[MxM] Un nuovo inizio

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    In un luogo lontano.

    Quanto tempo aveva camminato? Non ne era sicuro, ma non importava. Perché doveva? Era solo una copia, uno scherzo genetico, un ammasso schifoso di carne e sangue messo insieme per assomigliare a un essere umano. Ma non lo era. Uno schifosissimo clone, ecco cos’era. La brutta copia di qualcosa di migliore, qualcuno che non sarebbe mai stato e che non sarebbe mai potuto essere.

    La porta saltò per aria, rimbalzò un paio di volte sul pavimento e andò a schiantarsi contro il muro. Un profondo solco si creò nel cemento armato nel punto dove il metallo aveva spaccato la parete e si era conficcato.
    Una fitta polvere si sollevò dal luogo dello schianto, espandendosi per il corridoio e in tutto il refettorio. Una sagoma era sull’uscio e gridava.


    Aveva una fitta al braccio destro. Le gambe gli bruciavano, i muscoli tremavano dal dolore. Quanto aveva corso? O aveva camminato? Non se lo ricordava. Ma non aveva importanza. Gli schifosissimi cloni dovevano bruciare tutti.

    «Dovete bruciare!» gridò la donna.
    Nessuno sapeva chi fosse quella figura che aveva fatto irruzione nel refettorio facendo saltare in aria il portone. Non era un medico dell’ospedale dove si trovava, né una parente di qualcuno. E lo si capiva, soprattutto, dal grande lanciafiamme col quale aveva iniziato a dar fuoco ai pazienti più vicini.
    «Fate schifo! Schifo!» continuava a urlare.
    La grande stanza da pranzo, ormai, brulicava di morti carbonizzati, gente urlante che lentamente veniva consumata dalle fiamme e poveri diavoli ammassati contro i muri opposti alla porta. La loro unica speranza era che la donna si calmasse e smettesse di dare fuoco a tutto.
    Ma, a volte, la speranza non basta.


    Lo sguardo iniziava ad annebbiarsi. Le gambe non riuscivano più a reggerlo.
    «Cosa sono?» delirava.
    Si accasciò a terra. Sentì una sensazione di umido sotto le ginocchia. Era al centro di una pozza di sangue. Come c’era finito lì? Di chi era tutto quel…?
    Spostò lo sguardo sulla spalla sinistra e vide. Da dove sarebbe dovuto partire il braccio c’era solo un flusso continuo di liquido sanguigno. Sgranò gli occhi e vomitò per l’orrore, cadendo sempre più nel sangue.

    Scivolò e andò a sbattere contro la parete. Sotto i suoi piedi, a fargli perdere la presa col terreno, c’era il corpo carbonizzato di uno dei medici della struttura. Solo il camice bianco, sporco di fuliggine, era vagamente riconoscibile nei punti in cui non era andato distrutto dalle fiamme o non si era fuso alle ossa e alla pelle. Riconobbe il nome sulla targhetta: era dell’uomo che, proprio quella mattina, gli aveva fatto un prelievo.
    Non poteva fermarsi. La pazza col lanciafiamme era uscita nel corridoio, fuori dal refettorio, ed era intenta a cercarli nel polverone causato dall’esplosione di prima. La nube che si era sollevata per via della deflagrazione non si era ancora posata del tutto, coprendo vagamente il pavimento alla vista. Ma non per molto.


    Urla, fiamme, morte, devastazione.
    Si alzò urlando e sgranò gli occhi. Nelle iridi aveva ancora stampato il riflesso di quei morti e della donna che gli sbraitava contro. Ricordava il fuoco, la puzza di bruciato -che ancora gli attanagliava le narici-, le orbite vuote dei morti. Sentiva ancora il dolore della pelle ustionata del braccio, che si era tagliato con un coltellaccio trovato nelle cucine, nel tentativo di non morire carbonizzato.
    Con le mani alla fronte, cercò di mettere a fuoco dove si trovava. La stanza intorno a sé era piuttosto ordinaria. Il letto dov’era adagiato era posto sul lato lungo della stanza, di fronte alla porta. Un grande armadio occupava lo spazio alla sua destra, mentre un camino acceso stava alla sua sinistra. Le fiamme al suo interno danzavano sui ceppi di legno, consumandoli.
    I loro bagliori accendevano di luce soffusa la stanza e risplendevano sulle placche metalliche del suo nuovo, misterioso arto.
    Ma quando glielo avevano installato? E chi?




    Ora. Undarm.

    Aveva ancora qualche problema ad abituarsi a quel sole luminoso che splendeva nel cielo. Era una grande novità, ma, ripensandoci, tutto quel mondo lo era.
    Da dove veniva lui, il sole si poteva osservare solo raramente. Le finestre oscurate dei reparti dell’ospedale -o meglio, del centro di ricerca- lasciavano trapelare qualche raggio solo quando i medici lo decidevano.
    No, non medici. Scienziati. Uomini dediti alla scienza. Così presi dai loro esperimenti…

    Lasciò che gli occhi tornassero a concentrarsi sull’orizzonte. Una grande massa d’acqua salata -il mare- copriva quasi tutto. Solo le case di quella città straniera che lo ospitava, di un grigio scuro come metallo corroso, risaltavano al confronto con l’azzurro del mare che, colpito dai raggi di quel potente sole, mandava forti riflessi ai suoi occhi.
    Quando era arrivato in quel luogo aveva la pelle chiara, complice l’ambiente perennemente in penombra dei laboratori di ricerca, che contrastavano con i capelli e gli occhi scuri. Ma dopo qualche tempo in quel mondo, le iridi e il cuoio capelluto si erano schiariti in un marrone chiaro e splendente, mentre il suo colorito pallido aveva fatto l’opposto: la pelle si era abbronzata e ora tendeva all’olivastro.

    Non si stancava mai di guardare quei luoghi. Era arrivato in quel mondo già da qualche tempo -come contavano lì il passare dei giorni?- ma quando saliva ai terreni coltivati era come vedere Undarm -o era Ungarm?- per la prima volta.
    Non era un brutto posto se ti davi da fare. Certo, aveva dovuto nascondere il braccio. Agli abitanti del posto la tecnologia non piaceva. La prima volta che aveva chiesto come mai non usassero macchinari moderni per scaricare le navi aveva rischiato grosso. Ma, per fortuna, lo avevano trattato come un ragazzo acerbo e troppo curioso, in cerca di fortuna al porto.

    Istintivamente si toccò l’arto bionico nascosto sotto la giacca nera e i guanti scuri. Era un peso. Sia fisicamente, dato che pesava più di un normale arto, sia mentalmente: un segreto da non svelare a nessuno. Sarebbe potuto morire se qualcuno l’avesse scoperto. Lo sguardo gli cadde sui pantaloni grigio chiaro che portava. Non il paio adatto per passare del tempo libero nell’erba: se li era macchiati sedendosi. Si alzò all’istante, iniziando a spolverarseli, nel maldestro tentativo di cancellare quel piccolo errore.
     
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    Quel giorno solo qualche nuvola solitaria celava il lindo cielo ove il sole troneggiava caldo e splendente. L'aria ricca di salsedine pizzicava il naso di coloro che gironzolavano per Undarm. Perlopiù si trattava di persone interessate a raggiungere l'area portuale per affari presso nei vari mercati. A testa in giù sospesa sul parapetto d'un balcone Jester ammirava la vita pomeridiana del luogo. Alternava il suo gioco d'indovinare chi fossero i passanti con l'ammirare il panorama. All'orizzonte non v'era altro che una linea indistinta a separare mare e cielo.

    Oscuri erano i motivi che avevano portato l'aviatrice in quel luogo, ma con calma la giovane intendeva procedere. Bearsi di quella giornata lontana da Laputa. Gioire delle piccole cose e capire cosa cercava dalla propria vita:
    Doveva ammettere che le erano sorti molti dubbi circa la grande famiglia che l'aveva accolta nel presidio errante. Era quasi del tutto sicura che i suoi legami fossero deboli e ipocriti, eccetto quelli che la legavano a Khatep. Il Sommo l'amava! Perlomeno a modo suo. Sapeva che il comandante dei blu non poteva starle accanto come lei desiderava. I sentimenti di un essere così antico erano difficili da comprendere per la sua ancora giovane mente. Per quanto riguarda il resto della squadra forse solo il suo amico Ted avrebbe preservato un buon ricordo di lei. Tutti gli altri le avrebbero voltato le spalle senza pensarci, ma non fraintendete. Jester avrebbe fatto lo stesso senza rimpianti in casi critici.

    Un rumore di chiavi riportò la fanciulla alla realtà. I padroni di casa dovevano essere tornati e forse sarebbe stato meglio non farsi trovare lì. Non tutti reagiscono bene trovando una ragazza vestita da guitto appesa a testa in giù sulla terrazza. Soprattutto se a farle compagnia v'erano due serpentoni attorcigliati alla ringhiera. Con grazia il Giullare s'issò su appollaiandosi come una gatta al parapetto poi stese le mani verso le bambine. A quel gesto le due serpi s'avvinghiarono agli avambracci della giovane che raggiunse il muro più vicino. Una volta lì iniziò a percorrere le mura come una lucertola fino ad arrivare alla stradina più vicina.

    - Vogliamo visitare qualche posto? // Direi che sono d'accordo!
    Ma lo facciamo di Nascosto // O vi rapirà qualche balordo.-

    Cinguettò la circense conscia che le due basilische avrebbero obbedito. Infatti Lilith nascose il suo flessuoso corpo d'ossidiana sotto il cappello multi punta e Michelle le si legò al collo come una preziosa collana d'oro. A quel punto solo una cosa mancava alla Selvatica, una guida. Qualcuno che conoscesse Undarm e che potesse indirizzarla nei luoghi migliori per fare buoni affari.
    Non passò molto da che Jester formulò quel quesito per trovarne la soluzione. Un giovane sulla ventina dai capelli castano chiaro e gli abiti insolitamente pesanti per una così bella giornata.

    - Buongiorno mio caro, // Dove sono non è chiaro
    Cerco una guida per i dintorni // Si parla di uno o pochi giorni!-

    Sciorinò la Strega per poi aggiungere in fretta.

    - Non compirei un reato // Lavoro remunerato. <3-

    Lo disse con un sorrisone speranzoso. Forse ce l'avrebbe fatta al primo colpo



    Edited by Jester - 31/1/2017, 12:33
     
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    Stava finendo di spolverarsi i vestiti quando qualcosa lo fece scattare. Saltando un passo nel verso contrario a dove proveniva la voce, il ragazzo assunse la posizione di difesa: pugni alzati di fronte al petto, corpo spostato di quarantacinque gradi rispetto alla traiettoria frontale e peso sulla gamba dietro. In un istante era pronto al combattimento corpo a corpo, come gli era stato insegnato.
    Stupido clone del cazzo. Cosa credi di fare? Iniziare una rissa per strada?

    «Buongiorno mio caro, // Dove sono non è chiaro
    Cerco una guida per i dintorni // Si parla di uno o pochi giorni!
    Non compirei un reato // Lavoro remunerato. <3-
    »



    Intanto che la ragazza -una dispersa?- parlava -o recitava?-, il giovane assunse una posa più naturale. Non poté, tuttavia, fare a meno di rimanere leggermente rigido alla vista di lei.
    Da dove saltava fuori? E com’era vestita?
    Era a Undarm abbastanza a lungo da sapere che quelli non erano abiti comuni.
    Bene, ci mancava una squilibrata.

    «Bel cappello» esordì «Certo, ci avrei messo delle lame, tanto per non dare troppo nell’occhio.»
    Ma sentitelo! Dell’immondizia che fa dell’ironia!
    Con una smorfia cacciò quel pensiero. Era da tanto che non ci pensava e avrebbe fatto volentieri a meno di ricordare certi particolari.

    «Nessun problema» continuò «ma, in genere, ci si presenta prima di offrire un lavoro.»
    Terminò la frase quasi svogliato e infastidito da quella presenza.
    Come se una feccia come te potesse avere simili pretese -gli disse una voce nella sua testa.
     
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    Un punto interrogativo si disegnò sul volto della fanciulla alla buffa reazione dell'interlocutore. Quest'ultimo infatti assunse una posizione di difesa come se si aspettasse di essere attaccato. Jester fece finta di nulla e sorrise in attesa di una risposta. Intanto la sua folle mente affiancò all'espressione di lui quella d'un cucciolo per anni maltrattato pertanto sempre sulla difensiva. Ma non durò molto, il castano sembrò rilassarsi e disse qualcosa circa il buffo copricapo dell'altra. Sarcasmo?
    Dopodiché avvampò quando l'altro le fece notare di non essersi presentata.

    -Sono un allegro Giullare // Jester mi puoi chiamare-

    Disse la fanciulla esibendosi in una veloce riverenza.

    -Inoltre lì sotto non ho lame // O altro d'appuntito che fa male!-

    Poco importava che avesse ben dieci lamine camuffate da carte da poker e che il lungo hula-hoop che portava dietro la schiena fosse affilatissimo. Da brava permalosa la Strega gonfiò le guance con aria offesissima. Proprio in quel frangente una testolina nera fece capolinea da sotto il cappello e fissò con curiosità il nuovo arrivato. Jester si preparò al peggio, Lilith non aveva propriamente un aspetto rassicurante. A causa di una grave congiuntivite l'occhio sinistro che non era riuscito a guarire del tutto. In poche parole se qualcuno considerasse, di per sé. spaventosa una serpe con lei sarebbe peggio.
    Come se non bastasse alla nera non erano particolarmente simpatici gli sconosciuti. Infatti i suoi attacchi erano dieci volte superiori a quelli della sorella dorata che adornava il collo del Giullare. Ci fu un attimo d'immobilità che si dissolse solo quando sibilando, con un guizzo di lingua biforcuta, la basilisca rientrò nella sua tana.
    Tuttavia questo sembrò turbare non poco la Selvatica che si ritrovò con un'espressione spiazzata sul volto.
    Davvero?!?!
    Davvero, alla sua bambina le era simpatico quel coso antipatico? Poteva capire Michelle che non avrebbe morso una zanzara, ma lei? Lei che attaccava sempre tutti? Si sentiva tradita. Sospirò facendo finta non fosse accaduto nulla.

    -Invece il suo nome // Posso chiamarla come?-



    Edited by Jester - 31/1/2017, 12:36
     
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    «Sono un allegro Giullare // Jester mi puoi chiamare»



    La ragazza si esibì in una riverenza, mentre il rossore che poco prima le aveva ottenebrato il volto spariva veloce quanto i suoi movimenti.
    Ma il ragazzo, ormai, non era più presente a se stesso.

    «Piacere io sono il Giullare
    Jester mi puoi chiamare!
    »
    Disse la giovane inclinando la testa di lato.
    In sé sentì come la sensazione di stare sognando. Non poteva essere vero. Cosa ci faceva una ragazza con un buffo cappello sotto quella pioggia, da sola, su quell’altopiano? No, non aveva senso.

    «Inoltre lì sotto non ho lame // O altro d'appuntito che fa male!»


    Continuò la giovane davanti al ragazzo, ma la voce di lei arrivò distante e ovattata alle orecchie di lui, come un lieve ronzio nel vento.

    La pioggia gli batteva forte sul viso. Era aumentata di intensità? Come se avesse sentito il bisogno di stare al passo con quello scontro.
    La giovane giullare aveva usato uno dei suoi campanellini per colpirlo. L’esplosione era stata assordante. Ma più di quello, a scioccare il ragazzo era stato il proprio corpo: si era scisso in atomi per proteggersi.
    Non aveva alcun senso.
    La testa gli pulsava, le membra gli dolevano e si sentiva senza forze.


    Quando il giovane si riprese, davanti ai suoi occhi si era manifestata la testa di un serpente. Istintivamente, scattò di lato come aveva già fatto prima. Questa volta, però, commise un errore.
    Da sotto il polso del ragazzo, e da dentro il giubbotto, partiva una lama di venti centimetri. Quando, un istante più tardi, il giovane se ne rese conto e la ritrasse, il danno era fatto. Un marchingegno come il suo in quel posto avrebbe potuto causargli la morte.

    «Merda. Vuoi farmi ammazzare?!» le sibilò sottovoce.
    Si guardò intorno sicuro che, anche se le strade sembravano deserte, qualche occhio fosse puntato su di loro.
    Fulmineo cercò di afferrare la giovane e trascinarla nel vicolo alle loro spalle, lasciando che l’ombra li inghiottisse.

    Le parti in corsivo si riferiscono a questa e questa giocata.

    Parte tecnica inerente il post:
    Braccio sinistro: [Braccio bionico - 1pt.] - [Lama – 1pt.]
    Allenamento: [Passiva di Riflessi aumentati – 5pt.] - [Passiva di Agilità aumentata – 5pt.]

    Per il resto della scheda qui
     
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    La Strega scattò immediatamente in posizione di difesa.
    Il ragazzo di fronte a lei aveva appena fatto emergere una lama di circa venti centimetri dalla manica della giacca. Automaticamente Jester pescò una carta affilata dal lungo e particolare polsino che le si intrecciava sul braccio sinistro. Ma il giovane non l'attaccò, si limitò a borbottare qualcosa e ritrarre l'arma. Il Giullare non seguì l'esempio, sapeva che quella che appariva come una semplice carta da poker non avrebbe creato scompiglio.
    Invece i suoi pensieri andarono al giovane: Era ovvio che fosse in possesso di un qualche macchinario per riuscire a nascondere una roba del genere. Forse era per quel motivo che era vestito in quello strano modo? Si trattava di un inventore? Di certo era una cosa a dir poco rischiosa a Undarm.
    Che la Strega sapesse, a causa degli screzi con Klemvor, gli abitanti non vedevano di buon occhio la tecnologia. Ma allora perché lui stava lì? Perché non se ne andava? Forse era un naufrago solo su Endlos?
    La Selvatica sospirò, non erano affari suoi! Però... le dispiaceva!

    - Sono qui per affari // Voglio solcare i mari -

    Fece una pausa guardando di sottecchi l'altro e continuando a camminare.

    - Potresti dirmi chi sei // Io di certo non canto,
    Sono anche guai miei //Se ti agitano tanto! -

    Un sorrise sornione le si disegnò sulle belle labbra. A quel punto si limitò a fissare la mano che ancora avvolgeva il suo braccio. Forse era il caso di lasciarla, no?



    Edited by Jester - 31/1/2017, 12:39
     
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    La ragazza lo seguì nel vicolo senza dimenarsi troppo, ma al giovane non era sfuggito che teneva ancora in mano il pugnale. Anche se sembrava una semplice carta, il suo istinto non gli permetteva di rilassarsi.
    E poi c’erano quelle strane visioni. Così vivide nella sua testa da essergli rimaste impresse dietro la retina, come fossero appena successe. Sentiva ancora sulla pelle e nel cervello il dolore che una di quelle aveva inferto a…
    Ma a chi? Di chi cazzo erano quei ricordi?!
    Mollo la ragazza con uno strattone e si allontanò di qualche passo, attento a non darle mai la schiena. Non aveva capito molto di quello che aveva visto, ma di certo non era un personaggio da prendere alla leggera.
    Le piantò gli occhi addosso, senza mai distogliere lo sguardo. Anzi, facendolo indagare sul corpo della giovane con fare intrusivo.
    La cortesia non era una priorità in quel momento.

    «Sei qui per affari?» chiese «E a un incontro di lavoro ci vai sempre armata fino ai denti?»
    La guardò ancora, prima di decidere se continuare o meno.
    Stando in un posto dove la tecnologia non era vista di buon occhio aveva imparato a soppesare le parole fino all’ossessione. Non poteva concedersi nessuno sbaglio.
    «Che genere di lavoro offri?» iniziò.
    Si fermò per fare un mezzo sorrisetto ironico, prima di riprendere la parola.
    «Nulla di legale, suppongo, o lo staresti gridando ai quattro venti in piazza.»

    Non era così sicuro di potersi fidare di lei. Almeno quanto lei non si sarebbe dovuta fidare a girare con lui. Trovarli insieme, visto il braccio bionico che il ragazzo nascondeva sotto la manica della giacca, significava morte certa per entrambi.
    Soppesò quel pensiero come avrebbe soppesato del buon pesce giù al porto. Con un movimento fluido e veloce, prese una sigaretta dal pacchetto che portava nella tasca frontale del giubbotto, proprio sopra al pettorale destro. Con un secondo movimento estrasse l’accendino e accese la fiamma, portandosela alla bocca e facendo una lunga boccata di fumo.
    Infondo, lui doveva solo assicurarsi di non essere preso. O sarebbe stata una pessima morte e di colorato sarebbero volate solo le bestemmie.
     
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    La Selvatica chinò il capo di lato con fare nervoso. La sua guida non sembrava molto convinta della legalità del lavoro. Tuttavia al momento non c'era nulla di cui preoccuparsi. Così la fanciulla ricambiò con un sorriso genuino lo sguardo indagatore dell'altro.

    -Sono sempre armata fino ai denti // Ma capisco se non te la senti <3-

    Chiocciò gentile la ragazza senza mostrare la minima ostilità.

    -Comunque cerco una nave // Niente di tanto grave -

    Aggiunse mentre si stiracchiava alzando le braccia al cielo per poi nascondere la lamina nel lungo polsino-bracciale.

    - Di domande ne hai tante? // O vai via all'istante?-

    Chiese Jester mentre la sua espressione assumeva una piega di sfida. Doveva ammettere che in tutta quella storia la cosa che la turbava era un dettaglio. Perché il suo interlocutore non sclerava per la rima come tutti?

     
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    «Cerchi una nave? Hai provato al porto?»
    La guardò come si guarda uno stupido, inarcando un sopracciglio.
    Lasciò passare qualche secondo, poi riprese.
    «Sai, quel posto con tante grandi barche…»

    Si interruppe. Per un attimo si stava dimenticando che non poteva rimanere per strada ancora a lungo. E, probabilmente, nemmeno a Undarm.
    Lanciò un altro sguardo alla sua interlocutrice e si allontanò di qualche passo nel vicolo.

    «Forse ho qualcosa che può interessarti.»
    Lasciò cadere la frase nel vuoto, aspettandosi di essere seguito.
    Mani in tasca e testa incassata nelle spalle, non poteva fare a meno di chiedersi dove sarebbe finito.
    Mah, nessun posto è peggio del cesso da cui escono gli stupidi rifiuti come te, no?
     
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