o poi a qualcuno potrebbe venire la brillante idea di tagliartela." Fu la sua acida risposta alla prima illazione.
    Non rispose invece alle successive parole di lei, intento com'era a seguirla con lo sguardo nei suoi movimenti che, fino a un attimo fa, non l'avevano disturbato minimamente.
    Eppure, ora lo urtavano. Insomma, come al solito, la rabbia stava montando in lui sempre più. La rossa non sapeva con chi stava giocando, pensò lo Skeksis.
    O forse lo sapeva davvero, ed era per quello che continuava, pensò il Mistico.

    "Dipende dai punti di vista, piccina. Tu mi offriresti mai la tua anima, se io volessi strappartela? O me la lasceresti prendere direttamente, risparmiandoti un'inutile difesa che ti porterebbe solo a una più atroce agonia?" Le domandò, a bruciapelo.
    Poi però, roteando gli occhi e schioccando la lingua sul palato, si corresse: "Offrire o lasciar prendere qualcosa dipende dalla situazione. Se si tratta di un oggetto, di un'idea, o di un qualcosa di indispensabile, la faccenda cambia."
    Sorrise, ondeggiando con fare suadente la mano: "Ora... perché non riprendi a raccontare da dove t'eri interrotta? Lascia la retorica agli uomini con la barba lunga. Alla tua età, dovresti godere di ben altri piaceri, se vuoi un consiglio spassionato."

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    "Sono lusingata" - disse fingendo palesemente stupore cotanto di mano alla bocca e aspirazione improvvisa. Una lingua tagliente dimostra una mente pungente ed una mente pungente è una mente in grado di perforare qualsiasi si creda inespugnabile e intoccabile. Non rispose alle domande interessanti, la sconosciuta divinità voleva conoscere la vera storia. L'avida creatura voleva un pasto per le sue conoscenze. Invece di lasciar cadere il braccio, la giovane ombrellaia preferì portare la mano sul manico assieme all'altra.

    Chinò leggermente il busto, come un artista pronto all'esibizione. L'ombrello ne seguì perfettamente il movimento anche al ritorno.
    "Nessuno si chiese come la serva era venuta a sapere del piano dei banditi" - cominciò, rivelando passo dopo passo, cosa si celava davvero in quella storia. Non era una novella con un lieto fine. Non era una novella destinata a mutare in fiaba. Ma più una profezia, una sorta di divinazione, poiché quell'evento era talmente vicino temporalmente, che mancavano poche ore alla sua realizzazione.

    "La serva avidamente curiosa, spiò il suo padrone e venne anche lei a conoscenza del covo dei ladroni" - in quella storia tutti erano avidi, chi per un motivo, chi per un altro. Nessuno si salvava da tale peccato.
    "Nessuno si chiese come il capo dei banditi scoprì l'abitazione del tale, questo perché la serva gli rivelò tutto" - pausa, un sorriso, l'ennesima e noiosa risatina puntualmente smorzata all'improvviso.

    "Ecco il colpo di scena: mentre i banditi erano impegnati col suo padrone, la serva si appropriò dei loro tesori e.." - bloccò la frase intenzionalmente, portò la sinistra dietro la destra e si esibì in un profondo inchino. Le braccia tese ai lati, lasciando al suo pubblico l'illusione di poterla vedere negli occhi. Sguardo basso, terminato il gesto, furtiva, si rimise nella posizione precedente.
    "..E si suppone fosse in seguito fuggita in un'altra città" - un finale incerto, una storia incompleta, un evento ancora da verificare e verificarsi. Alla fine vince il più astuto e manipolatore, sempre, indipendentemente dalla propria natura, che sia umana o divina.

     
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