Quanta sfortuna, povero Vix

«Sono in ritardo, sono in ritardo, sono in ritardo...»

La voce un po' gracchiante di Vix rimbalzava fra gli scaffali del piccolo laboratorio, giocando a nascondino dietro la miriade di fiale, fialette, bocce e boccette, che affollavano ogni mobile della stanza.

«...sono in ritardo, sono in ritardo, SONO IN RITARDO»

Il suo metro e venti di statura era in perfetta disarmonia con tutto il resto: d'altronde, gli umani gli avevano concesso solo uno scantinato per procedere col suo lavoro da alchimista della spedizione, e perciò nulla era stato effettivamente fatto affinché le dimensioni dell'arredo fossero a misura di goblin. Le sacche della cintura, legata in vita, tintinnavano all'ondeggiare del suo corpo, misteriosi rumori di vetro contenenti chissà quali meraviglie - e chissà quali pericoli.
Era quasi tutto pronto: aveva con sé il materiale necessario ad affrontare la discesa nella pancia del Valakut, alla ricerca
(dell'altro pezzo del cuore di Fenice)
di nuovi materiali per aiutare gli stupidi umani.

Fu quel momento lì, quel momento che non ti aspetti mai possa capitare, quella sciocca sequenza di minuscoli accidenti che da soli non hanno alcun effetto ma che, infilati uno dietro l'altro, possono provocare la peggiore delle conseguenze.
Vix Raadi urtò la scrivania col gomito
- e non diremo che il motivo fu la fretta, e la sua sbadataggine -
scuotendola da un lato all'altro.
Per prima, si rovesciò una scatola contenente sfere di spiritina, una sostanza alcalina addensata in piccole sfere: gli oggetti iniziarono a rotolare scompostamente, rimbalzando qua e là fino a cadere sul pavimento.
Il goblin si girò immediatamente, preoccupato: odiava sistemare, e odiava ancora di più raccogliere oggetti da terra.
La spiritina si infilò ovunque: sotto i mobili, dentro la polvere, persino fra le assi del pavimento in legno scuro...
...quel pavimento che mesi fa, in una giornata frenetica, aveva raccolto sotto di sé un foglio alchemico.
E non un foglio alchemico qualunque, bensì uno pieno di rune scarabocchiate alla rinfusa, rune che Vix aveva tentanto di collegare senza successo in un momento di estrema noia e vuoto creativo.

Beh, piccolo e sfortunato Vix Raadi: mancava proprio la spiritina, e qualche piega nel foglio, per completare il processo alchemico dei portali interdimensionali.

÷÷÷

Quando la luce attorno a lui si spense, il goblin faticò lo stesso a mettere a fuoco gli oggetti.
Ricordava solo un forte rumore di combustione, un flash istantaneo, e tanto tanto TANTO odore di legno bruciato.
Era forse, alla fine, saltato in aria per colpa dei suoi esperimenti?
Era quello il paradiso dei goblin?
Di sicuro, c'era abbastanza caldo per immaginare fosse l'inferno.

Attorno a lui, l'omino verde percepiva solo aria afosa, rovente, un soffio diabolico e secco. Sentiva il sole filtrare attraverso i vestiti, scaldando la pelle al di sotto di essi; Vix portò incosciamente una mano al volto, poco sopra il nasone, per schermare il volto dalla luce opprimente che proveniva dal cielo.
Era finito in un deserto.
Nel bel mezzo del nulla.
Senza acqua.
Senza cognizione di causa.
Per Vix Raadi, quel mercoledì iniziava a somigliare pericolosamente ad un triste lunedì di primavera.

Il caldo iniziava a ghignare in faccia al goblin, mentre l'ombra della meridiana segnava orari strani sulla sabbia - e per meridiana intendiamo ovviamente il naso di Vix.

«...Ehm. Dove sarò finito?»

Alzò le mani al cielo, facendole poi sbattere contro le verdi cosciotte coperte dal grembiulo da alchimista; pugni stretti, poggiati ai fianchi, e tutta l'aria di chi è oramai sovrasaturo di avere a che fare con la sfortuna.
Non sapeva davvero nulla del suo luogo d'atterraggio, e ancora meno aveva idea di come si sarebbe salvato da quella fastidiosa situazione di naufrago in mezzo al deserto.
Ma quando il megafono urlò nel silenzio afoso, Vix capì che due cose distinte stavano per accadere: si sarebbe salvato dalla morte per disisdratazione; si sarebbe molto probabilmente cacciato in una situazione ben più pericolosa.

Quando si voltò per capire da che parte venisse quella voce, un'improvvisa esplosione vibrò la sabbia e il vetro dei laghi, mandando in aria una manciata di... persone?
Il goblin cadde all'indietro per lo spavento, incredulo per ciò a cui aveva assistito.
Esisteva forse qualcuno capace di fare più danni di lui con le esplosioni?!

Cancellando immediatamente ogni istinto di conservazione, l'omino verdognolo si tirò su di nuovo in piedi e iniziò a saltare sul pisto, gridando forte forte e mettendo le mani a cono vicino alla bocca.

«ESPLOSIONI! ESPLOSIONI! ESPLOSIONI! ESPLOSIONI! ESPLOSIONI!»

Che dire: c'era veramente molta emozione dentro il corpo di Vix, nonostante lo stato precario della sua probabilità di raggiungere indenne il calare del sole.

Sotto il ritmo incalzante di esplosioni e rumori meccanici, un energumeno di un metro e novanta piombò dritto dritto davanti al povero Vix, gettandolo immediatamente in un'ombra abbastanza grande da far apparire il goblin ancora più basso
(e brutto)
del solito.
Ebbene sì: ogni occasione era buona per far sentire Vix basso e brutto. Specialmente brutto.

«Zimmer, chi è Zimmer?»

Non era certo intimidito, l'alchimista: d'altronde aveva ben appreso, il giorno in cui aveva deciso di costruire Susan, che un proiettile non guarda in faccia nessuno, piccolo o grosso che tu sia. E che in ogni uomo c'è la forza giusta per scatenare un'esplosione, e che in ogni esplosione ogni uomo trova la forza per diventare un cumulo di cenere.
Filosofia a parte, il nome Zimmer suonava a vuoto nella sua memoria e per un attimo si chiese se Zimmer non fosse per caso il cugino ricco di Porpotis, quel goblin giallognolo che giocava spesso con sua cugina, quella cugina stronzetta che lo aveva fatto piangere da bambino.
Ma forse stava divagando troppo, e il caldo non era certo lì ad aiutarlo.

«Se è un po' verde, forse sì.»

Il tizio, di cui Vix poteva solo ammirare
- dal basso della sua posizione -
gli enormi pettorali e forse degli occhiali strani a coprirgli il viso,
iniziò a parlare di dono nuziale e tradizione.
Era forse impazzito anche quell'uomo?
Era forse il caldo a renderli tutti matti?
Erano mai stati sani di mente?

«Io non ho un dono, sono appena arrivato qui...qui dove? Cioè, dove siamo?»