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Tutto fuori era buio, c'era solo silenzio e la neve cadeva.
Freddo, buio e silenzio: mai una situazione fu così insolita per il prode Zallen, paladino di Belphegor, il Dio dell'acciaio e del fuoco. L'immenso corpo dal pelo bianco giaceva riverso per terra, sanguinante e ferito, privo di vita; ma questa, per sua sfortuna, non è che l'inizio del suo pellegrinaggio. Apre gli occhi, e la bufera gli accarezza il manto sporcato dal sangue, mentre cerca di farsi largo tra le ombre della sua mente. Pali di legno, corpi e sangue giacevano intorno a lui: qualunque cosa fosse successa, ora non era più a casa, nelle mura di ferro della capitale. La sua armatura era distrutta, la sua spada spezzata, ma la sua volontà, no.
Cercò di ergersi sulle ginocchia e di usare la spada come una rudimentale stampella.
Arrancava nella neve spossato e gemente, il principe caduto, ma l'odio lo muoveva.
Altre orme di suoi simili percorrevano il sentiero.
“Quei traditori devono essere andati di là...”
La rabbia lo scosse, ed ululato straziande squarciò la tempesta: un giuramento di vendetta contro chi l'aveva strappato dalla sua terra, contro chi l'aveva minacciata.. -
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Annaspando, il paladino cercò di tenere il passo, mentre il freddo bruciava la sua carne e gli ultimi brandelli d'armatura cadevano nella neve senza emettere un lamento. Provò a mettersi in piedi, riuscendoci, ma l'avanzata rimase comunque pesante e faticosa nonostante il pesante spadone ormai spuntato cercasse di fare da degno supporto. Le vestigia di un cavaliere ormai sconfitto, i drappi rossi del suo regno orgoglioso e potente, erano riverse in terra calpestate, strappate e zuppe di neve.
“Maledetti...”
Afferrò quel drappo, e cercò di arrotolarlo intorno alla spada, come se fosse una bandiera. Un tentativo di sopravvivere, di farsi notare da qualche viandante, oppure un modo per far sopravvivere il suo orgoglio, il suo lignaggio ?
Una domanda si faceva largo nella sua testa: dove sono ?
E poi due, tre, dieci, cento e mille; intense e molteplici come le gocce d'acqua in una notte d'autunno.
Ma qualcosa, nonostante la sua rabbia continuasse a trainarlo verso sud, qualcosa catturò la sua attenzione: un essere gobbo, deforme. Un uomo ? Un uccello ? Alla sua destra, poco distante da lui, la bufera copriva la sua figura, sfumandone i lineamenti. Ma Zallen era troppo orgoglioso per chiedere aiuto ad un essere così piccolo e debole, e decide di continuare per la sua strada.
O forse no ? Le gambe a quel punto erano deboli, e il paladino dell'acciaio si fece scivolare sulla spada, sfinito.
“Non posso morire ora...”
Gridava a se stesso, incurante della presenza dello strano pennuto.. -
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.SPOILER (clicca per visualizzare)Cambio stile perché il passato in terza persona mi scoccia.
Alla fine la figura ti si rivelò, tra gli sputi di neve e gli sbuffi della tempesta che bruciavano le tue ferite ma che non riuscivano a spegnere il tuo animo incrollabile, la tua dedizione al giuramento divino. Un essere vecchio e aberrante, simile agli abitanti dell'impero degli Avian, vostri nemici di sempre, eppure inquietantemente diverso: non presentava infatti ali, ne ti aveva attaccato a vista, cosa che avrebbe fatto chiunque riconoscendo il tuo lignaggio, la tua figura.
Eppure ti fissava, ti fissava come lo si fa con un boccone delicato, uno piatto pregiato, ma tu avevi ancora delle carte da giocarti: non saresti morto in mezzo la neve, sotto le grinfie di quello che tu ignoravi essere un Dio.
Riverso sulla spada, piegato ma mai spezzato, chiudesti la zampa destra pugno, recitando sottovoce l'antica cantilena del tuo Dio: un canto che parla di fratellanza sotto le armi, di guerra e di vittoria, mentre crepitante il fuoco iniziava a bruciare tra le dita, sempre più forte. E poi il miracolo, la prova che Belphegor è sempre vicino ad un suo figlio, un figlio della guerra: una volunosa fiamma venne liberata dalle tue dita, rimanendo sospesa nell'aria ed emanando un calore confortevole, lenitivo, lo stesso calore di un falò nel buio della notte: una speranza.
Le ferite sul tuo corpo smisero di sanguinare, e pian piano iniziarono a rimarginarsi: è il massimo che potevi fare, nelle tue condizioni. Ti sedesti sulla neve, ormai non più così fredda, rivolgendo uno sguardo sospettoso alla strana creatura. Qualunque fosse stata la sua reazione, probabilmente non gli piacque sapere che la sua cena era più forte di quello che pensava.
“Sorpreso, messere ?”. -
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T'incuriosì il fatto che il piccolo e ripugnante essere non sembrava provar timore nei tuoi confronti, eppure eri certo di poterlo spazzare via con un gesto della mano. Enorme, possente e glorioso: un vero paladino del fuoco e dell'acciaio. Mentre la fiamma stava curando il tuo corpo e rinsaldando il tuo spirito, quella specie di Avian storpio si avvicinò a te, evidentemente deluso dal tuo non essere passato a miglior vita, mentre le sue parole d'indifferenza vennero tradite dal suo sguardo: lui ti bramava.
Ma questo non ti sfiorò, poiché avevi appena ricevuto la verità su ciò che è stato del tuo destino: Endlos, questo era il nome della terra che stavi calpestando, un nome alieno ed inospitale.
“Endlos...”
Ripetesti tu, smarrito: non era un nome del tuo mondo e lo confermano le bieche supposizioni del viscido mostro. Quant'era stolta, quella creatura, tanto quanto la sua sgraziata immagine. A te faceva ribrezzo, e quando si avvicinò il tuo sguardo da sospetto divenne minaccia.
“Non dovreste avvicinarvi tanto ad un paladino di Belphegor, Avian.”
Gli feci subito capire che non eri una preda facile: un essere indifeso ed inerme. Ti alzasti con calma, non lo consideravi una vera minaccia, nonostante il tuo cervello rimanesse all'erta. Ora quella bestia avrebbe potuto rimirare tutta la tua possanza: guarda, immondo, il corpo perfetto di un guerriero, guarda la sua stazza possente e gloriosa, ben oltre quella del umano più robusto!
I tuoi spessi artigli neri brillarono alla luce della fiamma, al miracolo del tuo Dio: il suo campione non si lascerà sconfiggere da delle semplici ferite di spada.
Ma nonostante il tuo ostentare forza, il tuo atteggiamento sicuro dentro eri dubbioso ed i tuoi passi incerti: lontano da casa, del tuo plotone non c'erano tracce. Un comandante ha sempre a cuore i suoi commilitoni, e tu non li avresti lasciati soli.
“Ad ogni modo; non sapete quanto siete lontano dalla realtà. Il mio nome è Zallen Emberfang: principe di Warpath e centurione dell'esercito imperiale. Mi state dicendo quindi che non siamo più su Endlos, messer ?”
Mostrasti il tuo regale contegno al mostro, come un cavaliere degno di tale nome. Ma dentro eri preoccupato: dov'erano i tuoi uomini ? Anche loro sono finiti su Endlos ? Non ci sono altri corpi intorno al punto d'arrivo in questo freddo mondo, solo zampe che conducono aldilà della tempesta. Pensasti che l'essere avesse visto qualcosa, ma non volevi coinvolgerlo nella tua missione: i traditori e gli eretici pagheranno col sangue il loro affronto, e lo faranno solo per mano tua. Eppure non sapevi dove andare, smarrito nella neve. Avresti rinunciato ad un po' d'orgoglio, per avere una pista da seguire ?. -
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“Sarò anche lontano da casa, ma ciò non mi priva del mio sangue blu...”
La tua grossa mano scattò a prende l'esile zampa di quel mostro: nessuno manca di rispetto ad un paladino del fuoco, nessuno. La strinsi in una morsa forte e decisa, ma non dolorosa.
“Fareste bene a non approfittare della mia calma, messere. Non è buona educazione avvicinare le mani in questo modo.”
Tuonò la tua voce cavernosa, imponente; quella di chi porta la giustizia degli dei.
Gli lasciasti la mano, disgustato. Ti sembrò di aver appena toccato un cadavere, e quell'odore di morte che dal basso arrivava alle tua narici, confermava la sua natura ultraterrena. Un non morto ? Un Negromante ? Di sicuro, dalle arie che si attribuiva, non un semplice mortale. O forse solo un vecchio pazzo, ma tu non potevi saperlo.
Ma quel pazzo non aveva tutti i torti: eri guarito, e parte delle tue forze recuperate, ma il tuo corpo era comunque stanco e la fiamma non era così veloce. Dovevi trovare riposo, ed in fretta. In queste terre ci sarà sicuramente un villaggio, e quei bastardi saranno stanchi esattamente quanto lo eri tu e non volevi assolutamente lasciarteli sfuggire.
Ti allontanasti da quella piaga, quella pustola sul manto bianco della neve, ma non a sufficienza dall'impulso benevole della brace: avresti aspettato ancora un po', prima di lasciare al suo destino l'essere.. -
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“Stai sfidando la mia pazienza, nido di vermi.”
Tuonasti, un timbro profondo e deciso, ma calmo: un avvertimento, l'ultimo.
Già, ti stavi davvero scocciato di quell'atteggiamento di superiorità che quel nugolo putrescente aveva nei tuoi confronti. Ti era stato insegnato a portar educazione per tutti, anche per gli sconfitti ed i deboli, ma la tua pazienza aveva un limite e quell'aborto contro natura lo stava ampiamente superando. Gli detti le spalle, come le si da ad un cadavere; tanto se si fosse mosso l'avresti sentito e il suo fato sarebbe stato ineluttabile.
“Per tua fortuna, la mia lama ha altri nomi incisi sull'elsa...”
Anche perché la tua spada, quella vera, era nelle mani del nemico...e ciò era imperdonabile.
“''Non temerai mai il freddo, dato che il fuoco di Belphegor brucerà dentro di te, e l'acciaio guiderà i tuoi passi, come quelli di tutti i suoi servi...così era e così sarà.''”
Queste erano una parte delle sacre cantilene, questa era la parola del Dio che guiderà la tua mala verso la vendetta, verso la vittoria...queste sono le parole che santificarono la tua carne, rimarginandone le ferite.
Non ti aspettavi che l'abominio comprendesse le tue parole, poiché lontano dalla luce del fuoco e neanche t'importava continuare a prestargli attenzione: avevi il tuo sacro dovere da compiere.
Avresti atteso ancora un po': giusto per sentire gli sbraiti di quell'insulso essere e recuperare le ultime energie. La tua fiamma brucerà più intensa che mai, Zallen, e carbonizzerà chi si metterà sulla tua strada... a cominciare proprio dalla carcassa parlante, forse.. -
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“Quanto cieca può essere la mente dei folli; d'altronde non tutti siamo così puri da poter vincolare la via del fuoco e dell'acciaio...”
Già: quell'abominio ai tuoi occhi era solo un folle, un folle putrescente e rivoltante. Non t'importava se fosse un non-morto o semplicemente un vecchio affetto da qualche strano morbo: se non avessi impegni più urgenti, gli avresti dato la morte, seduta stante. Ti sarebbe bastato un singolo colpo d'artiglio per aprirlo in due come una mela matura, ma ai tuoi occhi una vita come la sua -debole, impacciato e folle-, era già una punizione più che sufficiente.
“E bisogna essere folli per non vedere il miracolo di cui sia io che tu, meschino, stiamo usufruendo.”
Non avevi più voglia di ascoltarlo, ne pazienza per tollerare: i deboli vanno schiacciati, ma con lui sarebbe così facile...il tuo Dio non approverebbe una vittoria così regalata, un anima così misera e grama, e i tuoi artigli cercavano il sangue di altri.
“Sommo ? No...”
Ti voltasti verso quello schifoso ammasso di carne ammuffita, tuonando con il suo solito timbro profondo e calmo. Pensava davvero che tu avessi paura di lui? Tu hai visto la morte in faccia mille volte, portata dagli immensi stormi corazzati degli Avian. Hai falciato con la tua spada tanti uomini quante sono le spighe in un campo di grano. Tu sei Zallen Eberfang, il futuro avatar di Belphegor, e questa è la tua missione
“Al massimo puoi essere una sacca di concime ambulante, buona per rendere i campi rigogliosi e sfamare le famiglie. Non ho bisogno dell'aiuto di una pustola semovente: il mio Dio è forte, la mia fede incrollabile, il mio corpo possente e la mia mente salda. Io non temo la morte, ne il freddo...”
Ti avvicinasti a lui; i tuoi occhi d'ambra sfidavano le sue pupille cremisi. Non ti piegasti, non l'hai mai fatto difronte al nemico. La sua ombra avvolse quello scarafaggio come un presagio. Ti abbassasti solo una attimo, per inchiodargli le ultime, velenose parole.
“ne i tuoi patetici tentativi di scimmiottare il VERO Sommo, padre di noi Ferali.”
E mentre parlavi, uno sbuffo caldo uscì dalla tua gola, investendo il viso di SkekDor...il tuo fiato odora di morte, Zallen, la morte dei tuoi nemici, ormai esanimi dall'altra parte del portale.
Non conoscevi questo mondo, ma non t'importava: i tuoi sensi erano fini, sapevi muoverti nelle terre selvagge e l'odore delle carogne eri in grado di fiutarlo da chilometri. Allontanasti il muso dal lui, ma non cessasti di oscurare il suo esile e fragile corpicino con la tua ombra. Ti sarebbe bastato un calcio per spezzare la sua vita, ma volevi vedere fino a che punto la cosa si sarebbe spinta.. -
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Risi, risi così aspramente delle parole della pustola, mentre la tua fiamma si spense lasciandovi nel gelo: più un profondo e tetro latrato che una risata umana. Ormai le tue ferite erano chiuse, e quindi il tuo folto pelo bianco era più che sufficiente a proteggerti dai rigori dell'inverno, anche se non di una tempesta di neve. Sapevi già che per sopravvivere a tale clima, ti saresti dovuto affidare alla tua natura bestiale.
“Ucciderti? Qual spreco d'energie...”
L'essere poteva illudersi del fatto che stesse accondiscendendo alle sue parole, ma si sarebbe sbagliato, e di grosso. Seguivi i suoi spostamenti con i tuoi occhi, goffo com'era ti faceva solo ridere: moribondo e malato, eppure così tronfio di se. Infondo questo sono le creature impure.
“Uccidere è un atto sacro: il prendere la vita di qualcuno richiedere fermezza e dedizione. È ciò che c'avvicina di più al nostro signore: noi centurioni glorifichiamo la morte attraverso il combattimento, lo scontro, la fatica della lotta. Prendermi la tua vita, piaga, non sarebbe diverso dallo schiacciare un insetto: né io né il mio Dio ne trarremmo soddisfazione.”
A quel punto ti piegasti su gli arti, assumendo una posa bestiale. I muscoli si flessero, e tu spiccasti un salto, sorvolando di almeno un metro la testa del decrepito pennuto: glorioso, elegante, potente. Elendoti ben sopra la testa di SkekDor, la neve seguì le tue movenze, probabilmente arrivando a sporcare completamente il non-morto.
Atterrasti svariati metri lontano da lui, con un tonfo pesante, che non venne attutito dalla neve: un salto da fermi niente male.
Una dimostrazione? Si, ma anche un umiliazione. Il mostro potrebbe anche essere un Dio, per quel che ti riguarda, ma tu non sei un debole e sei riuscito a saltarlo come si salta una piccola recinzione di legno. Dov'è la sua forza, e la sua arroganza, ora che un mortale aveva sporcato di neve la sua persona ?
O forse no ?
Ma a te non importava.
“Ed ora scusami: c'è gente il cui nome è inciso sui i miei artigli, ed io non ho la minima intenzione di assecondare le parole di un folle sacco di vermi. Ma fidati di me: “Le vie dell'acciaio sono tante, e tutte portano l'adepto a rimettere la lama ai doveri.”.”
Ed i doveri di un paladino sono quelli di punire gli infami ed i blasfemi. Sei fortunato: c'è gente molto più reietta e putrida di te, non-morto. Ti voltasti, non curante della figura; aveva smesso da tempo d'attirare la tua attenzione.
“Addio, folle! HAHAHA”
Un'ultimo latrato, prima di sparire nella tormenta...o almeno di provarci..