Redemption By Water

Atto Finale

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    ZEGANA
    ZEGANA ¤ PRIME SPEAKER
    ¤ ¤ ¤SIMIC COMBINE
    Non crediate che Zegana sia un'insensibile. Mostrarsi apatici, infatti, è ben lungi dall'esserlo. E benchè ella non dia prova alcuna di sconcerto, dramma o qualsivoglia pietà nei confronti delle moltissime vite spazzate via dal cataclisma che ha colpito l'occidente endlosiano, nell'intimo oltre la maschera d'assoluta freddezza la di lei mente lavora febbrile per concepire entità e conseguenze di quanto le hanno riferito.
    L'unico sollievo, se così può dirsi una consapevolezza che comunque non migliora la situazione dei colpiti dal disastro, è che il villaggio di Umezan non ha subito un fato tanto crudele e può anzi chiamarsi salvo perchè collocato ben più nell'entroterra -addirittura in una diversa regione rispetto a quella che ha esperito l'ira degli elementi. E ciò, almeno, conforta la Portavoce circa le difficoltà già superate e le problematiche ch'ella ed altri valenti hanno invero affrontato per il benessere di uno sperduto villaggio al fine più alto ed ambizioso di farne modello d'avanguardia contro ogni successivo sopruso l'Ovest sia chiamato a contrastare in futuro.

    Ma cionondimeno il conto dei morti rimane vertiginosamente alto e le possibilità concrete d'aiuto non riguardano purtroppo quanto è in potere della dignitaria: scienza e magia, laddove utili, svolgono appieno la propria funzione in anticipo ma ora, su coste sommerse ovvero tra territori coperti di cenere vulcanica, le specialità della tritone ben poco hanno da offrire a conforto dei superstiti e dei limitrofi alla sciagura compiutasi. Il più che le è concesso è quello d'inviare qualche agente affiliato alla gilda che amministra, nel vano tentativo di ricercare le acque per delle tracce fortuite di vita. Ancora, forse malvisti poichè diversi ed araldi d'una conoscenza in contrasto con le tradizioni del Presidio, i sottoposti di cui ella può disporre saranno a disposizione delle popolazioni locali per ricostruire quant'è andato perduto -o per confortare chi non trova più ragione di continuare il proprio cammino. Ben poca cosa, certo, ma ben poco la chiusura e l'ottusità dei nativi d'occidente lascia qual linea d'azione a chi, pur se etichettato come diverso, genuinamente si presta alla solidarietà.

    Ciò detto, allora, i crucci della capogilda Simic si concentrano su più consoni scenari per quella ch'è la di lei attività scientifica: senza smettere lo sguardo severo e la postura altera, senza incrinare il proprio atteggiamento algido ed irremovibile, senza lasciarsi prendere dal panico o dallo sconforto ma analizzando la situazione con invidiabile rigore, il vertice dell'Alleanza tratteggia quelle che sono le priorità d'intervento nei territori d'Ovest ora che i locali di cui ha chiesto riscatto al Magisterium sono finalmente prossimi alla loro apertura. E, tristemente, il responso ch'ella deve notificarsi assume le tinte fosche di un'ecatombe senza precedenti: avendo l'oceano inghiottito il Kijani Fahari e l'interezza della biodiversità vegetale di cui esso era prova -avendo il Presidio perduto il proprio verde polmone e con esso la rarità di forme e di colori che punteggiavano un sì rigoglioso anfratto del semipiano- agli occhi ambrati della dignitaria tritone la più inconcepibile ed irreparabile rovina riguarda la mole innumerevole di specie botaniche sottratte ad Endlos -nonchè al proposito di conservazione che la medesima capogilda persegue.

    Una calamità che mette in serio dubbio la possibilità di catalogare quanto è andato perduto, una disgrazia che non promette successo all'utopico desiderio di rinvenire altrove quei medesimi esemplari endemici strappati al loro habitat florido benchè bistrattato. Una procella -letteralmente- che si deve però scontrare contro l'inflessibile volontà della responsabile dell'Alleanza Simic e di fatto deve fare i conti con il di lei inoppugnabile quanto ferreo impegno: la determinazione e la risolutezza che animano la tritone sono infatti sufficienti a convincerla che la ricchezza dell'Ovest -quella ricchezza autentica ed imprescindibile che non si piega a totalitarismi o governi ma che nutre delle terre irriconoscenti a prescindere dalla stolidità dei suoi inquilini- debba essere preservata (o per meglio dire recuperata) con ogni mezzo ch'ella ha a disposizione. E che quindi, a costo di inimicarsi il Rettore per via della presente richiesta scomoda, ella presenterà un'istanza di finanziamento volta ad un'azione massiva pur se intelllettualmente impeccabile: ora che Laputa possiede delle serre dimensionali aperte al pubblico, ora che l'ambizione di Zegana ha trovato compimento, ora che le nicchie ecologiche d'occidente hanno subito il cosiddetto effetto collo di bottiglia, la Portavoce afferente al Magisterium ha tutta l'intenzione di smuovere l'Accademia di Magia (nonchè l'opinione pubblica laputense) nel prendere parte ad un'operazione colossale ma necessaria.
    PASSIVE SKILLS
    ALPHA AUTHORITYCARISMA (MALIA)
    CARVEN CARYATIDAPATIA (ANTI-AUSPEX)
    DOWSING SHAMANRABDOMANZIA
    FATHOM MAGESCUROVISIONE (AUSPEX)
    MASTER BIOMANCERCOMPETENZE BIOLOGICHE
    MERFOLK OF THE DEPTHSAPNEA
    MINDSTATICMINDFUCK-ALERT (AUSPEX)
    SCATTER ARCPERCEZIONE MAGICA (AUSPEX)
    UNCOVERED CLUESLIE DETECTOR (AUSPEX)
    VIGEAN INTUITIONTRICK DETECTOR (AUSPEX)
    VOIDWIELDERTASCA DIMENSIONALE
    EQUIPMENT
    SIMIC SIGNETTRIDENTE (ATTREZZATURA)
    FAMILIARS
    ROOT-KIN ALLYELEMENTALE LIGNEO (SUPPORTER)
    ENERGY100%CONDITIONSPERFECT
     
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    VOREL
    VOREL ¤ OF THE HULL CLADE
    ¤ ¤ ¤SIMIC COMBINE
    Esiste il Destino? Ha un proprio volere il Caso? Per Vorel sì, decisamente.
    Che sia una mano del Fato, un intervento della Dea Bendata o chissà quale altra sorta di fortuito evento riconducibile ad un soprannaturale cosciente, al giovane scapestrato non rimane dubbio alcuno perchè -nonostante la congrega scientifica cui appartiene non veda di buon occhio certe derive mistiche quanto inconsistenti- l'evidenza d'averla scampata per un soffio è più che sufficiente a smentire ogni cinica critica.
    Insomma, parliamone (anzi, parlatene col tritone): il disastro che ha travolto le coste occidentali riscrivendo l'attualità di quelle terre non può essere una mera coincidenza. Non è credibile! Nè gli elementi hanno una propria furia, da scatenare contro innocenti e vessati per chissà quale ragione.

    A colmare la situazione, poi, ci deve essere necessariamente la presenza di una buona stella -alcuni lo chiamano addirittura un custode- perchè l'onda colossale che ha rimosso le foreste d'Ovest s'è levata e poi abbattuta qualche giorno appena dopo lo sbarco della Marina x Mercantile (e conseguentemente di Vorel, che per loro s'era prestato qual mercenario) lungo le gole arcigne e sgradite di un meridione fin troppo arso. No, dirò di più: Vorel, che a fatica ricorda la traversata dei mari prima di giungere al Porto Sepolto, s'è arrovellato più e più giorni sul perchè non sia sceso di bordo all'altezza dell'Undarm. Già conosceva il Kijani Fahari, perciò rivedere il bosco (e le promesse perdute) avrebbe permesso al biomante in erba di rinfrescare la propria essenza cangiante con una miriade di vite diverse, ciascuna amica a seguito del proprio giuramento. E invece...

    Così s'è salvato, di certo. Per quanto a costo di non rivedere più gli otto guardiani della reggia, i loro inquilini animali o la Verde Signora che su tal paradiso regnava. Nemmeno il suo fratello d'armi -quel guerriero invitto con cui si è legato speranzoso d'un futuro prospero benchè fragile- è riuscito a salutare, giacchè tanto breve è stato il suo viaggio da non dargli aspettativa che lui e la Dama si siano ritirati altrove. Eppure lo sapevano, le fronde già preannunciavano battaglia da tempo: l'equilibrio della natura era sul punto di rompersi, evenienza nella quale scempio e disperazione avrebbero reclamato il proprio esoso tributo. Ora di quell'eden non rimane che il rimpianto, vuoto e sterile quanto le vane parole di chi gioisce per l'avvento di nuove acque nelle quali sguazzare.

    Già, gli orrori del Graogramàn non tarderanno a compiacersi di quello sfacelo. Nuovi mari da solcare, nuovi golfi da conquistare. Calette che non attendono altro se non d'essere esplorate. Per degli spettri macilenti la morte ha un valore del tutto distorto -per chi non ha completato il trapasso la vita deve risultare così offensiva. Ma per i membri corporei dell'associazione mercantile? Per quel Capitano folle e per tutti i suoi sottoposti che ancora calcano il mondo dei vegeti? Chissà. Il disgusto del giovane affiliato Simic è stato tale da non permettergli di trattenersi sul Veliero Maledetto un istante più del necessario -se si trascurano i tentativi che la stessa nave ha subdolamente effettuato per chiamare a sè il dinamico mutaforma, l'approdo a Sud è stato d'immediato una liberazione dall'aria (e dall'influenza) nefasta di una ciurma di dannati.

    Ed ora? Difficile a dirsi. Il deserto è un ostacolo oltre la protata del tritone, ma nemmeno il Sud con la sua Tana alberga alcun fascino. Le direttive di Zegana imporrebbero di continuare ad esplorare il semipiano alla ricerca di nuovi adepti e -al contempo- di una sede dove fruttare alla gilda notorietà e posizioni di prestigio. Ma il mero lavoro è pesante dopo un dramma sì tale, il nerbo del ragazzo troppo smunto per fare opera di proselitismo con efficacia.
    Forse ci vuole una pausa. Una pausa di quelle serie. Qualcosa per riflettere. Del tempo per maturare una decisione. Su di sè e sul proprio futuro. E, nel mentre, riprendere legame con quella Natura dalla quale si sente in parte tradito: il Ciclo cui è devoto ha fatto il suo corso in modo ferale ed indiscusso, ha colpito alla cieca senza rispettare i propri dettami. Forse a Nord, tra le distese inesplorate, potrà ricucire lo strappo che percepisce a livello dell'animo. Forse da solo, senza morali, riuscirà a comprendere il perchè di un cataclisma tanto bieco.
    PASSIVE SKILLS
    BIOSHIFTMETAMORFOSI SCENICA
    SIMIC CHARMMETAMORFOSI CONGIUNTA DELL'EQUIP
    SYNCOPATEMINDFUCK-ALERT (AUSPEX)
    EQUIPMENT
    GRISTLEBACKARMATURA (ATTREZZATURA)
    SLAUGHTERHORNTRIDENTE (ARTEFATTO)
    ENERGY100%CONDITIONSPERFECT
     
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    SSA Delta


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    ~continua da qui...

    Ufficialmente parlando, i rapporti delle missioni degli ssa sono ovviamente altamente classificati: rivelare informazioni confidenziali è severamente proibito, causa immediata di corte marziale, accuse di spionaggio e alto tradimento, etc etc... insomma, il buon caro pacchetto da servizi segreti. Ufficiosamente parlando, circolano negli ambienti un discreto numero di "circoli letterari dediti all'intrattenimento" dal contenuto informativo peculiare. Curiosamente il contenuto di suddette "storie inventate" era così inverosimile che alcune, trascritte da un intraprendente autore (ignaro dell'identità della sua musa letteraria, s'intende), erano entrate nell'immaginario collettivo civile in quanto fiabe per bambini.
    Quando fosse tornato all'amata madrepatria, Jattur avrebbe potuto contribuire non poco.

    Attenzione: stimate meno una cipolla e sei carote al tramonto.

    ...e non solo a causa degli orki.

    Dispettose vi a parte, la sua missione era (prematuramente) conclusa. Tempo di tornare a casa, fare rapporto, elaborare sulle implicazioni e possibili conseguenze, scrivere il rapporto scritto, organizzare una contro-


    KA-KA-BOOM!!!

    ...perché aveva l'impressione che quanto era alle sue spalle non sarebbe stato di suo gradimento?
    L'operativo speciale si voltò.

    « ... »

    ...uno tsunami.
    Massì, perché no, non era come se Endlos fosse meno strano perché una massa d'acqua alta diecento metri e larga due miglieleghe si era materializzata alle sue spalle stile scherzetto cinese con drammatica colonna di fiamme e fumo nero di sfondo. Jattur aveva visto cose più strane in giro. Magari non ne aveva nessuna proprio proprio sulla punta della lingua, ma c'erano. Ovvio, sarebbe stato preferibile se eventualità simili si verificassero quando non era stanco, sporco, sudato, affamato, desideroso della buona, cara R&R. Perlomeno, una volta tanto, Jattur non si trovava nella zona del disastro. Non era affatto sicuro che il sistema antigravitazionale della sua armatura gli avrebbe permesso di salire in altitudine abbastanza da schivare le tonnellate di HO2 assassina.

    E parlando di disastro, forse era il caso di accellerare il ritorno a Laputa. Qualcosa gli diceva che c'era ingente bisogno di squadre di soccorso.

    Un guizzo dell'occhio e il celere computer dell'armatura attivò nuovamente il sistema antigravitazionale, acchiappando l'asghabardiano in una morsa di gravitoni e scaraventandolo con violenza-
    -di lato.

    « ...d'arvit. » realizzò. « La vi! »



    Il nome completo del mio pg è:

    Jattur J. Ellah Shattur


    Nome assolutamente normale ad Asghabard, ma in una terra governata dalla magia potrebbe comportare effetti collaterali. Potrebbe. :8D:
     
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    M. VALDEMAR I cannot hold out beyond tomorrow midnight;
    and I think they have hit the time very nearly.
    (atto unico, scena II)
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    La stanza era vuota e fredda, e la cosa gli piaceva, era come aver trovato un posto simile a sé.
    Oltre i vetri opachi della finestra la neve tormentava la landa ghiacciata dell'Etlerth con zelo inesausto e, da qualche parte, un volto simile al suo stava contraendosi nella fastidiosa consapevolezza di non sapere. La cosa gli avrebbe dato un certo godimento, se solo fosse stato in grado, seppure in minima parte, di provare ancora un qualche tipo di piacere.
    Sedeva da solo, in silenzio, sprofondato in una poltrona di logoro velluto borgogna, intabarrato in una palandrana lisa, gli occhi socchiusi e umidi, le guance solcate dal segno ormai asciutto lasciato dalle lacrime al loro passaggio, aratro indefesso su un campo dissodato troppo di frequente.
    Le dita ossute della mano sinistra reggevano con un misto lacrimevole di cautela e ribrezzo una piccola sfera di vetro smerigliato, al cui interno si riusciva a stento a riconoscere l'effige di una donna. Un'immagine antica, che serbava il fascino di altri giorni perduti.
    Fu un lampo, meno della contrazione d'un ventricolo, un accenno di movimento delle palpebre, subito dissimulato con fastidio,
    poi la presa più salda sull'oggetto, in risposta ad un qualche pensiero che sapeva generare insieme rabbia e tristezza.
    E una voce flebile, distante, priva di vita.
    « Ligeia... »

    *

    Molto distante, oltre la cresta ghiacciata del Drago di Pietra, da qualche parti nelle verdi vallate dell'Est, in un'abitazione del tutto dissimile, un altro uomo sedeva in una solitudine abbandonata, ricurvo, quasi accartocciato sulla sua poltrona, davanti all'ampia vetrata del suo studio. In lontananza si riusciva a sentire il pacifico canto del vento ed il sole filtrava dai vetri iridescenti, inondandolo con una raffinata ferocia che metteva in risalto ognuna delle centinaia di rughe che solcavano il suo volto in una intricata ragnatela.
    Con una lentezza dovuta più all'abitudine che all'età, si passò le dita tozze e consunte sul volto, compiacendosi della propria pelle incartapecorita. Aveva finalmente smesso di combattere il tempo e da lontano sorrideva alla morte in modo colpevole, come ad una vecchia amica ingannata troppo spesso. Aveva però un'ultima strada da percorrere, c'era del tempo per un'ultima avventura e poi sì, sarebbe finalmente riuscito ad abbandonarsi del tutto alla vecchiaia.
    Solo qualche ora prima l'avevano avvertito del cataclisma che si era abbattuto sull'Ovest; l'esplosione - non c'era altro modo di definirla - di Berjaska e il conseguente maremoto che aveva dato vita ad un golfo lì dove un tempo sorgeva Klemvor avevano sconvolto il presidio occidentale ed allo stesso tempo avevano mandato a lui un segnale d'allarme. Avrebbe voluto avere il tempo di soffermarsi a pensare alle vittime di quel cataclisma, di piangere innocenti e colpevoli spazzati via. Avrebbe voluto unirsi all'elegia per le tante - troppe - vite spezzate, per quei corpi mutilati o integri che non avrebbero mai conosciuto sepoltura e sarebbero rimasti per sempre sul fondo del golfo, doni eccessivi per le gozzoviglie dei pelagi.
    Avrebbe voluto tutto questo, ma il tempo fuggiva con le sue solite maniere da ladro galantuomo. Sentiva il proprio tempo assottigliarsi, lo vedeva esile, stiracchiato. Le sue energie non erano più quelle di un tempo.
    Aprì gli occhi, di un azzurro acquoso tanto da farli sembrare allucinati.
    Aveva un ultimo lavoro da fare.

    *

    Nella stanza vuota e fredda si spense l'ultima eco di un rintocco legnoso.
    La porta si aprì, seppure con qualche cigolante cautela, ed un volto di donna fece capolino sull'uscio. Occhi verdi e inquisitori divorarono lo spazio, fino a trovare la figura che stavano cercando. L'uomo, con aria colpevole e un gesto troppo goffo per risultare naturale, mise via la sfera di vetro che stringeva in mano e, passando una mano a coprire gli occhi arrossati dall'ira e dal pianto, si rivolse alla sua gentile ospite.
    « Madelaine. Dovevo aspettarmelo, oggi è uno di quei giorni. »
    « Se intendi uno dei miei giorni, spiacente di deluderti. Il mio amato fratello, tuttavia, voleva farti sapere qualcosa. »
    L'uomo ristette in una docile attesa priva di aspettative. La sua stessa vita, in fondo, non era altro che vuoto, separazione e attesa.
    « Una tragedia, una delle tante. Berjaska, l'isola dei vulcani, è esplosa in maniera così fragorosa da sconvolgere il territorio del presidio Ovest. Un maremoto ha devastato le sponde di Undarm, e ora tra l'ovest ed il sud è nato un nuovo piccolo mare. »
    L'uomo accolse la notizia con uno sguardo interrogativo. Esasperata da tanta ottusa placidità, la donna continuò: « Una tragedia. Una vera catastrofe. Se vuoi incontrarlo, Valdemar, questa è la tua grande occasione. »
    Finalmente, l'uomo capì.

    *

    In quel momento un'altra porta si apriva, su di una stanza assai più luminosa.
    Una creatura di bassa statura e ingobbita per stanchezza e deformità si fece strada tra pile di libri polverosi e chincaglieria proveniente da ogni possibile foglio del Multiverso. Teneva in mano una catenina d'oro bianco, cui era assicurato un pendente, una pietra nera dalla forma imperfetta, ingabbiata da filamenti dorati.
    La creatura si avvicinò all'anziano, un sorriso triste gli piegava le labbra in una smorfia dolorosa. I suoi occhi, scuri e inquietanti seppure pieni di affetto, incontrarono quelli del suo padrone.
    « Il signorino Narval è deciso ad andare? » osò domandare, seppure conoscesse già la risposta.
    Il vecchio gli sorrise di rimando. « Ho quasi settecento anni, amico mio. Dovresti smetterla di chiamarmi signorino. »
    La creatura, di nome Ghor, scosse la testolina deforme più e più volte.
    « Ho servito la vostra famiglia sin dai tempi del patriarca. Per me sarete sempre il signorino Narval. » spiegò, in un tono che non ammetteva repliche, mentre porgeva il pendente all'attempato avventuriero.
    Questi raccolse con cura la catenina, mettendosela al collo con un sorriso sfibrato.
    C'erano battaglie che non si potevano proprio vincere.

    *

    Si alzò Valdemar, nella sua stanza buia e vuota, incurante del freddo
    e si alzò Narval, immerso nella luce del solarium.
    « E' tempo di andare » dissero entrambi,
    quasi con una sola voce, incurante delle molte miglia che li separavano.

    Avevano un appuntamento con l'Ovest.

     
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    Ted Carter



    sazh-katzroy-final-fantasy-xiii-9.68



    Ted era sdraiato nel letto e lo sguardo era perso a guardare un punto nel soffitto.
    La stanza era buia a causa della notte che aveva dato cambio al giorno.
    Era difficile pensare che qualcuno a Laputa non avesse sentito la notizia riguardante il presidio Ovest e l’isola di Bejaska.
    Sentiva ancora la mancanza di Agrodon e quella notizia aveva ulteriormente minato la sua stabilità e tranquillità. Si sentiva particolarmente scosso e vicino alle persone del presidio che avevano perso tutto.
    Si girò sul fianco sinistro.
    Era qualche giorno che non si allenava come prima o che non usciva. Rimaneva la maggior parte del tempo in camera sua a fissare i pezzi della cintura.
    Non appena l’elefante era andato via, il pugile si era sentito talmente amareggiato da prendere fin da subito in considerazione l’idea di indossare gli altri due componenti, si era fermato però prima della fine. L’aveva riposti sul comodino e si era sdraiato sul letto.
    Temeva che se l’avesse indossati qualcosa in lui sarebbe cambiato.
    Ma cosa poteva fare? Era tornato nuovamente da solo e sapeva che avrebbe avuto bisogno di tutto l’aiuto necessario per affrontare le avversità che gli si sarebbero parate davanti.
    Quella dell’ovest poteva essere una di quelle
    Si girò di nuovo nel letto.
    Sentiva che i pezzi dell’armatura lo stavano chiamando, pretendendo un possessore e un proprietario.
    Ted lo sentiva chiaramente, forse a causa dell’energia interiore, che essi erano una sorta di entità che chiedevano di essere indossate e completate. Gli mancava solo l’ultimo pezzo e poi avrebbe fatto tremare chiunque davanti a lui. Ma voleva veramente essere di nuovo il più forte di tutti?
    Aveva sempre pensato che una volta gli sarebbe bastato e non voleva caderci di nuovo. Ma non poteva fare a meno di ignorare le urla disperate di chi era rimasto senza casa o orfano. Non poteva ignorare di avere così tanto potere e di usarlo soltanto per menare qualche colpo senza senso contro gli alberi.
    Lui disponeva di un potere che doveva usare per fare del bene e, anche se gli sembrava il contrario, i componenti dell’armatura di Ercole lo avrebbero potuto aiutare.

    Sospirò lentamente e si alzò dal suo prolungato riposo.

    Prese il bracciale sinistro e se lo agganciò.
    Una scossa come quando aveva indossato il destro.

    Prese poi la cavigliera e la posizionò sulla gamba destra.
    Una nuova e più intensa scossa lo percosse.
    Non si era mai sentito tanto bene in vita sua come in quel momento. Eppure sentiva di aver fatto un passo verso un baratro più scuro della notte che vi era fuori dalla sua finestra.
    Sarebbe andato ad aiutare il presidio Ovest.

    Ted indossa gli ultimi pezzi della cintura di Ercole e si muove verso il Presidio Ovest
     
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    FDr
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    SPACERd_sages

    Immoti osservatori, cinque astri partecipano allo svolgersi del Fato dalle rispettive posizioni privilegiate. Sono lontani, lontanissimi, arroccati là dove non possono che testimoniare l'avanzata del destino. Ciascuno di essi contempla differenti aspetti del cataclisma, ciascuno riluce di personali sfumature ed interpretazioni. Eppure, non uno di loro può permettersi d'interferire con quanto si dipana entro i domini occidentali di Endlos: quali che siano le potestà di cui godono, quali che possano essere le esclusive volontà, ad ognuno di quegli astri è vietata l'intromissione nelle trame già in atto. Non compete loro, banalmente, nè è loro concesso per i vincoli cui sono tuttora legati.

    I Cinque, custodi di una torre ch'è al contempo loro prigione, si stagliano nel cielo dell'Ovest come mere presenze: la loro patria è ben altra, pertanto è soltanto il riflesso dell'intelletto di cui dispongono ad interfacciarsi con la furia del mare. Ma cionondimeno essi scrutano cùpidi l'esplosione dell'isola di Berjaska, l'inabissarsi delle coste dell'Undarm, la morìa entro il Kijani Fahari e finanche l'ergersi di nuovi territori. Non sono cronicisti eppure mantengono la memoria di quanto è più prossimo al loro presidio. Non sono governanti epperò s'interessano agli equilibri delle terre che intrattengono rapporti con quelle oramai spazzate.

    Fossero altre le condizioni, fossero liberi di agire secondo la propria magia, ognuno dei guardiani potrebbe riscrivere gli eventi ed impedire il presente sfacelo:
    L'astro verde avrebbe cura di porre inviolabili gli equilibri della vita e della morte, lasciando immutato il bilancio come se ogni singolo individuo colpito fosse inerte alla violenza del trapasso -o, per contro, ristorando ogni alito vitale al proprio corpo una volta che la furia delle onde s'è placata.
    L'astro giallo, invece, opporrebbe il proprio inscalfibile volere ignorando quello degli elementi e del cosmo tutto, di fatto sottraendo all'eruzione l'arcigno compiersi delle nefaste conseguenze -come se il perduto Alfiere della regione mantenesse salde le redini del proprio regno secondo i dettami di costituzione del semipiano.
    L'astro viola non potrebbe preoccuparsi di meno dello sconquasso generato dal susseguirsi frenetico di scoppi, lava, spuma e marosi, giacchè nei suoi arcani giace la prospettiva di sovvertire il reale e ricordurlo ad un sogno appena -tramutando in mera fantasia anche il peggiore degli incidenti, così privo di consistenza o verità.
    L'astro blu, per contro, saprebbe impedire quanto già vissuto agendo sulle cause prime con l'opportuna consapevolezza maturata nel tempo: operando un riavvio degli esiti esperiti, esso tornerebbe all'esatto momento in cui il concentrarsi degli eventi dà modo di virare verso futuri meno gravi.
    L'astro bianco, infine, infonderebbe ciascuna delle creature con il vigore, la risolutezza e nondimeno la capacità di fronteggiare le circostanze della sorte -promulgando in ognuna di quelle il forte desiderio di plasmare il corso delle proprie esistenze e non, piuttosto, di farsi semplici vittime di una fatalità incontestabile.

    Invece, trattenuti a Sud e sospinti da un ricordo appena, i Cinque si limitano ad appurare che Endlos è mutato ancora, questa volta secondo le ingerenze d'un complotto che affonda radici in tutto il semipiano: spetterebbe forse a loro impedire che la piaga si estenda pure tra le sabbie che un tempo erano in grado di osteggiare (e che oggi, invece, dominano sulla loro stessa dimora), ma questa eventualità, semmai si presentasse, dovrebbe prima fare i conti con la maledizione che di già solca le dune roventi dello Yuzrab -ed ancor più, invero, con gli impedimenti che han sottratto i Saggi della Città al giusto scranno.

    SPACERr_sages
     
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    MOMIR
    MOMIR VIG ¤ SIMIC VISIONARY
    ¤ ¤ ¤SIMIC COMBINE
    Avete presente quando il Destino rema contro? Quando ogni cosa si fa difficile ed è impossibile ottenere un risultato? Quando persino i più ininfluenti dettagli sembrano pensati per dare fastidio, costituire ostacolo o rivendicare un'amara vittoria ai danni di chi si sta impegnado e ce la mette tutta (purtroppo per lui in modo vano)? Ecco, Momir Vig si sente così.

    Capiamoci: per quanto Endlos sia celebre, famoso e nondimeno famigerato per i frequenti eventi di Riscrittura (che sono fonte perpetua di discreti grattacapi nel viandante o nell'avventuriero medio), considerata la relativa stabilità del semipiano nel recente periodo non dovrebbe essere poi troppo difficile raggiungere le coste del Presidio Ovest partendo da una regione abbastanza vicina come la Punta di Altatorre. Insomma, carovane di mercanti attraversano tutti i giorni l'implacabile abbraccio di madame Yuzrab -la cui fama non è seconda nemmeno alle gelide distese mortifere dell'Etlerth- perciò non è azzardato pensare che un territorio tutto sommato fiorente come quello dell'occidente endlosiano dovrebbe prestarsi ad una celere e tutt'altro che fallimentare spedizione.
    E invece no. No perchè ad Ovest il finimondo è sempre in agguato e tra miasmi venefici che calano da Sequerus, feste del raviolo al narcotico (con conseguente mostro sputafiamme come alternativa positiva (?!) al sacrificio umano), conigli mannari invasori nei villaggi di già prostrati e tutta una serie di altre sventure che andremo a specificare meglio in scene non ancora aperte, di sicuro ci mancava solo l'esplosione della caldaia vulcanica di Berjaska ed un conseguente tsunami che ha cancellato l'intera regione dell'Undarm per completare un quadro che ehi, per fortuna che il 2018 è finito e ci possiamo lasciare tutto alle spalle.

    No, davvero: provate ad immaginare come possa sentirsi il Biomante, che proprio a quelle coste ormai spazzate doveva dirigersi e che -per grazia di tutti gli impedimenti che s'è trovato a subire- non ha ancora raggiunto! Come si fa a non ricredersi -a non abbandonare il nume della scienza- e votarsi invece a qualcuno di quegli dèi tanto in voga per le terre d'Ovest pur d'invocare un poco di buona stella per le successive imprese nelle quali si progetta d'investire il proprio tempo? Come si fa -anzi!- a mantenersi saldi nella convinzione di voler procedere con l'indagine circa il tritone Zygoin (i cui indizi più freschi son di anni passati e parlano delle coste ad oggi perdute) quando appare ben più semplice dimenticarsi del tutto della scomoda faccenda ed intraprendere invece una nuova cariera nel dominio della tecnologia ad Est (che, a conti fatti, è un ambiente ben più fertile e ricettivo che non le quattro capanne muffite dei creduloni occidentali)? Semplice: si fa i conti con i propri demoni interiori e con quelle voci spettrali -insistenti e a dir poco spaventose- che come una maledizione martellano nel sogno impedendo il riposo.

    Già, Momir Vig non ha soltanto un passato orrendo alle spalle, ma pure un presente largamente intollerabile. E, a seguito dello scherzo che il Fato ha giocato alle popolazioni verso cui egli aveva fissato la propria meta, pure un futuro incerto (per non dire discutibile).
    Ah, chissà mai se il verdastro troverà pace! Per il momento, almeno, egli deve trovare una soluzione -che ad occhio e croce sarà per l'ennesima volta una fuga a più mite consiglio e più sicuro rifugio.
    PASSIVE SKILLS
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    MONTECRISTOAnd what is the meaning of death?
    A step up in quiet, and maybe two in silence.
    (atto unico, scena III)
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    Salvifico silenzio e noia, sguardi soffocati che si spostavano con desolata lentezza da una parete all'altra in un circolo che non sembrava poter conoscere una fine. Gli unici rumori erano il ronzio di una mosca temeraria che volando formava ampi cerchi intorno al capo di Montecristo,
    ed il grattare lento e inesorabile delle sue unghie sulle venature del vecchio tavolo di legno.
    Il suo tempo era composto da una serie di piccole ma interminabili attese. Prima o poi avrebbe Nerocriso sarebbe tornato, prima o poi avrebbe trovato Rania, prima o poi sarebbe tornato a casa. Nel frattempo, poteva solo attendere che quella maledetta porta si aprisse portandogli qualche novità, o anche solo un volto amico con cui parlare per ingannare l'attesa. Per colmo di superstizione non guardava nemmeno la suddetta porta, confidando che l'ignorarla l'avrebbe fatta dischiudere più in fretta. Era una pretesa folle, ma d'altra parte la noia non è che l'anticamera della follia.
    Tamburellò nervosamente con le dita sul tavolo.
    Ancora niente. Maledetta porta.

    [...]

    Quella casa non era propriamente una casa. Sembrava somigliare più ad un mausoleo, una tomba per dei morti viventi, gente che era morta da un bel pezzo, o almeno avrebbe dovuto esserlo. La cosa, tuttavia, non sembrava riguardarlo se non in minima parte. Non ne era turbato, semmai leggermente irritato dall'inattività forzata. Si alzò in piedi e gli parve di udire le sue ginocchia gemere. Si avvicinò zoppicando alla finestra, gettò un occhio in strada. La gente camminava, si muoveva, prendeva decisioni ed agiva di conseguenza. Passavano davanti ai suoi occhi le creature vive che stavano effettivamente vivendo quei momenti, impegnandoli. Lui, invece, aspettava.
    Aspettando, gli parve di vedere un volto conosciuto nella folla. Invecchiato, incartapecorito, ma con i soliti occhi turchini ancora vividi. Sentì un brivido percorrergli la schiena. Non era possibile che quello fosse il padre di Atavael.
    In quell'istante, la porta maledetta si aprì di botto. Nerocriso, fermo sull'uscio, sembrava una maschera livida d'ira e indecisione.
    La porta si richiuse con un tonfo e lui tornò a sedersi, meno inquieto.
    L'attesa era terminata.

    [...]

    « Sembri nervoso. » mormorò senza voltarsi.
    Nerocriso era piombato nella stanza da almeno quindici minuti, si era lasciato cadere stancamente su una sedia e lì era rimasto in un ostinato mutismo, di tanto in tanto agitando le dita sul tavolo. « Perché sei nervoso? »
    L'Avatar parve scuotersi dai suoi pensieri per qualche istante. « Eh? Hai detto qualcosa? »
    « Lascia perdere. »

    [...]

    Nerocriso si alzò di scatto, rovesciando la sedia su cui stava seduto in silenzio da oltre un'ora. Montecristo si voltò di scatto, affrontando con lecito sgomento quella tardiva e inaspettata manifestazione di vitalità. Indagò con lo sguardo la figura del suo compare: fremeva, dalla testa ai piedi. Le sue mani sembravano scosse da un tremito di puro terrore, i suoi occhi sgranati raccontavano di una rabbia antica come il mondo. In una maniera tutta sua, Nerocriso aveva e incuteva paura.
    Si guardò intorno per qualche istante, prima di riuscire a calmarsi. Quando incontrò lo sguardo di Montecristo, si limitò a fare un verso a mezzabocca, stringendo le mani nel tentativo di fermarne il tremore.
    « Mi era sembrato di vedere qualcuno, nell'angolo. » provò a spiegare. « Un uomo vestito di nero, con... un procione sulla spalla. »
    « Un cosa? Che roba sarebbe un bocione? »
    « Procione, è un... lasciamo stare. » concluse l'Avatar, agitando la mano destra a scacciare l'argomento. « Piuttosto, hai sentito la novità? »
    Un nuovo sguardo interrogativo diede a Nerocriso l'abbrivio di cui necessitava per cambiare argomento.
    « L'isola dei vulcani, al largo di Undarm, nel Presidio Ovest, è esplosa. »
    « Esplosa? » « Proprio. E la portata dell'esplosione è stata tale da modificare la morfologia di quel territorio: sembrerà ridicolo, ma adesso, Undarm è un golfo. »
    L'entità della catastrofe colpì Montecristo con esasperante lentezza. Uno schiaffo in pieno volto sarebbe stato più immediato e avrebbe fatto meno male: i diversi secondi che impiegò per assimilare i dati e processarli fino a renderli un'informazione, il lasso di tempo che gli ci volle per acquisire compiutamente tale informazione e farla sua, quel tempo parve dilatarsi assai più del necessario ed in quel varco si insinuò la consapevolezza dell'orrore prodotto da quel cataclisma, di cui non conosceva origini e motivazioni ma di cui poteva ben immaginare il costo in termini di vite.
    Non chiese nemmeno quanti fossero stati i morti, o i feriti, o coloro che si sarebbero potuti trarre in salvo muovendosi subito. La sua natura l'avrebbe portato ad aiutare gli sventurati rimasti vivi e sconvolti, ma qualcosa dentro di lui lo frenava. Aveva visto la morte, e non la singola morte di una persona cara, ché quella è parte della vita. No, lui aveva assistito al massacro, alla morte inintelligibile di centinaia, migliaia di persone. Negli anni, per lui, era cambiato tutto e persino il significato della morte, che gli era parsa così orribile e definitiva quando era toccata a suo nonno, negli anni di Aisling era divenuta una compagna giornaliera, che metteva fine alle grida disperate e agli strepiti.
    La morte, in fin dei conti, era solo un gradino in più nella calma e - forse - due nel silenzio.

    Non disse nulla, perché non c'era nulla da aggiungere, nessuna domanda da fare. Le domande non avevano mai resuscitato nessuno, nè potevano farlo le risposte.
    « Endlos è un luogo pericoloso. » commentò, con una nota amara nella voce.
    « Voglio tornare a casa mia. »
    « Quanto a questo » rispose Nerocriso, adombrandosi del suo solito ghigno,
    « abbiamo solo un lavoro da portare a termine, giusto? »

     
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  9. Clan Shan Yan
     
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    Confine con il Qídằo, Nishikaigan.
    Presidio Occidentale, Endlos.


    Una missione molto importante.
    I quattro valorosi ciclopi del Clan Shan Yan se ne stavano in attesa sul confine tra il Qídằo e il Nishikaigan. Il loro compito era quello di intercettare uno dei loro alleati in possesso delle reliquie trafugate dalle grinfie dell’Imperatrice Palden Wang-Mu. Ma le ore passavano e dal sentiero mostrato loro da Nobunaga, che dalla Via delle Spezie conduceva all’uscita nel Nishikaigan, non vi era alcuna traccia. Nella migliore delle ipotesi uno dei quattro alleati poteva comparire da solo in possesso dei tesori per poi essere scortato da loro verso la Capitale. In un caso meno favorevole il loro alleato poteva raggiungerli si da quel passaggio, ma con alle calcagna uno dei demoni della sedicente Imperatrice. Eppure il tempo passava e niente e nessuno, amico o nemico, sembrava comparire da quelle parti.

    Che qualcosa fosse andato storto? Quel pensiero non poteva che attraversare la mente del prode Shùgàn che notava come lo stesso infausto sospetto prendeva piede tra i suoi fratelli di Sangue.

    “Che facciamo?”

    Chiese ad un certo punto Henki rompendo il silenzio. In fondo erano ben consapevoli che la prima parte della missione non fosse certo una passeggiata, ma i loro quattro compagni sembravano essere guerrieri forti e navigati, tra di loro c’erano niente di meno che un samurai del vecchio esercito ed un gigantesco demone Volpe! Ed anche il Worren e l’altro umano non sembravano essere degli sprovveduti. Possibile che fossero stati messi ko? Forse qualcos’altro era successo, ma loro avevano ordini ben precisi e Rohkeus decise che per il momento era meglio attendere.

    “Per il momento ci conviene aspettare qui. ”

    Altre ore passarono e la preoccupazione continuò a salire nel gruppo di Ciclopi, quando qualcosa di catastrofico mandò in secondo piano il mancato arrivo del loro alleato. In un misto di noia, ansia e tensione il gruppetto di Shan Yan scorse in lontananza quello che sembrava essere un raggio di luce. L’origine del misterioso fascio luminoso sembrava essere in direzione della misteriosa e pericolosa città abbandonata.

    “Che sta succedendo?”

    Un nube nera si levò all’orizzonte muovendosi poi verso di loro ad una velocità disarmante. L’aria divenne d’improvviso pesante e difficile da respirare e tra un colpo di tosse e l’altro qualcosa prese a piovere dal cielo scuro. I quattro, guidati da Rohkeus, cercarono allora riparo muovendosi il più veloce possibile nonostante le ceneri e le polveri che rendevano la respirazione difficile e facevano lacrimare i grandi occhi dei piccoli ciclopi. Se ne stettero quindi al riparo aspettando che la situazione si calmasse prima di uscire allo scoperto e cominciare a rimuginare sulle prossime mosse. In quel momento non potevano sapere che parte di quanto era appena successo era in parte legato alla loro stessa missione, o meglio di come i loro alleati fossero finiti a testimoniare l’origine di quella catastrofe.

    “Cough-cough! Ritiriamoci. Non ci resta che raggiungere il punto di ritrovo stabilito da Nobunaga e sperare che i nostri compagni stiano bene.“

    Lapidario e deciso il guerriero Shan Yan prese il comando e si mise in marcia guidando i Fratelli verso il luogo stabilito come punto di incontro con Nobunaga. In origine dovevano confluire in quel luogo insieme all’alleato in possesso delle reliquie e ricongiungersi lì con i restanti componenti del gruppo, coloro i quali avevano il compito di restare indietro e facilitare la fuga del possessore dei tesori. Ma a quel punto, Rohkeus, missione a parte, non poteva che preoccuparsi per i membri della loro tribù e domandarsi se stessero bene o se la nube nera avesse raggiunto anche le loro vette natie.

    Malinconico e con l’occhio arrossato e lucido, irritato dalla cenere e lacrimante, Lampi, il minuto Beej del clan Shan Yan, se ne rimase per lunghi istanti indietro. Pensieroso, scrutava l’orizzonte e l’origine della nube nera e malevola. In un tono grave e inusuale si limitò ad un serio e quasi profetico annuncio prima di chinare il capo e seguire i Fratelli che lo incitavano a mettersi in marcia.

    “La Morte è arrivata nelle nostre terre.”


     
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    Non aveva mai trascorso così tanto tempo in una biblioteca nemmeno ai tempi in cui viveva nella Torre d'Avorio.
    Pile di libri disordinate ed accatastate intorno a lui lo separavano dal resto dell'Accademia come fosse un muro dentro il quale sperava di isolarsi; gli altri Magistri lo osservavano con aria preoccupata, ma lui fingeva di non vederli. Sezione dopo sezione, la conoscenza di Aciriyar scorreva rapidamente sotto gli occhi della Volpe, fra le dita consumate ed oramai sporche d'inchiostro.
    Non riusciva a trovare nulla.
    In nessuna delle avventure del piccolo TaruTaru, o in quelle degli infiniti viaggiatori che avevano arricchito l'Accademia in tutti questi anni, si era mai vista una maledizione di quella portata. Non esistevano pozioni, incantesimi, nulla che si avvicinasse anche solo a quello di cui aveva bisogno.
    E Dan ovviamente era scomparso. Aveva provato persino ad evocarlo: stregonerie, rituali col sangue. Poteva raggiungere un'infinità di angeli, ma non quello che cercava. Intanto il tempo trascorreva, ed il Destino proseguiva indisturbato sulla sua strada.

    « Attento. »

    Una voce familiare avrebbe destato le attenzioni dell'Elessedil, che sollevò distrattamente le iridi dorate per incrociare quelle castane del Magisterium. Non si sorprese della sua presenza, dopotutto gli rivolgeva silenziosamente delle domande ogni volta che accarezzava una pagina di ciascuno di quei libri; si mostrò tuttavia confuso, per il modo in cui si era palesato... ma presto comprese.
    La terra vibrò leggermente sotto i suoi piedi, facendo crollare contro di lui le pile di libri di cui si era circondato. La magia di Aciriyar si premurò di intercettarli prima che lo potessero colpire, ma ciò non risparmiò al piccolo mago un'occhiata ancor più preoccupata.
    Un... terremoto?
    Erano su Laputa. Sospesi nel cielo.

    « Prima il Pentauron... »

    Il Mago Nero non tardò a fornire una risposta all'Elessedil: muovendo la mano nell'aria dinnanzi a loro aprì come uno squarcio nell'aria, e per loro fu come osservare la tragedia in prima fila. Vicini ma irraggiungibili.

    « ...ed ora il Presidio Occidentale. »

    Vide la luce e poi l'esplosione.
    Vide prima la lava ed un istante dopo lo tsunami infrangersi contro lo squarcio che a pochi metri li separava da una catastrofe senza eguali.

    « Questo mondo sta cambiando. »

    La figura minuta del Rettore affiancò quella cupa del Magisterium. Shantotto ed Aciriyar assistevano con lui, come lui, senza poter intervenire. Erano al pari di Divinità per il Presidio Errante, ma al di fuori di esso...
    L'Elessedil abbassò lo sguardo, contro i libri.
    Conosceva quella sensazione fin troppo bene.

    Il mondo stava cambiando.
    E lui non aveva più tempo.

     
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    Quando i primi fiocchi caddero dal cielo portati dal vento, Little Red pensò che stesse iniziando a nevicare in lontananza, sebbene un pallido sole scaldasse l'aria e le nubi erano troppo rade e troppo chiare per promettere una nevicata. Il freddo non la infastidiva, e non era mai stata abbastanza interessata al susseguirsi delle condizioni climatiche per capire che era semplicemente impossibile che stesse nevicando, e comunque non le importava. La gente per le strade di quella cittadina senza nome però alzavano gli occhi al cielo, si toglievano i batuffoli di neve grigia e sporca dal viso e dai capelli chiedendosi come mai non si sciogliessero fra le loro mani. Quando quella pioggia così anomala divenne più fitta, allora perfino Cappuccetto Rosso capì che quello che si ritrovava fra le dita allungando una mano col palmo rivolto verso il cielo non era neve, e solo allora rimase veramente affascinata dal fenomeno, mentre le persone attorno a lei erano per lo più ansiose o spaventate temendo il portento foriero di sventura.

    In lontananza uno stormo di uccelli di bosco batteva freneticamente le ali puntando verso est. Lei alzò gli occhi al cielo per seguirne la traiettoria e capì che erano spaventati. Un predatore sa per esperienza quando le prede hanno paura, e quegli esseri alati erano spaventati. Domandò ad un vecchio cane dai modi amichevoli che abitava due isolati più in basso, ma non le seppe dire granché. Le suggerì di provare a parlare con uno dei cavalli della vicina stazione di cambio, che erano bestie intelligenti e di solito viaggiavano molto spronati dai loro padroni umani indaffarati a recapitare notizie e messaggi. Quando trovò la stalla la pioggia di neve grigia era diventata più fitta, e poi era andata rapidamente scemando fino a ridursi a pochi getti sporadici e ormai privi di fascino. Quando la fiaba rossa entrò le bestie si agitarono annusando il pericolo. La Finta Luna Rossa sorrise e mentì loro, giurando che non avrebbe ammazzato nessuno di loro, se fossero stati quieti e avessero soddisfatto la sua curiosità. Uno di loro le raccontò di ciò che aveva visto assieme al suo padrone, di eventi lontani. Di maremoti e catastrofi, la terra aveva tremato e c'era stata un'esplosione terribile. Al resto ci arrivò da sola.

    Era cenere, dunque. Da qualche parte in lontananza qualcosa stava bruciando, ed il vento era messaggero del rogo. Pensò ad un'intera foresta arsa nelle fiamme, poi a centinaia di creature fra daini, conigli e uccelli consumati e ridotti a blocchi di carbone, infine a pile di esseri umani urlanti rinchiusi in una prigione di fuoco e poi trasformati in un'unica pira, le carni che si scioglievano e le lacrime che evaporavano, gettando al cielo fiocchi di grigio come quelli che il cielo restituiva in quel momento. Era un'immagine bellissima. Era qualcosa che smuoveva perfino un'anima eccentrica come la sua. Little Red non ha mai avuto i modi di un'artista, ma in quel momento credeva di capire cosa immaginavano gli umani più ispirati quando componevano favole e poesie.

    « Voglio provare anch'io... »
    Disse di colpo, guardandosi attorno in cerca del necessario. Trovò una lampada ad olio, e delle braci ancora accese. Della stoffa, appartenuta al ragazzo delle stalle che stava riponendo nelle stalle un vecchio palafreno orbo cui non servivano più, poiché un mostro rosso si era portato via la sua carotide assieme alle corde vocali e la sua vita. Usò la stoffa imbevuta nell'olio e la gettò nella paglia secca, poi appiccò l'incendio.
    Dopo qualche ora le stalle si erano trasformate in un inferno, ed i cavalli avevano già smesso di urlare. Lei osservava affascinata, seduta su di un vicino pozzo ora che gli umani avevano smesso di sciamarci attorno. All'inizio erano accorsi proprio lì, cercando l'acqua, ma misteriosamente i secchi trovavano solo sabbia e terra, nient'altro. Non avevano nulla per spegnere le fiamme, ed ora si disperavano senza poter fare nulla per contenere le fiamme. La locanda di fianco era già preda del fuoco e ben presto si sarebbe sparso per tutto il villaggio. Era bello, ma la cenere gettata nell'aria non era come la immaginava. Probabilmente il suo incendio era troppo piccolo e troppo brutto per creare un fenomeno come quello cui aveva assistito. O magari non aveva usato abbastanza corpi? Il fuoco è malvagio, ama la carne e brama le anime. Con un saltello scese dal bordo del pozzo, stiracchiandosi e muovendo la folta coda da lupo con un sorriso divertito disegnato sul visino. Magari offrendone altre al suo vorace appetito l'avrebbe ricompensata mostrandole uno spettacolo mai visto prima...

     
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    Da qualche parte sulla costa del nuovo golfo.
    Presidio Occidentale, Endlos.


    Qualche tempo dopo l’ennesima catastrofe che si era abbattuta sul Presidio Occidentale un Demone Volpe osservava il tramonto calare su quel nuovo mare. Osservava malinconico la sfera di fuoco nascondersi dietro l’orizzonte e i colori con cui dipingeva le acque di quelle terre sommerse. Non aveva modo di sapere quante povere anime erano state travolte dalle onde. Ma una cosa era certa, a quanto si diceva in giro. Non c’erano superstiti.

    Dell’Undarm non era rimasto più niente.
    Il Regno di Odayaka Mira era scomparso per sempre, il suo sogno infranto. L’Ovest era stato liberato solo per godere di una breve quanto effimera pace. Era stato preso d’assalto dai demoni e poi era caduto vittima di altre imprevedibili catastrofi. I feudi meridionali erano stati quelli a soffrirne di più. La città portuale giaceva ora in fondo al mare con tutti i suoi abitanti. Tutti i sacrifici commessi sembravano vani.

    Mai come prima Mugen si era soffermato a pensare alla morte e alla fugacità dell’esistenza. Una parte di lui non poteva che sperare che almeno oltre quella vita così ingiusta quelle povere anime potessero trovare pace e ricongiungersi con la loro Signora.

    Il pensiero della Volpe non potè poi che rivolgersi all’amico scomparso da tempo, Amon lo Scorpione. Quell’ennesima disfatta non faceva che accentuare il peso del fallimento. Aveva promesso a se stesso di mantenere vivi i suoi ideali. Anche per lui, in fondo, era tornato nel Presidio Occidentale per opporsi all’invasione della sedicente Imperatrice. Ma era stato tutto inutile. Non era arrivato in tempo per fermare l’assassinio delle vecchie casate e la loro nuova Resistenza li aveva solo resi testimoni inermi della scomparsa dell’aspirante al trono per mano di una creatura dal potere immenso.

    Mai più, aveva promesso.
    Aveva promesso di impegnarsi affinché l’Ovest non soffrisse più. Aveva già vissuto troppi mali e troppe tribolazioni. In altri aveva incontrato la stessa volontà, ma era inutile dire che avessero fallito. Anche se a loro discolpa non c’era niente che avrebbero potuto fare per fermare il disastro.

    Berjaska ed Undarm non esistevano più.

    Nonostante tutto non gli rimaneva che continuare a combattere e rinnovare la sua promessa, nonostante fosse destinata ad un ulteriore fallimento.

    “Mai più.”

    Sospirò e si rimise in marcia.

     
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    Viaggiatore dei Mondi

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    Avvertenze: il seguente post contiene scene dal contenuto spinto anche se non esplicito, e quindi potrebbe turbare la sensibilità di alcuni utenti. Leggete a vostra discrezione.

    Redemption By Water
    Atto unico

    I corvini capelli si intonavano col profondo nero del liscio tessuto che gli nascondeva gli occhi rendendola così cieca e fremente per l’agognato piacere. Il ventre scolpito si irrigidiva e il modesto seno si innalzava all’inarcare della schiena per ogni volta che i polsi legati col bianco velo alle sponde del letto tiravano non tanto per liberarsi, ma per assaporare quella sensazione di impotenza e prigionia che quel gioco perverso regalava nel corpo come un brivido l’ungo un’istante che scendeva fremente lungo tutta la schiena fino alla punta dei piedi.
    Lei, bellissima, negli autoreggenti neri e l’intimo in pizzo del medesimo colore che contrastavano e risaltavano il bianco dei sui capelli corti, varcò la porta con passo aggraziato ma deciso girando intorno al letto e facendo risuonare i tacchi a ogni suo passo nella silenziosa stanza per la sua cieca amante. Un frustino in cuoio scuro correva fra le dita guantate della Lady dominante, che si fermò ad ammirare la maestosa luna sullo sconfinato deserto oltre la cristallina finestra.
    La stanza illuminata soltanto da una fievole e calda luce emanata dalle ornate lampadine alle pareti e dai raggi della luna che penetravano dalla finestra.
    Osservò il perfetto corpo mulatto, tipico di quelle terre, notando il leggero fremere della donna dato dall’attesa e dalla sensazione di ignoto, compiacendosene:
    “Spero che tu sia pronta…”
    Disse la Lady salendo sul morbido letto con prima un ginocchio e poi l’altro, facendo poi scivolare la punta ricurva in cuoio l’ungo tutto il corpo nudo della donna partendo dal petto e scendendo delicatamente fino al basso ventre e poi lungo la gamba, sfiorando il linguine.
    “a giocare… con… me!”
    Schiccò! Con decisione sul fianco della coscia spoglia, osservando con un sorriso lo spasmo di piacere della compagna.
    Un’istante e le due si raggiunsero in un bacio appassionato che durò a lungo mentre Maria si poneva sopra di lei, soddisfacendo cosi l’agognato contatto fisico desiderato da entrambe.
    I due corpi guidati dalla dominatrice iniziarono a fondersi in un mix di piaceri, suoni e odori che col passare dei minuti travolgevano entrambe. Senza fermarsi, un polso fu slegato e poi l’altro che in un attimo andarono ad avvignarsi sulla schiena della giovane straniera, ormai anch’essa nuda, graffiandola.
    Un attimo di ripresa, accompagnato dalla benda che volava via, seguito da un altro appassionato bacio. Tutto il mondo sembrava non esistere, se non per eccezione di loro in quell’interminabili istanti; la mulatta con gli occhi chiusi intenta ad assaporare l’altra mentre Maria con gli occhi aperti e la mente in estasi e la luce della luna difronte a lei che gli illuminava dolcemente il viso, e poi l’intensità aumentò di colpo durando una decina di secondi di pura frenesia terminando nel climax che avvolse la giovane Lady e in quell’istante perfino Endlos sembrò esplodere;

    un tuono che rimbomba in tutta la stanza.
    Il mondo intero che cade a rovescio.
    Il fumo che in lontananza si innalza oltre la finestra e si specchia negli occhi in estasi di lei.
    Tutto che irrompe,
    precipita,
    inonda intorno in un rombo scoppiettante,
    in una fiumana torrenziale verso l’estasi di un nuovo inizio.

     
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