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La Palude di Sirvano, Fanedell.
Presidio Orientale, Endlos.Viaggiare a piedi fino a quella remota e isolata località nella già perlopiù isolata e intricata Fanedell non era un'impresa da poco per nessuno. Arrivarci, infatti, richiedeva scalare alte montagne, attraversare infocati deserti, superare oscure foreste e sguazzare in mefitiche paludi. Solo allora, infatti, si poteva avvistare il laboratorio di Merchimede.
Come non detto, sbagliato personaggio.
Arrivando da Valiinorê, non c'era nessun deserto di cui preoccuparsi. Il Koldran sì, e il resto pure, quindi il viaggio avrebbe forse avuto il settantacinque percento della difficoltà di ciò che fu descritto nel paragrafo precedente, e la destinazione era invero il cuore della suddetta palude.
Comunque non un'impresa da poco.
Sirvano, il coccodrillo il cui nome faceva tuttavia sospettosamente rima con “caimano”, si svegliava ogni mattina all'alba o non molto più tardi, per sfruttare ogni ora di luce preziosa per un rettile e per gli animali a sangue freddo in generale. Sdraiato comodamente sulla riva del suo specchio d'acqua prediletto, Sirvano aprì l'altro occhio destandosi così dal suo consueto sonno uniemisferico.
Pur avvertendo una presenza tanto curiosa quanto familiare nelle relative vicinanze, il coccodrillo non ne fu troppo scosso, tanto che all'inizio parve addirittura ignorare del tutto o in parte la misteriosa creatura in avvicinamento.
skekDor avrebbe trovato Sirvano impegnato per metà ad urlare e per metà biascicare parole senza senso a sé stesso, senza un'apparente ragione.
« SOMBADI UANS TOLD MI DE VORLD IS GONNA- come cazzo continua mo'? Ah sì: A' BBELLO, SEI 'NA ROCKSTAR, ME COJO-NIIIII- seh, vabbè, ciao. »
Forse, però, un orecchio attento unito ad una mente particolarmente elastica avrebbe potuto riconoscere gli incoerenti farneticamenti dell'animale come un tentativo di intonare una canzone. Chissà quale?
Il Mezzo-Mistico avrebbe avuto tuttavia poco tempo per pensarci, perché Sirvano aveva deciso finalmente di rivolgergli la sua attenzione.
« A' Vercingetorige! Nun ce se vede da quanno m'hai portato qui, anvedi che sorpresa. ». -
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"Salute a voi, Sirvano il coccodrillo. Vedervi in salute e così di buon umore è una gioia per questi stanchi occhi."
Ricambiò skekDor, senza scomporsi più di tanto alla terrificante prova canora di poco fa, o al fatto che Sirvano non si fosse mai davvero curato di ricordarsi il nome del suo benefattore. O forse lo rammentava, ma gli aveva preferito semplicemente dei nomignoli.
Il coccodrillo scrutò con il volto -o il muso- della semi-divinità con i suoi occhi verdastri, come se stesse cercando di interpretarne l'espressione, o forse per imprimere nelle sue pupille a fessura l'immagine di qualcuno che non vedeva certo tutti i giorni, e che probabilmente non avrebbe più incontrato per ancora chissà quanto tempo.
Non erano molti, del resto, gli stranieri che si avventuravano nella palude. Solo gli animali assetati e coloro che meglio conoscevano quelle terre tendevano a capitare da quelle parti. Ben poche cose spezzavano la routine di quelle parti.
"Allora, come vi trovate? La palude è di vostro gusto? Vedo che ormai non avete più alcun problema ad esprimervi in un linguaggio comprensibile a chiunque. Posso immaginare sia stato ostico, all'inizio, avere la consapevolezza di poter capire ed esser capiti da ogni creatura vivente con cui s'intrattenesse una conversazione."
« Se devo magnà, magno. Acqua c'è, freddo nun fa; se sta 'na favola. »
Rispose con un tono amichevole, eppure allo stesso tempo vagamente distaccato, di chi stava permettendo al proprio interlocutore di rimanere al sicuro nella propria palude esclusivamente per un suo slancio di generosità che proprio non andava data per scontata.
« Quanto ar linguaggio de voantri, t'ho visto fare er trucchetto cor linguaggio mio quella volta, e 'na volta qui me so' detto: e impariamolo, se ce la pò fa' lui che so' io, più stronzo de' artri? Così me so' esercitato finché nun m'è venuto naturale. »
Andando avanti a parlare, Sirvano parve divenire sempre più disteso, e meno propenso a scattare da un momento all'altro verso lo Skeksis al primo presunto passo falso, per tentare dimagnasselomangiarselo in un sol boccone.
Raramente, del resto, riceveva visite di piacere. Quasi normale, quindi, una tensione iniziale, specialmente da parte di un predatore che tutto sommato non aveva mai avuto una ragione di smettere di considerare anche i propri interlocutori come potenziali pasti.
« Se te stai a chiede er perché, famme sottolineà che qui ci stanno 'e fate der cazzo, che ogni tanto vengono qui a rompe li cojoni e che se je parlo in coccodrillese nun me capiscono. Mo' che so pure l'umanese realizzo co' rammarico che nun stanno a capì 'n cazzo de niente 'o stesso perché so' de' fii de 'na mignotta de primissima qualità, ma almeno quanno le manno affanculo me sentono. »
Alzò il capo verso le cime degli alberi più vicini, come se stesse cercando di scorgere quelle creature maledette nascoste fra le fronde proprio in quel momento; poi ritornò a guardare skekDor.
« E te che c'hai da dimme? ». -
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"Niente imprecazioni, per cortesia. Le trovo di cattivo gusto. In ogni caso, comprendo perfettamente il tuo disagio, ragazzo mio."
Sirvano assottigliò gli occhi, uno spettacolo curioso quando eseguito da creature dotate di membrana nittitante, a metà fra il diffidente e il risentito per il rimprovero di skekDor. Questo perché, dopo tutto, contumelie e invettive assortite costituivano pressapoco tre quarti del suo vocabolario.
"In fin dei conti, questi disagi potete imputarli a me. Vi ho salvato la vita, questo è vero, ma per un bene maggiore vi ho anche costretto a diventare qualcosa di diverso. Per certi versi, si potrebbe quasi affermare che vi ho costretto a un immane sacrificio, privandovi della vostra mortalità."
Aprì le fauci, muovendo ritmicamente la coda a destra e a sinistra. Che per lui era un modo come un altro di segnalare non solo di stare ascoltando, ma di stare anche elaborando attivamente le parole del suo interlocutore. In parole più semplici, il coccodrillo stava prestando genuina attenzione.
"Che continuo a impegnarmi nel rendere questo piano d'esistenza meno indegno e più piacevole da visitare. C'è tanta sofferenza in giro, mio caro Sirvano: i mortali si fanno la guerra fra loro per futili motivi, le creature si uccidono a vicenda solo per il gusto di vedere il sangue, e intanto a farne le spese sono coloro incapaci di opporsi a una tale mattanza."
Quando skekDor arrivò a carezzargli la punta del muso, Sirvano si trattenne a stento dal staccargli via la ma- l'artig- l'arto. Si trattava del resto di un riflesso intrinseco della sua specie: le sue fauci erano molto, molto sensibili e, se stimolate a sufficienza, si richiudevano automaticamente con la velocità e la forza di una pressa industriale: un istinto di autodifesa e di caccia dal quale non aveva mai avuto molte ragioni di prescindere.
"C'è così tanto da fare, e io sono solo. Però, non mi arrendo. Assorbirò dai mortali ogni sofferenza... e in cambio darò loro un po' della mia gioia di vivere."
Sirvano spostò il muso, e prese un respiro profondo dalle narici, prima di rispondere, come se si stesse preparando la replica già da un poco.
« Tanto pe' comincià 'a immortalità t'o ho chiesta io. Che er resto già ce stava da prima, se 'a cosa te fa sentì mejo. Nun è ch'ero costretto. »
Per questo era perplesso poco fa: perché l'immortalità era una condizione che Sirvano stesso aveva imposto al gallinaceo prima di accettare di lasciare Altatorre, non il contrario. Di conseguenza, per quanto gli riguardava, il senso di colpa di quel tizio gli sembrava nel migliore dei casi parecchio pretenzioso, se non del tutto falso.
« Contento per te se ti teni impegnato co' li hobby tua, comunque. Però nun m'è chiaro er passaggio de te che stai ad assorbì roba e in cambio ne dai artra a li amici tua. Che me poi spiegà? ». -
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"Affatto. Mi avete chiesto voi la vita eterna, è vero... Ma si trattava di un dono che voi non avevate mai sperimentato. Un vero salto nel vuoto. Siete ancora giovane, ragazzo mio, e poco avezzo al vivere affrancato dal pensiero della morte. Forse, tra quattro o cinque secoli, rimpiangerete di avermi chiesto qualcosa di simile. Probabilmente, maledirete me e il giorno in cui mi avete chiesto un simile patto... Perciò, di nuovo, per questo vi chiedo perdono."
Quindi se nun ho capito male se fra quattrocento o cinquecento anni me pento d'avé fatto 'na stronzata 'a colpa è sempre der pollo, pensò fra sé Sirvano. Si trattenne tuttavia dal ribattere di nuovo, conscio (per quanto gli riguardava) che avrebbero fatto notte a furia di prendersi la colpa, che già una discussione così non aveva senso di base. Ai secoli che sarebbero passati l'ardua sentenza.
"Questo è quanto, ragazzo. Apro e chiudo la parentesi."
Ecco, bravo, chiudila.
"Un grande potere risiede dentro di me, ormai è inutile celarlo. Men che meno a voi, che ne avete avuto un assaggio..."
Come no? Immortalità a parte, ricordava bene anche la festa presso cui si erano incontrati sparire all'improvviso, anche se lì non era sicuro se era opera del piccoletto dell'altra creatura a cui aveva staccato un braccio.
"Non mi è possibile porre fine a quest'esistenza. Non per mia scelta, almeno. Perciò, finché la notte si alternerà al giorno, e finché le due metà non ridiventeranno uno, non mi resta che adoperarmi affinché tutto questo traboccante potere non vada sprecato."
« Fine dell'esistenza, notte e giorno e le du' metà. Chiarissimo, e tanto pe' esse sicuri pure buon martirio. Se dice così? »
"Allora, torniamo a noi. Avete ricevute altre visite, oltre alla mia di quest'oggi? Raccontatemi qualche aneddoto interessante, ve ne prego."
Abbandonando il sarcasmo, Sirvano lanciò una rapida occhiata dietro di sé, verso il bordo opposto della palude. Alla fine rispose:
« Eccerto, tanto pe' comincià ogni tre pe' due 'e fate di cui te stavo a parlà prima, appunto. Quarche erfo de Mistral in avanscoperta, ce stanno pure dei pischelli da Seloven. Selouen. Sedobren. Ce semo capiti. Poi me ricordo quanno è arrivata 'na naufraga dritta dritta na'a palude mia. Che era tipo 'na draghessa che diceva d'esse fija de li dei.
Che manco è successo nulla, macché, come le ho dato indicazioni pe' levasse de torno bona bona se n'è ita. Poi so' venute n'artra volta 'e fate, perché se no nun sò contente. Fine. »
Nulla di particolarmente eccitante, avrebbe ammesso il coccodrillo, ma a lui andava benissimo così.. -
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"Le fate sono creature deliziose, ma in effetti tendono a dimostrarsi un po' assillanti, alle volte. Tenete però presente, ragazzo mio, che se vi ricoprono di così tante attenzioni è proprio perché vi trovano un tipo interessante. Forse, persino degno di fiducia. E considerando la nomea che hanno, dovuta al loro eccessivo timore del prossimo, dovreste ritenervi assai fortunato di potervi intrattenere con loro a quel modo."
Se fossero deliziose o meno, Sirvano non poteva esprimersi in merito: quelle canaglie erano piccole e sfuggenti, e mai era riuscito di conseguenza a metterne una sotto i denti. Anche se venivano lì sempre; erano dei dannatissimi bocconcini con le zampe e le ali. Che se fosse nato rana avrebbe forse avuto più fortuna, ma lui era nato coccodrillo e quindi si attaccava al cazzo.
Che poi si vedeva, quanto erano timorate del prossimo, proprio. Lì i casi erano due: o skekDor di fate non capiva assolutamente nulla, o Sirvano si era beccato le uniche anomale. O magari non erano manco fate, bensì piccole scimmie con le ali che parlavano (troppo).
« Tu ed io c'avemo du' idee differenti de fortuna. Secondo me vengheno qui solo pe' rompe li cojoni, scusame er francese. »
Il coccodrillo osservò con curiosità l'incanto appena creato dal pollo a mezz'aria ma, più che quella specie di cerchio nero, fu ciò che ne fu tirato fuori a coglierlo alla sprovvista: si trattava di... carne, calda, cotta, e dall'odore stranamente fantastico. Carne di maiale, che una brezza sovrannaturale gli portò fino a davanti al muso.
"Vi ho portato uno spuntino. Sebbene non abbiate ormai più bisogno di mangiare, sono certo che apprezzerete lo stesso. Con l'immortalità, fra le altre cose, vi ho donato un senso del gusto solitamente estraneo alla vostra specie..."
skekDor socchiuse gli occhi, poi continuò:
"Il cibo non serve solo a riempirsi la pancia. A volte, è anche un piacere che carezza i sensi."
« Nun m'avevi detto che stava pure quello ner pacchetto. Ecco perché da quando sò arrivato qui sento mejo li odori. »
replicò con quello che voleva essere un tono sospettoso e contrariato, ma che era difficile da mantenere di fronte a quella piccola meraviglia gastronomica.
« Famme capì, ma è 'na punizione per la richiesta mia? Me fai 'sto dono, confinandomi però na'a palude dove certo nun posso magnà così? Nun c'ho rabbia addosso, eh, però per èsse chiari. »
Attendendo una risposta, Sirvano iniziò senza troppi complimenti a mangiare quel maialino in pochi, voraci bocconi; corda e ossa comprese.. -
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"Oh, no... No, ragazzo mio..."
Ancora una volta, Sirvano dovette sforzarsi di non chiudere di colpo le fauci intorno alla zampa del bipede. Che se si tuffava in acqua un secondo in acqua risolveva subito.
"Non hai niente per cui esser punito. Allora, quando c'incontrammo, agivi solo secondo la tua natura. Una natura di cui potresti riappropriarti in qualsiasi momento, se solo me lo chiedessi. Confido, però, in un futuro migliore per te."
Continuò ad ascoltare skekDor, incuriosito, che continuò:
"Endlos è popolata dalle più svariate creature. E in pochi luoghi ciò viene percepito con disprezzo. Questo è un piano in cui chiunque può esser ciò che vuole, senza troppi problemi etici o morali."
Sirvano guardò l'individuo con l'espressione interrogativa di chi voleva capire dove sarebbe andato a parare il suo interlocutore, mista a quella impaziente di chi desiderava che quest'ultimo lo facesse anche in fretta.
"Ti ho dato la vita eterna, la parola, sensi meglio sviluppati... e altre capacità proprie delle creature senzienti. E tutto ciò, perché fossi conscio del fatto che, qualora lo volessi, potresti vivere fra gli altri mortali in perfetta armonia."
Socchiuse le palpebre, cominciando ad agitare la coda. Non indietreggiò di un centimetro quando l'altro fece un passo avanti.
"Ti ho portato alla palude perché non potevi vivere fra gli umani come coccodrillo. Ti avrebbero ucciso, poiché tu, col tuo istinto, minacciavi la loro vita. Ora, però, potrebbe esser diverso. Adesso capisci i gesti, la voce e le movenze di esseri anche molto diversi da te. Sai interpretare un'esternazione come una minaccia o un atteggiamento innocuo. E quando l'istinto, che sarà sempre presente in te, sarà affiancato da una volontà forte, e dal desiderio di esser accettato, più che temuto, allora sarò ben felice di portarti altrove, dove meglio preferisci. Magari, in una bella città."
Sbatté la coda nello stagno.
"Non è mai stata mia volontà esiliarti qui, Sirvano. Io per te voglio il meglio, se ancora non l'avessi capito."
Sirvano rimase in silenzio per qualche momento, fissando lo skeksis e respirando profondamente.
« skekDor, » disse infine. « me stai a trattà come se li umani fossero er mejo e io prima d'incontrà te fossi 'n perfetto cojone; anzi, 'n pupetto da educà, che è pure peggio. »
Si spostò sul lato, allontanandosi da skekDor e avvicinandosi ancora di più alla riva.
« Te sfugge poi che l'armonia de voartri nun è l'armonia mia, o de' artre creature tipo er pesce o er cervo. 'A vostra è diversa, nun mejo. Ciò che 'n pratica me stai a dì è d'annà a vive co li umani come umano perché mo' sarei capace a farlo. »
La stizza nella sua voce poteva essere sentita su così tanti livelli da rasentare la sinestesia.
« Bella pe' te se te piace l'armonia de li umani, ma io so' 'n coccodrillo dove me pare. Se sto qui è pe 'r patto che ho accettato io stesso liberamente. Nun me deresponsabilizzà, eh? ». -
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Sirvano ascoltò skekDor -non aveva mai smesso- in silenzio.
Si trovava tuttavia in disaccordo con molte delle affermazioni della creatura. Anche se nella sola Fanedell c'erano con ogni probabilità più formiche che “umanoidi”, come erano stati definiti, su tutto quel postaccio che era Endlos, rimaneva vero che questi ultimi esercitassero un'influenza notevole sui territori che abitavano. Ciò, però, non cambiava ciò che erano agli occhi del coccodrillo: prede, potenziali e non.
Questo, però, per quella specie di tacchino malformato significava “vivere nel proprio piccolo mondo”, qualunque cosa intendesse. Come se non ce ne fosse mai stato che uno solo di mondo in cui vivere, o almeno un mondo alla volta, e come se le sue azioni non fossero già in qualche modo parte della realtà stessa.
Ancora una volta, Sirvano ebbe l'impressione che skekDor non conoscesse altro modo di pensare che quello degli umanoidi, quelli convinti che se non ci fossero loro la realtà non sarebbe nemmeno tale, e se non partecipavi al loro stile di vita, allora eri fuori dal “vero” mondo. Che aveva senso fino ad un certo punto perché chiunque penserebbe che il mondo a cui si prende parte sia quello reale, però ecco, non era che gli umanoidi vivessero in un mondo “completo” pure loro.
Che poi, ancora una volta, come se gli umani di Altatorre, nonostante la loro vera o presunta apertura mentale, non fossero diventati prede a loro volta.
"Non pretendo che tu viva come umano fra gli umani. Ma come qualcosa di più, perché in questa nuova forma non sei più circoscritto all'ottica dei tuoi fratelli." e ridaje con lo spazio personale, e pure con il “qualcosa di più”, dove c'era un qualificatore assente ma implicito: “qualcosa di più fra gli umani”. "Puoi cercare l'armonia in ogni cosa, rispondere ai desideri dello spirito, oltre che dello stomaco. Imparerai a mantenere la calma in situazioni che in passato ti avrebbero spinto a reazioni avventate, e totalmente immotivate."
« Credeme quanno te dico che 'a carma già 'a so mantene'. Avoja, perfino. »
Perché sennò, pensò Sirvano, te avrei già sparato via da'a foresta col raggio laser armeno cinque minuti fa, dopo 'e stronzate che m'hai detto.
"Così come liberamente stai decidendo ora. Non capisci? Endlos non ha più limiti per te, adesso. Certo, puoi vivere per il resto dell'eternità in questa palude. Nessuno te lo vieterà, men che meno il sottoscritto... Se un domani, però, deciderai di scoprire fin dove potranno spingerti le tue zampe... potrai farlo, e avrai tutti gli strumenti per vivere questa nuova esperienza."
« Allora famo 'na cosa: se me voi annullà l'obbligo de sta' qui, io nun te fermo de certo. Però sarò io a decide quanno e se lascerò Fanedelle, de mia sponte, co' tutti li annessi e concessi de nun magnarme artri omini. Così sei contento e nun me fai più 'na testa così, no? ». -
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